Spektr – The Art To Disappear

The Art To Disappear costituisce un bel passo avanti e merita l’apprezzamento e l’attenzione di chi è più propenso ad ascolti anticonvenzionali.

Ritroviamo i francesi Spektr, a tre anni da Cypher, alle prese con il loro apocalittico mix tra industrial, ambient e black metal.

A livello di sonorità poco è cambiato: The Art To Disappear è decisamente, come il suo predecessore, un lavoro di ardua decrittazione, ma la sensazione è quella che il duo composto da kl.K. e Hth sia riuscito a focalizzare meglio la propria vis sperimentale.
L’album mostra sempre una qualche dispersività, che è connaturata all’indole avanguardistica dei suoi autori, ma nel contempo i vari tasselli paiono essere meglio collocati al loro posto: i passaggi più contorti sono maggiormente funzionali e connessi alle sfuriate tipicamente black e, cosa fondamentale, The Art To Disappear riesce a non annoiare nonostante i nostri poco o nulla facciano per risultare più ammiccanti.
Indubbiamente, i due musicisti transalpini centrano il bersaglio quando si lasciano andare alle sfuriate black/industrial, con micidiali ordigni quali From the Terrifying to the Fascinating e Your Flesh Is a Relic, per esempio, o con la summa della loro musica costituita dalla conclusiva title track, che tra il terzo e il quinto minuto regala persino una spaventosa accelerazione di matrice black’n’roll.
Se Cypher in più di una circostanza non convinceva del tutto, questa nuova fatica degli Spektr sgombra molte di quelle nubi in virtù di una sintesi raggiunta grazie al maggior equilibrio e coesione tra le parti ambient-rumoriste e quelle di matrice black metal.
The Art To Disappear costituisce, quindi, un bel passo avanti e merita l’apprezzamento e l’attenzione di chi è più propenso ad ascolti anticonvenzionali.

Tracklist:
1. Again
2. Through the Darkness of Future Past
3. Kill Again
4. From the Terrifying to the Fascinating
5. That Day Will Definitely Come
6. Soror Mystica
7. Your Flesh Is a Relic
8. The Only One Here
9. The Art to Disappear

Line-up:
kl.K. – Vocals, Drums, Samples, Programming
Hth – Vocals, Guitars, Bass, Samples, Programming

Vanad Varjud – Dismal Grandeur in Nocturnal Aura

Quattro lunghi brani ci introducono in un mondo in cui la musica ambient, così come la conosciamo, viene di volta in volta spazzata via da accelerazioni comunque sempre abbastanza controllate, passaggi dalle sfumature epiche o progressioni piuttosto evocative.

Secondo album per i Vanad Varjud, band della quale poco si sa, se non che trattasi di un trio estone dedito ad un black ambient dai tratti ben poco rassicuranti.

Quattro lunghi brani ci introducono in un mondo in cui la musica ambient, così come la conosciamo, viene di volta in volta spazzata via da accelerazioni comunque sempre abbastanza controllate, passaggi dalle sfumature epiche o progressioni piuttosto evocative.
In effetti il lavoro può soffrire in parte di questa sua discontinuità, ma non si può negare che l’operato dei Vanad Varjud sia comunque meritevole di una certa attenzione. Forse lo screaming e un po’ troppo sgraziato, se rapportato al tipo di sound offerto, e Ott Kadak fatica specie quando deve spiegare la voce in senso melodico.
Il picco dell’album è senz’altro l’ottima Gloomy Sunday , mid tempo dalle azzeccate armonie chitarristiche in cui tutto funziona al meglio, avvicinando per attitudine un act estroso come gli A Forest of Stars.
Dismal Grandeur in Nocturnal Aura è quindi un lavoro di buona fattura, ancor più apprezzabile per la volontà dei nostri di non limitarsi ad un compitino privo di rischi, ma dando sfoggio, invece, di un sound a tratti grezzo ma senz’altro efficace e coinvolgente.

Tracklist:
1. Tume Kamber
2. Winter’s Dawn
3. Dismal Dusk
4. Gloomy Sunday

Line-up:
Thon – Drums, Vocals (backing), Piano
Sorts – Guitars, Bass, Fx
Ott Kadak – Vocals (lead)

VANAD VARJUD – Facebook

Auðn – Auðn

Auðn è la continuazione di un qualcosa che si è risvegliato con il black metal, ma questo qualcosa era lì latente e presente, come uno degli antichi di Lovecraft.

Dalla fertilissima Islanda arriva questo gran disco di black metal, fatto con Bathory nel cuore e nel suono.

Incastonati nella tradizione scandinava gli Auðn fanno un black metal con un respiro ampissimo, atmosferico e davvero ben fatto. Bathory ha mostrato a molta gente le luce e la maniera di fare musica estrema legandosi alle proprie tradizioni, e questo senza essere necessariamente scandinavi.
Il disco originale era uscito nel 2014, ed era doveroso ristampare questo disco per una maggiore diffusione che merita ampiamente. I suoni degli Auðn sono suoni tipicamente scandinavi, con un tocco particolare come tutte le cose fatte dagli islandesi. Non è una musica innovativa od originale, ma è un qualcosa fatto molto bene, con ottima composizione e produzione. Auðn è la continuazione di un qualcosa che si è risvegliato con il black metal, ma questo qualcosa era lì latente e presente, come uno degli antichi di Lovecraft. Questo suono in realtà è amore per la propria terra, le proprie tradizioni e per qualcosa che è oscuramente dentro di noi.

TRACKLIST
1.Klerkaveldi
2.Undir Blóðmána
3.Sífreri
4.Feigð
5.Landvættur
6.Þjáning Heillar Þjóðar
7.Auðn

LINE-UP
Aðalsteinn Magnússon – Guitar.
Andri Björn Birgisson – Guitar.
Hjalti Sveinsson – Vocals.
Hjálmar Gylfason – Bass.
Sigurður Kjartan Pálsson – Drums.

AUDN – Facebook

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Fimbulvinter – Начертаны резы древних заклятий

La fredda steppa Russa non è poi così lontana (climaticamente parlando) dalle lande scandinave.

Così devono aver pensato i Fimbulvinter, band nata nel 2009 a San Pietroburgo, al debutto sul finire dello scorso anno con questo bel dischetto di black metal epico, dalle chiare influenze che riconducono alle terre scandinave.
Dopo una storia travagliata, con molti cambi di line up e che vede stampata finalmente la loro musica dopo sette anni di attività, i Fimbulvinter raccolgono tutti i brani scritti in questi anni e li racchiudono in questo buon lavoro, dal titolo in lingua madre, così come i testi, mentre il sound risulta un’interpretazione di quello suonato in particolare nella terra svedese.
Ritmiche molte volte su velocità dal cadenzato mood epico, gran lavoro chitarristico che non disdegna riff e solos melodici ed imponenti, un ottimo uso delle voci, growl e scream, fanno dell’album un vigoroso tributo al black metal epico pagano.
Si respira aria di scontri tra le nevi e le boscaglie dei paesi nordici, il sangue macchia di rosso il bianco candore della neve, le spade si scontrano in uno stridore di lame, mentre le punte acuminate scagliate dagli arcieri, lasciano al suolo i corpi di giovani guerrieri, immolati alla gloria del regnante di turno e le cui anime, ora, cavalcano nel Valhalla.
Più di mezzora all’attacco con le melodie che la fanno da padrone, su un tappeto di glorioso ed epico metallo estremo, fanno dell’album un prodotto consigliato non solo ai blacksters, ma un po’ a tutti gli amanti del metal guerresco e dalle connotazioni epiche.

TRACKLIST
1. Сияние Севера
2. Разбиты, разорваны…
3. Воронов cтаи
4. Забыты дни, забыто прошлое…
5. Холод. Ненависть. Гибель
6. Зима тысячелетий
7. Битва настанет
8. Северу Отцу
9. Миру наступит конец

LINE-UP
Patrik – Guitars
Bjorn Raudrskeggi – Vocals
Shoma – Guitars
Tar – Drums
Alex – Tombstone Bass

FIMBULVINTER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Un buon lavoro, più di mezzora all’attacco, con le melodie che la fanno da padrone, su di un tappeto di glorioso ed epico metallo estremo, fanno dell’album un prodotto consigliato non solo ai blacksters, ma un po a tutti gli amanti del metal guerresco e dalle connotazioni epiche.

Ragnarok – Psychopathology

Face painting, croci rovesciate, sangue innocente e tanta attitudine old school, benvenuti nell’inferno del true norwegian black metal

Pura arte nera, sangue demoniaco che sgorga dalle ferite inferte dalla frusta, che dilaniò le carni del cristo prima di essere immolato sulla croce, un’assoluta presenza malefica invade le note dell’ultima blasfemia dei Ragnarok, tra gli ultimi difensori del puro spirito black, tra le band nate intorno alla metà degli anni novanta.

Il drummer Jontho ha lasciato definitivamente le pelli, sostituito dalla piovra Malignant, per dedicarsi esclusivamente a glorificare l’oscuro signore dietro al microfono, ed è questa la novità più eclatante di Psychopathology: per il resto l’album è quanto di meglio i superstiti del vero verbo black metal norvegese hanno da offrire nell’anno satanico 2016.
Gruppo fondamentale per la scena, attivo dal 1994, perciò qualche anno dopo l’esplosione della scena nordica, ma da subito importantissimo per lo sviluppo delle sonorità oscure, i Ragnarok non hanno mai perso la bussola dietro a facili successi, continuando ad esaltare la loro proposta estrema, con lavori senza compromessi e fedeli alla sottile linea nera del black metal.
Prodotto dal bassista dei Marduk, Devo, ed accompagnato dalla splendida cover realizzata da Marcelo Vasco, al lavoro pure con Slayer, Machine Head e Dimmu Borgir, il nuovo lavoro riporta il genere al suo grado più alto di disturbo socio religioso; estremo non solo musicalmente ma, soprattutto, concettualmente, Psychopathology riporta il black metal al picco dell’estremismo in musica, disturbante, malefico e diabolico come dovrebbe sempre essere, punto.
Potrei finirla qui di raccontare questo bellissimo e devastante lavoro, ma la regola impone di fare un sunto di queste undici perle nere come la pece, maligne fino al midollo e suonate da dio, o da satana, fate voi, fatto sta che l’album vi coinvolgerà a tal punto che correre davanti ad una chiesa per urlare tutto il vostro odio sarà un attimo, esaltati dalle atmosfere da tregenda di songs come le indiavolate I Hate, Infernal Majesty, Heretic e Blood, in un titolo tutto l’armageddon sonoro dei Ragnarok.
Un album che, nella sua attitudine senza compromessi, vede nella produzione pulita un buon motivo per ascoltarlo e riascoltarlo; professionalmente ineccepibile, sputa sul music biz il suo orrendo e famelico verbo, portando molto in alto la nera fiamma del metal immolato all’anti cristianità.
Face painting, croci rovesciate, sangue innocente e tanta attitudine old school, benvenuti nell’inferno del true norwegian black metal, benvenuti nel mondo dei Ragnarok.

TRACKLIST
1. Dominance and Submission
2. I Hate; 3. Psychopathology
4. My Creator
5. Infernal Majesty
6. Heretic
7. Into The Abyss
8. The Eighth Of The Seven Plagues
9. Lies
10. Blood
11. Where Dreams Come To Die

LINE-UP
Jontho Vocals
Bolverk Guitars
Malignant Drums

RAGNAROK – Facebook

Kawir – Father Sun Mother Moon

Questo è un altro gran bell’episodio della storia fiera e dura di questo gruppo ellenico

Tornano su Iron Bonehead i Kawir, leggendario gruppo metal greco, devoto ai vecchi dei del pantheon greco.

Dal 1994 i Kawir hanno arricchito e cambiato la scena estrema underground ellenica, spostando l’attenzione sugli dei greci, portandoli nel vortice del black metal mediterraneo. Il loro stile è molto minimale ed epico, usando un black metal con un pathos che in Norvegia difficilmente si può ascoltare. La loro importanza è grande, poiché il gruppo ateniese ha fatto entrare definitivamente l’ellenicità nell’agone estremo. La prolificità dei Kawir li ha portati anche ad avere formazioni con elementi provenienti da altre nazioni, ma ora sono tornati ad avere una line-up esclusivamente ellenica.
Il disco è stato registrato a soli nove chilometri di distanza dalle Termopili, e ciò ha davvero impregnato il disco di qualcosa di molto antico. Registrato con una produzione a metà fra lo fi e hi fi, perfettamente calzante, Father Sun Mother Moon è un ottimo esempio di come si possa fare un black metal diverso e non derivativo, con elementi propri e sentiti profondamente. Il titolo vuole celebrare il sole e la luna, due elementi che già da soli spiegherebbero molte cose e farebbero la nostra felicità, ma invece duemila e passa anni fa qualcuno ha deciso diversamente, ma questa è un’altra storia.
Un altro gran bell’ episodio della storia fiera e dura di questo gruppo ellenico.

TRACKLIST
01. To the Sovereign Sun
02. Dionysus
03. Hercules Enraged
04. To Diouscuri
05. To Mother Moon
06. Hail To The Three Shaped Goddess
07. The Taurian Artemis
08. The Descent of Persephone

LINE-UP
Therthonax – Guitars
Melanaegis – Guitars
Porphyrion – Vocal
Hyperion – Drums
Echetleos – Bass

KAWIR – Facebook

Manzer – Beyond the Iron Portal

Visti i precedenti ci si aspettava qualcosa di più, mentre in Beyond the Iron Portal manca quel mood disturbante da battaglia estrema con cui erano forgiati i brani più datati.

Torna il trio transalpino di cui ci eravamo occupati dopo l’uscita della compilation Pictavian Chronicles Volume 1 dello scorso anno, attivo dal 2008 e con una nutrita discografia composta da una marea di mini cd ed un full length, uscito nel 2013 dal titolo Light of the Wreckers.

I Manzer suonano un black/thrash old school sulla scia dei maestri Venom, con qualche sfuriata riconducibile ai Motorhead, e la loro proposta è quanto di più alcoolico e putrido si può trovare in giro per l’underground metallico; i dieci brani qui prodotti continuano la tradizione del loro sound, un metal estremo sparato a mille, ignorante e senza compromessi, da headbanging sfrenato sotto il palco e, purtroppo, nulla più.
La produzione deficitaria e lo stile nostalgico fanno sembrare questo lavoro una ristampa degli anni ottanta più che un album targato 2016.
Chitarre al limite, un’attitudine spregiudicata e piede a tavoletta sull’acceleratore bastano appena a raggiungere la sufficienza, mentre alcuni buoni spunti vicino al metal classico sono le uniche virtù di Beyond The Iron Portal, troppo poco per destare l’interesse degli amanti del metal estremo old school.
Sinceramente non ho trovato una song che si distingua fra le altre; i brani adottano tutti la stessa metodica: ritmiche black’n’roll, voce sguaiata, testi guerreschi e blasfemi e qualche solo di stampo classico mentre, come detto, la produzione appiattisce in modo imbarazzante il sound del trio.
Dall’ascolto della compilation mi aspettavo qualcosa di più, mentre nel lavoro su lunga distanza manca quel mood disturbante da battaglia estrema con cui erano forgiati i brani più datati.
Beyond The Iron Portal risulta così un lavoro rivolto solo a chi ama il metal più grezzo: qualche spunto di interesse gli amanti di queste sonorità lo potrebbero anche trovare, mentre per tutti gli altri l’udito deve necessariamente rivolgersi altrove, peccato.

TRACKLIST
1. Open the Portal
2. Torment of the Strix
3. Veisalgia Damnation
4. Prepare Your Soul to Die
5. 890 03:59 instrumental
6. Màetre é Cunpagnun
7. Nuclear Necropolis
8. Semen Goddess
9. Beyond the Iron Portal
10. Hard Metal Jackhammer

LINE-UP
Fëarann – Bass, Vocals (backing)
Shaxul – Drums, Vocals
Hylde – Guitars

MANZER – Facebook

Phobous – Realm Of Disorder

Phobous è il progetto solista dello statunitense Donald Schieck, che propone un black melodico ed atmosferico dai risultati contraddittori.

Il sound proposto dal musicista californiano si rivela tutto sommato accettabile finché sono le tastiere a condurre le danze, senza far gridare al miracolo ma facendo risultare almeno gradevoli i brani; i problemi emergono allorché entra in scena una chitarra dai suoni approssimativi che, se non fa neppure troppi danni nella fase iniziale del lavoro, si rivela addirittura grottesca in una traccia come Slaughter Through Seduction, un vero e proprio pasticcio che sconfina in ritmiche vicine al power metal: qui, davvero, non ci si capacita di come un musicista, fino a quel momento autore di una prova non memorabile ma quanto meno dignitosa, non si renda conto di quanto sia inaccettabile proporre nel 2016 soluzioni così raffazzonate.
Francamente, un episodio di tale fattura comprometterebbe anche lavori di livello ben superiore e, nel contesto, appare quasi come una pernacchia al termine di una solenne orazione funebre.
Realm Of Disorder avrebbe faticato comunque a raggiungere la sufficienza, a causa di diverse imperfezioni che qualche discreto spunto (Purest Light, Blackest Shadow) non riesce a far passare in secondo piano; il diy portato alle estreme conseguenze, in questo caso non fornisce i frutti sperati e Phobous non può essere oggi un progetto competitivo in un mercato iper saturo.

Tracklist:
01. Realm of Disorder
02. Blood Ties to Bloodshed
03. Purest Light, Blackest Shadow
04. Chains Upon My Aura
05. Vain Sacrifice and Desperate Hope
06. Patriot Storm
07. Slaughter Through Seduction
08. Chosen Bereavement

Line-up:
Donald Schieck: vocals, guitar, bass, keyboard, drum programming

PHOBOUS – Facebook

Vargafrost – Honour, Blood, Spirit & Love

I Vargarost fanno un black metal originale e quasi folk, con molte citazioni ed altrettante ottime idee.

Album di black metal fatto alla maniera classica norvegese, dagli antipodi chiamati Nuova Zelanda.

I Vargafrost sono uno dei tanti gruppi che amano la classicità del nero metallo, ma a differenza di molti sono decisamente sopra la media, sia per composizione che per esecuzione.
Honour, Blood, Spirit & Love è il loro secondo episodio discografico essendo un gruppo relativamente giovane, essendo nati nel 2012. Nel 2014 hanno pubblicato Warrios Of The Dawn, un altro disco notevole. Ma è con il presente lavoro che fanno colpo, vi sono pezzi in puro classico black metal, ma anche notevoli momenti maggiormente melodici. Nel complesso il disco è molto buono, i Vargarost suonano il genere in maniera originale e quasi folk, con molte citazioni ed altrettante ottime idee.

TRACKLIST
1.The Great Carven Stones
2.Völvaress
3.Odin’s Sacrifice
4.Honour, Blood, Spirit and Love
5.The Light of Baldr
6.Víðarr Arising
7.Dis Forvitin
8.Ask and Embla
9.The Ravens
10.Thursmegin
11.The Return

LINE-UP
Julian W.R – Guitars
Asken – Vocals
J.J Vanner – Drums
Levi Sheehan – Bass

VARGAFROST – Facebook

Goholor – In Saeculis Obscuris

Sedici minuti sono pochi per dare un giudizio definitivo, ma è vero che , dalla prima all’ultima nota, il sound non si libera delle catene con cui il gruppo ha imprigionato la musica prodotta senza impedire che i quatto brani risultino troppo simili tra loro.

La Symbol Of Domination Prod. licenzia questo esordio di quattro brani dei Goholor, gruppo di malvagi metallari provenienti dalla Slovacchia.

Growl rigorosamente death metal, cavernoso e demoniaco , una violenza oscura e blasfema, proveniente da secoli di marcia putrescenza, formano un sound molto evil, colmo di blast beat, ventate di zolfo e malvagità, buone ritmiche e sei corde in perenne ribasso, così da accentuare l’atmosfera infernale di In Seaculis Obscuris.
Il trio è composto da Anton al microfono, Demo alla sei corde e Pio a spaccare bacchette sul drumkit, un combo arcigno e dal sound che risveglia anime dannate e ci scaraventa nella dannazione eterna.
Behemoth e Dissection, ma anche tanto death metal old school, sono le influenze maggiori che si respirano in queste prime avvisaglie di guerra da parte dei Goholor, che danno tanto in approccio ed impatto, lasciando qualcosa indietro nel songwriting che risulta un po’ troppo monocorde.
Sedici minuti sono pochi per dare un giudizio definitivo, ma è vero che , dalla prima all’ultima nota, il sound non si libera delle catene con cui il gruppo ha imprigionato la musica prodotta senza impedire che i quatto brani risultino troppo simili tra loro.
Un ascolto ai fans del genere più oltranzisti può essere consigliato, aspettando un futuro full length con il quale poter valutare meglio le potenzialità del trio slovacco; per ora i Goholor strappano una sufficienza per via delle buone atmosfere malate e demoniache che comunque l’ep contiene.

TRACKLIST
1.Art Of Infernal Power
2.Naberius Daemon
3.Obscurus Sacramentum
4.Symbols Of Blasphemy

LINE-UP
Anton – vocals
Demo – guitars,vocals
Pio – drums

GOHOLOR – Facebook

Rotting Flesh – Infected Purity

Death metal con intarsi sinfonici e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione.

I Rotting Flesh arrivano da Salonicco: attivi da vent’anni sono vere e proprie glorie dell’underground ellenico, e Infected Purity è la ristampa del loro terzo lavoro uscito nel 2014.

Death metal con intarsi sinfonici, e fortissime influenze black metal, il tutto fatto con grande potenza e passione. I Rotting Flesh sono un gruppo che ha dovuto passare diverse difficoltà, infatti nonostante la loro longeva carriera e i loro tantissimi concerti la loro discografia è di sei demo e soli tre album ufficiali, poco come quantità, ma tutto di alta qualità. Il loro suono ha un incedere epico, una forza diabolica e tanto da insegnare, con un patrimonio frutto dell’esperienza e del talento. Sono solo in tre, un piccolo esercito del nero rumore, e hanno fatto un bel disco qui ristampato dalla sotto etichetta della Satanath, Symbol Of Domination, e dall’italiana Murdher Records, che propone sempre ottime cose del vero underground.

TRACKLIST
1.Altar Of Eclipse
2. Terrorscope
3. Infected Purity
4.Withdraw Cristianity
5.Sadness Of Empathy
6.Life And Torment
7.Shadowgloom
8.Flickering Rituals
9. Mental State
10. Abaddon
11. Skullgrinder
12. Nocturne

LINE-UP
Blackmass – Guitar, Vocals
Vincer – Guitar
Morbid Seraph – Keys
Mancer – Drums

ROTTING FLESH – Facebook

Grey Heaven Fall – Black Wisdom

In quest’album non si inseguono vanamente i nomi di punta del black/death, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.

I russi Grey Heaven Fall sono una realtà ben più che interessante, in quanto portatori di una proposta musicale a suo modo originale o, perlomeno, capace di differenziarsi il giusto dalla massa riuscendo così a spiccare in maniera netta.

Infatti, nel black/death che ne costituisce l’asse portante, il trio di Podolk immette un tecnicismo asservito al mantenimento di una tensione costante del sound, ed è proprio grazie a ciò che la bravura di questi musicisti non resta un esercizio fine a sé stesso e trova sbocco, invece, in un’ora di musica certamente impegnativa, ma talmente ricca di spunti da riuscire nell’intento di tenere alla larga ogni parvenza di noia.
Quelli che, in molti dischi prodotti da band con la stessa attitudine, si rivelano passaggi solo cervellotici, in Black Wisdom si ammantano di oscurità, giungendo persino ad evocare un mood malinconico che parrebbe antitetico alle robuste partiture della band russa: in quest’album non si inseguono vanamente i nomi di riferimento del genere suonato, bensì vengono ampliati non poco gli orizzonti sonori grazie ad un impeto avanguardistico sempre equilibrato e ben sorretto dalla tecnica individuale.
Black Wisdom trova la sua sublimazione in un ascolto attento e non frammentato, essendo un album che va consumato nella sua interezza perché possa appagare in maniera totale tutti i sensi: già, perché qui la tensione prodotta da un sound di rara profondità si assapora, si tocca, si annusa e si osserva; velenosa ed amara, come i suoi testi critici nei confronti della religione (cantati in lingua madre ma lodevolmente restituiti in inglese nella confezione curata dalla Aesthetics Of Devastation), la musica dei Grey Heaven Fall si esalta nella sua reiterazione, annichilendo una potenziale concorrenza magari di pari livello per maestria tecnica ma inferiore per efficacia e sintesi del songwriting.
Cito ad esempio solo To The Doomed Sons Of Erath, un brano che lacera l’anima con le sue dissonanze che non riescono ad imprigionare un afflato melodico e drammatico come di rado è dato ascoltare, ma mi spingo a anche a rimarcare assoli chitarristici di grande classe che spiccano come oasi improvvise nel cuore di maelstrom sonori quali Spirit of Oppression e That Nail in a Heart ; black, death, doom, progressive, ambient, in Black Wisdom entra tutto questo ma viene risputato fuori in una forma che non appartiene di diritto ad alcun illustre progenitore.
Vi diranno che ci possono essere somiglianze con il black avanguardistico di band come Deathspell Omega o Blut Aus Nord: sarà anche vero, ma secondo me i Grey Heaven Fall superano a tratti anche questi inattaccabili esempi, in virtù di un’espressione sonora che nasce da un sentire profondo, da un’inquetuidine che trova sfogo in una furia metronomica ma nel contempo inarrestabilmente creativa.
Black Wisdom è un disco che quando entrerà in circolo lascerà strascichi irreparabili, sappiatelo.

Before trying to find God in beauty, look for him in the deepest abomination

Tracklist:
1.The Lord is Blissful in Grief
2.Spirit of Oppression
3.To the Doomed Sons of Earth
4.Sanctuary of Cut Tongues
5.Tranquillity of the Possessed
6.That Nail in a Heart

Line-up:
Arsagor – Guitars, Vocals
SS – Bass
Pavel – Drums

GREY HEAVEN FALL – Facebook

Ereb Altor – Blot-Ilt-Taut

Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

L’importanza epocale di un musicista come Quorthon è pari solo alle molte leggende create su questo mitico personaggio, che con i suoi Bathory, per molti i veri padri del black metal scandinavo nonché ispiratori del genere viking, ha avuto un’importanza primaria sullo sviluppo di un certo modo di concepire il metal estremo.

Purtroppo nel giugno del 2004 il musicista svedese ci ha lasciati per cavalcare nel Valhalla, lasciando in eredità dei capolavori di musica estrema, epica ed evocativa influenzando una miriade di gruppi, tra cui i conterranei Ereb Altor che tonano con questo tributo al loro maestro, dopo l’ottimo Nattramn uscito lo scorso anno.
E mai band poteva tributare un omaggio ai Bathory meglio del gruppo degli ex-Isole Mats e Ragnar, veri cultori della musica scritta dal musicista e compositore svedese e, con Blot-Ilt-Taut, direi che la missione è stata compiuta.
Sangue-Fuoco-Morte, la traduzione del titolo dell’album, che in tre forti parole esprime il concept dietro a questi leggendari brani, epici, oscuri e maligni, presi da altrettanti capolavori come Under the Sign of the Black Mark, Blood Fire Death, Hammerheart e Twilight Of The Gods, insomma il meglio scritto da Quorthon con la sua seminale band.
L’album, mixato e masterizzato da Jonas Lindström all’Apocalypse Studio, con la copertina creata da Robban Kanto e licenziato in vinile e nel supporto digitale, ripercorre una bella fetta di carriera dei Bathory, dall’apparizione alla compilation Scandinavian Metal Attack uscita nel 1984 con The Return of Darkness and Evil, passando per Woman Of Dark Desire, oscura black metal song da Under The Sign Of The Black Mark del 1987.
Blood Fire Death è glorificato dalla spettacolare title track e da A Fine Day to Die, mentre il successivo Hammerheart è presente con altri due brani, Song to Hall Up High e Home of Once Brave, cavalcata epica e drammatica ed uno dei brani più belli dello storico gruppo svedese.
Twilight Of The Gods, titletrack dell’omonimo lavoro del 1991 e spettacolare brano dalle atmosfere evocative, chiude il cerchio.
Le songs non sono inserite nella track list in ordine cronologico, ma è un dettaglio, rimane l’ottima prova del quartetto svedese, alle prese con un pezzo importantissimo del metal estremo mondiale che la band interpreta alla grande, mettendoci qualcosa di suo, senza snaturare il credo musicale di questo grandissimo musicista.
Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

TRACKLIST
1. A Fine Day to Diev
2. Song to Hall Up High
3. Home of Once Brave
4. The Return of Darkness and Evil
5. Woman of Dark Desires
6. Twilight of the Gods
7. Blood Fire Death

LINE-UP
Mats – Vocals, Bass, Guitars, Keyboards
Ragnar – Keyboards, Vocals, Bass, Guitars
Tord – Drums
Mikael – Bass, Vocals

EREB ALTOR – Facebook

Enisum – Arpitanian Lands

La bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.

Sono sempre di più le band italiane dedite ad un black metal che, pur non rinnegando le radici del genere, ben affondate nelle gelide foreste scandinave, traggono ispirazione dalle proprie terre di provenienza conferendo al sound un’aura differente, arricchendolo a seconda dei casi di elementi folk, pagan o ambient.

Gli Enisum arrivano dalla Val di Susa (una zona del nostro paese che, come altre, sta per essere stuprata in nome di logiche mercantili contro il volere delle popolazioni, ma questa è purtroppo un’altra storia), ed il monicker altro non è che la trascrizione al contrario di Musinè, montagna simbolo della vallata nonché, a vario titolo, teatro di leggende e misteri.
Il progetto fondato nello scorso decennio da Lys (all’epoca con il nome d’arte di Silentium) dopo cinque lavori realizzati in autonomia tra il 2006 ed il 2013, negli ultimi anni ha assunto la forma di band vera e propria con l’ingresso in formazione di Leynir (basso), Dead Soul (batteria) ed Epheliin (voce femminile).
Come spesso accade, questo consente al musicista che ha in mano le redini del gruppo di progredire ulteriormente dal punto di vista compositivo, avvalendosi di un confronto costante con altri membri, e questo pare essere accaduto anche a Lys: se già Samoht Nara era un buon album, Arpitanian Lands costituisce un ulteriore salto di qualità, spingendo il sound su e già per gli impervi pendii delle vallate, ora con le accelerazioni tipiche del genere, ora con ariose aperture di matrice post black.
Se uno dei gruppi ispiratori degli Enisum, anche per ammissione dello stesso Lys, sono i Wolves In The Throne Room (oltre ai magnifici quanto sottovalutati Lunar Aurora) , non bisogna aspettarsi di trovare in questo lavoro esclusivamente le tipiche sonorità cascadiane, se non sotto forma di inevitabili riferimenti piazzati qua e là (soprattutto nel brano utlilizzato per realizzare il video ufficiale, Desperate Souls): la bontà di Arpitanian Lands risiede particolarmente nella capacità degli Enisum di esprimere una cifra stilistica piuttosto personale che, sovente, esula dal black vero e proprio per spingersi su terreni molto più melodici ed evocativi.
In tal senso i tre brani maggiormente caratterizzanti sono Chiusella’s Waters, in cui una sognante coralità si alterna all’ottimo lavoro chitarristico, Fauna’s Souls, dall’anima folk pur se non del tutto esplicita, e la meravigliosa The Place Where You Died (anche qui i WITTR fanno capolino, specie nella sua prima metà): ovviamente pure queste tracce sono screziate dal robusto incedere ritmico e dallo screaming di Lys, ma le armonie sullo sfondo creano un substrato emotivo che ben si addice alla dichiarazione d’amore per una natura che continuerà a sovrastare, fino agli ultimi attimi di vita di questo pianeta, la razza umana e la sua protervia .
Arpitanian Lands è un ottimo album e non ci sono scuse plausibili per ignorarlo.

Tracklist:
1. Arpitanian Lands
2. Alpine Peaks
3. Chiusella’s Waters
4. Mountain’s Spirit
5. Rociamlon
6. Fauna’s Souls
7. The Place Where You Died
8. Desperate Souls
9. Sunsets on My Path

Line-up:
Lys – guitar, vocals
Leynir – bass
Dead Soul – drums
Epheliin – vocals

ENISUM – Facebook

Mithridatic – Miserable Miracle

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche, invase da questo morboso e violento tsunami di metal estremo.

La Kaotoxin, label specializzata nel genere, licenzia il primo lavoro sulla lunga distanza dei devastanti Mithridatic, gruppo nato quasi dieci anni fa a Saint Etienne, città nel nord della Francia.
Dopo un demo ed un ep, uscito lo scorso anno, anche per i Mithridatic è giunto il momento del tanto atteso full length, ed il gruppo le sue carte l’ha giocate alla grande con Miserable Miracle, un album di metal estremo che unisce in sé tradizione e modernità, ritmiche black/thrash e potenti anthem colmi di di insano groove, il tutto condito da un impatto ed un’attitudine sopra le righe.
Certo qualche difetto da correggere col tempo non manca (le songs tendono ad assomigliarsi un po’ troppo), ma il sound c’è, così come una certa predisposizione a non fossilizzarsi troppo nel corso del lavoro verso uno stile preciso, creando un devastante sound che pesca tanto dall’old school quanto dal moderno metal, rimandando alla scena blackened polacca e richiamando atmosfere di morboso industrial e death estremo, insomma un massacro.
L’attacco frontale è di quelli che scaraventano al muro con una forza sovrumana, le atmosfere apocalittiche ed insane ( Oxydized Trigger Sabotage ) non fanno che aumentare la claustrofobica sensazione di malessere che pervade le songs racchiuse in questo armageddon sulla Terra, alternando veloci bombardamenti in blast beat a cadenzate cadute verso l’abisso, oscuro, pesante e destabilizzante (la title track, Funambule Pénitent).
Sul versante death l’angelo morboso è il protagonista indiscusso della musica dei nostri, potenziato dal black dei Behemoth e riminiscenze industrial, così da creare un inferno di musica estrema e sconvolgente.
Buon lavoro dunque, una mazzata estrema con tutti i crismi per piacere agli amanti dei suoni estremi con tendenze apocalittiche.

TRACKLIST
1. The Supply…
2. …For Terror and the Crowd
3. Miserable Miracle
4. I Will Harm
5. Funambule Pénitent
6. Hell Compasses Points
7. Oxydized Trigger Sabotage
8. Dispense the Adulterated
9. Vitrified Desert

LINE-UP
Guitou – Vocals
Alexandre Brosse – Guitars
Romain Sanchez – Guitars
Remolow – Bass
Kévin Paradis – Drums

MITHRIDATIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=1d_pCKRxSUs

Ancient Spheres – In Conspiracy with the Night

Progredire è d’obbligo ed appare comunque un’impresa possibile: un minimo di personalità in più e un aggiustamento dei suoni potrebbero rendere competitivi in futuro gli Ancient Spheres

Gli Ancient Spheres sono esponenti di una scena estrema costaricense in crescita, nella quale ci siamo peraltro già imbattuti di recente con l’ottimo album dei Black Whispers.

Qui la materia trattata è il black metal nella sue vesti più tradizionali: In Conspiracy with the Night è il secondo full length da parte di una band che si dimostra in grado di interpretare più che dignitosamente il genere, ma che appare ancora lontana dal raggiungimento di quegli standard necessari per consentire al trio di emergere.
A fronte di buone intuizioni è talvolta è l’esecuzione strumentale a fare difetto, con sbavature che in un regime di concorrenza così spinta non ci si possono consentire. Peccato, perché alcuni brani (la più rallentata Ethereal ed Emperors of the Night) possiedono un incedere convincente ed appaiono ben inseriti nei canoni del genere ma, proprio alla luce di questo, se non funziona tutto alla perfezione o quasi, vengono inevitabilmente meno i possibili motivi di interesse per l’ascoltatore.
Progredire è d’obbligo ed appare comunque un’impresa possibile: un minimo di personalità in più e un aggiustamento dei suoni potrebbero rendere competitivi in futuro gli Ancient Spheres all’interno di una scena più affollata di una metropolitana nelle ore di punta.

Tracklist:
1. Enchantment of the Night
2. Invoking Darkness
3. A Tale Told Two Thousand Times
4. Ethereal
5. Emperors of the Night
6. The Sign
7. My Ancient Spirits
8. Slaughters
9. The Old Forest
10. Cold and Dead Stone
11. In Solitude I Die
12. Lord of the Morbid Ritual
13. Chaos Compass
14. Serkes
15. Sands of Oblivion

Line-up:
Adolfo Bejarano – Guitars
Yeudiel Chacón – Bass, Vocals
Raymondsz – Drums

ANCIENT SPHERES – Facebook

Asphodelus – Dying Beauty & The Silent Sky

Le tre tracce più l’intro sono un esordio notevole, per un gruppo che si sta evolvendo nella tensione di fare sempre meglio, riuscendo in pieno nell’intento.

I finlandesi Cemetery Fog passano da duo a trio, cambiano nome diventando Asphodelus ed esordiscono su Iron Bonehead con questo dodici pollici.

L’evoluzione musicale dal precedente periodo è evidente, dato che si passa dal doom death puro a qualcosa di ora più vicino alla scena inglese dei primi anni novanta, che è un po’ la colonna del genere. C’è molto classicismo goticheggiante nelle loro canzoni, che sono ben composte e di ampio respiro, drammatiche ed immanenti. Le tre tracce più l’intro sono un esordio notevole, per un gruppo che si sta evolvendo nella tensione di fare sempre meglio, riuscendo in pieno nell’intento.In questo disco ci sono molti echi, soprattutto di una cultura metallara estesa e competente, che si sublima in questa splendida musica triste.

TRACKLIST
1.Intro
2.Illusion Of Life
3.Dying Beauty And The Silent Sky
4.Nemo Ante Mortem Beatus

LINE-UP
J. Filppu – Guitar, Vocals.
J. Väyrynen – Guitar.
V. Kettunen – Drums.

ASPHODELUS – Facebook

Brünndl – Brünndl

L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento

I Brünndl si fanno portavoce, musicalmente parlando, della minoranza linguistica cimbra, la cui presenza sul territorio nazionale è costituita da alcuni nuclei disseminati in diverse vallate del Veneto: l’idioma parlato è di ceppo germanico e la band lo utilizza in più passaggi del suo primo full length.

Al di là di queste curiosità storico-geografiche, il terzetto propone a tratti un black dai forti influssi pagan-folk, esibiti in particolare nella traccia d’apertura La Via della Valsugana, mentre in altri momenti prevale l’impronta più canonica del genere, con un occhio rivolto alla feconda scena teutonica.
L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl (ovvero il fiume Brenta in tedesco antico) interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento, vanificati però parzialmente da una voce pulita che viene utilizzata in alternativa allo screaming in maniera un po’ approssimativa, mentre le cose funzionano decisamente meglio allorché l’approccio si fa più corale.
Come detto, Brünndl è un disco che si fa apprezzare ma, forse, per far quadrare definitivamente  il cerchio, ai Brünndl manca ancora qualcosa per riuscire ad omogeneizzare al meglio le diverse componenti del loro sound: un obiettivo che, con il contributo di alcune limature a livello di scelte vocali e di produzione, appare ampiamente alla portata dell’interessante band bassanese.

Tracklist
1- La via della Valsugana
2- Marckwisenkhalt
3- Freyjoch
4- Magaan
5- Sonno e Verena
6- Il portale del Tramonto

Line-up:
Stephan – Bass
Myrk – Drums
Markus – Guitars, Vocals