Zero23 – Songs From The Eternal Dump

Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative.

Frequenze terrestri che sembrano aliene, suono che si mostrano per ciò che sono, senza gli inutili fronzoli della forma canzone.

Zero23 fa parte dell’etichetta più avanguardistica degli ultimi tempi in Italia, la massese Kaczynski Editions, che sta sondando in maniera mirabile il più nascosto sottobosco italiano. Songs From The Eternal Dump si inserisce molto bene nel discorso portato avanti da questi coraggiosi, ovvero improvvisazione ed oltre, per arrivare ad una nuova formulazione di musica. Qui non c’è nulla di alternativo o di sperimentale, ma troviamo una costante ricerca sonora che riverbera vari aspetti della realtà. Per degustare al meglio questo disco si consiglia di ascoltarlo con le cuffie, perché ci sono moltissime cose che si aggirano nella sua struttura minimale, ronzii e frequenze basse che esprimono concetti alti. Non ci si può approcciare a quest’opera (davvero limitativo chiamarlo disco, ma tant’è) con fretta o con la sicumera di avere delle risposte o delle domande, qui si medita ascoltando e si avanza meditando. Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative. L’intento del disco è di recuperare e valorizzare ciò che sembra inutile e ormai perso, facendolo ritornare sotto forma di suono anche solo per un secondo, un vecchio campione riverberato che flasha la mente. Molto affascinante è il modo in cui questo lavoro riesca a calmare i nervi, o a spogliare improvvisamente la stanza dove vi trovate, come una pillola di Matrix che depauperi la realtà dalle cose in eccesso, lasciando il distillato matrice. Si respira anche grande libertà di espressione qui, come in tutti i lavori della Kaczynski Editions, che tenendo fede al suo esplosivo mentore sta minando le fondamenta del finto alternative italiano e speriamo lo faccia cadere presto.

Tracklist
1.empty little space
2.false step
3.broken souls
4.dead rats blues
5.far from home
6.crepusculo
7.macchinari avariati
8.Rome

Tytus – Rain After Drought

Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

I Tytus sono tornati e fanno male….. tanto male!

La band proveniente da Trieste, dopo aver distrutto mezzo pianeta con la micidiale detonazione provocata dal primo lavoro intitolato Rises (uscito tre anni fa), da il via ad un secondo bombardamento sonoro, questa volta licenziato dalla Fighter records ed intitolato Rain After Drought.
Rain After Drought è un concentrato di musica metallica che vede riff, solos, ritmiche potenti come un caccia torpediniere in primo piano: chitarra, basso e batteria al servizio del dio del rock, epico per certi versi, quasi eccessivo all’apparenza, ma in realtà perfetto nel suo glorificare un sound primitivo e dannatamente coinvolgente.
Se il primo album raccontava di una catastrofe legata all’avvicinamento della Terra al Sole, causato anche dalle dieci esplosioni contenute in Rises, Rain After Drought è uno tsunami biblico di metal/rock a non lasciare scampo.
Fin dall’opener Disobey veniamo travolti da queste nuove dieci tracce, tra riff mastodontici, solos taglienti e cavalcate strumentali di scuola Maiden (Rain After Drought Pt.1).
Vera macchina da guerra hard & heavy, i Tytus non fanno prigionieri e si confermano come una delle più convincenti realtà del genere.

Tracklist
1.Disobey
2.The Invisible
3.The Storm That Kill Us Hall
4.Our Time Is Now
5.The Dark Wave
6.Death Throes
7.Rain After Drought PT.1
8.Rain After Drought PT.2
9.Move On Over
10.A Desolate Shell Of A Man

Line-up
Ilija Riffmeister – Vocals & Guitars
Mark SimonHell – Guitars
Markey Moon – Bass
Frank Bardy – Drums

TYTUS – Facebook

San Leo – Y

Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste.

Il duo riminese San Leo è un gruppo che usa la musica per contornare un universo profondo e tutto da scoprire.

Le composizioni sono molto ben strutturate e sono assolutamente slegate dalla forma canzone, possiedono un ritmo ed una vita tutta loro e molto particolare; questo è l’ultimo capitolo della trilogia comincia con XXIV nel 2015 e proseguita con Dom nel 2017, un lungo percorso esoterico di ricerca sia spirituale che musicale. La musica vera e profonda, con un significato anche nel suono oltre che in ciò che si vuole dire, è come questa dei San Leo, che non ha in pratica un genere di riferimento, ma scaturisce da una sorgente profonda che è arcaicamente insita dentro di noi. I titoli lunghi, in un’era come la nostra connotata dal simbolismo dell’eiaculazione precoce in cui tutto deve essere veloce e chiaro, sono già poesie e prese di posizione di per sé, e si accompagnano benissimo alla musica. Il duo chitarra e batteria è una forma diffusa nel mondo della musica, e ne abbiamo alcuni validi esempi anche qui in Italia, ma dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora in questo ambito, perché questo è un processo alchemico che non vi lascerà come prima. Inutile cercare di usare qui la dicotomia musica facile e comprensibile versus musica difficile e intellettuale: qui c’è la musica che ricerca, che va incessantemente avanti, senza fermarsi per farsi acclamare. Le idee sono molte e tutte molto valide e ben congegnate, il dipanarsi della trama ha un senso ben compiuto, che però cela moltissimo di quello che non si vede e che si deve scoprire, e per tutti avrà un significato diverso, perché siamo tutti ricettori differenti. Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste. Y è un disco incredibile per una traiettoria musicale unica in Italia, supportata da varie e notevoli etichette italiane.

Tracklist
1) Una presenza, una doppia entità nascosta nell’ombra: tra le fenditure del legno risiedeva il riflesso
del vero volto
2) La lama in attesa, la vertigine di un gesto inesorabile, l’eco sinistra delle urla del re
3) Lasciami precipitare come pioggia di meteore: a me fuoco e distruzione, a me catastrofe e
rinascita
4) Nella risacca udì la voce della mutazione marina, un mormorio di ossa tramutate in conchiglie

Line-up
Marco Tabellini – guitar
Marco Migani – drums

SAN LEO – Facebook

Gotthard – Defrosted 2

Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

La morte di un personaggio e vocalist straordinario come il compianto Steve Lee avrebbe piegato chiunque, non Leo Leoni che, presi per mano i suoi Gotthard, ancora una volta ha navigato tra le acque malinconicamente oscurate dal dramma e con un nuovo singer dietro al microfono (il bravissimo Nic Maeder) li ha portati verso una nuova vita artistica e a questo Defrosted 2, live acustico che immortala la band in una raffinata e sanguigna versione acustica.

Accompagnata dal quartetto d’archi The G-Strings e con il prezioso supporto delle cantanti Maram El Dsoki e Barbara Comi, la band svizzera regala una performance eccellente, con una raccolta di brani che ripercorre l’intera carriera, tra cover e accenni a grandi classici del rock impreziosito e reso assolutamente imperdibile da un’atmosfera rock blues.
Una menzione particolare va a Maeder, cantante sanguigno e assolutamente perfetto per il sound degli storici rockers, qui in una versione ancora più sentita che dà vita ad una prova che strappa emozioni e sa essere elegante ma allo stesso tempo graffiante, da vero interprete blues’n’roll.
Defrosted 2 non presenta solo versioni acustiche ma spesso cerca nuove strade per proporre classici della storia dei Gotthard, da Anytime, Anywhwere e Sister Moon, da Miss Me a Right On e Lift U Up.
C’è tempo per una versione davvero originale di Smoke On The Water dei Deep Purple e di due inediti, tra cui Bye Bye Caroline, scritta a due mani con Francis Rossi, leader dei leggendari Status Quo, da cui è stato tratto un video.
Defrosted 2 è un viaggio emozionate nella storia dei Gotthard nonché un ulteriore testimonianza del valore del gruppo svizzero, tra rock e blues e armonie acustiche di rara intensità.

Tracklist
1. Miss Me
2. Out On My Own
3. Bang
4. Sweet Little Rock ‘N’ Roller
5. Beautiful
6. Feel What I Feel
7. Hush
8. Remember It’s Me
9. Stay With Me
10. Tequila Symphony
11. Mountain Mama
12. Why
13. C’est La Vie
14. One Life One Soul
15. Tell Me
16. Starlight
17. Sister Moon
18. Right On
19. Lift U Up

Line-up
Nic Maeder – Vocals
Leo Leoni – Guitar
Freddy Scherer – Guitar
Marc Lynn – Bass
Hena Habegger – Drums

GOTTHARD – Facebook

Slap Guru – Diagrams Of Pagan Life

Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Gli Slap Guru sono un gruppo hard blues psichedelico madrileno: il loro primo lavoro intitolato Cosmic Hill uscì un paio di anni fa per la Andromeda Relix ed ora tornano sul mercato con il full length Diagrams Of Pagan Life, per la Sixteentimes Music.

Il sound proposto richiama le band hard rock degli anni settanta, e tutto in questo album è fortemente legato ai primi anni del decennio più importante della storia del rock, andando se vogliamo ancora più a ritroso e sconfinando nella decade precedente.
Led Zeppelin, Cream e Bad Company, strafatti di psichedelia e sostanze illegali, si materializzano in questo viaggio del quartetto spagnolo, composto da dodici brani che formano un’unica jam di retro rock in grado di portarci su altri mondi, spaziando tra blues e rock psichedelico e a tratti progressivo.
Diagrams Of Pagan Life è rivolto agli amanti dei suoni vintage, l’aria che si respira è in tutto e per tutto quella degli anni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, e l’impatto di quest’opera, dalla copertina alla musica prodotta, è assolutamente e volutamente retrò, quindi assolutamente fuori portata se non siete più che fans della musica suonata in quel periodo, ma che in tal caso sa regalare momenti di grande rock, con brani come My Eerie Universe, Contemporary Blankness e Streams On A Plain.
Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Tracklist
01.Çk-üsa
02.Diagrams Of Pagan Life
03.My Eerie Universe
04.Into The Gloom
05.To Forget Is To Forgive
06.Contemporary Blankness
07.Earth Cycles
08.The Same Old Way – Diagrams Of The Solar System
09.A Daily Loser – Dropping Electrons In A Hydrogen Atom
10.A Wornout Tool – Diagrams On A Blaze
11.Streams On A Plain
12.An-ühataN-üda

Line-up
Valerio ‘Willy’ Goattin – Voices, electric & acoustic guitars
Alberto Martin Valmorisco – Electric & classic guitars, sitar, baglama, cosmic frequency collector
Javier Burgos Labeaga – Bass
Jose Medina Portero – Drums, percussion

SLAP GURU – Facebook

Vision Quest – Vision Quest

Un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non manca l’energia.

Il melodic rock trova l’ennesimo progetto tutto italiano a valorizzare tutti gli aspetti che ne decretarono il successo mondiale negli anni ottanta, i Vision Quest, band nata da diversi anni e composta da Guido Ponzi alla voce, Marco Bartoli alle prese con tastiere e basso ed Emiliano Belletti alla chitarra.

Il loro monicker riprende il titolo di un film uscito nel 1985 ed intitolato appunto Vision Quest e che nella colonna sonora vedeva all’opera, oltre a Madonna, nomi del calibro di Journey, Foreigner, John Waite, Sammy Hagar e Dio.
Aiutati da un buon numero di ospiti, i Vision Quest danno vita ad una rock opera divisa in due parti, The Kingdom e The Journey, che raccontano le vicende di Orion e dell’ancella Avathar.
Licenziato dalla Rockshots, l’album risulta appunto un buon esempio di rock melodico, impreziosito da parti progressive che seguono la storia, regalando una serie di brani dalle melodie rock di stampo aor ma nei quali non mancano energia hard rock ed appunto splendide parti in cui il progressive d’autore valorizza la musica che racconta le vicende dei due protagonisti.
Un’ora di musica che celebra il periodo ottantiano e la parte più melodica delrock con una raccolta di brani che vede nella prima parte le splendide The Sacred Crown e The Immortal svettare sulle altre tracce, mentre nella seconda, dedicata alle vicende che vedono protagonista Avathar, si parte alla grande con l’arena rock di Evil Laughter e continuando l’ascolto ci si imbatte nelle splendide trame melodico progressive di Lost In Time.
Questo ottimo debutto omonimo si rivela quindi un lavoro imperdibile per gli amanti del rock melodico e dei gruppi ai quali inevitabilmente la band si ispira.

Tracklist
PART 1: THE KINGDOM
1.The Quest Begins
2. Medieval Hero
3. The Sacred Crown
4. Valley Of The Lost
5. The Eve Of The Battle
6. Avathar
7. Immortal

PART 2: THE JOURNEY
8.Evil Laughter
9. Eternal Love
10. Master Of Hopes
11. All These Years
12. Lost In Time
Bonus Track: “Dragon Of Tomorrow”, “The Run”

Line-up
Guido Ponzi – lead and backing vocals
Marco Bartoli – keyboards, bass guitars, instruments sequencing
Emiliano Belletti – electric guitars

Guests musicians :
David Putney – speech in The quest begins
Silvia Saccani – vocals and backing vocals in Eternal Love
Mirko Pratissoli – sax solo in Avatar and Lost in Time
Ilaria Cavalca – piano in Avatar and The Eve of the Battle
Stefano Riccò – acoustic guitar in The Eve of the Battle
Luke “Hollywood” Barbieri – metal guitars in Eternal Love, Lost in Time, All these Years
Johnatan Gasparini – guitar lead in Master of Hopes
Alfredo Pergreffi – clean guitar in Eternal Love
Helder Stefanini – drums

VISION QUEST – Facebook

Esben And The Witch – Nowhere

Praticamente l’album è un sogno lungo diverse decine di minuti, nel corso del quale il tempo e lo spazio sono sospesi e si va via con gli Esben And The Witch.

Come in un sogno, la musica degli Esben And The Witch si snoda nel nostro cervello, generando quel piacere del toccare ciò che non è reale, poiché la realtà qui non è di casa.

La musica del gruppo, che si divide fra Berlino e l’Inghilterra, è da annoverare nella psichedelia pesante, ma in realtà c’è molto di più. Il tappeto sonicamente distorto di Daniel e Thomas è fertile per la bellissima voce di Rachel, la strega che officia il rito che ci porta in un’altra bellissima dimensione. La musica è quasi uno shoegaze più pesante e dilatato dove sembra quasi che ogni strumento vada per conto suo, mentre si amalgama alla perfezione con gli altri. L’etereo cantato e ciò che succede sotto creano una trama che avvince l’ascoltatore per prepararlo alle tante esplosioni sonore che ci sono in tutto il disco. Praticamente l’album è un sogno lungo diverse decine di minuti, nel corso del quale il tempo e lo spazio sono sospesi e si va via con gli Esben And The Witch. Poche band riescono a catturare in maniera tale l’ascoltatore e qui stupisce anche la grande profondità dei suoni, che riescono a penetrare molto a fondo nella psiche dell’ascoltatore, lasciando un segno indelebile. La carriera del gruppo anglo tedesco è stata un continuum ben preciso, una decisa scalata verso vette molto alte: Nowhere è per ora il loro picco, ma possono dare ancora molto. Seppur non appartengano a nessun genere ben preciso, o forse proprio per questo motivo, gli Esben And The Witch sono uno di quelle sparute band che riescono a creare un genere a sé stante, rinnovando profondamente alcuni codici musicali. Un disco che fa sognare ma che non è sicuramente un prodromo della gioia, bensì una presa di coscienza della nostra fallibilità e della nostra brevità, ma ci sono musiche che fortunatamente ci conducono lontano.

Tracklist
1. A Desire For Light
2. Dull Gret
3. Golden Purifier
4. The Unspoiled
5. Seclusion
6. Darkness

Line-up
Daniel
Thomas
Rachel

ESBEN AND THE WITCH – Facebook

Black Paisley – Perennials

Che si parli di ballate o ruvide canzoni hard rock, i Black Paisley non sbagliano un colpo e ci regalano un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Ottimo lavoro all’insegna dell’hard rock più classico e d’autore con gli svedesi Black Paisley, band di rocker D.O.C. che, dopo aver iniziato la sua avventura nel 1998, licenzia il suo nuovo lavoro dal titolo Perennials.

Nato appunto vent’anni fa come cover band, il quintetto proveniente da Stoccolma decide di puntare sulle proprie canzoni e direi che la scelta è stata azzeccata vista la qualità dei brani che compongono anche questa nuova raccolta di brani, che si muovono eleganti e ruvidi tra l’hard rock dei due decenni più importanti per il genere, tra il mood classico degli anni ottanta e quello più groove del decennio successivo.
La sfida a singolar tenzone la vince sicuramente l’anima ottantiana del sound di Perennials, con la band che sfoggia una freschezza compositiva invidiabile ed un lotto di brani che non lasciano scampo, tra graffiante hard rock di scuola Bryan Adams, impreziosito da sfumature west coast, accenni hard blues di marca Coverdale e rock melodico raffinato ed impreziosito da cori sempre all’altezza.
I rockers svedesi sfoggiano così un songwriting invidiabile e la grande presa che le canzoni hanno sull’ascoltatore sottolineano la cura che i Black Paisley hanno messo in questo bellissimo lavoro.
Che si parli di ballad (Without You) o ruvide hard rock song (Mother, Step Back) la band non sbaglia un colpo e ci regala un album splendido, consigliato senza riserve agli amanti del classic rock e del rock melodico.

Tracklist
1.I Want Your Soul
2.Day by Day
3.Out of My Life
4.Alone
5.Think
6.Sometimes
7.Step Back
8.Trying
9.Secret
10.Miss Me
11.Once in a Lifetime
12.Without You

Line-up
Stefan Blomqvist – Lead vocal and guitar
Ulf Hedin – Guitars
Jan Emanuelsson – Bass
Robert Wirensjö – Keyboards
Mikael Kerslow – Drums and Percussion

BLACK PAISLEY – Facebook

Perpetual Fate – Cordis

I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Dopo tre anni di attività e qualche aggiustamento nella line up, i Perpetual Fate licenziano il loro primo lavoro sulla lunga distanza, che segue l’ep uscito lo scorso anno intitolato Secret.

E’ la sempre attenta Revalve Records a prendersi cura di questo prodotto, che si può senz’altro inserire nell’universo del rock alternativo, di questi tempi valorizzato dalle molte uscite con passaporto italiano.
E la scena alternative tricolore trova un’altra ottima ragione per essere considerata come una delle più attive della vecchia Europa, con la qualità dei prodotti che si alza piano ma con costanza.
I Perpetual Fate puntano molto sulla voce della cantante Maria Grazia Zancopè, ottima interprete degli undici brani che compongono quasi un’ora di musica rock moderna e melodica, con le chitarre che a tratti graffiano, qualche accenno di groove nelle ritmiche e tastiere presenti con suoni che si ispirano a quelli elettronici della new wave.
Tra l’alternanza di potenza e melodia di brani dall’ottimo appeal come l’opener Rabbit Hole, Smothered, la splendida Cannibal, la metallica The Land (con la partecipazione di Michele Guaitoli e Marco Pastorino) ed il singolo Rainfall, si muove un gruppo dall’approccio personale e convincente, forte di un lotto di belle canzoni, prodotte benissimo ed anche per questo dalle elevate potenzialità.
I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Tracklist
1.Rabbit Hole
2.Enslavement
3.Smothered
4.The Path (I See You)
5.Cannibal
6.Mark Any Youth
7.Rainfall
4:28
8.The Land
3.Eternal Destiny
10.When They Cry
11.A Word Between You and Me

Line-up
Maria Grazia Zancopè – Voice
Gianluca Evangelista – Guitar
Massimiliano Pistore – Guitar
Diego Ponchio – Bass
Marco Andreetto- Drums

PERPETUAL FATE – Facebook

The Black Crown – Entropy

Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.

I The Black Crown sono un progetto nato da un’idea del musicista campano Paolo Navarretta.

Il primo album intitolato Fragments fu licenziato dalla label statunitense Zombie Shark Records un paio di anni fa ed ora i The Black Crown tornano con Entropy, una raccolta di brani dal sound che ripercorre certo metal moderno e progressivo in voga in America negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio.
Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.
L’album entra nel vivo dopo l’intro Venus: la tooliana Path che ci porta al centro delle visioni musicali del gruppo, con un Navarretta convincente nella parti vocali ed un sound che, anche nella successiva Furious, risulta un crescendo di emozionante musica alternative dal piglio dark.
Le ispirazioni che hanno aiutato Navarretta alla creazione di questo lotto di brani sono da rinvenire appunto in Tool, A Perfect Circle e Nine Inch Nails, poi sapientemente miscelate con suoni ed arrangiamenti di matrice dark rock per creare una musica malinconica come nella splendida Seeking, canzone che si poggia su un giro di piano di scuola Katatonia, unica concessione alla scena europea.
Entropy scivola via liquido e duro, drammatico e melodico, con ancora la pacata Consequences e la più nervosa Fade che scrivono la parola fine in un lavoro consigliato senza remore ai fans delle band citate e agli amanti del rock alternativo dalle tinte più oscure.

Tracklist
1.Venus
2.Path
3.Furious
4.Cage
5.Habit
6.Seeking
7.Turnaround
8.Consequences
9.Somewhere
10.Fade

Line-up
Alessandro Pascolo – Drums
Enzo Napoli – Bass
Antonio Vittozzi – Guitar
Paolo Navarretta – Vox & Guitar

THE BLACK CROWN – Facebook

Crippled Black Phoenix – The Great Escape

Ci sono concatenazioni sonore che sono tipiche del gruppo di Waters, Gilmour e soci, e poi c’è quel tocco in stile Mogwai in libera uscita che è qualcosa di bellissimo.

Quando sei un collettivo che annovera fra i propri membri molti nomi fra il meglio della scena psichedelica mondiale e specialmente quella inglese non è facile fare ottimi dischi e non sbagliarne uno, ma i Crippled Black Phoenix ci riescono anche questa volta.

Tutte le dilatate note di questo ultimo lavoro valgono la pena di essere ascoltate e sofferte, perché qui c’è il fumo che esce dallo specchio rotto delle nostre esistenze. Ogni disco del collettivo britannico ha rappresentato un episodio particolare e a sé stante, nel senso che ogni volta era uno splendido capitolo a parte, un qualcosa di assoluto. Il filo che lega tutti i loro dischi è la qualità, la bravura nel creare un’atmosfera oppiacea e particolarissima, e in The Great Escape ci si può immergere e non ne uscirete come prima. Qui siamo maggiormente nei territori dello slow core, ma con un disegno assai più ampio di quello a cui ci hanno abituato gli altri gruppi. Personalmente, e come tutte le visioni soggettive può essere sbagliata, ho sempre visto i Crippled Black Phoenix come la versione moderna e in certi frangenti migliore dei Pink Floyd, e questo lavoro rafforza ulteriormente la mia convinzione. Ci sono concatenazioni sonore che sono tipiche del gruppo di Waters, Gilmour e soci, e poi c’è quel tocco in stile Mogwai in libera uscita che è qualcosa di bellissimo. Come detto sopra ogni disco è a sé, e qui addirittura ogni canzone vive in uno proprio stato, sempre di grazia ma con sfumature diverse. Il lavoro questa volta è doppio, anche perché ogni canzone è di lunga durata, e questo gruppo riesce a fare brani di nove minuti come il singolo To You I Give ( sentite i primi due minuti della canzone e pensate a chi somigliano…) dei quali non si ha mai abbastanza. Nell’underground questo collettivo ha una grande e solida reputazione ed è più che meritata, ogni album è sempre ottimo e denota un ulteriore avanzamento. Il primo disco è più lento, nel secondo invece ci sono delle cose più veloci, quasi tribali, ma sempre uniche e particolari. I Crippled Balck Phoenix sono uno dei gruppi migliori e più originali della scena underground, da sentire e risentire sia questo disco che tutta la loro produzione.

Tracklist
1 You Brought It Upon Yourselves
2 To You I Give
3 Uncivil War (Pt I)
4 Madman
5 Times, They Are A’Raging
6 Rain Black, Reign Heavy
7 Slow Motion Breakdown
8 Nebulas
9 Las Diabolicas
10 Great Escape (Pt I)
11 Great Escape (Pt II)
12 Hunok Csataja (Bonus)
13 An Uncivil War (Pt. I & II) (Bonus)

Line-up:
Justin Greaves
Daniel Änghede
Mark Furnevall

Ben Wilsker
Tom Greenway
Jonas Stålhammar
Belinda Kordic
Helen Stanley

CRIPPLED BLACK PHOENIX – Facebook

Althea – The Art Of Trees

Una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.

E’ incredibile come la musica sia capace di troncare ogni parola superflua e dare sempre una risposta, zittire tutti e regalare a coloro che la colgono una via di fuga al piattume di una società con poche certezze e tanta stupidità.

Drammi che lasciano posto ad una sequela di frasi senza capo ne coda e che l’uomo saggio dovrebbe ignorare, cercano risposte tra le trame splendide di opere come il secondo lavoro su lunga distanza degli Althea dopo le meraviglie progressive di Memories Have No Name, licenziato un paio di anni fa e tornato lo scorso anno in versione fisica tramite la Sliptrick Records, etichetta che licenzia anche questo bellissimo The Art Of Trees.
Dario Bortot e compagni, da band collaudata, non cambiano di molto il proprio sound rispetto al primo lavoro. gli Althea hanno un loro approccio alla musica progressiva che li fa riconoscere immediatamente, sempre supportati da produzioni ed arrangiamenti di livello superiore e da un’alternanza tra le parti metalliche e quelle più soft che, oltre ad essere assolutamente personali, sono anche il loro maggior pregio.
Una musica delicata, raffinata ed elegante, supportata da un talento melodico straordinario si muove sinuosa tra le partiture progressive dei brani: una cascata di note che non mantiene prigionieri gli Althea in un determinato spazio temporale, ma permette loro di muoversi a piacimento tra il rock progressivo di ogni epoca.
Gli Althea sono bravi a non lasciarsi attrarre troppo da soluzioni cervellotiche e, invece di limitarsi ad esibire al mondo le loro capacità tecniche, lasciano che siano le emozioni scaturite dalla voce di Bortot e dalle splendide melodie di brani come One More Time, Evelyn, The Art Of Trees e Away From Me a prendere per mano l’ascoltatore accompagnandolo in questo bellissimo viaggio a ritroso in una vita che potrebbe essere quella di ciascuno di di noi.

Tracklist
01. For Now
02. Deformed to Frame
03. One More Time
04. Today
05. Evelyn
06. Not Me
07. The Shade
08. The Art of Trees
09. Away From Me feat. Michele Guaitoli
10. Burnout

Line-up
Dario Bortot – Guitars, Keys & Synths
Alessio Accardo – Vocals
Sergio Sampietro – Drums
Andrea Trapani – Bass

ALTHEA – Facebook

Thomas Silver – The Gospel According The Thomas

The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.

Di solito, quando un componente importante di un gruppo all’apice del successo decide che è il momento di lasciare, tutte e due le parti perdono qualcosa: la band un pezzo della sua anima, il musicista quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la prima parte della sua vita nel mondo del rock vissuto con chi ne ha condiviso la gavetta e le prime soddisfazioni.

Per Thomas Silver, chitarrista e fondatore dei rockers svedesi Hardcore Superstar, questi dieci anni fuori dal mercato hanno portato un approccio più profondo e maturo, allontanandosi dalla macchina rock’n’roll che, diciamolo, funziona ancora alla grande (e di pochi mesi fa l’uscita dell’ultimo e bellissimo Hardcore Superstar) per avvicinarsi ad un rock cantautorale, pregno di atmosfere intimiste e post punk.
The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.
L’album offre undici brani bellissimi e che sinceramente non ci si aspettava, una galleria di quadri che sprigionano poesia rock da ogni pennellata e che Silver interpreta con quel tono strascicato e da sopravvissuto, tra neanche troppo velati accenni a Iggy Pop, David Bowie, Nick Cave e The Clash.
Difficile trovare un brano che non sia uno stupendo manifesto al rock, che a testa alta ha ormai i piedi ben piantati nel nuovo millennio e che non ha assolutamente voglia di trapassare come molti vorrebbero.
Caught Between Worlds, D-Day, Time Stands Still, Mean Town sono alcune canzoni che spiccano, ma potrei nominare tutti gli undici diamanti racchiusi nello scrigno di questo straordinario rocker: va da sé che The Gospel According The Thomas è uno degli album più belli usciti quest’anno nel genere.

Tracklist
1. Caught Between Worlds
2. Public Eye
3. Minor Swing
4. D-Day
5. Coming In, Going Under
6. Time Stands Still
7. Bury The Past
8. On A Night Like This
9. Mean Town
10. Not Invited
11. All Those Crazy Dreams

Line-up
Thomas Silver

THOMAS SILVER . Facebook

Glasir – New Dark Age

E’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una rara chiarezza di intenti.

I texani Glasir avevano già raccolto importanti consensi all’epoca del loro esordio intitolato Unborn, grazie ad un’interpretazione personale e sentita di un genere quanti mai scivoloso come il post rock di natura strumentale.

Tre anni dopo il trio di Dallas ritorna con New Dark Age, album che a livello concettuale fotografa in maniera impietosa la condizione di un’umanità per lo più inconsapevole della propria insignificanza, specialmente nel momento in cui la natura sta presentando il conto di tutte le malefatte perpetrate nel corso degli ultimi secoli nei suo confronti in nome del progresso.
La musica è allora solo una panacea che può rendere più sopportabile il quotidiano risveglio ed affrontare un’era di oscurità etica che pare non avere alcuno sbocco; i Glasir provano a raccontarci questo con tre quarti d’ora di post rock liquido, apparentemente cullante ma in realtà pesantemente intriso idi inquietudine e di malinconia.
I sei brani si muovono lungo coordinate oblique, dove emergono suoni  e forme dissonanti (Into the Sun), reiterati arpeggi (Holy Chemistry), scenari prossimi all’ambient (Dissolution) e intriganti soluzioni ritmiche (The Last Firmament) che conducono al fulcro del lavoro, quella lunga Black Seas of Eternity, in cui i Glasir riversano tutto quanto è consentito a livello di idee e pulsioni dal loro indiscutibile talento compositivo, alla quale segue la conclusiva Hurt Us Again con il violino a renderne ancora più dolente l’incedere.
E’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una chiarezza di intentiE’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una chiarezza di intenti che rende paradossalmente lineare un sound tutt’altro che semplice, e da un artwork che restituisce i colori innaturali delle città moderne, in realtà ben diversi da quelli che il nostro occhio si ostina voler percepire.

Tracklist:
1.Into the Sun
2.Holy Chemistry
3.Dissolution
4.The Last Firmament
5.Black Seas of Eternity
6.Hurt Us Again

Line-up:
Austin Vanbebber: Drums
Conner McKibbin: Guitar
Nate Ferguson: Bass Guitar

GLASIR – Facebook

Scarlet Aura – Hot’N’Heavy

Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.

Tornano sul mercato gli Scarlet Aura, band rumena capitanata dalla singer Aura Danciulescu, bellissima e grintosa vocalist che, lontano dalle sirene power gothic metal sfoggia una voce da vera pantera metallica.

Il debutto Falling Sky aveva ben impressionato presentando un gruppo con la propria personalità e pronto per accompagnare in tour la divina Tarja Turunen.
Il nuovo album conferma il valore del quartetto di Bucarest, rivelandosi più metallico rispetto al suo predecessore, licenziato dalla band in concomitanza con il primo libro scritto dalla Danciulescu, The Book of Scarlet- Ignition.
Questa volta la band picchia da par suo, l’hard rock è a metà strada tra quello tradizionale e quello moderno pendendo più verso il secondo aspetto, e i brani risultano pregni di groove, aggressivi e metallici così come più arrabbiata è la voce della singer.
Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.
La bella vocalist torna in parte alle melodie del primo album sulle note ottantiane di Glimpse In The Mirror, Silver City e nella ballad Light Be My Guide, mentre il resto dell’album, come già descritto, calca la mano sull’aggressività regalando momenti di hard & heavy duro come l’acciaio in Hail To You, o nel macigno che sono la title track e Let’s Go Fucking Wild.
Ritorno assolutamente degno dei complimenti ricevuti per il primo lavoro, Hot’n’Heavy non deluderà gli amanti del rock duro.

Tracklist
1.The future becomes our past
2.Hail to you
3.In the name of my pain
4.Hot’n’heavy
5.Fallin’ to pieces
6.Glimpse in the mirror
7.You bite me I bite you back
8.Hate is evanescent, violence is forever
9.Silver city
10.Light be my guide
11.Let’s go fuckin’ Wild

Line-up
Aura Danciulescu – Lead Vocals
Mihai Thor Danciulescu – Lead Guitars and Vocals
Rene Nistor – Bass Guitar
Sorin Ristea – Drums

SCARLET AURA – Facebook

Sylvaine – Atoms Aligned, Coming Undone

La sensibilità artistica di Sylvaine si concretizza soprattutto nei brani in cui la sua eterea interpretazione è l’ideale completamento di un sound atmosferico e sognante, ma non dispiace neppure imbattersi in qualche ruvidezza che ci ricorda che anche le creature più angeliche nascondono un loro lato oscuro.

Quando ci si trova a dover parlare del disco di un’artista non proprio tra i più noti, il fatto che compaia tra gli ospiti invece qualche nome “pesante” spinge in maniera istintiva a fare accostamenti che talvolta si rivelano fuorvianti, soprattutto perché finiscono per spostare l’attenzione a margine degli album invece che focalizzarsi sui loro effettivi contenuti.

Il fatto che, ancora una volta, la brava ed affascinante Sylvaine si avvalga della collaborazione di Stephan Paut (alias Neige) rende automatico l’avvicinare il progetto solista della musicista norvegese agli Alcest; tale abbinamento è sicuramente fondato, ma non deve però far pensare però che tale imprimatur faccia scadere una album come Atoms Aligned, Coming Undone nel calderone delle copie sbiadite di una qualcosa di già sentito.
Il post rock/shoegaze di Sylvaine è più personale di quanto non possano farci presumere tutti questi indizi e se l’impronta melodica che traspare in gran parte del lavoro ci riconduce sicuramente nei pressi di Les Voyages de l’âme e dintorni, è fuor di dubbio che la suadente voce femminile ed un approccio molto più soffuso, talvolta rarefatto, conferiscono al tutto una fisionomia propria piuttosto lontana da una conclamata derivatività.
Non resta quindi che godersi l’incedere per lo più morbido, ma non privo di un fondo di inquietudine che (questo sì) è tratto comune di chi si cimenta con queste sonorità. La sensibilità artistica di Sylvaine si concretizza soprattutto nei brani in cui la sua eterea interpretazione è l’ideale completamento di un sound atmosferico e sognante (Worlds Collide, per esempio), ma non dispiace neppure imbattersi in qualche ruvidezza che ci ricorda che anche le creature più angeliche nascondono un loro lato oscuro, pronto a travolgerci con disperati soprassalti sonori (Mørklagt).
Se poi, alla fine, si tratta di rispondere a qualcuno che ci chiede se Atoms Aligned, Coming Undone sia un album consigliato agli estimatori degli Alcest e della conseguente genia, la risposta è ovviamente sì, ribadendo però con forza che quanto offerto da Sylvaine non è solo una bella copia bensì un’opera di grande qualità che è, semmai, un’importante alternativa ai nomi più noti in ambito post rock/shoegaze.

Tracklist:
1. Atoms Aligned, Coming Undone
2. Mørklagt
3. Abeyance
4. Worlds Collide
5. Severance
6. L’Appel du Vide

Line-up:
Sylvaine: vocals, guitars, synthesizers, bass, drums, percussion

Stephen Shepard: session drums on tracks 3 & 5
Stéphane “Neige” Paut: session drums on tracks 1, 2, 4 & 6

SYLVAINE – Facebook

Black Tiger – Black Tiger

Dieci brani che ci spingono a ritroso verso il periodo d’oro del genere, curati in ogni minimo dettaglio e valorizzati da un buon songwriting che alterna buone tracce da arena rock, graffianti esempi di rock duro dalle accentuate melodie e rock melodico d’autore.

L’ottimo stato di salute della scena rock melodica tricolore è confermata anche da questa uscita targata Black Tiger, band ceca volata nel nostro paese per registrare questo omonimo debutto sulla lunga distanza nei Tanzan Music Studio e prodotto da Mario Percudani, chitarrista dei nostrani Hungryheart, uno dei gruppi più importanti per quanto riguarda il genere in Italia.

La band, unica in Repubblica Ceca a rappresentare l’hard rock melodico a certi livelli, risulta attiva dal 2010 e ha pubblicato tre ep, All Over Night (2010), Road To Rock (2013) e l’ultimo Songs From Abyss (2015), prima di tuffarsi nell’avventura che l’ha portata nel nostro paese, dopo aver diviso il palco con House Of Lords, Dan Reed, Pretty Maids, Mike Tramp, Little Caesar, Hungryheart, Michael Schenker in giro per i festival del centro/est Europa.
Una manciata di ospiti importanti come Dan Reed (Dan Reed Network), Mario Percudani e Josh Zighetti (Hungryheart), Giulio Garghentini, Alessandro Moro ed Edoardo Giovanelli, hanno contribuito a rendere Black Tiger una delle uscite più interessanti del periodo per queste sonorità, ancora lontane dal successo degli anni ottanta, ma qualitativamente sopra le righe.
Dieci brani che ci spingono a ritroso verso il periodo d’oro del genere, curati in ogni minimo dettaglio e valorizzati da un buon songwriting che alterna buone tracce da arena rock, graffianti esempi di rock duro dalle accentuate melodie e rock melodico d’autore.
Il gruppo regala dunque quarantacinque minuti di piacevole hard rock a supportare una valanga di melodie, a tratti raffinate ed leganti quanto basta per donare a tracce come l’opener, Don’t Leave Me, la grintosa She’s A Liar, le ariose e graffianti Against The Grain e Reason To Live ed alle due ultra ballad Solitary Man e Silent Cry quell’appeal necessario per far innamorare gli amanti dell’AOR, a cui va l’invito a non perdersi questo buon lavoro targato Black Tiger.

Tracklist
1. DON’T LEAVE ME
2. LIFE IS A GAME
3. SOLITARY MAN
4. SHE’S A LIAR
5. AGAINST THE GRAIN
6. REASON TO LIVE
7. WHO IS TO BLAME
8. SILENT CRY
9. NEVER TOO LATE
10. OPEN YOUR EYES

Line-up
Jan Trbusek – Vocals
Jiri Doelzel – Guitars, Keyboards
Lubos Ferbas – Bass
Petr Konecny – Drums

Guests:
Mario Percudani Guitars, Chorus
Dan Reed – Chorus
Josh Zighetti – Chorus
Giulio Garghentini – Chorus
Alessandro Moro – Sax
Edoardo Giovanelli – Arrangiamento archi

BLACK TIGER – Facebook

Wasted Theory – Warlords Of The New Electric

L’ascolto di Warlords Of The New Electric è coinvolgente e assai scorrevole, le canzoni non presentano pause o riflussi, ma si è sempre lanciati verso l’incandescente magma.

Torna uno dei gruppi più divertenti e devastanti della musica pesante, dal Delaware e dal Maryland ecco a voi i Wasted Theory, sempre per l’italiana Argonauta Records.

Il loro suono è divertente e dà assuefazione molto presto, è come un joint di ottima erba, che ti fa volare la testa e magari ascoltare una colata di riffs e sezione ritmica incessante, questo è ciò che offrono i Wasted Theory. La musica ce la mettono loro, la droga no, che poi magari qualcuno capisce male. I nostri americani sono al loro terzo album sulla lunga distanza, e se già i precedenti dischi erano ottimi questo li supera tutti, portando alla massima altezza possibile le loro caratteristiche migliori, ovvero dare musica pesante e divertente che deriva dai sacri Black Sabbath, prende molto dallo stoner ma anche dal metal southern, il tutto con una miscela davvero esplosiva, condita da molta ironia. Pochi gruppi possono vantare un groove imponente e allo stesso tempo ben strutturato come i Wasted Theory, che avevano già stupito tutti con il precedente Defenders Of The Riff, che li aveva portati alla ribalta internazionale. Chi aveva amato il precedente album rimarrà ancora più colpito da questo ultimo lavoro, davvero completo e curato fin nei minimi particolari. L’ascolto di Warlords Of The New Electric è coinvolgente e assai scorrevole, le canzoni non presentano pause o riflussi, ma si è sempre lanciati verso l’incandescente magma. Oltre a possedere un groove tra i migliori nel genere, i Wasted Theory sono capaci di sviluppare ritornelli che stendono chiunque e che non lasciano indifferenti. Nel disco si possono trovare molti riferimenti al meglio dell’hard rock e del metal, ad esempio ci sono passaggi che riportano alle sonorità dei Thin Lizzy, un gruppo che è nelle orecchie di molti e che, a volte anche inconsciamente, ritornano. Come si diceva prima, c’è anche un grande sapore southern, che da un tocco in più al tutto. Un disco davvero divertente e molto corposo.

Tracklist
1.Rawhide Hellride
2.Drug Buzzard
3.Bongronaut 05:38
4.The Son of a Son of a Bitch
5.Bastard County
6.Heavy Bite
7.Weed Creature
8.Doomslut Rodeo

Line-up
Larry Jackson, Jr.- Vocals/Guitars
Andrew Petkovic – Guitars
Brendan Burns – Drums

WASTED THEORY – Facebook

Flying Disk – Urgency

Ascoltare Urgency dà l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose, con un pezzo come Hammer che è nei dintorni dei migliori Unsane.

I Flying Disk sono giovani, vengo da Fossano provincia di Cuneo e suonano divinamente.

Con questo secondo lavoro i ragazzi superano il già buon esordio del 2014 Circling Further Down, che li ha portati all’attenzione di chi ama le sonorità pesanti ben strutturate e con una melodia solida e che si snoda per tutta la canzone. Il gruppo fossanese ha un tiro micidiale, una naturalezza nel muoversi che rende piacevole e solido tutto ciò che fa. Urgency è il disco perfetto fatto da chi sta in provincia, ma possiede una grande apertura mentale, per quanto riguarda la musica, di chi ha talento e vuole suonare. Ci sono momenti di estrema goduria nell’ascoltare questo disco, e alcuni pezzi hanno un deciso retrogusto grunge, nel senso che si ha quello stato di grazia fra melodia e pesantezza che solo i grandi gruppi possiedono. Sulla risposta alla domanda se i Flying Disk siano appunto un grande gruppo, la risposta è un sì molto deciso. Ascoltare il loro nuovo disco ti da l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose: un pezzo come Hammer è nei dintorni dei migliori Unsane, creando quella bella tensione musicale che solo il noise sa fare, con mille rivoli che vanno a formare un unico fiume lavico. Inoltre ci sono dei momenti di grazia vera e propria dove sembra di trovarsi con loro in saletta a suonare come se fuori ci fosse l’apocalisse. La chitarra sale e scende, il basso pulsa e la batteria è bella pulita con una voce che è pressoché perfetta per questo tipo di musica. Chi vedrà dal vivo questa band capirà quanta passione e dedizione abbia: i Flying Disk fanno fluire la musica in una provincia che non ti dà molto ma ti dà la spinta e il giusto inquadramento, nel senso che sai che probabilmente non farai mai i soldi, ma resterai sempre te stesso e potrai fare dischi bellissimi come questo Urgency, album che non conosce data di scadenza, e che a ogni nuovo ascolto regala sempre qualche sorpresa.

Tracklist
1. One Way to Forget
2. On the Run
3. Straight
4. Dirty Sky
5. Night Creatures
6. Hammer
7. Young Lizard
8. 100 Days

Line-up
Simone Calvo – Guitars, Vocals
Enrico Reineri – Drums
Luca Mauro – Bass

FLYING DISK – Facebook

The Tangent – Proxy

Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.

Superata la soglia dei quindici anni di attività, quello che sembrava nato come un super gruppo di talenti della scena progressiva è diventata una band dalla discografia importante, tra opere inedite e live.

Il tastierista e cantante Andy Tillison ed i suoi The Tangent tornano così sul mercato con un nuovo album a poca distanza dal precedente The Slow Rust Of Forgotten Machinery, lavoro assolutamente di classe ma che appariva leggermente altalenante nel songwriting.
Tillison aggiusta subito il tiro e Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.
La title track apre l’album con i suoi sedici minuti di musica progressiva assolutamente tradizionale: Gentle Giant, Camel e new prog britannico traspaiono sullo spartito dei The Tangent, che cambiano subito registro con lo strumentale The Melting Andalusian Sky, per unire King Crimson a soluzioni fusion.
Su intuizioni funky è strutturata A Case Of Misplaced Optimism, mentre le conclusive The Adulthood Lie e Supper’s Off si completano di sfumature che tornano su lidi più tradizionali pur rimanendo legate ad atmosfere fusion, marchio di fabbrica dei The Tangent.
Accompagnato come sempre da musicisti di livello assoluto come Theo Travis ai fiati (Soft Machine), da Jonas Reingold (Flower Kings/Steve Hackett band) al basso, Luke Machin (Maschine/Francis Dunnery band) alla chitarra, Steve Roberts (ex Magenta/Godsticks) alla batteria, e Goran Edman (Karmakanic/ex Yngwie Malmsteen band), Tillison ed i suoi The Tangent sono diventati un appuntamento per gli amanti del rock progressivo, chiamati in causa dal musicista nella conclusiva Supper’s Off, in quanto in buona parte rei di un attaccamento maniacale e conservatore alla musica scritta negli anni settanta a scapito del doveroso supporto agli artisti contemporanei: dovendo giudicare in base alla qualità delle della scena progressive rock attuale (e non solo di quella), non possiamo che essere d’accordo con lui.

Tracklist
1. Proxy
2. The Melting Andalusian Skies
3. A Case Of Misplaced Optimism
4. The Adulthood Lie
5. Supper’s Off
6. Excerpt From “Excerpt From “Exo-Oceans”

Line-up
Andy Tillison – Vocals, Lyrics, Keyboards, Composer
Jonas Reingold – Bass Guitar
Theo Travis – Sax & Flute
Luke Machin – Guitar
Steve Roberts – Drums
With special guest: Goran Edman – Vocals

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