Ninja – Into The Fire

L’album è un buon esempio di heavy metal classico supportato da ritmiche hard rock, cadenzato, potente e sfregiato dalle sei corde, che, come affilate katane, tagliano il sound con rasoiate micidiali.

Il micidiale guerriero giapponese, un’ombra che attacca senza paura alcuna e senza pietà, dà il nome a questa band tedesca, attiva già dagli anni ottanta e riportata all’attenzione dei fans del metal classico dalla conterranea Pure Steel, ultimamente alle prese con molti dei gruppi usciti negli anni di massimo splendore per il genere e poi tornati a sprofondare nel silenzio.

Come molti loro colleghi, anche i Ninja uscirono nella seconda metà degli anni ottanta e diedero alle stampe il primo lavoro, precisamente nel 1988 (Invincible); quattro anni più tardi dopo uscì il secondo, Liberty, mentre l’ultimo parto prima del letargo discografico fu Valley of Wolves nel 1997, poi diciassette lunghi anni nell’oblio, prima che Into The Fire torni a far parlare del gruppo.
L’album è un buon esempio di heavy metal classico supportato da ritmiche hard rock, cadenzato, potente e sfregiato dalle sei corde, che, come affilate katane, tagliano il sound con rasoiate micidiali.
Classico german metal, suonato con classe, ottimamente prodotto, molto old school e non può essere altrimenti, ma con una manciata di songs dall’alto potenziale melodico, come da tradizione del true metal di estrazione classica.
Un disco per chi di primavere ne ha viste passare tante, così come i musicisti che formano la band, con Holger vom Scheidt al microfono, cantante che nelle parti heavy si avvicina al mitico Udo Dirkschneider, Ulrich Siefen e Carsten Sperl alle sei corde, Michael Posthaus al basso e Hans Heringer alle pelli.
Si parlava di hard rock, ed infatti i Ninja non disdegnano brani ritmati che portano nella terra dei canguri e al gruppo dei fratelli Young, con gli Accept a far loro compagnia tra le maggiori influenze dei cinque musicisti tedeschi, così che brani come Blood Of My Blood, Coward e Sledgehammer risultano anche i migliori del lotto.
Non manca la melodia in tracce heavy, dal retrogusto epico e battagliero (Masterpiece) ed altre che si avvicinano alle semiballad, marziali e fieri pezzi di metallo melodico per defenders con già molte battaglie sul groppone (Always Been Hell).
Into The Fire è sicuramente consigliato agli amanti dei suoni classici; la produzione, ottima, fa in modo che l’album risulti al passo con i tempi, valorizzando l’ottimo lavoro dei Ninja.

TRACKLIST
1. Frozen Time
2. Thunder
3. Vagabond Heart
4. Masterpiece
5. Hot Blond Shot
6. Always Been Hell
7. Blood Of My Blood
8. Coward
9. Last Chance
10. Sledgehammer
11. Supernatural
12. Into The Fire

LINE-UP
Hans Heringer – drums
Holger vom Scheidt – vocals
Ulrich Siefen – guitars
Michael Posthaus – bass
Carsten Sperl – guitars

NINJA – Facebook

https://soundcloud.com/puresteelrecords/ninja-thunder

Rotting Flesh – Infected Purity

Death metal con intarsi sinfonici e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione.

I Rotting Flesh arrivano da Salonicco: attivi da vent’anni sono vere e proprie glorie dell’underground ellenico, e Infected Purity è la ristampa del loro terzo lavoro uscito nel 2014.

Death metal con intarsi sinfonici, e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione. I Rotting Flesh sono un gruppo che ha dovuto passare diverse difficoltà, infatti nonostante la loro longeva carriera e i loro tantissimi concerti la loro discografia è di sei demo e soli tre album ufficiali, poco come quantità, ma tutto di alta qualità. Il loro suono ha un incedere epico, una forza diabolica e tanto da insegnare, con un patrimonio frutto dell’esperienza e del talento. Sono solo in tre, un piccolo esercito del nero rumore, e hanno fatto un bel disco qui ristampato dalla sotto etichetta della Satanath, Symbol Of Domination, e dall’italiana Murdher Records, che propone sempre ottime cose del vero underground.

TRACKLIST
1.Altar Of Eclipse
2. Terrorscope
3. Infected Purity
4.Withdraw Cristianity
5.Sadness Of Empathy
6.Life And Torment
7.Shadowgloom
8.Flickering Rituals
9. Mental State
10. Abaddon
11. Skullgrinder
12. Nocturne

LINE-UP
Blackmass – Guitar, Vocals
Vincer – Guitar
Morbid Seraph – Keys
Mancer – Drums

ROTTING FLESH – Facebook

The Phoenix – My Turn To Deal

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Il gruppo nasce nel 2001 e dopo una buona gavetta live arriva la firma per l’americana Demon Doll, con i ragazzi dell’Atomic Stuff a garantire la promozione dell’esordio discografico, registrato presso il Pri Studio di Bologna la scorsa estate.
My Turn To Deal conferma la tradizione delle band dell’altro sesso che, quando c’è da suonare il genere, fanno mangiare la polvere ai rudi colleghi maschi, ed infatti i brani che compongono il mini cd sono un concentrato di hard’n’heavy dall’alto tasso melodico, una piccola macchina del tempo che ci riporta ai fasti ottantiani ma, attenzione, il sound prodotto dalle The Phoenix risulta fresco, per niente nostalgico e, soprattutto, con un elevato appeal, così da rendere le varie canzoni tutte possibili hits.
La title track ha nel chorus il pezzo forte e mette subito in evidenza l’ottima voce della singer ed un assolo di chiara matrice heavy; un bel brano , molto accattivante, ma ecco che un pugno in pieno volto ci investe: Dangerous Girl esplode in tutta la sua carica heavy alla Motley Crue, un anthem da urlare al cielo in pieno trip live, pura adrenalina rock’n’roll come si suonava nella Sunset Strip.
Al primo ascolto You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll pare la classica ballatona di genere: niente di più sbagliato, altro colpo mortale, la song esplode in un altro chorus da stadio e noi non ci possiamo assolutamente esimere dal cantare con loro “che non si può fermare il rock’n’roll”.
Arriviamo all’ultima canzone, Party Hard, la più heavy del lotto: il riff risulta più moderno ed in your face, le vocals si fanno sensuali ed aggressive il giusto, le chitarre si incendiano, scudisciate di rock sanguigno che non ammettono repliche e confermano l’attitudine stradaiola del gruppo nostrano.
In soli quattro brani le The Phoenix lanciano il loro ruggito rock’n’roll, sta a voi ora far sì che il richiamo di queste quattro leonesse arrivi a chi del genere si nutre, in attesa di un prossimo passo, magari un full length di questo stesso livello.

TRACKLIST
1. My Turn To Deal
2. Dangerous Girl
3. You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll
4. Party Hard

LINE-UP
Lena McFrison – Lead Guitar, Vocals
Alice Schecter – Rhythm Guitar, Vocals
Luna RocketQueen – Bass, Vocals
Giuli McMousse – Drums

THE PHOENIX – Facebook

Bloodphemy – Blood Will Tell

Tornano dopo un lunghissimo silenzio gli olandesi Bloodphemy, con questi venti minuti di metal estremo che non passeranno inosservati ai deathsters sparsi per il globo.

Tornano dopo un silenzio di ben quattordici anni dal loro primo demo gli olandesi Bloodphemy, mostro death metal devastante, con questo ep licenziato dalla label greca Sleaszy Rider, venti minuti di metal estremo, un massacro portentoso che non passerà inosservato ai deathsters sparsi per il globo.

Il gruppo è formato da cinque musicisti che in questi anni non sono stati certo a guardare, collaborando con varie realtà della scena estrema come Devious, Altar, Bleeding Gods, Pleurisy, Beyond Belief, ed ora tornano con il monicker storico per travolgerci con il loro carro armato in assetto di guerra.
Non mancano ospiti graditi come Robbie Woning dei Dead Head e Michiel Dekker (The Monolith Deathcult) ed il tutto è stato registrato ai the Soundlodge Studios in Germania (God Dethroned, Sinister, Nightfall, Dew-Scented) .
Quattro brani più bonus di death metal arrembante, convincente sotto ogni aspetto, con una prova all’altezza in tutte le sue componenti, dalle sei corde (Rutger van Noordenburg e Winfred Koster) che impazzano con riffoni pesantissimi e solos taglienti, la sezione ritmica che risulta uno schiacciasassi (Edwin Nederkoorn alle pelli e Wicliff Wolda al basso) e un portentoso vocalist (Arnold Oudemiddendorp), che ricorda non poco Jan-Chris DeKoeyer dei conterranei Gorefest.
E ai Gorefest dei primi lavori la mente vola, così come ai God Dethroned, insomma, tra le varie tracce di Blood Will Tell è marchiata a fuoco la bandiera dei Paesi Bassi, altra scuola fondamentale per lo sviluppo del genere.
Strumenti che viaggiano su toni ribassati, un tocco di groove nelle ritmiche per non sembrare troppo old school e tanta pesantezza sono le maggiori virtù di Folie A’ Deux, Catch 23, la spettacolare Disgusted e Undesired, a chiudere l’ascolto (la bonus track Blood For Me non è presente sul promo, ma solo nel cd) di un mini cd che si spera funga da antipasto al primo full length e  non sia, invece, solo una riapparizione estemporanea.
Per gli amanti del genere una band tutta da scoprire.

TRACKLIST
1. Folie A’ Deux
2. Catch 23
3. Disgusted
4. Undesired
5. Blood For Me

LINE-UP
Arnold Oudemiddendorp – Vocals
Edwin Nederkoorn – Drums
Rutger van Noordenburg – Guitars
Wicliff Wolda – Bass
Winfred Koster – Guitars

BLOODPHEMY – Facebook

Mob Rules – Tales From Beyond

Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

I Mob Rules sono una delle tante band nate a metà degli anni novanta (1994), in pieno ritorno sia qualitativo che commerciale dei suoni heavy classici, specialmente nel vecchio continente, anni in cui le vecchie glorie tornavano a produrre grande musica, accompagnate da nuove realtà di un certo rilievo, ancora oggi sulle bocche e negli stereo dei true defenders sparsi per l’Europa.

La band tedesca è sempre rimasta un gradino sotto i gruppi più famosi, ma questo non ha mai inficiato la buona qualità della sua musica, un ottimo esempio di heavy power metal, molte volte valorizzato da soluzioni vicine al prog e dalla fiera vena epica.
Il sestetto ha così scritto negli anni pagine di metallo epico, oscuro e melodico, convogliando in un unico sound le sue maggiori influenze, dal metal classico di scuola Dio, ai Maiden, senza lasciare indietro il sound originario delle proprie terre, sommandoli ed ottenendo un concentrato di ritmiche power, solos heavy melodici e dalla vena epica, tra cavalcate in crescendo, riff cadenzati e potentissimi, accompagnati dalle tastiere, capaci di teatralizzare e rendere magniloquenti molti dei brani scritti.
Tales From Beyond, come avrete capito, non si discosta dalla usuale proposta che il gruppo ci ha abituato fin dai tempi del debutto Savage Land, primo di otto fratelli che, senza picchi clamorosi, ma con buona costanza, hanno portato i Mob Rules nel nuovo millennio.
Qualche inserto folk celtico, cambi di ritmo ed una buona predisposizione per le melodie, fanno del nuovo lavoro l’ennesimo buon disco da parte della band, come sempre sul pezzo nel travolgerci con cavalcate metalliche, protagoniste anche su Tales From Beyond e loro marchio di fabbrica, assecondate da un’ottima prova delle due asce, che non si risparmiano nello scambiarsi la scena con solos gustosi, mentre il buon Klaus Dirks, alza di non poco la qualità del lavoro con un’eccellente prova, un po’ Dio, un po’ Dickinson, insomma singer di razza superiore.
La coppia Matthias Mineur e Sven Lüdke alle chitarre, la sezione ritmica compposta da Markus Brinkmann al basso e Nikolas Fritz alle pelli, e le tastiere di Jan Christian Halfbrodt, completano una line-up consolidata e affiatata, che permette a Tales From Beyond di viaggiare su livelli ottimi, aiutato anche da un’ottima produzione.
Molto atmosferici i vari brani, pur mantenendosi su livelli alti di energia, il pathos epico/oscuro che si respira sul nuovo album è l’arma in più di canzoni dall’alto tasso emozionale come la celtica Somerled, la maideniana On The Edge, il crescendo epico di My Kingdom Come e le tre parti di A Tales From Beyond, mini suite di quindici minuti che, nelle parti più elaborate, avvicina il gruppo ai meravigliosi Vanden Plas.
Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Dykemaster’s Tale
2. Somerled
3. Signs
4. On the Edge
5. My Kingdom Come
6. The Healer
7. Dust of Vengeance
8. A Tale from Beyond (Part 1: Through the Eye of the Storm)
9. A Tale from Beyond (Part 2: A Mirror Inside)
10. A Tale from Beyond (Part 3: Science Save Me!)
11. Outer Space

LINE-UP
Klaus Dirks – Vocals
Matthias Mineur – Guitars
Sven Lüdke – Guitars
Markus Brinkmann – Bass
Nikolas Fritz – Drums
Jan Christian Halfbrodt – Keyboards

MOB RULES – Facebook

Grey Heaven Fall – Black Wisdom

In quest’album non si inseguono vanamente i nomi di punta del black/death, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.

I russi Grey Heaven Fall sono una realtà ben più che interessante, in quanto portatori di una proposta musicale a suo modo originale o, perlomeno, capace di differenziarsi il giusto dalla massa riuscendo così a spiccare in maniera netta.

Infatti, nel black/death che ne costituisce l’asse portante, il trio di Podolk immette un tecnicismo asservito al mantenimento di una tensione costante del sound, ed è proprio grazie a ciò che la bravura di questi musicisti non resta un esercizio fine a sé stesso e trova sbocco, invece, in un’ora di musica certamente impegnativa, ma talmente ricca di spunti da riuscire nell’intento di tenere alla larga ogni parvenza di noia.
Quelli che, in molti dischi prodotti da band con la stessa attitudine, si rivelano passaggi solo cervellotici, in Black Wisdom si ammantano di oscurità, giungendo persino ad evocare un mood malinconico che parrebbe antitetico alle robuste partiture della band russa: in quest’album non si inseguono vanamente i nomi di riferimento del genere suonato, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.
Black Wisdom trova la sua sublimazione in un ascolto attento e non frammentato, essendo un album che va consumato nella sua interezza perché possa appagare in maniera totale tutti i sensi: già, perché qui la tensione prodotta da un sound di rara profondità si assapora, si tocca, si annusa e si osserva; velenosa ed amara, come i suoi testi critici nei confronti della religione (cantati in lingua madre ma lodevolmente restituiti in inglese nella confezione curata dalla Aesthetics Of Devastation), la musica dei Grey Heaven Fall si esalta nella sua reiterazione, annichilendo una potenziale concorrenza magari di pari livello per maestria tecnica ma inferiore per efficacia e sintesi del songwriting.
Cito ad esempio solo To The Doomed Sons Of Erath, un brano che lacera l’anima con le sue dissonanze che non riescono ad imprigionare un afflato melodico e drammatico come di rado è dato ascoltare, ma mi spingo a anche a rimarcare assoli chitarristici di grande classe che spiccano come oasi improvvise nel cuore di maelstrom sonori quali Spirit of Oppression e That Nail in a Heart ; black, death, doom, progressive, ambient, in Black Wisdom entra tutto questo ma viene risputato fuori in una forma che non appartiene di diritto ad alcun illustre progenitore.
Vi diranno che ci possono essere somiglianze con il black avanguardistico di band come Deathspell Omega o Blut Aus Nord: sarà anche vero, ma secondo me i Grey Heaven Fall superano a tratti anche questi inattaccabili esempi, in virtù di un’espressione sonora che nasce da un sentire profondo, da un’inquetuidine che trova sfogo in una furia metronomica ma nel contempo inarrestabilmente creativa.
Black Wisdom è un disco che quando entrerà in circolo lascerà strascichi irreparabili, sappiatelo.

Before trying to find God in beauty, look for him in the deepest abomination

Tracklist:
1.The Lord is Blissful in Grief
2.Spirit of Oppression
3.To the Doomed Sons of Earth
4.Sanctuary of Cut Tongues
5.Tranquillity of the Possessed
6.That Nail in a Heart

Line-up:
Arsagor – Guitars, Vocals
SS – Bass
Pavel – Drums

GREY HEAVEN FALL – Facebook

Ereb Altor – Blot-Ilt-Taut

Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

L’importanza epocale di un musicista come Quorthon è pari solo alle molte leggende create su questo mitico personaggio, che con i suoi Bathory, per molti i veri padri del black metal scandinavo nonché ispiratori del genere viking, ha avuto un’importanza primaria sullo sviluppo di un certo modo di concepire il metal estremo.

Purtroppo nel giugno del 2004 il musicista svedese ci ha lasciati per cavalcare nel Valhalla, lasciando in eredità dei capolavori di musica estrema, epica ed evocativa influenzando una miriade di gruppi, tra cui i conterranei Ereb Altor che tonano con questo tributo al loro maestro, dopo l’ottimo Nattramn uscito lo scorso anno.
E mai band poteva tributare un omaggio ai Bathory meglio del gruppo degli ex-Isole Mats e Ragnar, veri cultori della musica scritta dal musicista e compositore svedese e, con Blot-Ilt-Taut, direi che la missione è stata compiuta.
Sangue-Fuoco-Morte, la traduzione del titolo dell’album, che in tre forti parole esprime il concept dietro a questi leggendari brani, epici, oscuri e maligni, presi da altrettanti capolavori come Under the Sign of the Black Mark, Blood Fire Death, Hammerheart e Twilight Of The Gods, insomma il meglio scritto da Quorthon con la sua seminale band.
L’album, mixato e masterizzato da Jonas Lindström all’Apocalypse Studio, con la copertina creata da Robban Kanto e licenziato in vinile e nel supporto digitale, ripercorre una bella fetta di carriera dei Bathory, dall’apparizione alla compilation Scandinavian Metal Attack uscita nel 1984 con The Return of Darkness and Evil, passando per Woman Of Dark Desire, oscura black metal song da Under The Sign Of The Black Mark del 1987.
Blood Fire Death è glorificato dalla spettacolare title track e da A Fine Day to Die, mentre il successivo Hammerheart è presente con altri due brani, Song to Hall Up High e Home of Once Brave, cavalcata epica e drammatica ed uno dei brani più belli dello storico gruppo svedese.
Twilight Of The Gods, titletrack dell’omonimo lavoro del 1991 e spettacolare brano dalle atmosfere evocative, chiude il cerchio.
Le songs non sono inserite nella track list in ordine cronologico, ma è un dettaglio, rimane l’ottima prova del quartetto svedese, alle prese con un pezzo importantissimo del metal estremo mondiale che la band interpreta alla grande, mettendoci qualcosa di suo, senza snaturare il credo musicale di questo grandissimo musicista.
Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

TRACKLIST
1. A Fine Day to Diev
2. Song to Hall Up High
3. Home of Once Brave
4. The Return of Darkness and Evil
5. Woman of Dark Desires
6. Twilight of the Gods
7. Blood Fire Death

LINE-UP
Mats – Vocals, Bass, Guitars, Keyboards
Ragnar – Keyboards, Vocals, Bass, Guitars
Tord – Drums
Mikael – Bass, Vocals

EREB ALTOR – Facebook

Blodsmak – Gjennom Marg Og Bein

I norvegesi Blodsmak hanno compiuto un piccolo miracolo sonoro, poichè sono riusciti a fare un qualcosa che si può avvicinare alla strana definizione di metal pop.

I norvegesi Blodsmak hanno compiuto un piccolo miracolo sonoro, poichè sono riusciti a fare un qualcosa che si può avvicinare alla strana definizione di metal pop.

Dimenticate i Volbeat, che sono maggiormente hard rock, qui abbiamo l’uso del metal come mezzo per ottenere grandi melodie pop. A parte i miei goffi tentativi di catalogazione, questo è un gran bel disco, molto melodico ma con dei bei momenti di durezza. Per non facilitarci il compito il disco è in norvegese, anzi in nynorsk, poichè il norvegese ha due versioni ufficiali, quello vecchio e quello nuovo. Non vi starò a tediare sul perché, ma invece vorrei portare la vostra attenzione su questo bel disco pieno di ottime idee. Ci sono tanti generi in Gjennom Marg Og Bein, dal metal, all’hard rock, al folk, qualche striatura di prog e tanto altro. L’elemento più forte e preponderante è la melodia, che riesce a portare ad un ottimo livello di pathos e partecipazione diventando quasi goticamente epic. Questo disco ha sonorità diverse, molto originali, unicamente Blodsmak. Da sentire per meravigliarsi un po’.

TRACKLIST
01. Fåfengt
02. Heimsøkt
03. Under Mørke Tyrirot
04. Daud Manns Bøn
05. Finn Kvila
06. Bang Bang
07. Framandkar
08. Giljotin
09. Mørkemann
10. Høyrde Me Skål

LINE-UP
Tom Ostad: Voice, Guitar
Åsgeir Størdal: Guitar
Magnus Tveiten: Guitar
Steinar Evant: Bass
Geir Johansen: Drums

BLODSMAK n- Facebook

Mr.Riot – Same Old Town

Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e Motley Crue.

Il singolo America, mette subito in chiaro il concept che sta dietro a questi cinque ragazzi di Novara: suonare rock’n’roll come lo si faceva nella Sunset Strip negli anni ottanta e credeteci, lo fanno pure molto bene.

La band si chiama Mr.Riot ed è in giro a far danni da soli due annetti, la label greca Sleazsy Rider non se li è fatti sfuggire e Same Old Town arriva a noi come primo parto di questa creatura di hard rock a stelle strisce, che guarda al passato, anche se la sua musica giunge a noi come un prodotto fresco e molto ben fatto.
Chiaro che il genere (un hard rock, ricco di spunti sleaze e street) è quello e le influenze sono chiare, richiamando a più riprese i mostri sacri dell’America sex, drugs and rock’n’roll, ma l’album dei nostri suona alla grande, i brani funzionano ed il tutto risulta un concentrato di pura adrenalina riversato sui rockers con qualche lustrino di troppo.
Si viaggia su ritmi altissimi, inframmezzati da piccole gemme in formato ballad, d’altronde la vita da rocker è molto dura, ed ogni tanto bisogna ricaricare le pile, ma questo non inficia l’energia che sprigionano i brani contenuti nell’esordio della band piemontese, che parte alla grande (dopo un’intro recitato da una Riot girl’s) con il riff dell’energica Scream And Shout, sulle tracce dei Van Halen del pluridecorato 1984, prima di rivolgersi in toto ai grandi Twisted Sisters.
Rock’n’roll è la song che Dee Snider potrebbe invidiare alla band, cantata come se non ci fosse un domani dal convincente vocalist Stevie Lee, mentre Mr.Riot si arma di un micidiale hard’n’heavy e spara melodia come un cannone da una nave da guerra.
Illusion è la classica ballad di ordinanza, prima che l’arena rock di America risulti un sontuoso esempio di rock arioso e melodicissimo, puro e sognante brano ottantiano, mentre si torna alla ruvidità street rock ed ai Van Halen con Sexy Photograph.
L’album continua il suo viaggio, tra brani energici e splendide aperture melodiche, mentre la ballad acustica Spread Our Love spezza il ritmo prima di lasciare alla title track la chiusura del disco con un’altra bordata di grintoso e ruvido rock’n’roll.
Detto che i musicisti ci sanno fare, con la coppia d’asce che fa scintille (Mr.LadiesMan e Angeless), Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come, Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e i sempre presenti (quando si parla di queste sonorità) Motley Crue.

TRACKLIST
01 – Wake up!
02 – Scream and shout
03 – Rock ‘n’ roll
04 – Mr. Riot
05 – Illusion
06 – America
07 – Sexy photograph
08 – Close your eyes
09 – Wild raw
10 – Spread our love
11 – Same old town

LINE-UP
Stevie Lee – Voice, Keytar
Mr.LadiesMan – Guitars
Angeless – Guitar
Tommy Beefy – Bass Guitar
Denny Riot – Drums, Backing Vocals

MR.RIOT – Facebook

Doom Architect – Sententia Prima

A fronte di una relativa personalità esibita nell’interpetazione del genere, va detto che i quaranta minuti regalati dai Doom Architect scorrono via in maniera molto piacevole.

Secondo album per i russi Doom Architect, duo composto da Alexandr Mikhaylov e Marina Kuznetsova, attivi anche nella band heavy metal Волновой Фронт.

Come da ragione sociale, è il doom a predominare nel sound di questo Sententia Prima, offerto nella sua veste connessa al death ma con un’impronta molto melodica: a fronte di una relativa personalità esibita nell’interpretazione del genere, va detto che i quaranta minuti regalati dalla coppia scorrono via in maniera molto piacevole, grazie ad una buona capacità di scrittura e alla rinuncia a soluzioni cervellotiche, favorendo una fluidità ed ascoltabilità non sempre scontata.
Il growl di Alexandr è apprezzabile, così come il suo lavoro chitarristico, vario ed incisivo, mentre Marina tesse atmosfere efficacemente lineari con le sue tastiere.
Tra i sei brani presentati segnalerei Embracing the Void e, soprattutto, la conclusiva Light of Inner Flame, caratterizzata da pregevoli linee chitarristiche dai tratti melodici e dolenti.
Sententia Prima è decisamente un buon lavoro, magari non di primissima fila, ma ugualmente degno di qualcosa in più rispetto ad un ascolto distratto.

Tracklist:
1. At the Bound of Death
2. Leaving the Shadows
3. Detachment
4. Embracing the Void
5. Astral Wind
6. Light of Inner Flame

Line-up:
Alexandr Mikhaylov – Guitars, Vocals
Marina Kuznetsova – Keyboards

Hollow Leg – Crown

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Terzo disco per gli Hollow Leg, secondo su Argonauta Records. Rispetto a ad Abysmal del 2013 la ricerca di un suono che possa essere infestato da vari generi continua. La base di impasto è lo sludge stoner, ma questo disco, come gli Hollow Leg stessi, sono fortemente southern, sia per la loro provenienza floridiana che per la loro musica. La produzione perfetta, anche grazie alla masterizzazione di Sanford Parker dei Corrections House, mette in primo piano questo miracolo sonoro, che senza tanti effetti od acrobazie toglie la patina a qualcosa di davvero antico e lo rende in musica. Tutto il disco non ha un momento di cedimento, la lancetta rimane sempre in alto, creando un’atmosfera davvero unica. Un altro grosso valore di Crown è la ragione per la quale è stato concepito. Questo disco parla di Set e di come il dio serpente sta dominando il mondo. La sua dominazione è sottile, eppure è sotto i nostri occhi in qualsiasi momento della nostra vita. Le stigmate del serpente sono possessione e schiavitù, che sono le parole d’ordine del nostro sistema economico e di vita. Solo il serpente può mangiare la sua corona, e noi lo riforniamo quotidianamente di energia. Tutto ciò lo ritroviamo in Crown, un disco che ha davvero un peso specifico, una forza incredibile, come un gas che passa sotto le porte ed arriva ovunque. I riferimenti possono essere trovati volendo, ma gli Hollow Leg sono unici e questo disco lo conferma. La prima edizione sarà limitata a 250 copie in vinile colorato.

TRACKLIST
SIDE A
1.Seaquake
2.Coils
3.The Serpent in the Ice
4.Atra
5.Side B
6.Electric Veil
7.Seven Heads
8.New Cult

LINE-UP
Brent
Tim
Scott
Tom

HOLLOW LEG – Facebook

Disquiet – The Condemnation

Il gruppo, a suo agio nell’amalgamare i vari stili che si susseguono all’ascolto, mantiene in perfetto equilibrio le varie sfumature estreme di cui si nutre e le scarica in questa ottima raccolta

The Condemnation è il secondo full length dei Disquiet, gruppo olandese che amalgama con molta cura sonorità che vanno dal thrash tradizionale alle sonorità in linea con le produzioni moderne, aggiungendo un pizzico di impatto death a questo ottimo lavoro.

Attivo dall’inizio del nuovo millennio, il gruppo proveniente dai Paesi Bassi ha trovato dal 2008 la dovuta continuità, dal primo demo ( Hare Incarnate) passando per l’album Scars of Undying Grief, prima prova sulla lunga distanza del 2011, ed ora tornato con questo devastante album che non disdegna buone melodie, incastonate nell’incudine che risulta il sound.
Partono a razzo i Disquiet, mettendo subito in evidenza con il trittico Ascending, The Condemnation e Fist of Persistence, l’ottimo talento per le melodie, anche se le ritmiche rimangono forsennate ed il vocione del vocalist Sean Maia, si avvicina più al deathcore che al tradizionale timbro thrash metal.
Prodotto benissimo, il sound risulta travolgente, il piglio della band è di quelli inyourface e le lancette dell’orologio girano impazzite, non annoiando certo l’ascoltatore, travolto dalla furia metallica delle varie, The Great Divide e Haul Down the Tree of Life.
Le due chitarre formano uno tsunami di ritmiche e solos delle più varie, suonate con ottima tecnica (Fabian Verweij e Menno Ruijzendaal) e la prova di batteria e basso, viene valorizzata da una fantasia e potenza sopra le righe ( Arthur Stam alle pelli e Frank van Boven alle quattro corde), elargendo agli astanti schiaffoni di metallo tempestoso.
Non un attimo di tregua fino alla conclusiva e notevole Bred To Fail, dove i Disquiet si avvicinano tremendamente al death metal melodico, sconquassato da solos classici e ritmiche al vetriolo, più di sette minuti di delirio chitarristico e ritmico, dove il singer dimostra una buona padronanza e personalità nel cantato, aggressivo ma perfettamente in grado di dare al sound una marcia in più.
E’ con questi album che il genere scala le preferenze dei fans: il gruppo, a suo agio nell’amalgamare i vari stili che si susseguono all’ascolto, mantiene in perfetto equilibrio le varie sfumature estreme di cui si nutre e le scarica in questa ottima raccolta, riuscendo nell’impresa di piacere sia agli amanti della tradizione che a quelli in linea con sound più attuali.

TRACKLIST
1.Ascending
2.The Condemnation
3.Fist of Persistence
4.Born to Dissent
5.The Great Divide
6.Haul Down the Tree of Life
7.Las’Pasi
8.From Essence Deprived
9.IDK
10.Bred to Fail

LINE-UP
Arthur Stam – Drums
Fabian Verweij – Guitars
Menno Ruijzendaal – Guitars
Sean Maia – Vocals
Frank van Boven – Bass

DISQUIET – Facebook

Enisum – Arpitanian Lands

La bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.

Sono sempre di più le band italiane dedite ad un black metal che, pur non rinnegando le radici del genere, ben affondate nelle gelide foreste scandinave, traggono ispirazione dalle proprie terre di provenienza conferendo al sound un’aura differente, arricchendolo a seconda dei casi di elementi folk, pagan o ambient.

Gli Enisum arrivano dalla Val di Susa (una zona del nostro paese che, come altre, sta per essere stuprata in nome di logiche mercantili contro il volere delle popolazioni, ma questa è purtroppo un’altra storia), ed il monicker altro non è che la trascrizione al contrario di Musinè, montagna simbolo della vallata nonché, a vario titolo, teatro di leggende e misteri.
Il progetto fondato nello scorso decennio da Lys (all’epoca con il nome d’arte di Silentium) dopo cinque lavori realizzati in autonomia tra il 2006 ed il 2013, negli ultimi anni ha assunto la forma di band vera e propria con l’ingresso in formazione di Leynir (basso), Dead Soul (batteria) ed Epheliin (voce femminile).
Come spesso accade, questo consente al musicista che ha in mano le redini del gruppo di progredire ulteriormente dal punto di vista compositivo, avvalendosi di un confronto costante con altri membri, e questo pare essere accaduto anche a Lys: se già Samoht Nara era un buon album, Arpitanian Lands costituisce un ulteriore salto di qualità, spingendo il sound su e già per gli impervi pendii delle vallate, ora con le accelerazioni tipiche del genere, ora con ariose aperture di matrice post black.
Se uno dei gruppi ispiratori degli Enisum, anche per ammissione dello stesso Lys, sono i Wolves In The Throne Room (oltre ai magnifici quanto sottovalutati Lunar Aurora) , non bisogna aspettarsi di trovare in questo lavoro esclusivamente le tipiche sonorità cascadiane, se non sotto forma di inevitabili riferimenti piazzati qua e là (soprattutto nel brano utlilizzato per realizzare il video ufficiale, Desperate Souls): la bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.
In tal senso i tre brani maggiormente caratterizzanti sono Chiusella’s Waters, in cui una sognante coralità si alterna all’ottimo lavoro chitarristico, Fauna’s Souls, dall’anima folk pur se non del tutto esplicita, e la meravigliosa The Place Where You Died (anche qui i WITTR fanno capolino, specie nella sua prima metà): ovviamente pure queste tracce sono screziate dal robusto incedere ritmico e dallo screaming di Lys, ma le armonie sullo sfondo creano un substrato emotivo che ben si addice alla dichiarazione d’amore per una natura che continuerà a sovrastare, fino agli ultimi attimi di vita di questo pianeta, la razza umana e la sua protervia .
Arpitanian Lands è un ottimo album e non ci sono scuse plausibili per ignorarlo.

Tracklist:
1. Arpitanian Lands
2. Alpine Peaks
3. Chiusella’s Waters
4. Mountain’s Spirit
5. Rociamlon
6. Fauna’s Souls
7. The Place Where You Died
8. Desperate Souls
9. Sunsets on My Path

Line-up:
Lys – guitar, vocals
Leynir – bass
Dead Soul – drums
Epheliin – vocals

ENISUM – Facebook

Blade of Horus – Monumental Massacre

La durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno sì che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che merita ogni brano

Cultura egizia e sci-fi sono un connubio vincente sia sul grande schermo sia nel mondo delle sette note, infatti sono molte le realtà che attingono al sapiente ed antico popolo del Nilo, il primo a studiare l’immenso mare di stelle sopra la propria testa.

Un concept lirico che viene usato anche nel metal estremo e Monumental Massacre, primo lavoro degli australiani Blade Of Hours, non ne è che l’ultimo esempio.
Il gruppo nato nella terra dei canguri è formato da tre musicisti di provata esperienza nel mondo del metal, come il vocalist Eric Jenkins ex di Torture Inc., Putrefaction, War Faction e Eviscerator, Ivan Ellis e James Buckman, chitarristi provenienti dagli Eviscerator, così da poter considerare i Blade Of Hours una continuazione di quella band attiva dal 2011 al 2015.
L’album, che esce per la Lacerated Enemy Records in questo inizio d’anno, andando ad infoltire le truppe celesti del death metal tecnico e brutale, si apre con un’intro fantascientifica, le astronavi arrivate da galassie lontane si posano sulla sabbia del deserto e ne escono esseri dalle intenzioni bellicose, proprio come la musica del gruppo, che fin dalla titletrack dà avvio al massacro estremo fatto di intricatissimo brutal death.
Grande la prova del trio, tra growl di estrazione brutal e vortici di riff che si incastrano alla perfezione sul tappeto ritmico programmato, con corse a perdifiato sui manici delle asce, cambi di ritmo e solos molto ben congegnati.
Inhumane Experimentations e Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness sono i brani che colpiscono maggiormente, anche se la durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno si che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che meritano branidall’elevato spessore tecnico, elargito tra questa tempesta di suoni potentissimi.
Il technical death metal è questo, prendere o lasciare, perciò non aspettatevi particolari novità da questa raccolta di brani, se non un buonissimo lavoro di genere.

TRACKLIST
1. Intro
2. Monumental Massacre
3. Succumb to the Overwhelming Stench of Necrophagia
4. Inhumane Experimentations
5. Death of a Spartan King
6. Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness
7. Return of the Dark Gods

LINE-UP
James Buckman – Guitars
Ivan Ellis Guitars – Drum programming
Eric Jenkins Vocals – Lyrics

BLADE OF HORUS – Facebook

Mithridatic – Miserable Miracle

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche, invase da questo morboso e violento tsunami di metal estremo.

La Kaotoxin, label specializzata nel genere, licenzia il primo lavoro sulla lunga distanza dei devastanti Mithridatic, gruppo nato quasi dieci anni fa a Saint Etienne, città nel nord della Francia.
Dopo un demo ed un ep, uscito lo scorso anno, anche per i Mithridatic è giunto il momento del tanto atteso full length, ed il gruppo le sue carte l’ha giocate alla grande con Miserable Miracle, un album di metal estremo che unisce in sé tradizione e modernità, ritmiche black/thrash e potenti anthem colmi di di insano groove, il tutto condito da un impatto ed un’attitudine sopra le righe.
Certo qualche difetto da correggere col tempo non manca (le songs tendono ad assomigliarsi un po’ troppo), ma il sound c’è, così come una certa predisposizione a non fossilizzarsi troppo nel corso del lavoro verso uno stile preciso, creando un devastante sound che pesca tanto dall’old school quanto dal moderno metal, rimandando alla scena blackened polacca e richiamando atmosfere di morboso industrial e death estremo, insomma un massacro.
L’attacco frontale è di quelli che scaraventano al muro con una forza sovrumana, le atmosfere apocalittiche ed insane ( Oxydized Trigger Sabotage ) non fanno che aumentare la claustrofobica sensazione di malessere che pervade le songs racchiuse in questo armageddon sulla Terra, alternando veloci bombardamenti in blast beat a cadenzate cadute verso l’abisso, oscuro, pesante e destabilizzante (la title track, Funambule Pénitent).
Sul versante death l’angelo morboso è il protagonista indiscusso della musica dei nostri, potenziato dal black dei Behemoth e riminiscenze industrial, così da creare un inferno di musica estrema e sconvolgente.
Buon lavoro dunque, una mazzata estrema con tutti i crismi per piacere agli amanti dei suoni estremi con tendenze apocalittiche.

TRACKLIST
1. The Supply…
2. …For Terror and the Crowd
3. Miserable Miracle
4. I Will Harm
5. Funambule Pénitent
6. Hell Compasses Points
7. Oxydized Trigger Sabotage
8. Dispense the Adulterated
9. Vitrified Desert

LINE-UP
Guitou – Vocals
Alexandre Brosse – Guitars
Romain Sanchez – Guitars
Remolow – Bass
Kévin Paradis – Drums

MITHRIDATIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=1d_pCKRxSUs

Ancient Spheres – In Conspiracy with the Night

Progredire è d’obbligo ed appare comunque un’impresa possibile: un minimo di personalità in più e un aggiustamento dei suoni potrebbero rendere competitivi in futuro gli Ancient Spheres

Gli Ancient Spheres sono esponenti di una scena estrema costaricense in crescita, nella quale ci siamo peraltro già imbattuti di recente con l’ottimo album dei Black Whispers.

Qui la materia trattata è il black metal nella sue vesti più tradizionali: In Conspiracy with the Night è il secondo full length da parte di una band che si dimostra in grado di interpretare più che dignitosamente il genere, ma che appare ancora lontana dal raggiungimento di quegli standard necessari per consentire al trio di emergere.
A fronte di buone intuizioni è talvolta è l’esecuzione strumentale a fare difetto, con sbavature che in un regime di concorrenza così spinta non ci si possono consentire. Peccato, perché alcuni brani (la più rallentata Ethereal ed Emperors of the Night) possiedono un incedere convincente ed appaiono ben inseriti nei canoni del genere ma, proprio alla luce di questo, se non funziona tutto alla perfezione o quasi, vengono inevitabilmente meno i possibili motivi di interesse per l’ascoltatore.
Progredire è d’obbligo ed appare comunque un’impresa possibile: un minimo di personalità in più e un aggiustamento dei suoni potrebbero rendere competitivi in futuro gli Ancient Spheres all’interno di una scena più affollata di una metropolitana nelle ore di punta.

Tracklist:
1. Enchantment of the Night
2. Invoking Darkness
3. A Tale Told Two Thousand Times
4. Ethereal
5. Emperors of the Night
6. The Sign
7. My Ancient Spirits
8. Slaughters
9. The Old Forest
10. Cold and Dead Stone
11. In Solitude I Die
12. Lord of the Morbid Ritual
13. Chaos Compass
14. Serkes
15. Sands of Oblivion

Line-up:
Adolfo Bejarano – Guitars
Yeudiel Chacón – Bass, Vocals
Raymondsz – Drums

ANCIENT SPHERES – Facebook

Desert Hype – SweP

Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate.

Sicilia e Sardegna, oltre ad essere le nostre isole maggiori e due tra le più belle regioni della nostra bistrattata penisola, hanno in comune una scena hard rock che non ha niente da invidiare a paesi più blasonati; se poi si parla esclusivamente di rock alternativo e stoner, le band da seguire con attenzione, protagoniste di lavori sopra le righe, sono molteplici e richiamano a più riprese la scena statunitense del ventennio a cavallo tra gli anni novanta e la musica di Seattle, ed il decennio successivo con il successo dello stoner suonato nella Sky Valley.

Non vi sto ad elencare i gruppi che, a più riprese, hanno fatto sobbalzare dalla poltrona questo inguaribile vecchietto, amante di più o meno tutte le svariate forme prese, nel corso degli anni, dal metal e dal rock, ma vi assicuro che la musica di qualità la si crea anche da noi, basta saperla cercare.
Ed allora il traghetto ci aspetta, un saluto agli amici e si parte per la Sardegna, scalo ad Olbia e giù verso cagliari per incontrare i Desert Hype, trio stoner junk rock del capoluogo, nato nel 2011 e con all’attivo tre ep; l’esordio omonimo dello stesso anno e Sgattagheis, doppio ep del 2013.
2016, è giunto il momento di licenziare il primo full length, questo ottimo SweP, un monolite di suoni stoner, dal mood punk alternative e noise, che riversa sull’ascoltatore una valanga di lava elettrica, stupendamente alternative, ma, e qui sta il bello, di una presa disarmate.
Basso grasso che spacca i timpani, pelli che si strappano sotto i colpi di una forza inesauribile, chitarra che vomita watts a profusione e tante buone idee, sono le virtù principali di questo splendido lavoro, che non ne vuol sapere di scendere sotto una media altissima e soprattutto spacca che è un piacere.
Come detto i suoni variano tra il mood che rimane desertico per tutta la durata, come persi in sconfinate pianure di sole sabbia e pietre, e piccole oasi di alternative rock, che ci danno modo di sopravvivere nel lungo peregrinare in questa sconfinata valle di suoni rock pescati a piene mani dalle terre d’oltreoceano e fatte proprie dai tre musicisti sardi.
Parto dalla fine perché Ponies Over Olympic Ceremony 2012, posta prima dell’outro, è un piccolo capolavoro di rock stonato, una lunga e lisergica jam tra stoner e noise che vi ridurrà a povere amebe peggio di un’overdose di LSD.
Ma SweP non finisce qui, con l’opener Flying Shit che se la prende comoda e prima di esplodere gioca con il basso come una mangusta col cobra, mentre ScioScio e la title track ci danno il benvenuto nel trip del gruppo, con la chitarra che parla, urla, grida, torturata da Mirko Deiana, mentre il basso di Andrea Demurtas pulsa facendo sgorgare sangue dai nostri poveri padiglioni auricolari.
Joint And Wine Superballad 3000 è uno strumentale da brividi, dove il gruppo sfodera gli artigli ed il talento e sale in cattedra il drummer Daniele Moi, prima che un’acustica drogata sia la protagonista di DoDo (Dead Like A).
Blues punkizzato, rock’n’roll ruvido vicino al garage risulta Spiders On The Floor Tom, mentre con Trp1 si torna a perdersi nel desertico labirinto di suoni creati ad arte dai Desert Hype per destabilizzare, confondere, mettere al tappeto senza pietà.
Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate e SweP è un’altro ottimo esempio di come la nostra scena cominci davvero a fare la voce grossa, rivelandosi non solo una buona alternativa a quelle più famose, ma assoluta protagonista del rock di questo inizio millennio.

TRACKLIST
1. Flying Shit
2. ScioScio
3. Desert Hype
4. Joint And Wine Superballad 3000
5. DoDo (Dead Like A)
6. Spiders On The Floor Tom
7. Trip1
8. Ponies Over Olympic Opening Ceremony 2012
9. Seacows B******s

LINE-UP
Andrea Demurtas – basso/voce
Mirko Deiana – chitarra
Daniele Moi – batteria

DESERT HYPE – Facebook

Decrepit Soul – The Coming Of War

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower.

Questo disco potrebbe essere la colonna sonora di un assalto di truppe di qualsiasi epoca, da quelle con lance od archibugi, alle future pistole laser come raffigurato in copertina.

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower. Questi australiani hanno avuto un’evoluzione costante, passando dal black metal tendente al tradizionale degli esordi fino ad arrivare a questo potentissimo death metal che non lascia mai tregua. Persino nelle parti più lente l’intensità è molto alta. La produzione precisa e pulita senza però essere sterile, rende ancora meglio il senso di violenza e massacro che il gruppo vuole rendere. L’ingresso del nuovo batterista Marcus Hellcunt (Vomitor, Bestial Warlust e Gospel Of The Horns) giova molto ad un impianto già ben rodato. Si è tirati da ogni parte da questo disco, proprio come se si fosse su di un campo di battaglia. Raramente si sente un disco death così quadrato ed appagante, con potenza, ritmo e mid tempos omicidi. Uno dei dischi death migliori di questo anno cominciato da poco.

TRACKLIST
1. Awaken
2. Feral Howling Winds
3. The Coming of War
4. Perished in Flames
5. Piscatorial Death
6. Black Goats Breath
7. Storm of Steel

LINE-UP
Astron – Bass
Kakorot – Vocals, Guitar
Marcus Hellcunt – Drums

DECREPIT SOUL – Facebook

Torture Rack – Barbaric Persecution

Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

La storia insegna che le barbarie perpetrate dall’uomo sui propri simili non è un abitudine di questo secolo, anzi, forse il periodo più brutale che si ricordi è stato il medioevo, non solo quindi violenza portata dalle guerre, ma malvagità e torture nel vivere quotidiano, dove la vita valeva davvero poco.

Vero è che oltre la storia, le leggende su signori feudali diventati mostri di malvagità si sprecano, così come i resoconti sulle le stanze delle torture, sinistre caverne che si possono visitare in ogni castello sopravvissuto ai secoli.
I Torture Rack sono una death metal band statunitense e su questo argomento hanno costruito il loro concept che portano avanti dal 2012, anno di nascita del quartetto, arrivato pochi mesi fa all’esordio sulla lunga distanza, dopo il classico primo demo uscito un paio d’anni fa (Medieval Mutilation).
Barbaric Persecution continua il viaggio del gruppo nelle stanze delle torture medievali, tra asce, coltelli, vergini di ferro e ruote varie, in uno tsunami di violenza senza freni.
Il loro death metal si avvicina al brutal, specialmente nel growl animalesco del bassista Jason, mentre il sound risulta oscuro, cavernoso e old school.
I brani viaggiano a velocità medie, le ritmiche difficilmente si fanno veloci e seguono di pari passo la lenta agonia dei prigionieri, chiusi nelle mura del castello e facili vittime di soldati dai pochi scrupoli e tanta voglia di sangue.
La Memento Mori ha licenziato l’album, originariamente uscito lo scorso anno nel solo supporto musicassette, altro indizio di cultura old school senza compromessi, undici brani, undici modi di torturare e seviziare senza pietà portando la vittima alla morte, lentamente, molto lentamente.
Talent for Torture, Chamber of Morbidity e Coffin Breath, lasciano intravedere sufficienti potenzialità, anche se l’opera inciampa spesso nel già sentito, tra accenni a Morbid Angel e Cannibal Corpse.
Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

TRACKLIST
1. Intro
2. Talent for Torture
3. Apocalyptic Wrath of the Undead
4. Chamber of Morbidity
5. Entrail Intruder
6. Open Casket Funeral Puker
7. Field of Mutilation
8. Coffin Breath
9. Sentenced to Gang Rape
10. Coven Crusher
11. Beheaded for the Bloodbath

LINE-UP
Seth – Drums
Pierce Williams – Guitars
Tony – Guitars (lead)
Jason Vocals, Bass

TORTURE RACK – Faceboook

Wisdom Of Shadows – Sciah Vosieni

Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità, che forse potrebbero aumentare numericamente se la proposta venisse leggermente differenziata

Il duo bielorusso Wisdom Of Shadows si è affacciato sulla scena con una certa decisione all’inizio del 2015, praticamente con un’uscita al mese fino a maggio: Sciah Vosieni è, tra queste, la seconda su lunga distanza, almeno nominalmente vista la durata di entrambe di poco superiore alla mezz’ora.

Detto questo, l’atmospheric black proposto da questa coppia di musicisti è tutt’altro che trascurabile: belle orchestrazioni, un sound a tratti epico, a volte maestoso, ma sempre con una punta di algida malinconia; Sciah Vosieni non rappresenta qualcosa di nuovo ma neppure di così troppo scontato, e per di più viene eseguito con una buona proprietà e sufficiente personalità.
L’album, anche se tecnicamente non lo sarebbe, di fatto possiede un impronta prevalentemente strumentale, visto che le vocals di Deni Dark restano troppo in sottofondo, rivelandosi un minaccioso rantolo in lontananza che integra senza disturbare l’incedere delle belle melodie prodotte da Erebor.
D’altra parte, la lunghezza più appropriata a quella di un ep si traduce in un vantaggio, stante un pizzico di ripetitività dei temi portanti, che si traduce in un peccato solo veniale grazie alla loro efficacia ed evocatività.
Personalmente questa è una soluzione che apprezzo molto, catalogabile come una forma meno introspettiva della musica ambient, con la quale ha in comune una sua collocazione ideale in sottofondo, alla luce di sonorità suadenti ma non banali, pur se memorizzabili.
Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità che, forse, potrebbero incrementarsi se la proposta venisse leggermente differenziata e gli Wisdom Of Shaodws la rendessero meno dispersiva, raggruppando il materiale composto in poche e mirate uscite.

Tracklist:
1. U Abdymkach Sonca (Intro) (In Embrace of Sun)
2. Sciah Vosieni (Flag Of Fall)
3. Razvitannie z Zimoj (Farewell to Winter)
4. Piesnia Viatrou (Song Of Winds)
5. Pa-Za…(Outro) (Outside)

Line-up:
Erebor
Deni Dark

WISDOM OF SHADOWS – recensione

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