Deicide – Overtures of Blasphemy

Dodicesimo album della storica death metal band floridiana, più brutale e tecnica che mai, a cinque anni di distanta dall’ultimo disco.

Tornano a farsi sentire i Deicide, ad un lustro di distanza da In the Minds of Evil, mentre tutto il loro catalogo 1990-2001 è ora in corso di riedizione e mentre sta per essere finalmente ristampato anche quanto fatto dagli Amon, nella loro poco nota ma interessante storia parallela.

Il nuovo disco della creatura del malefico Glenn Benton conferma, di fatto, in termini di sonorità la svolta impressa dopo Legion (1992): grande velocità, blast beats, scenari musicali (e lirici) estremi, produzione stellare e la conferma di quante e quali doti tecniche servano per suonare brutal death, soprattutto oggi. Basta ascoltare, al riguardo, songs come l’opener One With Satan, All That Is Evil, Seal the Tomb Below, il singolo Excommunicated o Crawled From the Shadows. Ma anche la seconda parte del CD, forte di brani quali Anointed in Blood, Defying the Sacred e Flesh Power Dominion non appare di certo da meno. Tutto è molto e volutamente old school – come nel caso degli Slayer, dei Cannibal Corpse, e dei ritrovati Morbid Angel – e la cosa non dispiace affatto. Senza dubbio, qualcuno potrà affermare che senza variazioni questo genere può risultare tedioso e ripetitivo, oppure che questo nuovo disco non aggiunge nulla di nuovo a quanto sinora fatto dai Deicide. In realtà, la band americana dimostra una volta di più integrità e coerenza artistiche. Che cosa si vuole che facciano? Che virino, di colpo, verso altri lidi? Che si rimettano in discussione, a ventotto anni dall’esordio? Sarebbe, a mio avviso, del tutto assurdo. I Deicide continuano a fare quello che meglio sanno fare, da sempre. Ed è per tale motivo che il loro pubblico li ama. Ricordiamo che quando i Morbid Angel si sono spostati verso un sound più industrial, con il controverso e discusso Illud Divinum Insanus, hanno finito soltanto per scontentare tutti: i vecchi fans si sono sentiti traditi e l’attenzione da chi ascolta generi (e suoni) più moderni non è arrivata. Anche per questo i Morbid Angel sono tornati alle origini, con il loro ultimo lavoro. Sono anche queste le ragioni che magari devono avere spinto i Deicide a confermare il loro profilo, sotto ogni punto di vista. Questo è il brutal death metal, di maestri che hanno fatto la storia, ed altro non ha senso chiedere o aspettarsi.

Tracklist
1- One With Satan
2- Crawled From the Shadows
3- Seal the Tomb Below
4- Compliments of Christ
5- All That Is Evil
6- Excommunicated
7- Anointed in Blood
8- Crucified Soul of Salvation
9- Defying the Sacred
10- Consumed By Hatred
11- Flesh, Power, Dominion
12- Destined to Blasphemy

Line up
Glenn Benton – Bass, Vocals
Steve Asheim – Drums
Kevin Quirion – Guitars
Mark English – Guitars

DEICIDE – Facebook

Evilon – Leviathan

Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua.

La firma per Wormholedeath e gli svedesi Evilon possono partire alla conquista dei cuori guerrieri dei death metallers dai gusti melodici e folk.

La band, fondata tre anni fa dalla coppia di chitarristi Kenneth Evstrand e Jonny Sjödin, si affaccia sul mercato estremo con Leviathan, album di debutto su lunga distanza dopo Shores of Evilon, ep di cinque brani uscito lo scorso anno.
Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua, pregni di sfumature classiche, solos incisi sui manici delle spade e ritmiche che sono venti che spazzano il mare del nord in tempesta.
L’album ha una partenza fulminea con l’opener Eye Of The Storm e non si ferma più: uno dietro l’altro i brani si susseguono in un mare in burrasca di suoni metallici; a tratti l’anima folk avvolge di epica eleganza le note battagliere di brani trascinanti come la title track o la coppia di gioiellini melodic/folk/death come Sounds Of The Tomb e The King Of The Thousand Suns, con il singer Joel Sundell a radunare le truppe sul ponte del drakkar.
Leviathan risulta un gran bel disco, rappresentando il death metal melodico nella sua forma tradizionale, valorizzato da inserti folk epici e richiamando primi In Flames e Dark Tranquillity, così come Amorphis ed Eluveitie.
Grazie ad un songwriting eccezionale, Leviathan è una raccolta di brani perfetti nella loro natura estrema, melodica e guerriera; gli Evilon sono un gruppo di cui sentiremo sicuramente parlare ancora: ancora un grande colpo in casa Wormholedeath.

Tracklist
1. Eye of the storm
2. Sound of the tombs
3. Leviathan
4. Souldrainer
5. The king of a thousand suns
6. In the shadow of my grief
7. Welcome home
8. The sacred
9. Serpent eye
10. When the leaves are falling

Line-up
Kenneth Evstrand – Guitar/Choir
Jonny Sjödin – Guitar/Choir
Björn Wildjärn – Bass/Choir/Lead-Clean Vocals
Joel Sundell – Lead-Growling Vocals
Anders Hagen – Drums

EVILON – Facebook

Heavy Generation – The Spirit Lives On

The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Si affacciano sulla scena classica tricolore gli Heavy Generation, band dal sound heavy/power duro come l’acciaio, potente come un tuono e perfettamente bilanciato con quel tocco melodico che fa la differenza.

La band è composta dai fondatori Marco Stefani (Motorhell) alla batteria e Marco Marchioni al basso, a formare una sezione ritmica potentissima, dal chitarrista Fabio Cavestro (Gunjack, Motorhell, The Silence) e dal talentuoso cantante Ivan Giannini che, chi segue il metal targato Italia, avrà già potuto apprezzare nei Derdian e negli Elegacy, tra gli altri.
Con queste ottime premesse a livello di line up l’album non poteva che risultare all’altezza della situazione, ed infatti The Spirit Lives On non deluderà sicuramente le aspettative dei defenders, grazie ad un lotto di brani entusiasmanti, che travolgono l’ascoltatore grazie alla potenza di un heavy/power tellurico ed al notevole impatto epico melodico.
Giannini si trasforma dal vocalist potente ed elegante che abbiamo ammirato in passato in un animale metallico feroce e famelico, in possesso di un timbro che in questo caso ricorda il miglior Halford e aggiungendovi grandi doti interpretative (immenso nel mid tempo Path Of Denial).
In uno scenario post apocalittico i quattro guerrieri metallici ci consegnano un lavoro riuscito, formato da una raccolta di brani che non inciampano, ma marciano in direzione dell’epico scontro nelle strade di metropoli in disfacimento, al suono delle varie Fire Steel Metal, Heavy Generation, The Spirit Lives On e Warriors, tracce che dell’heavy/power epico si nutrono per soddisfare la voglia di metal classico di tutti i suoi seguaci pronti ad alzare il pugno verso il cielo.
The Spirit Lives On si rivela uno dei dischi più belli usciti quest’anno nel genere, oltre che il miglior debutto possibile per gli Heavy Generation.

Tracklist
01. Born To Rock
02. Fire Steel Metal
03. No Control
04. Blood And Sand
05. Heavy Generation
06. Path Of Denial
07. My Spirit Lives On
08. Odin
09. Warriors
10. March Until The Grave
11. No More Mercy

Line-up
Ivan Giannini – Vocals
Fabio Cavestro – Guitars
Marco Marchioni – Bass
Marco Stefani – Drums

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HEAVY GENERATION – Facebook

Barkasth – Decaying

La forza di un album come Decaying risiede in una formula che certo non è un segreto: sette canzoni rese irresistibili da un uso sapiente della melodia, il tutto racchiuso in poco più di quaranta minuti di black metal intenso e che sovente vira sul death, esaltato da una produzione all’altezza e da una prestazione impeccabile dei singoli.

Tra le scene black metal dell’est europeo quella ucraina è sicuramente la più interessante e ricca qualitativamente, assieme a quella rumena, meno densa però a livello numerico.

Ad avvicinarsi notevolmente al livello di giganti come Drudkh o Nokturnal Mortum arrivano oggi, con il loro primo album, i Barkasth, anch’essi provenienti dall’inesauribile fucina di Kharkiv.
Il fatto che Decaying ne rappresenti il passo d’esordio non deve indurre in errore facendo pensare che il quartetto sia composto da imberbi ragazzini; i nostri, per quanto ancora relativamente giovani, sono tutti musicisti che gravitano nell’ambiente già da diverso tempo, con due di essi provenienti da un altro gruppo di spessore come gli Elderblood.
La forza di un album come Decaying risiede in una formula che certo non è un segreto: sette canzoni rese irresistibili da un uso sapiente della melodia, il tutto racchiuso in poco più di quaranta minuti di black metal intenso e che sovente vira sul death, esaltato da una produzione all’altezza e da una prestazione impeccabile dei singoli, con le chitarre che si lasciano andare spesso e volentieri a gustosi assoli ed un alternanza screaming/growl appropriata e convincente.
L’opener Begging By Freaks è già da solo un brano che potrebbe valere un intero album, e la stessa valutazione la si può fare anche per la conclusiva e più avvolgente …Where Was The Son Of God; tutto quanto sta in mezzo è di livello assolutamente conforme a queste due gemme, per cui non vi sono davvero controindicazioni nell’affermare che i Barkasth costituiscono una delle scoperte più eccitanti dell’anno in ambito black metal.
Ad impreziosire il tutto troviamo anche un approccio concettuale non banale, anche se sicuramente non nuovo nella sua espressione di antireligiosità, la quale viene esibita però in maniera ragionata e tutt’altro che becera, rivelandosi molto più adeguata in tal senso ad un contenuto musicale di primissimo ordine.

Tracklist:
1. Begging By Freaks
2. Alone
3. Blood & Flesh
4. Soul Away
5. Decaying
6. Shepherd
7. …Where Was The Son Of God

Line-up:
Arkhonth – guitars, vocals
Goreon – guitars, vocals
Hagalth – bass
Malet – drums

BARKASTH – Facebook

Voivod – The Wake

I Voivod si confermano ancora una volta autori di grande musica progressiva, metallica e straordinariamente fuori dal comune.

Un nuovo album degli storici Voivod è sempre motivo di discussione e consumo di litri di inchiostro vista l’importanza del gruppo all’interno della scena metallica fin dalla prima metà degli anni ottanta.

L’ultimo album The Wake viene licenziato in concomitanza con i trentacinque anni di carriera della band, un traguardo straordinario per una realtà sempre un passo avanti nella scena musicale mondiale fin dai primi devastanti lavori, passando per il progressive thrash metal melodico e spaziale degli anni novanta (con album bellissimi e sottovalutati come Angel Rat e The Outer Limits), per tornare al metal estremo degli esordi e nuovamente ora, con questo ottimo ultimo parto, alle digressioni space rock e progressive.
Langevin e Belanger, con i fidi Mongrain e Laroche, danno vita ad un viaggio intergalattico nel quale appunto il thrash metal amoreggia con generi lontani anni luce ma che nella loro musica diventano parte integrante di un concept musicale personalissimo.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e la fusione tra il metal estremo con progressive e jazz non fa più notizia, ma la band canadese riesce comunque a sorprendere con il suo personalissimo sound ed un talento compositivo fuori categoria.
The Wake sta tutto qui, con i Voivod che giocano tra note spaziali, trame progressive, atmosfere orchestrali e ed un mare di piccoli dettagli che vanno a formare una galassia musicale cangiante e ricca di fascino.
I Pink Floyd, così come i King Crimson (The End Of Dormancy), sono riferimenti che continuano a passare veloci come nubi gassose nell’universo chiamato The Wake, di assoluto livello anche sotto l’aspetto tecnico e a tratti difficilissimo da digerire se non si possiede la giusta confidenza con il sound della band.
Dall’opener Obsolete Begins fino alla conclusiva Sonic Mycelium, i Voivod si confermano autori di grande musica progressiva, metallica e straordinariamente fuori dal comune.

Tracklist
01. Obsolete Beings
02. The End Of Dormancy
03. Orb Confusion
04. Iconspiracy
05. Spherical Perspective
06. Event Horizon
07. Always Moving
08. Sonic Mycelium

Line-up
Dennis “Snake” Belanger – Vocals
Daniel “Chewy” Mongrain – Guitar
Dominic “Rocky” Laroche – Bass
Michel “Away” Langevin – Drums

VOIVOD – Facebook

Aborted – TerrorVision

Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro presentato perfettamente dalla title track, ma che non cede per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema di livello assoluto, imperdibile.

Uno dei lavori più riusciti ed intensi di questo 2018 in campo death/grind porta la firma dei belgi Aborted, tornati con il decimo album di una discografia di altissima qualità, confermato da questo funambolico TerrorVision.

Il gruppo che, di fatto, ha tutti i crismi di una band internazionale capitanata dal singer Sven de Caluwé, con questo nuovo lavoro ci consegna un capolavoro di musica estrema violentissima, una spettacolare prova di forza sorretta da una tecnica ineccepibile e da un songwriting esaltante.
Caluwè da letteralmente spettacolo con una prestazione al solito varia, personalissima e a tratti davvero mostruosa, ed i suoi compari non sono da meno, invitando l’ascoltatore sull’ottovolante impazzito chiamato TerrorVision.
L’album è una continuo sorpresa, le soluzioni in mano al gruppo sono le più svariate anche nell’arco dello stesso brano, così che a tratti la violenza iconoclasta e l’atmosfera apocalittica passano in secondo piano davanti a tanta perizia, nel passare dal death/grind a soluzioni ritmiche di stampo groove e sferzate black metal, il tutto valorizzato da un approccio tecnico e progressivo di valore assoluto.
Difficile fare dei paragoni con altre realtà, perché nell’album ci si ritrova nel mondo Aborted, già ampiamente messo in evidenza con il precedente e bellissimo Retrogore, uscito un paio di anni fa, ma portato qui ad un livello ancora superiore.
Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro, presentato perfettamente dalla title track, ma che non mostra cedimenti per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema imperdibile e di livello assoluto.

Tracklist
1. Lasciate Ogne Speranza
2. TerrorVision
3. Farewell To The Flesh
4. Vespertine Decay
5. Squalor Opera
6. Visceral Despondency
7. Deep Red
8. Exquisite Covinous Drama
9. Altro Inferno
10. A Whore D’oeuvre Macabre
11. The Final Absolution

Line-up
Sven De Caluwè – Vocals
Mendel Bij De Leij – Guitar
Ian Jekelis – Guitar
Ken Bedene – Drums
Stefano Franceschini – Bass

ABORTED – Facebook

Eriphion – Δοξολογία

Eriphion è decisamente una bella scoperta, rivelandosi un progetto nel quale la mancanza di spunti innovativi è compensata con gli interessi da una scrittura ficcante ed incisiva in ogni frangente.

Come preannunciato in occasione delle due righe scritte in relazione all’ep Hossana, eccoci alle prese con Δοξολογία, full length d’esordio del progetto solista ellenico Eriphion.

M. questa volta riesce a smussare alcune imperfezioni emerse nel precedente lavoro focalizzandosi opportunamente sul lato melodico e atmosferico del proprio black metal, fornendo così un risultato a tratti sorprendente per qualità e carica evocativa.
Così tutto sembra funzionare al meglio ed il black in quota Satyricon del musicista ateniese può veleggiare con successo facendosi apprezzare dall’ascoltatore e soprattutto fluendo senza soverchi intoppi.
L’ottima The Worship squarcia immediatamente il velo, lasciando che M. esibisca un gusto melodico da primo della classe, e se Ashes to Ashes si dimostra episodio decisamente più aspro, la linea chitarristica di Corridor of Souls si propaga irresistibile sullo spartito.
Δοξολογία non scende mai di livello, ritrovando altri picchi nella solennità di Sin Is Calling e nella più rallentata ed avvolgente traccia di chiusura Doxologia.
Eriphion è decisamente una bella scoperta, rivelandosi un progetto nel quale la mancanza di spunti innovativi è compensata con gli interessi da una scrittura ficcante ed incisiva in ogni frangente.

Tracklist:
1. The Worship
2. Ashes to Ashes
3. Corridor of Souls
4. Welcome to the Nightmare
5. Winter Fire
6. Sin Is Calling
7. The Immortal
8. Doxologia

Line-up:
M. – all instruments, vocals

ERIPHION – Facebook

 

Metal Allegiance – Power Drunk Majesty

Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Come si potrebbe rimanere insensibili ad un album che vede come protagonista un supergruppo al cui interno interagiscono musicisti del calibro di Alex Skolnick, Dave Ellefson, Mike Portnoy, coadiuvati dal bassista e mastermind Mark Menghi e con una serie di ospiti al microfono da far saltare le coronarie?

Torna dunque la Metal Allegiance, dopo il debutto omonimo di tre anni fa, progetto nato da un gruppo di amiconi che si divertivano a suonare cover e che si sono ritrovati inevitabilmente a fare sul serio.
Power Drive Majesty è un disco heavy/thrash, duro come un blocco di cemento armato, suonato straordinariamente bene e valorizzato dalle urla di gente come Trevor Strnad (The Black Dahlia Murder), Mark Osegueda (Death Angel), John Bush (Armored Saint), Bobby “Blitz” Ellsworth (Overkill), Troy Sanders (Mastodon), Mark Tornillo (Accept), Johan Hegg (Amon Amarth), Max Cavalera (Soulfly) e Floor Jansen (Nightwish), unica incantevole valkiria in questo gruppo guerriero di vocalist dall’istinto predatore.
Tutti questi nomi altisonanti potrebbero condizionare il giudizio sui dieci brani, ed invero il pericolo sussiste, ma viene scongiurato da un ottimo songwriting che dà la possibilità di far rendere al meglio i musicisti ed i loro ospiti.
Il sound è compatto, di scuola americana, con la chitarra di Skolnick torturata a dovere ed il gran lavoro di Portnoy e della coppia Menghi/Ellefson precisa ed efficace sia in fase ritmica che nella produzione dell’album.
Il disco suona benissimo, i cantanti si danno il cambio su pezzi che sono cuciti loro addosso e l’operazione Power Drunk Majesty è portata così a compimento senza intoppi.
Bound By Silence con John Bush, l’epica King Of A Paper Crown con Johan Hegg, i ritmi tribali di Voodoo Of The Godsend cantata da Max Cavalera e le due parti della conclusiva title track (la prima cantate da Mark Osegueda e la seconda da Floor Jansen) sono gli episodi migliori di questo mastodontico pezzo di granito thrash metal.
Il progetto Metal Allegiance sforna un album che, aldilà dei nomi che vi partecipano, ci presenta una raccolta di brani dall’alto valore artistico, per cui ignorarlo sarebbe un vero peccato.

Tracklist
1. The Accuser (feat. Trevor Strnad)
2. Bound by Silence (feat. John Bush)
3. Mother of Sin (feat. Bobby Blitz)
4. Terminal Illusion (feat. Mark Tornillo)
5. King with a Paper Crown (feat. Johan Hegg)
6. Voodoo of the Godsend (feat. Max Cavalera)
7. Liars & Thieves (feat. Troy Sanders)
8. Impulse Control (feat. Mark Osegueda)
9. Power Drunk Majesty (Part I) (feat. Mark Osegueda)
10. Power Drunk Majesty (Part II) (feat. Floor Jansen)

Line-up
Alex Skolnick – Guitarist/Producer
Mark Menghi – Bassist/Producer
Mike Portnoy – Drums
David Ellefson – Bass

METAL ALLEGIANCE – Facebook

Infuriate – Infuriate

Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Gli Infuriate sono un gruppo estremo composto da vecchie conoscenze della scena death metal texana, provenienti da gruppi come Sarcolytic, Sect Of Execration, Images of Violence, ID and Whore Of Bethelem.

Infuriate è composto da nove brani, per mezzora di death metal tempestoso ed assolutamente old school, licenziato dalla Everlasting Spew, e segue il demo uscito un paio di anni fa.
Il sound si sviluppa su coordinate death metal tradizionali: veloce e dall’impatto devastante, l’album mette in mostra la buona tecnica esecutiva dei nostri unita all’esperienza per un risultato interessante.
Assolutamente senza compromessi fin dalle prime battute dell’opener Juggernaut Of Pestilence, Infuriate non lascia scampo tra accelerazioni vertiginose, rallentamenti e devastanti ripartenze: queste sono le armi con cui i quattro deathsters americani procurano battaglia, uno scontro sulle note delle varie Slaughter For Salvation, Only Pain Remains e Matando.
La sezione ritmica è un tornado, Alan Berryman al basso e Sterling Junkin alla batteria sono furie senza controllo, mentre Steven Watkins e Jason Garza (anche al microfono) torturano le loro sei corde che urlano dolore sia in fase ritmica che nei laceranti solos.
Ci si avvicina alla violenza del brutal in certi frangenti, accompagnata da ottime parti in cui affiora l’ottima tecnica esecutiva dei nostri, così che Infuriate riesce a convincere, compatto, estremo e marcissimo.
Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Tracklist
1.Juggernaut Of Pestilence
2. Slaughter For Salvation
3.collective Suffering
4.Engastration
5.Only Pain remains
6.Matando
7.Mori Terrae
8.Surrogate
9.Cannibalistic Gluttony

Line-up
Jason Garza – Guitar/Vocals
Steven Watkins – Guitar
Alan Berryman – Bass
Sterling Junkin – Drums

INFURIATE – Facebook

Eyze – Lost In Emptiness

Al di là di qualche piccolo difetto, Lost In Emptiness è un’opera decisamente apprezzabile per il suo genuino e dolente incedere, quindi va senz’altro un plauso al quartetto portoghese per questa sua prima uscita.

Passo d’esordio per i portoghesi Eyze, autori di un interessante lavoro all’interno del quale viene esibita un’interpretazione decisamente valida del death doom atmosferico.

Prendendo spunto concettualmente dai rituali di iniziazione degli indiani Algonchini, il gruppo lusitano si disimpegna con buon gusto melodico e discreta personalità nei meandri del genere, pagando leggermente dazio a causa di una produzione un po’ ruvida, in particolare per quanto riguarda il comparto vocale e le percussioni, nulla che comunque vada ad inficiare più di tanto il lavoro ne suo insieme.
Funzionano senz’altro meglio i brani dal taglio più evocativo, come Strayed from the Light, Corrosion of the Soul e la conclusiva e più lunga del lotto Haze of Doom, mentre in generale si fa sentire l’assenza di una tastiera in grado di riempire al meglio qualche spazio di troppo.
Al di là di qualche piccolo difetto, Lost In Emptiness è un’opera decisamente apprezzabile per il suo genuino e dolente incedere, quindi va senz’altro un plauso al quartetto di Pombal per questa sua prima uscita, con la quale vengono poste basi già sufficientemente solide per sorreggere il peso di un lavoro su lunga distanza, anche se va detto che, in effetti, i quasi tre quarti d’ora di durata dell’opera rappresentano un fatturato già oltremodo probante

Tracklist:
1. Agnvs Rising
2. Strayed from the Light
3. Darkhlaa
4. Corrosion of the Soul
5. Gurvan Zuun Jaran (360)
6. Haze of Doom

Line-up:
Aion – Guitars/Vocals
Goldstein – Guitars/Vocals
Shello – Bass/Vocals
Jinn – Drums/Vocals

EYZE – Facebook

Heads For The Dead – Serpent’s Curse

Serpent’s Curse è un album dannato e bellissimo, puro male e terrore che si insinua sottopelle, un rettile infernale che ci stritola a colpi di metal estremo di altissimo livello emotivo, risultando uno dei migliori lavori dell’anno in corso.

Prendete una manciata di musicisti storici della scena underground estrema di stampo death metal, riuniteli sotto lo stesso monicker ed avrete in mano una bomba da sganciare sulle teste degli amanti del genere.

Una manciata di band che nel corso degli ultimi anni hanno dato nuova linfa al death metal classico, un gruppo di musicisti dal talento per la musica estrema di altissimo livello, ed un lavoro che sicuramente non sorprenderà chi sa con chi ha a che fare ma mieterà vittime come un virus letale.
La Transcending Obscurity licenzia il debutto degli Heads For The Dead, band composta dal duo Jonny Pettersson (Henry Kane, Wombbath, Ursinne) e Ralf Hauber (Revel In Flesh), aiutati in questo progetto da Matt Moliti (Sentient Horror), Hakan Stuvemark (Wombbath) e Erik Bevenrud (Down Among The Dead Men) in veste di ospiti speciali.
Serpent’s Curse riunisce nello stesso sound una manciata di generi per formare un muro sonoro diabolico e marcio, come una pozza dentro alla quale galleggiano da millenni i resti di necropoli dimenticate nel tempo.
Un labirinto di gallerie e cunicoli pregni di note malvagie ed atmosfere evocative, tra death metal, doom, crush e groove, mentre l’aria satura di gas mortiferi alimenta il profondo terrore che brani come la title track e le gli altri capitoli di questo Necronomicon in musica riescono ad alimentare.
Note decadenti che nell’ombra imprimono sfumature oscure in un contesto violento e brutale, con un Ralf Hauber cantore di storie horror, tra occultismo e misticismo, nascosto in una cripta dove serpenti letali danzano in mezzo al fango brulicante di vermi .
L’inferno, l’anticamera di un mondo dove il male trionfa, evocato da sacerdoti risvegliati dopo millenni e nutriti dal sangue che sgorga copioso dallo spartito di Deep Below, The Awakening e Return Of The Fathomless Darkness.
Serpent’s Curse è un album dannato e bellissimo, puro male e terrore che si insinua sottopelle, un rettile infernale che ci stritola a colpi di metal estremo di altissimo livello emotivo, risultando uno dei migliori lavori dell’anno in corso.

Tracklist
1.Serpent’s Curse
2.Heads For The Dead
3.Deep Below
4.Post Mortem Suffering
5.The Awakening
6.Death Calls
7.Of Wrath And Vengeance
8.Gate Creeper
9.Return To fathomless Darkness
10.In Darkness You Feel No Regrets (Wolfbrigade Cover)

Line-up
Ralph Hauber – Vocals, Lyrics
Jonny Pettersson – All Music And productions

HEADS FOR THE DEAD – Facebook

Thou – Magus

E’ un’esperienza rigenerante abbandonarsi al suono devastante dei Thou, un’incendiaria miscela di sludge, doom, drone e black creata da musicisti di alto livello.

Emersi dalle pericolose paludi della Louisiana, gli statunitensi Thou, in poco più di dieci anni di carriera, hanno inondato la scena di molteplici uscite discografiche, circa 40, tra full length, ep, split e compilation, mantenendo un alto profilo artistico votato alla disgregazione delle nostre fibre nervose, con il loro potente e sempre ispirato blend di sludge, doom, black e drone sempre perfettamente calibrato, per scuotere nel profondo i nostri sensi.

Originario di Baton Rouge, il quintetto nel 2018 ha fatto sentire pesantemente la sua presenza, proponendo a cadenza regolari tre succulenti EP nei quali hanno lasciato fluire la loro inventiva, a partire da House Primordial, molto noise-drone, passando per Inconsolable, dal flavour dark folk, fino a Rhea Silvia, omaggio agli Alice In Chains e al grunge in generale; eclettici e votati alla sperimentazione sonora e testuale, i Thou hanno spesso collaborato con altri act mutanti dell’underground a stelle e strisce (Body, Barghest, Great Falls tra gli altri), fornendo sempre prove convincenti e varie. Non amano essere catalogati e tanto meno identificati come sludge band, preferendo richiamarsi più alla scena punk e grunge, e citano tra i loro gusti Nirvana e Fiona Apple mentre suonano live cover di Duran Duran. Una creatura sfuggente, ma decisamente originale e potente plasmata da oltre 600 concerti e cinque full length, compreso il nuovo Magus, che conclude la trilogia iniziata nel 2010 con Summit, più black oriented, e proseguita nel 2014 con Heathen, dalle sfumature invece più doom; l’ultimo lavoro bilancia al meglio le due anime black e sludge, investendoci con settantacinque minuti di devastazione, con brani lunghi, lavorati dal suono delle due chitarre che macinano riff e atmosfere opprimenti senza sosta, mentre le vocals straziate, sguaiate di Bryan Funck sovrastano il suono, miscelando scream e growl in modo personale. Non lascia indifferenti l’approccio con la loro musica, perché è sfiancante, estenuante, ti prende alla gola e non ti fa respirare (da vedere il video di The Changeling Prince dove la partecipazione del pubblico sembra seguire un antico rituale); siamo vicini alle derive proposte da Khanate e Burning Witch con la malevolenza dei Goatwhore: tutto scorre melmoso, denso, pericoloso, non dando tregua neanche con i testi che parlano di degrado sociale e culturale. Magus è un disco da assimilare in toto, con tutti i brani di alto livello, a patto di porre la giusta attenzione e ascoltarli nel mood ideale; la proposta dei Thou è stimolante, non è alla portata di tutti ma è in grado di produrre effetti catartici e rigeneranti.

Tracklist
1. Inward
2. My Brother Caliban
3. Transcending Dualities
4. The Changeling Prince
5. Sovereign Self
6. Divine Will
7. In the Kingdom of Meaning
8. Greater Invocation of Disgust
9. Elimination Rhetoric
10. The Law Which Compels
11. Supremacy

Line-up
Mitch Wells – Bass
Andy Gibbs – Guitars
Matthew Thudium – Guitars
Bryan Funck – Vocals
Josh Nee – Drums

Faustcoven – In the Shadow of Doom

Il rantolo vocale non fa altro che acuire la sensazione d’essere al cospetto di un reiterato quanto necessario rituale che non lascia spazio a gesti pietosi o vane esitazioni: le tenebre sono lì, incombenti e pronte ad inghiottirci, e opporre resistenza serve a poco, tanto vale approdarvi assecondando i ritmi letali dei Faustcoven.

Nuovo full length per il progetto solista del norvegese Gunnar Hansen, Faustcoven, nome che ha raccolto un certo consenso tra gli appassionati di sonorità oscure a cavallo tra il doom ed il black, fin dalle sue prime apparizioni all’inizio del millennio.

In effetti non stupisce che il musicista di Trondheim sia riuscito a convogliare sulla sua creatura una certa aura di culto: il sound marchiato Faustcoven possiede un qualcosa di ancestrale, pur apparendo oggettivamente piuttosto peculiare, ed è la dimostrazione di quanto non servano produzioni leccate od elaborati tecnicismi per soddisfare la fame di buona musica di chi ascolta i due generi citati.
Hansen, che si avvale ormai stabilmente da oltre un decennio del prezioso aiuto alla batteria di Johnny Tombthrasher, possiede il grande pregio di andare al sodo senza troppi indugi, il che rende In the Shadow of Doom una prova aspra, urticante e convincente su tutti i fronti.
Nonostante queste caratteristiche di base, Faustcoven non è sinonimo di immobilismo stilistico: proprio il suo oscillare tra black e doom, con la bilancia che pende però sensibilmente da quest’ultima parte, consente frequenti cambi di ritmo, consentendo così di trovare brani ferocemente spediti come Sign of Satanic Victory oppure episodi asfissianti come Yet He Walks o Marching in the Shadow, per arrivare addirittura al pazzesco doom venato di un blues malato (con tanto di armonica nel finale) di As White As She Was Pale.
Il rantolo vocale non fa altro che acuire la sensazione d’essere al cospetto di un reiterato quanto necessario rituale che non lascia spazio a gesti pietosi o vane esitazioni: le tenebre sono lì, incombenti e pronte ad inghiottirci, e opporre resistenza serve a poco, tanto vale approdarvi assecondando i ritmi letali dei Faustcoven.

Tracklist:
1. The Wicked Dead
2. The Devil’s Share
3. Yet He Walks
4. Marching in the Shadow
5. Sign of Satanic Victory
6. Lair of Rats
7. As White As She Was Pale
8. Quis Est Iste Qui Venit

Line-up:
Gunnar Hansen – Vocals, Guitars, Bass
Johnny Tombthrasher – Drums

Albert Marshall – Speakeasy

Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

La Red Cat si sta imponendo come marchio di qualità nel vasto mercato discografico odierno, specialmente per quanto riguarda i suoni classici.

Per esempio, viene sottolineata ancora una volta questa tendenza con il primo lavoro solista di Albert Marshall, intitolato Speakeasy, un concentrato di hard & heavy strumentale valorizzato dalla presenza in due brani (Fallen Angel e Tristam Fireland) della voce di Mark Boals, uno che non ha bisogno di presentazioni visto la sua militanza nella band di Malmsteen, in quella di un altro dio della sei corde come U.J.Roth e nei Ring Of Fire, tra le altre.
Il super gruppo formato da Albert Marshall non si ferma sicuramente al vocalist, ma ci regala le prove notevoli di Roberto Gualdi alla batteria (Pfm, Vecchioni, Glenn Hughes) e Simon Dredo al basso (L.A Rox, Alex De Rosso, Adam Bomb).
Speakeasy, con queste premesse, non poteva che uscirne vincitore e cosi è: l’album gode di uno splendido songwriting, con il chitarrista che giganteggia con la sua chitarra assecondato da una band di livello internazionale.
I due brani cantati da Mark Boals sono quelli che, ad un primo ascolto, esplodono letteralmente nelle nostre orecchie, ma Re Marzapane e Ramshackle Blues sono i capolavori strumentali del disco, letteralmente sfolgoranti per perizia tecnica e presa diretta sull’ascoltatore.
Steve Vai e Joe Satriani sono i nomi per chi necessita di punti di riferimento e ispirazioni, ma su Speakeasy brilla soprattutto la stella di Albert Marshall e del suo talento.

Tracklist
1.Butler’s Revenge
2.Badlands
3.Fallen Angel
4.Re Marzapane
5.Dreamlover
6.Tristam Fireland
7.Ramshackle Blues
8.Eclipse (White Horse)

Line-up
Albert Marshall – Guitars
Simon Dredo – Bass
Denzy Novello – Drums
Mark Boals – Vocals
Roberto Gualdi – Drums

ALBERT MARSHALL – Facebook

Silver P – Silver P

Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti itlaiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Silver P è il monicker che campeggia sull’esordio omonimo del chitarrista e compositore Pugnale, al secolo Roberto Colombini, il quale, con l’aiuto del talentuoso vocalist Alex Jarusso, del bassista Alessandro Colla e del batterista Antonio Inserillo, offre una quarantina minuti di heavy metal tra classico e moderno.

I nove brani sottolineano in principio la bravura compositiva del nostro, così che Silver P risulti un ottimo album di heavy metal inserito perfettamente nel nuovo millennio.
Jarusso ci mette del suo per lasciare a bocca aperta anche l’ascoltatore più distratto, con una prova non solo gagliarda, ma soprattutto elegante ed in linea con quanto suonato dal gruppo, un perfetto ensemble di heavy/thrash metal di matrice statunitense, valorizzato da melodie di presa immediata tra Iron Maiden, Iced Earth e Fates Warning nelle parti più ragionevolmente progressive.
Di metal americano si tratta, quindi nelle varie Road To Hell, The Net e Out Of This World troverete quelle peculiarità che fanno dell’album un esempio riuscito del genere, incastonato nel nuovo millennio ed assolutamente in grado di farsi spazio grazie ai colpi proibiti delle dirette Fields Of War e I8.
Un ottimo esordio che offre anche la possibilità di conoscere nuovi talentuosi musicisti italiani alle prese con un genere immortale come l’heavy metal classico.

Tracklist
1.The Deep Breath Before The Plunge
2.Fields Of War
3.Road To Hell
4.Memories
5.The Net
6.A Shade In Light
7.Out Of This World
8.I8
9.Straight At The Heart

Line-up
Colombini Roberto Pugnale – Guitars
Alex Jarusso – Vocals
Alessandro Cola – Bass
Antonio Inserillo – Drums

SILVER P – Facebook

Krisiun – Scourge of the Enthroned

I Krisiun non deludono le aspettative e ci consegnano l’ennesimo devastante lavoro, confermandosi quale punto fermo di un certo modo di fare metal estremo.

Tornano con un nuovo lavoro i brasiliani Krisiun, una delle più importanti metal band verde oro, almeno per quanto riguarda i suoni estremi.

Lo storico trio arriva all’undicesimo lavoro di una carriera iniziata nel 1990, periodo in cui il genere ha avuto il suo momento d’oro sia in termini di popolarità che di sviluppo.
La band ha quindi continuato a sfornare opere estreme con buona costanza per quasi trent’anni e questo nuovo album, intitolato Scourge of the Enthroned, la conferma come garanzia di continuità per gli amanti dei suoni death metal tradizionali, con otto brani per quasi quaranta minuti di assalto sonoro alla Krisiun, con Alex Camargo, Max Kolesne e Moyses Kolesne a dettare le regole di un sound a suo modo riconoscibile.
La title track apre l’album, facendo capire che le ritmiche tambureggianti, la chitarra che si staglia melodica ed epica su una struttura tellurica, l’assalto senza soluzione di continuità sono ancora i punti fermi del suono Krisiun anche nel 2018, magari senza picchi assoluti, ma comunque in grado di soddisfare i fans che segue la band da anni, così come quelli dell’ultima ora.
Prodotto da Andy Classen, Scourge of the Enthroned ha nel suo approccio diretto un’arma micidiale: la band spara otto mitragliate senza soluzione di continuità mirando al cuore dell’ascoltatore maciullato dai colpi inferti da Demonic III, Whirlwind Of Immortality e A Thousand Graves.
I Krisiun non deludono le aspettative e ci consegnano l’ennesimo devastante lavoro, confermandosi quale punto fermo di un certo modo di fare metal estremo.

Tracklist
1. Scourge of the Enthroned
2. Demonic III
3. Devouring Faith
4. Slay the Prophet
5. A Thousand Graves
6. Electricide
7. Abysmal Misery (Foretold Destiny)
8. Whirlwind of Immortality

Line-up
Alex Camargo – Vocals / Bass
Moyses Kolesne – Guitar
Max Kolesne – Drums

KRISIUN – Facebook

Ether – Seek Through Control

Gli Ether dimostrano, con questa decina di minuti di musica senz’altro validi, di possedere le caratteristiche per interessare una certa fascia di ascoltatori trasversale ai generi, anche se per forza di cose le conclusioni si potranno trarre solo quando il duo britannico sarà in grado di offrire un’uscita dal minutaggio più consistente.

Via Loneravn ci giunge questa uscita degli inglesi Ether, contenente due brani brevi ma interessanti il giusto per far sì che la loro proposta non venga subito dimenticata.

I giovani Zak ed Imogen, fin dal look esibito nelle foto promozionali, ci rimandano ad un immaginario ottantiano e, in effetti, il loro sound si rivela un intrigante ibrido di psichedelia, post punk, shoegaze e doom (quest’ultimo soprattutto nella seconda delle due tracce).
Pur essendo in attività da qualche anno, la produzione degli Ether è stata finora piuttosto centellinata, sotto forma di qualche singolo, anche se l’ascolto di queste due buone canzoni brani rende comprensibile la scelta di non voler fare le cose con troppa fretta.
I’ll Laugh When They’re Crashing Down si snoda su ritmi piuttosto sostenuti , con la voce di Zak che sembra provenire di peso dalle band psichedeliche che imperversavano una trentina d’anni fa (gente tipo i Loop, per intenderci), mentre Seek Through Control, come detto, si sposta decisamente su territori doom, pur mantenendo quell’aura lisergica conferita anche dall’indolente incedere del cantato.
Gli Ether dimostrano, con questa decina di minuti di musica senz’altro validi, di possedere le caratteristiche per interessare una certa fascia di ascoltatori trasversale ai generi, anche se per forza di cose le conclusioni si potranno trarre solo quando il duo britannico sarà in grado di offrire un’uscita dal minutaggio più consistente.

Tracklist:
1.Seek Through Control
2.I’ll laugh When They’re Crashing Down

Line-Up:
Zak Mullard – guitar, vocals and drum machines
Imogen Shurey – bass

ETHER – Facebook

Dauþuz – Des Zwerges Fluch

Des Zwerges Fluch è un’altra prova convincente regalata da Aragonyth e Syderyth, musicisti che fanno tesoro dell’esperienza acquisita negli anni attraverso un’intensa attività all’interno di diverse band tedesche.

Ci eravamo già occupati di questi ottimi Dauþuz lo scorso anno, in occasione dell’uscita del loro secondo full length Die Grubenmähre: li ritroviamo oggi, sempre sotto l’attenta egida della Naturmacht, con questo ep intitolato Des Zwerges Fluch, alle prese con il loro black metal ossessionato a livello concettuale dal lavoro in miniera all’inizio del novecento.

Il duo offre comunque sei brani per una durata complessiva degna di un full length, per cui sicuramente c’è un buon motivo in più per dedicare la giusta attenzione a questo lavoro .
Rispetto alla precedente uscita evidentemente non ci possono essere troppe variazioni sul tema, perché il black metal dei Dauþuz è profondamente tedesco per stile, atmosfere e ovviamente liriche, anche se all’ascolto si percepisce una migliore sintesi ed un’intensità offerta in maniera più continua.
La trilogia dedicata alla “maledizione del nano” costituisce ovviamente il fulcro dell’opera, con soprattutto la seconda parte Buße che vede i Dauþuz offre il meglio a livello di ispirazione; frammenti acustici si frappongono tra i vari brani spezzando opportunamente l’andamento dei brani con l’intento di aumentare ancor più il pathos, con due tracce magnifiche come Steinhammer e Als mein Geleucht für immer erlosch ad aprire e chiudere rispettivamente l’ep, all’insegna di un black metal crudo ma non scevro di linee melodiche ficcanti.
Des Zwerges Fluch è un’altra prova convincente regalata da Aragonyth e Syderyth, musicisti che fanno tesoro dell’esperienza acquisita negli anni attraverso un’intensa attività all’interno di diverse band tedesche; ma ormai sappiamo bene che difficilmente da quelle terre potrà scaturire una qualsiasi forma di black metal che non sia soddisfacente.

Tracklist:
1. Steinhammer
2. Berggeschrey
3. Unwerk – Des Zwerges Fluch I
4. Buße – Des Zwerges Fluch II
5. Mors Voluntaria – Des Zwerges Fluch III
6. Als mein Geleucht für immer erlosch

Line-up:
Aragonyth S. – All instruments
Syderyth G. – Vocals, Lyrics, Guitars

DAUTHUZ – Facebook

Blaze Bayley – The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III

Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Diciamolo francamente: se a Steve Harris non fosse venuto in mente di metterlo dietro al microfono della vergine di ferro, di Blaze Bayley se ne parlerebbe poco, e solo a livello underground; invece, i due album con gli Iron Maiden, che non per colpa sua sono sicuramente i punti più bassi della loro discografia, hanno per assurdo dato l’immortalità artistica al cantante britannico, per molti solo vittima di scelte quantomeno azzardate, per altri semplicemente cantante di livello medio basso.

La trilogia a sfondo fantascientifico, iniziata qualche hanno fa con l’album Infinite Entanglement e proseguita con Endure Or Survive, arriva al suo epilogo con questo ultimo lavoro, The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III, un lavoro discreto, senza grossi picchi, ma che, solo per le buone ‘intenzione e la costanza con la quale il cantante britannico ci si è dedicato, va sicuramente premiato.
Molti ospiti fanno al sua apparizione all’interno dell’opera, tra questi vanno ricordati Chris Jericho dei Fozzy ed il bassista Luke Appleton degli Iced Earth, così che The Redemption Of William Black prende le sembianze di un’opera a tutto tondo.
Il sound è quello solito, heavy metal old school di matrice maideniana, venato di hard rock, duro e puro ed assolutamente convenzionale: una formula che non passerebbe l’esame se invece di Blaze Bayley come monicker ci fosse quello di una qualsiasi band alle prime armi.
L’album è onesto ed in linea con quanto ci si può aspettare dal vocalist, ma è troppo poco per andare oltre ad una abbondante sufficienza, strappata con le unghie per un paio di brani interessanti come la maideniana Redeemer e la più diretta The Dark Side Of Black.
Se siete estimatori del vocalist, l’album è 100% Bayley e quindi The Redemption of William Black – Infinite Entanglement Part III non vi deluderà, ma se l’artista non è mai riuscito ad entrare nelle vostre corde non credo che ciò possa accadere grazie a questo nuovo lavoro.

Tracklist
01. Redeemer
02. Are You Here
03. Immortal One
04. The First True Sign
05. Human Eyes
06. Prayers Of Light
07. 18 Days
08. Already Won
09. Life Goes On
10. The Dark Side Of Black
11. Eagle Spirit

Line-up
Blaze Bayley – Vocals
Chris Appleton – Guitars
Martin McNee – Drums
Karl Schramm – Bass

BLAZE BAILEY – Facebook