Svartelder – Askebundet

Se siete alla costante ricerca di qualcosa di particolarmente innovativo, qui troverete “solo” del black metal suonato con competenza e convinzione.

Siete alla costante ricerca di qualcosa di particolarmente innovativo? Bene, allora potete pure passare oltre, perché qui troverete “solo” del black metal suonato con competenza e convinzione, indubbiamente piacevole ma già sentito e sviscerato in tutte le sue pieghe.

Fatta una prima scrematura, i pochi rimasti si avvicinino con una certa fiducia a questo ep d’esordio dei norvegesi Svartelder, band che, comunque, benché sia ai suoi primi passi con questo monicker, vede coinvolti musicisti già da tempo appartenenti alla seminale scena del proprio paese.
Infatti, se è vero che le sonorità prodotte dal quartetto scandinavo non ci sorprendono, il fatto stesso di proporle in maniera brillante e coinvolgente non è neppure cosa da tutti.
Askebundet consta di tre brani per un totale che sfiora i 25 minuti complessivi di durata: troviamo, quindi, una title track canonica ma impeccabile nel suo incedere, un’eccellente Bleeding Wounds, mid tempo avvolgente e martellante, e una splendida Ingen Vet Jeg Var…, in cui il lavoro delle chitarre prende il sopravvento delineando con costanza il tessuto melodico del brano, fino a sfociare in passaggi solisti di gran pregio.
Se in questa band, del resto, oltre al leader Doedsadmiral e al chitarrista/bassista Maletoth, troviamo due due musicisti (Kobro e Kobold) coinvolti in una band che ha fatto della versatilità il proprio vessillo come i magnifici In The Woods, significa che suonare (molto bene) del “normale” black non è affatto cosa disdicevole.
Difficile trovare a questo dischetto una pecca che non sia la già citata, e a mio avviso trascurabile, derivatività: questo è un esempio del genere eseguito al meglio da chi vi è immerso fino al midollo da anni ed è più che mai titolato a farlo (nel caso ce ne fosse bisogno).
E’ tutto, e non è affatto poco.

Tracklist
1. Askebundet
2. Bleeding Wounds
3. Ingen Vet Jeg Var…

Line-up:
Doedsadmiral – Vocals
Maletoth – Guitars, Bass
Kobro – Drums
Kobold – Keyboards

SVARTELDER – Facebook

Opera IX – Back To Sepulcro

Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità

Gli Opera IX sono uno dei gruppi più importanti nel panorama estremo dalle trame black ed esoteriche, la loro discografia è colma di album straordinari, pregni di quelle atmosfere di oscuro misticismo come solo nel nostro paese, da tradizione, si possono riscontrare nella musica come nel cinema.

Dal lontano 1990, anno della fondazione del gruppo, oltre a quello ormai diventato un album di culto, The Call Of The Wood, la band piemontese ha infilato una serie di lavori bellissimi dove hanno trovato la gloria non pochi musicisti della scena -nazionale. com fu in passato per Flegias, vocalist dei Necrodeath (all’epoca alle prese con il drumkit) e la “regina” del metal estremo italiano Cadaveria.
Vent’anni sono passati dal primo full length e il gruppo, da sempre in mano allo storico chitarrista Ossian, torna con questa sorta di mini best of, con un poker di bellissimi brani tratti dai primi quattro lavori, più due brani inediti incisi da una line up rinnovata.
Della partita fanno parte la cantate Abigail Dianaria, un ritorno femminile dietro al microfono che fu di Cadaveria, Scùrs al basso, M:A Fog alle pelli (ex Mortuary Drape, tra gli altri) e Alexandros alle keys (ex Highlord).
La nuova veste data alle quattro songs rende giustizia ad una proposta entusiasmante: la produzione e le orchestrazioni fanno rinascere brani storici, inquietanti e bellissimi come Sepulcro, che concludeva il primo album, The Oak, opener di Sacro Culto (1998), Act I, The First Seal che apriva The Black Opera, e Maleventum, title track del disco uscito nel 2002.
I due inediti sono Consacration e The Cross, sorta di outro, ma specialmente la prima funge da antipasto per il nuovo corso della band rivelandosi un ottimo brano in cui vengono confermate le qualità della nuova vocalist, personale, teatrale e maligna e che appare sul pezzo anche con le rivisitazioni dei brani storici.
Black metal teatrale, orchestrato a meraviglia, pregno di malignità e decadente oscurità, brividi che si fanno intensi per il talento dei nostri nel saper rendere reali e per questo ancora più inquietanti le atmosfere malefiche, esoteriche e horror che la loro musica esprime in modo assolutamente geniale.
A questo punto possiamo solo aspettare il nuovo lavoro di inediti e gioire per il ritorno di questa fondamentale band nostrana, sento già odore di morte e decomposizione nell’aria.

TRACKLIST
1. Sepulcro
2. The Oak
3. Act I, The First Seal
4. Maleventum
5. Consacration
6. The Cross (Outro)

LINE-UP
Ossian – Guitars
Scùrs – Bass
M:A Fog – Drums
Alexandros – Keyboards
Abigail Dianaria – Vocals

OPERA IX – Facebook

Akhenaten – Incantations Through the Gates of Irkalla

Il lavoro di ricerca dei fratelli Houseman è qualcosa di peculiare, soprattutto dal punto di vista dell’amalgama della strumentazione tradizionale egizia con la struttura del metal estremo.

Prendete due fratelli del provenienti dal Colorado, irrimediabilmente affascinati della storia egizia e date loro in mano degli strumenti musicali: ecco gli Akhenaten.

Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia alcunché di nuovo in tutto questo, specialmente se la base musicale sulla quale riversare la propria passione per le sonorità mediorientali è un robusto black death: in fondo non lo fanno già da molti anni i Nile e i Melechesh ?
Beh, permettetemi di dire che il lavoro di ricerca dei fratelli Houseman è qualcosa di differente e, per certi versi, persino superiore, perlomeno dal punto di vista dell’amalgama della strumentazione tradizionale con la struttura del metal estremo. Della band di Karl Sanders abbiamo sempre amato l’approccio ed i riferimenti alla storia egizia che, alla fin fine, sono più presenti a livello lirico che non musicale, laddove viene esibito un death brutale quanto tecnicamente sopraffino e che ha ben pochi eguali.
Quello che viene messo in atto dagli Akhenaten, invece, assomiglia molto di più a quanto fatto dagli Al Namrood, con la differenza non da poco che questi ultimi, pur vivendo in Canada, sono di nascita saudita, mentre i nostri la cultura araba l’hanno solo acquisita.
Va detto che il deus ex machina del duo è Jerred, che si occupa di tutti gli strumenti, mentre Wyatt presta il suo canonico growl a completamento dell’opera. La maestria nel maneggiare la materia e la strumentazione tradizionale è esattamente ciò che rende speciale Incantations Through the Gates of Irkalla, facendone un lavoro irrinunciabile per chi ama il metal abbondantemente annaffiato da atmosfere arabeggianti.
Non c’è dubbio che gli Houseman traggano qualche spunto anche dai Septicflesh della svolta sinfonica, e non è un caso se la band ellenica viene omaggiata con una fedele ed efficace cover di Anubis, brano capolavoro tratto da Communion.
Per il resto, tutte le tracce meritano d’essere ascoltate con curiosità mista a piacere, facendo attenzione al peculiare lavoro percussivo di Jarred, vero e proprio valore aggiunto di un album davvero eccellente.

Tracklist
1. Incantations Through the Gates of Irkalla
2. The Watchers
3. Enlil: Lugal Kurk Ur Ra
4. Ninurta: The Fall of Anzu
5. The Passage Through Flames
6. Brahma Astra
7. Anunnaki
8. Apkallu: Seven of the Abzu
9. Mis Pi
10. Golden Palace of the Lamassu
11. Abu Simbel
12. Anubis (Septic Flesh cover)

Line-up:
Jerred Houseman – Guitars, Drums, Bass
Wyatt Houseman – Vocals

AKHENATEN – Facebook

Snøgg – Snøgg

il lungo brano autointitolato si rivela sufficientemente interessante anche se la forma di black proposta, con i suoi tratti sperimentali talvolta ai limiti dell’improvvisazione di matrice jazzistca, è altrettanto intricata per essere recepita con un certo agio.

Progetto piuttosto originale, quello messo in scena da questo duo sloveno che propone un black metal altamente sperimentale, riversando il tutto, peraltro, in un solo brano di quasi mezz’ora.

Nati come progetto solista di Matej Voglar (Ulv), gli Snøgg, dopo varie configurazioni, hanno inciso questo ep con l’affiancamento al fondatore del batterista Grega Cestnik (Mørke). La possibilità di andare in tour con i connazionali Cvinger ha aperto qualche porta in più facendo crescere così l’interesse per il nome Snøgg.
Detto il necessario per inquadrare il progetto, il lungo brano autointitolato si rivela sufficientemente interessante anche se la forma di black proposta, con i suoi tratti sperimentali talvolta ai limiti dell’improvvisazione di matrice jazzistca, è altrettanto intricata per essere recepita con un certo agio.
Ne scaturisce un flusso sonoro piuttosto discontinuo, che alterna intuizioni davvero brillanti a fasi eccessivamente cervellotiche, in linea con un lavoro dalle caratteristiche sopra descritte.
Ineccepibile per inventiva e vis sperimentale, l’operato degli Snøgg è destinato a menti aperte più che ad appassionati di black metal nelle sue sembianze più consuete.
Anche in questo caso, quindi, come per tutti le prime uscite di una band aventi un minutaggio limitato, ci riserviamo di fornire per ora un giudizio interlocutorio, in attesa di una nuova e più probante release.
Resta comunque vivo l’interesse per l’operato di un musicista che, seppure riuscendoci in maniera discontinua, cerca nuove vie espressive nell’ambito di un genere che molti (a torto) considerano oggi piuttosto stantio.

Tracklist
1. Snøgg

Line-up:
Ulv – guitars, bass, vocals
Mørke – drums

SNOGG – Facebook

Drama / Perdition Winds – Drama / Perdition Winds

Interessante split album, a cura dell’attiva label di S.Pietroburgo Satanath Records, che vede protagonisti i russi Drama ed i finlandesi Perdition Winds.

Interessante split album, a cura dell’attiva label di S.Pietroburgo Satanath Records, che vede protagonisti i russi Drama ed i finlandesi Perdition Winds.

I due gruppi hanno un percorso piuttosto diverso, essendo i primi in circolazione da circa un decennio, con relativa pubblicazione di due-full-length, mentre i secondi sono di nascita decisamente più recente.
Tutto ciò comporta inevitabilmente un approccio differente tra le due band nei confronti della materia black, anche se lo split non soffre di un eccessivo stacco tra i brani dell’una e dell’altra.
Brani che in effetti poi sono solo tre, due appannaggio dei Drama ed uno solo, ma molto lungo, da parte dei Perdition Winds: i russi, nel tempo a loro diposizione si dimostrano un combo davvero capace, riuscendo a mantenere un invidiabile equilibrio tra l’ortodossia del geenre e le sue pulsioni più avanguardistiche e dimostrando delle potenzialità che, a quanto sembra, non potranno essere più sviluppate con questa configurazione visto che i Drama paiono essersi sciolti dopo l’uscita dell’ep.
La band di Helsinki propone, invece, una singola traccia lunga circa tredici minuti, cosa non del tutto consueta per il genere e per certi versi anche piuttosto coraggiosa: qui il black si fa più tradizionale, ma comunque provvisto di sfumature cupe che lo rendono piuttosto interessante.
Nel complesso, detto che in questo split non si inventa nulla, va ribadito che la musica proposta è tutt’altro che superflua essendo offerta da due band (nel senso vero del termine, per una volta non abbiamo a che fare con progetti solisti) di buona levatura, in gradi di sfuggire al rischio di un’esecuzione approssimativa o manieristica.
Detto della situazione dei Drama, in attesa delle mosse dei singoli componenti, per i Perdition Winds vale quanto detto in passati per act minori ma di prospettiva: bene così, per ora, ma la strada per emergere in un panorama così affollato è ancora abbastanza lunga, sebbene tale obiettivo non appaia un miraggio.

Tracklist:
1. Drama – Create Your Death
2. Drama – Gloria Mortis
3. Perdition Winds – Cult of Kain

Line-up:
Drama
Dym – Drums
Vindsarg – Guitars, Vocals
Torden – Bass

Perdition Wings
J.K.A. – Bass, Vocals (backing)
R.S. – Drums
T. K. – Guitars
R.Ä. – Guitars
J.E. – Vocals

PERDITION WINDS – Facebook

Frostbite – Etching Obscurity

In generale la sensazione che si respira tra le tracce di Etching Obscurity è quella di un lavoro convincente da parte di un gruppo in crescita e dalle ottime potenzialità

Tra i boschi e le nebbie del Canada si aggira un’entità metallica che si definisce ambiziosamente progressive black’n’roll.

Sono i Frostbite da Montreal, quintetto attivo dal 2011 e con un ep alle spalle, dal titolo Through the Grave uscito tre anni fa.
Tornano tramite Tmina Records con Etching Obscurity, esordio sulla lunga distanza che, in effetti, mantiene le promesse, conquistando con un sound ben congegnato che amalgama black metal, parti più intricate che potremmo definire progressive, e ritmiche che, in alcuni casi e nei brani più diretti, si avvicinano al black’n’roll.
Sinceramente il gruppo dà il meglio di sé nelle songs dove il black metal, sound base dei nostri, viene reso più complicato da splendide parti progressive, quando armonie acustiche, solos che si avvicinano al rock settantiano e riffoni metallici dagli umori classici riempiono il suono delle varie Malleus, Through The Grave e dell’intimista Shining, mentre si perde qualcosa allorché le cavalcate di melodico black’n’roll portano tanta energia, attenuando le atmosfere adulte dei brani descritti.
Poco male perché nel suo insieme l’album funziona, con il buon scream della singer Krystal Koffin, di estrazione black, ma soprattutto dal lavoro dei due chitarristi, Max Allard e Anthonny Colin-Bilodeau, bravi nel saper alternare ritmiche estreme a solos di gustoso metal old school, sconfinando, come detto in riff dalle riminiscenze settantiane.
Il mood di Etching Obscurity rimane oscuro, a tratti ricorda i primi Sentenced, quelli di Amok (Soul Devourer), mentre le canzoni, accompagnate da pochi ma splendidi intermezzi acustici, scivolano verso l’inesorabile fine, non stancando l’ascolto.
Forse è proprio la parte più diretta del sound prodotto dai Frostbite che rende il disco più fluido del disco anche se, ripeto, con gli ascolti cresce a dismisura l’altra faccia della medaglia, quella più nobile e matura.
In generale la sensazione che si respira tra le tracce di Etching Obscurity è quella di un lavoro convincente da parte di un gruppo in crescita e dalle ottime potenzialità, ovviamente da seguire per valutare e scoprire dove il talento ne condurrà la musica in futuro.

TRACKLIST
1. Ascending the Void
2. Sigil Seal
3. The Pest
4. Malleus
5. Through the Grave
6. Delayed Perception
7. Etching Obscurity
8. Shining
9. Soul Devourer
10. Forgotten Path
11. Erased from Existence

LINE-UP
Max Allard – Guitars
Alekseïev Delbès – Drums
Anthonny Colin-Bilodeau – Guitars
Stéphane Deschênes – Bass
Krystal Koffin – Vocals

FROSTBITE – Facebook

Rotting Christ – Rituals

I Rotting Christ si confermano con Rituals tra i leader della scena estrema del nostro continente, in virtù di un sound peculiare che ha contributo a consolidarne una fama meritatamente acquisita nel corso di una lunga storia.

Un nuovo disco dei Rotting Christ non può che rivestire il carattere dell’evento.

Chiaramente qui stiamo parlando di una delle band più importanti e più longeve della scena estrema europea, se pensiamo che è prossimo il traguardo del trentesimo anno di attività e questo dovrebbe già essere sufficiente per spiegare l’importanza del gruppo fondato dai fratelli Tolis.
Rituals è il dodicesimo full-length e non fa calare la qualità media delle uscite della band ateniese: come si può intuire dal titolo, a prevalere è l’aspetto prettamente rituale dei brani, che spesso risultano vere e proprie invocazioni corali; già l’opener In Nomine Dei Nostri esibisce senza mediazioni le sue sembianze di preghiera blasfema che tiene perfettamente fede alla ragione sociale, ma tutto ciò nei Rotting Christ non avviene con le modalità adolescenziali di certe band che pensano sia sufficiente esibire il face panting per apparire minacciose, bensì con la maturità di musicisti completi e soprattutto credibili.
In una carriera così lunga diversi sono stati gli indirizzi stilistici intrapresi da Sakis, dal grind dei primi demo al black metal peculiare dei primi quatto lavori (con i picchi di Non Serviam e Triarchy Of The Lost Lovers), poi con la svolta gothic di A Dead Poem e Sleep Of The Angels, per tornare successivamente sui propri prassi con Kronos fino a Theogonia ed approdare infine, in questo decennio, ad uscite dall’impronta più epica, talvolta anche folk, e se possibile maggiormente radicate a livello di ispirazione nella storia della nazione ellenica.
Se è vero che l’ultimo album fondamentale pubblicato dai nostri è stato Theogonia, datato 2007, va detto che una minore brillantezza del songwriting rinvenibile negli ultimi lavori è stata ben compensata da una sempre maggiore cura dei particolari, a partire dalla produzione per arrivare al contributo dei diversi ospiti che, da Aealo in in poi, si rivela una piacevole costante. Se allora brillava la presenza di una stella assoluta come Diamanda Galas (senza tralasciare un certo Alan Averill), in Rituals spicca la partecipazione di Vorph dei Samael, sorta di corrispettivi elvetici dei Rotting Christ, e di Nick Holmes dei seminali Paradise Lost.
Detto dell’ottima traccia d’apertura (con il contributo di un’altra icona della scena greca come Magus) e della bontà degli episodi che vedono all’opera i due illustri ospiti (Les Litanies de Satan con Vorph e For a Voice like Thunder con Holmes), il brano che maggiormente colpisce per intensità è Elthe Kyrie, sorta di rappresentazione musicale della tragedia greca, con tanto di recitato da parte di un’attrice del Teatro Nazionale (Danai Katsameni): qui ritroviamo anche le classiche progressioni chitarristiche che, se da una parte, possono apparire una forma di autocitazionismo, dall’altra costituiscono un vero e proprio riconoscibile marchio di fabbrica per i Rotting Christ.
Al contrario, un po’ debole e leggermente furi contesto è Devadevam, con Kathir dei singaporiani Rudra a fornire un’impronta fin troppo particolare al brano, mentre qualche ripetitività di troppo (Apage Satana) appesantisce solo parzialmente un lavoro che nel suo complesso non delude, anche perché, come detto, se l’ispirazione che pervadeva dischi come Non Serviam e Theogonia si manifesta ormai solo a sprazzi, tale mancanza viene compensata ampiamente dal mestiere e dal carisma di una band in grado di legare con disinvoltura i diversi spunti che vengono fatti confluire nell’opera.
In definitiva, i Rotting Christ si confermano con Rituals tra i leader della scena estrema del nostro continente, in virtù di un sound peculiare che, tra alti (molti) e bassi (rari) , ha contributo a consolidarne una fama meritatamente acquisita nel corso di una storia lunga ma che pare ancora ben lungi dall’essere al suo epilogo.

Tracklist
1. In Nomine Dei Nostri
2. זה נגמר (Ze Nigmar)
3. Ἐλθὲ κύριε (Elthe Kyrie)
4. Les Litanies de Satan (Les Fleurs du Mal)
5. Ἄπαγε Σατανά (Apage Satana)
6. Του θάνατου (Tou Thanatou) (Nikos Xylouris cover)
7. For a Voice like Thunder
8. Konx om Pax
9. देवदेवं (Devadevam)
10. The Four Horsemen

Line-up:
Themis Tolis – Drums
Sakis Tolis – Guitars, Vocals
Vagelis Karzis – Bass
George Emmanuel – Guitars

Guests:
Magus (NECROMANTIA) – “In Nomine Dei Nostri”
Danai Katsameni (NATIONAL HELLENIC THEATER) – “Elthe Kyrie”
Vorph (SAMAEL) – “Les Litanies De Satan (Les Fleurs Du Mal)”
Nick Holmes (PARADISE LOST) – “For A Voice Like Thunder”
Kathir (RUDRA) – “Devadevam”

ROTTING CHRIST – Facebook

Black Whispers – Shades of Bleakness

L’inquietudine che trasuda da Shades of Bleakness viene efficacemente veicolata verso l’ascoltatore con un disco relativamente breve e dalle sonorità piuttosto uniformi, ma che hanno in comune linee melodiche molto efficaci

Ecco un bellissimo disco di depressive black metal proveniente dalla Costarica: fino a qualche tempo fa un simile incipit avrebbe destato una certa sorpresa ma, oggi, è ormai assodato che certe pulsioni dell’animo umano non hanno limiti di tempo e luogo né, soprattutto, di espressione.

In effetti, l’unico costaricense del trio è il giovane J.F., chitarrista e vocalist che si fa coadiuvare dal messicano Nergot e dall’italiana Kjiel, personaggio di spicco della scena DSBM nostrana, qui rappresentata anche da HK, che si occupa del drumming sull’album.
Quello che fa la differenza nell’ambito di questo genere, dato per scontato uno stesso desiderio da parte degli autori di rappresentare stati di alienazione dalla realtà propedeutici a comportamenti suicidi o autolesionistici, è la capacità dei singoli musicisti di rendere credibili e nel contempo fruibili le loro soluzioni espressive. Nei Black Whispers entrambi gli aspetti vengono proposti al meglio, sicché l’inquietudine che trasuda da Shades of Bleakness viene efficacemente veicolata verso l’ascoltatore con un disco relativamente breve (4 tracce più intro) e dalle sonorità piuttosto uniformi ma che hanno in comune linee melodiche molto efficaci e, soprattutto, in grado di comunicare manifestamente tutto il senso di disagio.
Una piccola pecca è rinvenibile nel canonico screaming disperato che, essendo un po’ piatto, talvolta si rivela quasi un elemento di disturbo se inserito in un ambito musicale sovente dai tratti melodici, per quanto foschi; è anche vero, però, che questo aspetto è parte integrante di un genere che, per sua natura, non deve né rassicurare né consolare, quindi a chi apprezza tutto ciò non risulterà sgradito più di tanto.
Una lieve imperfezione che, comunque, non va inficiare quello che si rivela come uno dei migliori album depressive black metal ascoltati negli ultimi tempi e, come detto in fase di introduzione, non stupisca il fatto che l’artefice di tutto ciò provenga dalla Costarica: la musica è un qualcosa di universale, impossibile da delimitare erigendo muri o reti elettrificate …

Tracklist
1. Intro (Useless Existence)
2. Gloom
3. Never-ending Unsteadiness
4. Stuck in the Past Ruins
5. Dying (Life Neglected сover)

Line-up:
J.F. – Vocals, Lyrics
Kjiel – Guitars, Additional Vocals
Nergot – Bass
HK – Drums

BLACK WHISPERS – Facebook

From The Vastland – Blackhearts

Quindici minuti di musica sono pochi, ma i tre brani si fanno apprezzare per l’ottima produzione, qualche buon inserto sinfonico ed un mood convincente.

I From The Vastland sono la creatura del polistrumentista Sina, musicista iraniano trapiantato in Norvegia, paese dal quale la sua musica trae ispirazione.

Siamo infatti nel black metal influenzato dalla scena scandinava, con tutti i cliché del genere, quindi sfuriate metalliche, ritmiche portate dal vento del nord, screaming feroce ed un’aura epica.
Blackhearts è l’ultimo lavoro in versione mini cd, composto da tre brani e vede come ospiti Vyl (Keep Of Kalessin, Gorgoroth) alle pelli e Tjalve (1349) al basso, ma scavando nell’antro infernale da dove proviene il buon Sina troviamo tre full length già licenziati tra il 2011 ed il 2014 (Darkness vs. Light, the Perpetual Battle, Kamarikan e Temple of Daevas).
Concettualmente il musicista trae ispirazione dalla cultura persiana e mesopotamica, perciò nessun demone tra i boschi norvegesi o anime perdute in castelli posseduti, mentre il sound molto deve alla scena black nord europea.
Quindici minuti di musica sono pochi, ma i tre brani si fanno apprezzare per l’ottima produzione, qualche buon inserto sinfonico ed un mood convincente.
L’atmosfera oscura e maligna fa il resto, così che Astoyad, la devastante title track e la più atmosferica Abakhtaran si fanno valere, complice l’ottima tecnica esecutiva di Sina.
Probabilmente siamo davanti al classico lavoro che funge da apripista al prossimo full length, e dall’ascolto di queste songs non possiamo che aspettare con interesse la prossima opera sulla lunga distanza.
Se non conoscete ancora questa one man band, Blackhearts è sicuramente un buon biglietto da visita.

TRACKLIST
1. Astoyhad
2. Blackhearts
3. Abakhtaran

LINE-UP
Sina – Composer, Guitars, Vocals
Vyl- Drums
Tjalve- Bass

FROM THE VASTLAND – Facebook

Scolopendra Cingulata – Kuoltuu Kaikin Kohetah

Kuoltuu Kaikin Kohetah è un primo passo positivo e del tutto nella media ma, ovviamente, per riuscire ad emergere dalle più profonde lande ex sovietiche ci vuole un ulteriore e deciso salto di qualità.

Band proveniente dal Kazakistan ma trasferitasi sul suolo russo per incidere il primo Ep, gli Scolopendra Cingulata offrono un poker di brani sufficientemente interessanti.

Pur non sconvolgendo alcuna consuetudine infatti, il gruppo guidato dal vocalist e compositore SS si cimenta in maniera disinvolta con un black metal che si muove all’interno della tradizione, senza disdegnare però buone digressioni atmosferiche.
Meglio i primi due brani, più ispirati ed incisivi in virtù di buone linee melodiche ben rimarcate dal lavoro chitarristico , mentre la coppia successiva, puntando maggiormente su un impatto di matrice raw, risulta meno efficace.
Kuoltuu Kaikin Kohetah è un primo passo positivo e del tutto nella media ma, ovviamente, per riuscire ad emergere dalle più profonde lande ex sovietiche ci vuole un ulteriore e deciso salto di qualità.

Tracklist:
1. Помрут – Все Хорошими Станут
2. Ветер Войны
3. Шакалы
4. Меч Смерти Клеймор

Line-up:
SS – Vocals, Lyrics, Songwriting
Waah – Bass
Aske – Drums, Songwriting
Alatar – Guitars
Otis – Guitars
Hulluenkeli – Keyboards

SCOLOPENDRA CINGULATA – Facebook

Hatecrowned – Newborn Serpent

Ottimo lavoro peri blacksters Hatecrowned, provenienti da una terra non abituale per il genere come il Libano.

Deserto nord africano: sorpresi nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, i due ragazzi si rifugiano in un’antica cripta sommersa dal mare desertico e scoperta per caso.

Al riparo dal vento caldo del deserto, ed incuriositi da strani segni sulle pareti, i due, al chiarore di una torcia si avventurano tra gli stretti corridoi scavati da migliaia di anni e trovata un’apertura che porta ad una stanza addobbata come un’antica tomba, si addormentano vicini a quella che sembra una lapide.
Il pavimento intorno a loro comincia a muoversi, lento e sinuoso come un mortale serpente demoniaco, è la fine, i loro corpi stritolati tra le spire del rettile non troveranno più la luce, così come le loro anime scaraventate nel più buio antro infernale.
La colonna sonora di questo incubo è Newborn Serpent, primo bellissimo parto estremo degli Hatecrowned, duo libanese protagonista di un black metal satanico e misantropico, violentissimo, ma molto affascinante e suggestivo.
I due arrivano arriva al debutto su lunga distanza dopo il primo lavoro in versione ep, uscito nel 2013 (Warpact in Black) e tramite la Satanath Records licenzia questo oscuro e devastante lavoro.
Ayvaal (voce) e Dahaaka (chitarre e tastiere) sono aiutati in questo viaggio verso l’oscurità, tra le mortali spire del serpente, da Benjamin “GoreDrummer” Lauritsen alle pelli ed Eddy Ferekh al basso, una sezione ritmica da apocalisse, mentre i due demoni mediorientali compiono atrocità e blasfemie, il primo con uno scream molto evil, ed il secondo tra riff e tappeti di keys che puzzano di putridi antri di piramidi dimenticate dal tempo, dove covate di demoni malefici si nutrono delle anime dannate.
Ottime e suggestive le devastanti trame sonore che compongono brani neri e maligni come For Scum Thou Art, and unto Scum Shalt Thou Return, Redefining Purgatory e la clamorosa title track, un inno alle nefandezze del maligno, tremenda colonna sonora di morte e disperazione.
Ottimo lavoro dunque, proveniente da terre non abituali per il metal estremo così da risultare ancor più affascinante.

TRACKLIST
1. Ominous Birth of Serpent
2. For Scum Thou Art, and unto Scum Shalt Thou Return
3. Infest and Conquer
4. Coronation of the Eternal and Pure
5. Void
6. Redefining Purgatory
7. Newborn Serpent
8. Cave of Salvation
9. Funeral Reverie
10. Wolves

LINE-UP
Ayvaal – Vocals
Dahaaka – Guitars and Keyboards

Benjamin “GoreDrummer” Lauritsen- Drums.
Eddy Ferekh – Bass Guitar

HATECROWNED – Facebook

Ildverden – Темніч чорна йде за мною

Maligna e piena di insidie è la notte, specialmente se ci si perde nelle foreste ucraine dove si cela Human Unknown, polistrumentista di questa one man band chiamata Ildverden.

Maligna e piena di insidie è la notte, specialmente se ci si perde nelle foreste ucraine dove si cela Human Unknown, polistrumentista di questa one man band chiamata Ildverden.

Senza nessuna concessione al benché minimo istinto commerciale, il musicista arriva a noi tramite Satanath Records con il suo quarto full length dai titoli in lingua madre (Темніч чорна йде за мною si traduce in La Nera Mezzanotte Mi Segue) dopo aver dato alle stampe il primo album omonimo nel 2007, Path to Eternal Frost and Fire del 2008 e Де хмари плачуть… lo scorso anno.
Black metal old school di scuola norvegese dai ritmi cadenzati, alquanto epici ed oscuri, accelerate cattive e, qua e là, buone melodie nere come la notte nel sottobosco di una foresta dannata, sono le maggiori virtù di quest’opera, che non si fa mancare qualche difetto (la produzione, non so quanto volutamente segue l’attitudine old school del lavoro) e la troppa prolissità in brani che, mediamente, raggiungono i dieci minuti, per arrivare addirittura a ventuno nella suite Прорікання Вельви, cuore di questo album.
In effetti più di un’ora per un album del genere è un po’ troppo e in definitiva si giunge al termine con un senso di fatica, peccato perché il black metal suonato da Human Unknown non è niente male e l’album vive di buone atmosfere orrorifiche e misantropiche, inserite in un contesto dalla violenza metallica di sicuro impatto.
Come detto, la musica si ispira al black metal scandinavo e segue le produzioni dei primissimi anni novanta, aggiungendo una buona ispirazione nelle gelide atmosfere che alternano momenti di epico black metal pagano, a più terrorizzanti sfumature horror.
Il mattino è ancora lontano e l’alito putrido delle belve assetate di sangue ci scalda il viso gelato, prima che le fauci si facciano largo nel nostro corpo, cerchiamo di svegliarci da quello che sembra un brutto incubo, mentre la nostra mano staccata dal braccio è preda di un’agguerrita disputa tra le creature della notte.

TRACKLIST
1. Очі мертвої луни
2. Темна далич завіхрить
3. Прорікання Вельви
4. Темніч чорна йде за мною
5. Спалах блискавок в очах

LINE-UP
Human Unknown – All Instruments, Vocals

Isenblåst – Altars Of Blood

Due tracce promo di black metal senza compromessi, in attesa del primo full lenght di prossima uscita.

Gli Isenblåst, black metallers provenienti dal Michigan, hanno rilasciato queste due tracce promo, in attesa del primo full lenght di prossima uscita.

Il gruppo attivo dal 2010 è gia al quarto demo in sei anni a far compagnia ad un ep uscito nel 2014 dal titolo Unleashing the Demon Scourge di oltranzista black metal old school.
Ed è proprio la scuola norvegese dei primi anni novanta ad essere la massima ispirazione per il gruppo statunitense, lo conferma questi due brani feroci ed estremamente evil, dai testi satanici e dalla produzione vecchia scuola.
Altars Of Blood e I; Lucifer ci presentano un quartetto di demoni completamente votati alla nera fiamma che bruciava, maligna e diabolica tra le fredde lande scandinave, ritmiche che alternano sfuriate devastanti a marce cadenzate verso l’inferno, uno scream di genere efferato e indemoniato il giusto, più una totale devozione per le opere di Mayhem, Marduk, Ragnarok e Setherial.
Black metal senza compromessi dunque, due fieri inni malefici suonati con la convinzione di essere davvero tornati alle battaglie tra le truppe dell’inferno nei primi anni novanta, questo risultano le due tracce presentate da Chronolith (basso e voce), Lord Kaiser ( chitarra), Walshpurgisnacht (basso) e Abominater alle pelli.
Il gruppo di Detroit ci dà appuntamento al debutto sulla lunga distanza, nel frattempo i due brani sono disponibili in free download sul bandcamp del gruppo e verrà pure realizzata una versione limitata in cd a cento copie; se siete amanti del black metal old school dategli un ascolto ed aspettate con noi il fatidico full length.

TRACKLIST
01. Altars of Blood
02. I; Lucifer

LINE-UP
Walshpurgisnacht – Bass
Abominater – Drums
Lord Kaiser – Guitars
Chronolith – Vocals, Guitars

 

Funebria – Dekatherion: Ten Years of Hate & Pride

Se volete cattiveria e blasfemie assortite condite da un buon black/death i Funebria sono il gruppo che fa per voi.

Torniamo in Sudamerica, precisamente a Maracaibo (Venezuela) per conoscere questi metallari estremi che nel 2015 hanno festeggiato i loro dieci anni di attività.

Con un monicker perfettamente in linea con il sound prodotto, i Funebria rilasciano il loro secondo full length di una discografia composta dal classico demo d’esordio, un ep rilasciato nel 2006, l’album In Dominus Blasfemical Est… Ad Noctum Sathania del 2009, ed uno split di tre anni fa diviso con i blacksters Veldraveth, anch’essi venezuelani.
Un drappo nero intriso di black metal oltranzista e fortemente anticristiano, reso putrido da marcio thrash/death, è il sound che ci propongono i nostri demoni sudamericani,influenzato dalla scena est europea, alquanto feroce e di buon impatto.
La band ce la metta tutta per risultare il più evil possibile e gli sforzi premiano le atmosfere da girone infernale dei brani che compongono l’album, cattivi e maligni, veloci e senza compromessi, con un buon uso delle voci ed il soddisfacente lavoro della sezione ritmica, massacrante e tempestosa quanto basta per risultare un bombardamento senza pietà contro le truppe del cielo.
Guerra, una guerra per il dominio sui popoli della Terra portato dagli eserciti di Satana, di cui l’album si vuol ergere a colonna sonora, riuscendoci in parte per merito di songs dal sicuro impatto come Serpent Sign o Cult of Cosmic Destruction, più in linea con il black scandinavo e delle urla belluine e demoniache, un vortice malefico sicuramente avvincente.
Chiaro, non siamo nel gotha del genere, pur essendo palesi i riferimenti alla scena polacca in primis, e le band storiche sono ancora lontane, ma Dekatherion: Ten Years Of Hate & Pride, rimane comunque un lavoro in grado di soddisfare i blacksters più oltranzisti, con tutti i pregi e i difetti di un’opera del genere, che si mantiene ben oltre una sufficienza abbondante in tutta la sua durata.
Se volete cattiveria e blasfemie assortite condite da un buon black/death i Funebria sono il gruppo che fa per voi.

TRACKLIST
1. Intro
2. Consolamentum
3. Serpent Sign
4. Whores of Babylon
5. Nihilist Revelation
6. Divide & Conquer
7. Aeon of Tyranny
8. Azag (The Crown of Void)
9. Cult of Cosmic Destruction

LINE-UP
Iblis – Bass
Daemonae – Guitars
Seth aum Xul – Vocals
Ed Thorn – Drums

FUNEBRIA – Facebook

Phobonoid – Phobonoid

Una tempesta perfetta di metal cosmico, drammatico ed apocalittico.

Poco meno di due anni fa mi ero imbattuti nell’ep d’esordio di questa intrigante one man band denominata Phobonoid.

Quei 20 minuti di black metal dai connotati industrial facevano intuire ma non ancora esplodere del tutto il potenziale che il musicista trentino Lord Phobos dimostrava di possedere.
Questo primo full length autointitolato, invece, scardina definitivamente ogni dubbio investendoci con una tempesta perfetta di metal cosmico, drammatico ed apocalittico.
Se il concept resta sempre incentrato su storie che vedono come scenario la più grande delle due lune di Marte, il sound si è evoluto, come personalmente avevo auspicato, sulle coordinate che erano state già evidenziate nella parte finale dell’ep Orbita.
Se all’epoca mi ero lanciato in un accostamento con una band avanguardista come i Blut Aus Nord, in quest’occasione il respiro cosmico ed il senso di tregenda che scaturiscono dai suoni dell’album mantengono sempre oltralpe eventuali termini paragone, anche se, stavolta, il nome da citare sono i Monolithe: è chiaro, qui la base non è il funeral doom ma uguale è il senso di smarrimento di fronte ad avvenimenti che vedono come teatro uno spazio i cui limiti sono ben al di là della nostra umana comprensione.
Fuga nel vuoto, La risonanza della sonda, Kairos, la conclusiva title track e la clamorosa Frammenti di luce sono gli episodi più significativi di un insieme che annichilisce nel suo incedere più rallentato e che non lascia spazio a spunti melodici che poco si addirrebbero agli eventi apocalittici che ci vengono descritti in musica.
Come nell’opera precedente, la voce resta in sottofondo, quasi strumento tra gli strumenti, accentuando l’impatto straniante di suoni che non lasciano scampo.
Phobonoid è un ottimo album, magari non proprio alla portata di tutte le orecchie, ma che sicuramente chi apprezza sonorità come quelle citate dovrebbe far proprio senza particolari esitazioni.

Tracklist
1.Crono
2.Alpha Centauri
3.La sonda di Phobos
4.Fuga nel vuoto
5.Eris
6.Vento stellare
7.La risonanza della sonda
8.Kairos
9.Pulse
10.Frammenti di luce
11.Tachyon
12.Phobonoid

Line-up:
Lord Phobos

PHOBONOID – Facebook

Abbath – Abbath

Se questa è una da considerarsi una rinascita, lontana dal gruppo che lo ha reso famoso, direi che senz’altro la carriera solista di Olve “Abbath” Eikemo parte con il piede giusto.

Album scomodo da recensire il debutto omonimo di uno dei personaggi più illustri della scena black metal: non si può che partire dalla fine della diatriba tra gli Immortal, dove Olve “Abbath” Eikemo ne è uscito sconfitto, perdendo il diritto sul monicker di una delle band più importanti del movimento della quale lui è sempre stato il principale compositore.

Scomodo perchè, da una figura così importante della scena estrema, ci si aspettavano grandi cose, ed in effetti Abbath è un gran bel disco ma con i suoi difetti (più che altro di produzione), così che, parlandone come merita, lascia nel lettore il dubbio su chi scrive.
Sarà di parte? O l’album merita davvero le lodi?
Allora chiarisco subito che il sottoscritto non è mai stato un grande fan della band norvegese, pur essendo conscio dell’importanza che ha avuto sulla nascita e l’affermazione di uno dei generi più importanti del mondo metallico estremo e dandole il merito di aver scritto almeno due album fondamentali, At the Heart of Winter (1999) e Sons of Northern Darkness (2002).
L’album si sviluppa su dieci brani, più una cover dei Judas Priest (Riding On The Wind), dove al sound di chiara ispirazione Immortal, il buon Olve toglie quasi del tutto le atmosfere epiche, presenti sopratutto nelle opere citate, a favore un approccio più asciutto e in your face.
Ma la differenza Abbath la fa nella prestazione dei musicisti coinvolti con il chitarrista che, ancora una volta, dimostra con uno tsunami di solos heavy metal il suo valore alla sei corde, straordinariamente accompagnato da due interpreti disumani: Kevin “Creature” Foley, batterista straordinario e, purtroppo, già fuori dal gruppo, ed il bassista King.
Aggressivo, veloce, glaciale, oscuro e senza fronzoli, Abbath, sfodera verve thrash metal e marziale estremismo black, il chitarrista norvegese sa perfettamente come intrattenere le orde di fans estremi e dall’alto della sua esperienza ci riesce alla grande.
Come detto non mancano ottimi solos di stampo heavy, ed un mood leggermente più moderno rispetto alle ultime produzioni degli Immortal: le gelide atmosfere di cui il musicista è famoso sono sempre lì  ad avvolgerci nel loro abbraccio freddo come la morte, mentre lo scream gracchiante (marchio di fabbrica di Abbath) non concede speranza.
L’opener To War è il perfetto esempio della musica proposta dal chitarrista e compositore norvegese, un black/thrash oscuro, senza compromessi e dal buon tiro, confermato dalle restanti tracce su cui spiccano Ocean Of Wounds, Count The Dead e la cadenzata ed heavy Root Of The Mountain.
Se questa è una da considerare una rinascita, lontana dal gruppo che lo ha reso famoso, direi che senz’altro la carriera solista dell’ex Immortal parte con il piede giusto, purtroppo l’abbandono prematuro del batterista sarà un altro problema da risolvere al più presto, ma statene certi che Abbath non si farà certo trovare impreparato al momento di portare la sua musica on stage, noi lo aspettiamo.

TRACKLIST
1. To War!
2. Winterbane
3. Ashes Of The Damned
4. Ocean Of Wounds
5. Count The Dead
6. Fenrir Hunts
7. Root Of The Mountain
8. Endless
9. Riding On The Wind
10. Nebular Ravens Winter

LINE-UP
Abbath: Voce, Chitarra
King: Basso
Creature: Batteria

ABBATH – Facebook

Kosmokrator – To The Svmmit

Misteriosi e sepolcrali, i Kosmokrator non cercano di certo la gloria commerciale con il loro lavoro, ma potrebbero essere una buona sorpresa per i blacksters duri e puri, consigliato solo a chi si nutre di queste sonorità.

Questo demo propostoci dalla Vàn Records, uscito nel 2014 in edizione limitata in cassetta, è il debutto discografico di questa misteriosa band proveniente dal Belgio, attiva dal 2013.

Tre brani, di cui due lunghissimi, per mezz’ora di musica, sono il biglietto da visita dei Kosmokrator, quintetto alle prese con un famigerato esempio di black metal occulto e misantropo, rinvigorito da iniezioni di death metal, in un contesto old school ed assolutamente underground.
Sacerdoti alle prese con litanie catacombali, messe nere terrorizzanti, per un sound che si avvale di atmosfere liturgiche, molto evil nell’approccio e dalle indiscusse origini infernali, il gruppo nord europeo ha dalla sua una buona presa, specialmente a livello atmosferico, mentre come molte delle realtà del genere lascia a desiderare in sede di produzione.
Attimi di sacrale musica perduta nei meandri di chiese sconsacrate si alternano a feroci accelerazioni black/death, niente di nuovo ma sicuramente affascinante, almeno per chi considera il metal estremo di estrazione black solo in un contesto underground e fuori dagli schemi preordinati del circuito metallico.
Non una nota che non sia assolutamente volta a rafforzare la componente occulta e misantropica del concept che sta dietro ai Kosmokrator, espressa anche dalla scelta di produrre il lavoro solo nel vecchio supporto in cassetta, cosi da ribadire la natura old school ed assolutamente underground del progetto.
Scrosci di pioggia in notti di luna piena, cori ecclesiastici di sacerdoti devoti all’oscuro signore, ed un’aura da messa nera che avvolge per tutta la durata To The Svmmit, con l’opener Ad Alta, Ad Astra, la devastante death metal song Adoration of He Who Is upon the Blackest of Thrones, che spezza in due l’atmosfera opprimente dell’album che torna a farsi terrorizzante, gelida e maligna con la conclusiva Sermon of the Seven Svns.
Misteriosi e sepolcrali, i Kosmokrator non cercano di certo la gloria commerciale con il loro lavoro, ma potrebbero essere una buona sorpresa per i blacksters duri e puri, consigliato solo a chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Ad alta, Ad astra
2. Adoration of He Who Is upon the Blackest of Thrones
3. Sermon of the Seven Svns

LINE-UP
T – Bass
E – Drums
CM – Guitars
M – Guitars, Vocals
J – Vocals

Skullthrone – Biomechanical Messiah

Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana

Bogotà, Colombia, tra le strade di una delle città più pericolose del mondo, si aggira questo spirito malefico, dal nome che è tutto un programma, Skullthrone.

Metal estremo, un’entità demoniaca che fa del black/death metal la sua arte nera, portando nel mondo il verbo satanico accompagnato da un’ayrea guerrafondaia.
Il quintetto sudamericano è al debutto sulla lunga distanza, in archivio ha solo un demo, le prime avvisaglie di una guerra portata al mondo, uscito nel 2011 (Abyssmal Hymns for Satan), confermando l’ottimo impatto del proprio sound in questo primo lavoro dal titolo Biomechanical Messiah.
Death/black di scuola est europea, in particolare influenzato dai blacksters Behemoth, è quello che il gruppo mette sul piatto e non è poco, considerato la già buona compattezza, il gran lavoro delle sei corde e buone sfuriate in blast beat della sezione ritmica.
Senza fronzoli, e con pochi attimi per riprendere fiato, veniamo inseguiti da questo oscuro mostro satanico, famelico e vorace, che inghiotte male e risputa puro odio.
Nemici dichiarati del cristianesimo, gli Skullthrone, aggrediscono con un lotto di brani assolutamente evil, il growl diabolico e le chitarre che non lasciano tregua con riff e solos che grindano sangue innocente, faranno la gioia degli amanti dei suoni oscuri e da tregenda del genere, con svariate songs che superano abbondantemente la sufficenza, per impatto e violenza.
Niente di che non sia assolutamente originale, ma un ascolto consigliato per chi aspetta con ansia i parti blasfemi di Behemoth e Vader, sicuramente ripagati dal mood satanico e brutale di Imperial Satanic Artillery, Sadism Ex Machina, Antichristian Retaliation ed Empire of the Skull.
Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana … astenersi posers e ragazzini dai pruriti evil.

TRACKLIST
1. Imperial Satanic Artillery
2. There’s No God at All
3. Biomechanical Messiah
4. Hell’s Oblivion
5. Technomancer Revelation
6. Sadism Ex Machina
7. Antichristian Retaliation
8. Goatlust
9. Carnal
10. Empire of the Skull

LINE-UP
Marius Alhazred – Bass
Cerberus – Guitars
Goatlust – Drums
Demiurge – Vocals
Lucipagho – Vocals, Guitars

SKULLTHRONE – Facebook

Ancestors Blood – Hyperborea

Un bellissimo album da godersi nel suo insieme, un affresco magniloquente e solenne espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare.

Chi è in spasmodica attesa del nuovo album dei Moonsorrow può, intanto, parzialmente saziarsi con questo succulento antipasto di black epico e sinfonico offerto dai finlandesi Ancestors Blood, al loro terzo full-length proposto nel corso di una carriera ultracedennale.

L’accostamento ai più noti connazionali deriva essenzialmente dall’approccio che fa dell’emotività, inserita in un mood solenne, il proprio modus operandi, anche se la band proveniente da Laitila si fa maggiormente attrarre da pulsioni heavy metal che trovano il loro sfogo in frequenti ed azzeccati assoli di chitarra, mentre la componente folk viene tutto sommato accantonata.
Infatti, le tastiere forniscono un alone sinfonico che enfatizza il tutto senza renderlo affatto plastificato: in tal modo l’album scorre via intenso ma fruibile, rivelandosi una delle migliori interpretazioni possibili del genere, tutto sommato non assimilabile al black bombastico di scuola Dimmu Borgir ma, semmai, accostabile in certi passaggi agli Arcturus epoca Aspera Hyems Symfonia (anche per le fondamentali incursioni di chitarra solista, benché nei seminali norvegesi tale aspetto attingesse maggiormente al progressive).
Gli oltre 50 minuti di Hyperborea non presentano cedimenti, anche nella sua seconda parte quando i suoni si fanno via via più oscuri: gli Ancestors Blood sono bravi nel diversificare il sound, passando da brani magnifici nel loro trasudare sentori epici e melodici come The Way Of Spirits, Autumn ed Elegies, ad altri più aspri e per certi versi aderenti agli stilemi del black più tradizionale, come avviene in Rite of Passage e Funeral Rite.
Ma, oggettivamente, questo bellissimo album è da godersi nel suo insieme quale affresco magniloquente e solenne, espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare, nonostante sia approdata ormai da oltre un ventennio nei nostri lettori cd.

Tracklist
1. Descension
2. The Way of the Spirits
3. Autumn (Metsäpirtti part II)
4. Elegies
5. Hyperborea
6. Rite of Passage
7. Funeral Rite
8. Ascension

Line-up:
A.T.H. – Vocals, Guitars
E. Heinonen – Keyboards
K.S. – Drums
A.L.H. – Bass

ANCESTORS BLOOD – Facebook

Dalkhu – Descend … Into Nothingness

Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

Dalla fertile Slovenia, che pur essendo una nazione di soli tre milioni di abitanti riesce sempre ad esprimere ottimi gruppi metal, ecco i Dalkhu alla seconda opera, dopo Imperator del 2010.

I Dalkhu fanno un death metal con forti dosi di black, soprattutto nella ritmica delle canzoni, che sono ben strutturate e mai solo bieca potenza, ma hanno una struttura ben definita. La melodia c’è e si sente, anche grazie ad una produzione molto accurata e soprattutto funzionale allo scopo. In questi ultimi tempi vi sono molti gruppi che fanno death tinto di nero, ma pochi escono dalla media, mentre i Dalkhu si distaccano nettamente, anche perché in un genere non molto originale riescono ad avere un timbro personale e ben preciso. Infatti qui si realizza ciò che si proclamava nel titolo, ovvero una discesa nel nulla, attraverso gli scalini della sofferenza e della presa di coscienza della tragica condizione umana. Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

TRACKLIST
1. Pitch Black Cave
2. The Fireborn
3. In The Woods
4. Distant Cry
5. Accepting The Burried Signs
6. Soulkeepers
7. E.N.N.F.

LINE-UP
J.G. – guitar, bass, music.
P.Ž. – vocals

DALKHU – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO