Know Your Nemesis – Break The Chains

Break The Chains è sicuramente un’ottima partenza per la band scandinava, una realtà da tenere d’occhio in un prossimo futuro

Melodia e potenza convogliate in un metal moderno che guarda tanto al death melodico scandinavo quanto al metal core è quello che troverete tra i solchi di Break The Chains, esordio dei Know Your Nemesis, quartetto norvegese attivo dal 2009, ma che solo ora si presenta sul mercato grazie alla WormHoleDeath.

Il gruppo di Kongsvinger entra nel calderone delle giovani band dedite al metallo più moderno, ma non si siede sugli allori delle solite ritmiche sincopate e violenza gratuita, il loro sound risveglia antichi sapori melodic death, non facendosi mancare un supporto classico, specialmente nei solos, ma riuscendo a mantenere un approccio moderno e tutto ciò che ne consegue, ovvero tanta melodia e la classica alternanza tra lo screaming estremo ed un’ottima voce pulita.
Break The Chains può sicuramente essere considerato un buon debutto, tra i brani che compongono l’album almeno una manciata sono sopra la media ed il resto si attesta su buoni livelli, considerando il genere inflazionato e le opere scialbe a cui ultimamente ci siamo trovati ad ascoltare.
Prodotto ottimamente, così da far risaltare il sound composto da potenza e melodie cristalline, bilanciate perfettamente tra i chiaro/scuri che l’uso delle due voci imprimono alle canzoni, Break The Chains risulta un lavoro di metallo moderno piacevole, che non manca di riservare piccole sorprese, come un uso parsimonioso ma importantissimo di ritmiche thrash, e solos di estrazione classica che regalano all’ascoltatore un sound vario e che non ha tagliato il cordone ombelicale che lo lega al metal tout court.
Tutti bravi i quattro musicisti norvegesi, ma un plauso va sicuramente al gran lavoro delle due asce, protagoniste indiscusse di questo lavoro, mentre Break The Chains acquista valore col passare dei minuti lasciando il meglio verso la sua fine.
Ed infatti l’album dopo una partenza non così fulminea come ci si può aspettare, cresce col passare dei minuti e da Blind Me (quinta traccia) è un crescendo di scandinavian modern death metal, con i maestri Soilwork a risultare la massima ispirazione di songs come Are We Alone (Unholy War), Freedom Call, End Of Me e la conclusiva Free My Fears.
Break The Chains è sicuramente un’ottima partenza per la band scandinava, una realtà da tenere d’occhio in un prossimo futuro; aspettando di conoscere gli sviluppi del loro sound, nel frattempo godiamoci questo primo lavoro, che senz’altro merita l’attenzione degli amanti del genere.

TRACKLIST
1.Fade Away
2.Metaphor of Broken Dreams
3.Break the Chain
4.Breathe
5.Blind Me
6.Are We Alone (Unholy War)
7.So be It
8.Freedom Call
9.End of Me
10.Free my Fears

LINE-UP
Ole Petter Bjørnseth – Guitar,Vocals
Marius Haugen – Guitar,Backing Vocals
Ole Kristian Bekkevold – Bass
Birk William Hynne – Drums

KNOW YOUR NEMESIS – Facebook

DevilDriver – Trust No One

I DevilDriver si confermano come una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità

Tornano i DevilDriver dell’arcigno Dez Fafara, uno dei personaggi più veri dell’ultimo ventennio metallico statunitense, con i Coal Chamber prima e dal 2003 anche sul ponte di comando di questa temibile macchina estrema.

La band californiana è un rullo compressore, magari non potrà vantare il classico disco capolavoro, ma la sua discografia ha mantenuto nel corso degli anni e per ben sette full length una buona qualità sommata ad un impatto che si conferma di tutto rispetto anche su questo ultimo album, il secondo per Napalm Records.
In seno al gruppo non mancano novità importanti, infatti la line up è stata rivoluzionata di ben tre quinti, risparmiando solo il fido chitarrista Mike Spreitzer, ma il sound del gruppo non mancherà di far felici gli amanti dei classici suoni del nuovo millennio.
Trust No One, come i suoi predecessori, continua imperterrito a solcare la strada ormai battuta dal leader, i DevilDriver sono una perfetta macchina metallica che scarica, su pesantissime ritmiche core fumanti di groove, solos melodici che a tratti ricordano i gruppi melodic death metal scandinavi, con Fafara che sbraita rabbioso con la sua personale timbrica catarrosa e ruvida, forte di refrain che si avvicinano al new metal più pesante ed estremo.
E la macchina corre forte e veloce, fa spallucce ai problemi di line up, trova nuova benzina e nuove energie e, a fronte degli anni che passano, ci regala un ennesimo monolite di metallo estremo e moderno, cattivo e dannatamente coinvolgente, una bestia feroce che morde, azzanna, vi lacera le carni con le sue fameliche zanne, si nutre di possenti ritmiche e melodie chitarristiche oliate a dovere, per una tempesta di suoni e note metalliche.
Trust No One non porta nessuna novità sonora in seno al sound del gruppo statunitense, la formula ben collaudata ed il mestiere fanno di Testimony Of Truth, My Night Sky, l’esplosiva Daybreak e la conclusiva e devastante For What It’s Worth un’apoteosi di fughe in doppia cassa, laceranti solos, bombardamenti ritmici e sguaiati, violenti inni di rabbioso metallo.
I DevilDriver si confermano una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità; gli anni passano ma l’energia e la rabbiosa attitudine rimangono le stesse e tanto basta, bravo Dez.

TRACKLIST
01. Testimony Of Truth
02. Bad Deeds
03. My Night Sky
04. This Deception
05. Above It All
06. Daybreak
07. Trust No One
08. Feeling Ungodly
09. Retribution
10. For What It’s Worth

LINE-UP
Dez Fafara – Vocals
Mike Spreitzer – Guitars
Austin D’Amond – Drums
Neal Tiemann – Guitars
Diego “Ashes” Ibarra – Bass

DEVILDRIVER – Facebook

Cadaveric Fumes – Dimensions Obscure 12 “

Le quattro tracce danno l’impressione di un gruppo sempre in pieno controllo e con una forza compositiva fuori dal comune

Esordio sulla corta distanza per questo gruppo francese, fautore di un death metal molto atipico ed incentrato sul passato ma anche oltre.

La definizione death metal va un po’ stretta per una band che usa certamente il codice del death, ma le cui soluzioni sonore superano quelle canoniche.
Partendo dalle solide basi del genere, i Cadaveric Fumes sviluppano un suono che è molto originale e tocca diversi porti nel proprio peregrinare.
Ci sono persino ottimi residui di thrash metal in questo impasto sonoro e il death è molto simile a quello scandinavo dei fine ottanta, inizio novanta, con il suo caratteristico incedere.
Le quattro tracce danno l’impressione di un gruppo sempre in pieno controllo e con una forza compositiva fuori dal comune, tanto da dare anche un tocco black al loro suono. Un grande inizio per un gruppo da seguire.

TRACKLIST
01 Crepuscular Journey
02 Extatic Extirpation
03 Where Darkness Reigns Pristine
04 Swallowed Into Eternity

LINE-UP
Romain Gibet – Vocals
Wenceslas Carrieu – Guitar
Léo Brard – Drums
Reuben Muntrand – Bass

CADAVERIC FUMES – Facebook

In Mourning – Afterglow

Gli In Mourning non deludono affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo

Gli svedesi In Mourning appartengono a quella categoria di band di ottimo livello che, nonostante una storia ultradecennale ed una discografia già abbastanza significativa per qualità e quantità, non hanno ancora raggiunto i picchi di popolarità che meriterebbero.

Autori di un death che si sviluppa costantemente tra pulsioni progressive, melodiche e doom, i quattro scandinavi pagano probabilmente la loro non semplicissima collocazione all’interno di una specifica frangia del genere: se, infatti, a tratti sembra di ascoltare una versione più moderna degli Opeth d’inizio millennio, gli appropriati rallentamenti pongono il sound verso una cupezza vicina agli October Tide (non cito a caso la band di Norrman, visto che sia l’ottimo vocalist Tobias Netzell che il bassista Pierre Stam ne hanno fatto parte in passato) mentre più di una volta è il trademark melodico tipicamente svedese a caratterizzare il sound, come viene brillantemente esplicitato dall’opener Fire and Ocean.
Il girovagare tra tutte queste pulsioni depone a favore di una certa ecletticità degli In Mourning, anche se permane un umore cupo di fondo, derivante da un trademark doom che non si manifesta più di tanto, però, tramite i caratteristici ed asfissianti rallentamenti.
La band svedese si rende protagonista di un lavoro eccellente nel suo complesso, con una serie di brani ficcanti che potrebbero far breccia un po’ in tutti quelli che amano sonorità robuste intrise nel contempo di melodie tecnica e di una giusta dose di malinconia; personalmente prediligo gli In Mourning quando spiegano le ali verso il death doom melodico, spesso vicino nel suo sentire agli Swallow The Sun (come avviene magistralmente nella conclusiva title track) e un po’ meno, invece, allorché sono gli influssi opethiani a prendere il sopravvento (Ashen Crow, soprattutto) ma, come detto, è solo una questione di gusto soggettivo.
Va detto, peraltro, che queste anime più di una volta si incontrano e la loro convivenza, per nulla forzata, produce frutti notevoli (The Call to Orion su tutte, ma riuscitissima è anche The Lighthouse Keeper) con buona continuità ed una mai scontata padronanza della tecnica strumentale, con menzione d’obbligo, oltre ai musicisti già citati, per i chitarristi Björn Pettersson e Tim Nedergård e per un pezzo da novanta della scena musicale svedese come il drummer Daniel Liljekvist, per oltre un decennio nei Katatonia.
In buona sostanza, questo ritorno dopo quattro anni dal precedente album, da parte degli In Mourning, non delude affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo: insomma, da accaparrarsi e goderne pressoché a scatola chiusa …

Tracklist:
1. Fire and Ocean
2. The Grinning Mist
3. Ashen Crown
4. Below Rise to the Above
5. The Lighthouse Keeper
6. The Call to Orion
7. Afterglow

Line-up:
Pierre Stam – Bass
Tobias Netzell – Guitars, Vocals
Björn Pettersson – Guitars
Tim Nedergård – Guitars
Daniel Liljekvist – Drums

IN MOURNING – Facebook

Eternal Delyria – Delirium

Con personalità e buone idee la band aggiunge al suo furioso metallo armonie tastieristiche di estrazione gothic e il risultato è un quanto mai piacevole death dai rimandi sinfonici

Sono pronti per pubblicare, a giugno di quest’anno, il primo full length il cui titolo sarà Letting Go of Humanity, nel frattempo noi di Iyezine facciamo un passo indietro e torniamo a due anni fa quando gli Eternal Delyria pubblicarono questo buon debutto autoprodotto.

Il gruppo proveniente dal Canton Ticino è composto da sei elementi, in questo lavoro suonava ancora il vecchio bassista , poi sostituito da Thimothi Scandella, che con Alexander Lutz alla voce, Nicola Leoni e Fausto Boscari alle chitarre, Claudio Esposito alle tastiere e Alex Ruberto alle pelli, formano l’attuale line up.
Il loro sound di matrice estrema risulta un ottimo melodic death metal, l’ispirazione guarda alle terre scandinave, ma il gruppo non risulta una fotocopia dei primi In Flames o Dark Tranquillity.
Con personalità e buone idee la band aggiunge al suo furioso metallo armonie tastieristiche di estrazione gothic e il risultato è un quanto mai piacevole death dai rimandi sinfonici, senza voci femminili, perciò duro ed aggressivo quanto basta per piacere anche agli amanti del death classico.
Ottimo l’uso dei tasti d’avorio, sempre presenti e ben inseriti nel sound che tra cavalcate metalliche e tanta melodia, piace al primo assaggio.
Prodotto benissimo, Delirium dopo l’intro cinematografica parte con il riff marziale di Mutation, per poi esplodere in tutta la sua debordante varietà di solos riff e ritmiche.
Gotico, estremo, ed oscuro come una foresta alpina, Sacrifice gronda metallo estremo ma elegante, le tastiere disegnano armonie gotico progressive, mentre lo scream rimane aggressivo ma gustosamente interpretativo.
Wake Up è il primo singolo e video del gruppo, ritmiche thrash amoreggiano con tastiere melodiche, mentre l’atmosfera si surriscalda maggiormente nelle ottime What’s The Point e la conclusiva Surrounded By Lies.
Catamenia, Children Of Bodom, Dimmu Borgir e tante atmosfere gotiche, sono le principali indicazioni che mi sento di suggerire a chi si avvicina alla musica del gruppo svizzero.
Manca poco al primo full length, state sintonizzati.

TRACKLIST
1.Intro
2.Mutation
3.Sacrifice
4.Wake Up
5.What’s The Point
6.Surrounded By Lies

LINE-UP
Clod – Keyboards
Lutz – Voice Growl & Scream
Alex – Drums
Fot – Guitar
Nyx – Guitar
Tim – Bass

ETERNAL DELYRIA – Facebook

Prisoner Of War- Rot

12″ e mini cd d’esordio per questo truculento gruppo neozelandese che tratta principalmente tematiche di guerra.

12″ e mini cd d’esordio per questo truculento gruppo neozelandese che tratta principalmente tematiche di guerra, confermando una decisa ascesa della scena metal neozelandese, che si conferma veramente true e legata alla vecchia scuola.

I Prisoner Of War sono un bel trio di macellai, si sono uniti nel 2013 per fare un thrash sporco e cattivo, con intarsi anni ottanta per creare un bel magma sonoro davvero potente. Rot è stato registrato dal vivo in un pomeriggio solo, andando poi a overdubbare chitarre e voci a parte. Il risultato è notevolmente una mazzata, ancor di più se si leggono i testi che parlano in maniera diretta e vera della brutta realtà chiamata guerra. Un altro ottimo gruppo neozelandese, di cui aspettiamo un disco di più corposa durata.

TRACKLIST
01. Slow And Painful Death By Gas
02. Evil Sky
03. Purgatorial Shadow
04. Twisted Mass Of Burnt Decay
05. Rot

LINE-UP
Charred Remains – Vocals, Bass.
Typhoid Filth – Guitars.
MG – 42 – Drums.

http://www.facebook.com/IronBoneheadProductions

Uhttps://www.youtube.com/watch?v=0xpbi07uMtw

Diesear – Ashes of the Dawn

Un sound rabbioso, veloce e tempestoso, colmo di scale e solos melodic, accompagnato da un tappeto ritmico che varia tra sgommate micidiali di thrash metal e potenti muri di groove moderno

Questo giovane gruppo proveniente da Taiwan nasce nel 2007, è una delle migliori realtà della scena metallica estrema del loro paese e lo confermano con Ashes Of The Dawn, secondo full length che segue le gesta di The Inner Sear, debutto datato 2009.

In Iyezine siamo abituati a confrontarci con il metal proveniente dai paesi più remoti e fuori dai soliti circuiti, perciò non sorprende più di tanto incontrare una band nata in un luogo inusuale per queste sonorità, proponendo un ottimo compromesso tra il melodic death metal scandinavo ed il metalcore statunitense, reso ancora più brutale e potente da ritmiche thrash metal e valorizzato da un lavoro alle sei corde di altissimo livello.
Un sound rabbioso, veloce e tempestoso, colmo di scale e solos melodici, accompagnato da un tappeto ritmico che varia tra sgommate micidiali di thrash metal e potenti muri di groove moderno, una voce cartavetrata, perfetta per il genere, riescono ad elevare questo album a qualcosa di più che una canonica riesumazione del death melodico portato al successo dalle solite band a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio e diciamolo francamente, non è poco.
Taipei, ne Stoccolma o Goteborg, ma Taipei, la nuova frontiera del genere si sposta verso oriente e i Diesear non sono neanche l’unico gruppo di un certo valore che giunge da quei paesi.
India in primis e poi tutte le altre terre che formano il continente asiatico, hanno portato in dote ai vari generi metallici un’orda di gruppi intenti a sviluppare le varie influenze arrivate dall’Europa e dagli States, mettendoci sempre qualcosa di loro, così da non risultare mai banali copie dei più famosi gruppi occidentali.
I Diesear viaggiano a velocità pazzesche sulla transiberiana del metal estremo, Ashes Of The Dawn è una mazzata furibonda, ma attenzione; la tecnica e la personalità di questi giovani musicisti è di alto livello, i brani mantengono un tiro micidiale, la tensione non cala un attimo e come detto le chitarre travolgono l’ascoltatore in un vortice di violenza e melodia da infarto.
Shadows of Grey, la splendida Silent Division e poi via via tutte le altre songs, formano un album che frantuma ogni vostra convinzione su dove si suona meglio il genere in questo inizio millennio, con il quartetto che si candida come una delle più belle sorprese dell’anno, battendo sul campo molti nomi noti in rotazione su Rock Tv e compagnia satellitare.
Primi Soilwork, The Crown, At The Gates e poi Devil Driver e Machine Head, questi sono gli ingredienti con cui il gruppo confeziona un piccantissimo piatto a base di metal estremo, prendete e mangiatene tutti.

TRACKLIST
1. Faith In Ares
2. Shadows Of Grey
3. Fearless
4. Silent Division
5. Corrode My Soul
6. Dying Dust
7. Breath Remains
8. Until The Light
9. Blazing Wings
10. Falling Ashes
11.Dig Your Lies

LINE-UP
Amo – drums
Sui – guitars
Chris-J – guitars
Kurenai – vocals

DIESEAR – Facebook

Circle Of Indifference – Welcome To War

Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference

Piano piano, uno alla volta, tornano con nuovi lavori tutti i gruppi che un paio di anni fa, chi più chi meno, avevano impreziosito con album dall’elevata qualità l’underground metallico.

Questa volta tocca ai Circle Of Indifference del polistrumentista svedese Dagfinn Övstrud, realtà scandinava dalle potenzialità enormi confermate anche in questo bellissimo lavoro che ci invita senza mezzi termini alla guerra.
Infatti il mood dell’album è molto più in your face rispetto al suo splendido predecessore, anche se Övstrud non ci fa certo mancare il suo incredibile talento per melodie in piena overdose da scandinavian melodic death metal.
Al microfono troviamo, come su Shadows Of Light, il vocalist belga Brandon L. Polaris, ma gli ospiti non si fermano qui con le performance di Kostas Vassilakis (Infravision) alle tastiere ed alle pelli e la chitarra solista di Tyler Teeple.
Prodotto ottimamente da Övstrud, Welcome To War ci invita alla distruzione totale con i primi due brani, Concription e Einberufung (Conscription), pesantissimi, epici e battaglieri, che vedono la band esplorare il lato più duro e drammatico della propria anima musicale, avvicinandosi al puro death metal scandinavo.
Arriva From This I Depart e si torna a cavalcare l’onda del primo lavoro, il riff melodico che sostiene il brano è di una bellezza straordinaria e la voce pulita si alterna al growl cattivissimo di Polaris in un crescendo emozionale elevatissimo.
Neanche il tempo di metabolizzare questo splendido brano che l’elettronica si impossessa della progressiva Menschenmörder (Murderer Of Man), regalando emozioni a non finire e tornando al songwriting stellare della prima opera tra Edge Of Sanity e Pain.
Welcome To War è marziale, monolitica e con un mood da tregenda, le tastiere addolciscono leggermente l’atmosfera pesante di questa death metal song, mentre la voce pulita dai toni disperati di Kein Entkommen (No Escape) sembra non dare speranza, ma quando tutto è perduto un assolo classico e melodico, accompagnato dai tasti d’avorio di chiara ispirazione prog, riaccende una flebile speranza.
Veil Of Despair è irruente ed aggressiva in un crescendo che porta ad una parte strumentale da brividi, con i musicisti ad impartire sotto la guida del leader lezioni di metallo estremo, devastante e melodicissimo.
Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness) chiude, con i suoi abbondanti sette minuti, questa nuova e splendida opera estrema, lasciando che tutto il mondo dei Circle Of Indifference si apra all’ascoltatore, investito da uno tsunami di death metal melodico sopra le righe, potente, maturo, progressivo ma oltremodo drammatico e violento.
Welcome To War è un’altra nera perla estrema targata Circle Of Indifference: se il primo lavoro risultava una piacevole sorpresa, la conferma di essere al cospetto di un grande compositore e musicista l’avrete nel momento di mettere l’elmetto, imbracciare il fucile e scendere in trincea … Benvenuti alla guerra.

TRACKLIST
01.Concription
02.Einberufung (Conscription)
03.From This I Depart
04.Menschenmörder (Murderer Of Man)
05.Welcome To War
06.Kein Entkommen (No Escape)
07.Veil Of Despair
08.Ein Akt Der Güte (An Act Of Kindness)

LINE-UP
Dagfinn Övstrud – Guitars, bass and additional keyboards
Kostas Vassilakis – Keyboards, Drums
Tyler Teeple – Guitars
Brandon L. Polaris – Vocals

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

D.A.M – Premonitions

Continua senza freni il percorso musicale di Guilherme De Alvarenga e i suoi D.A.M, dopo i fasti seguiti all’uscita di due ottime opere come l’ep Phantasmagoria ed il full length The Awakening.

Continua senza freni il percorso musicale di Guilherme De Alvarenga e i suoi D.A.M, dopo i fasti seguiti all’uscita di due ottime opere come l’ep Phantasmagoria ed il full length The Awakening.

La band brasiliana ha vissuto un crescendo qualitativo entusiasmante, iniziato nel 2013 con l’ep Possessed ed il primo full lenght Tales Of The Mad King, ed in poco tempo è arrivata ad uno status molto alto per un gruppo underground, confermandosi a suon di esplosivo power/melodic death metal come una delle realtà più interessanti del genere.
Rigorosamente autoprodotto, anche questo nuovo ep conferma il talento del gruppo verde oro e del suo leader, aiutato come sempre dal buon Edu Megale, alla sei corde e dal bassista Caio campos, più un paio di graditi ospiti come Jéssica Delazare, singer sulla bellissima Untouchable, così come Marina Guimarães alle prese con i cori.
Premonitions, prodotto dallo stesso De Alvarenga con l’aiuto di David Fau, potrebbe tranquillamente essere considerato un full length, visto la durata che sfiora i quaranta minuti e la qualità delle songs di cui è composto.
Ancora una volta il gruppo ci delizia con una scarica di death metal melodico, dove il synth di De Alvarenga fa il bello ed il cattivo tempo, le ritmiche veloci, le atmosfere oscure, il growl straripante e quelle cavalcate dal sapore neoclassico, tanto care alla band, ci trasportano nel mondo fatato, ma pericolosissimo dei D.A.M.
Grande partenza con la titletrack, dieci minuti di scale vorticose alla velocità della luce, dove il gruppo si ripresenta all’ascoltatore mettendo sul piatto tutto il suo credo musicale, composto da metal classico ed estremo, perfettamente bilanciati e uniti insieme da melodie dall’appeal straordinario.
L’alternanza tra furia death, potenza power, ed atmosfere mistiche ed oscure, danno modo di entrare in un altro mondo, come un’Alice nel paese delle meraviglie in versione horror.
Si passeggia in questo mondo parallelo, guardandoci intorno, mentre prima The Cage e poi la stupenda Untouchable ci travolgono con una tempesta di suoni metallici, mentre una musa ci avverte dei pericoli che incontreremo nel proseguimento del nostro peregrinare.
De Alavarenga da letteralmente spettacolo, le sue dita scivolano tra i tasti d’avorio a velocità proibitive, la tensione rimane altissima, i vari passaggi sono curatissimi e i cori in cleans donano quel gustoso tocco power, al quale la band non rinuncia neanche in queste nuove songs.
Chi segue iyezine, dovrebbe ormai conoscere i D.A.M, visto che li si segue dall’esordio, ma per chi non ha ancora avuto la fortuna di ascoltare la musica di Guilherme de Alvarenga ricordo che nel loro sound confluiscono i migliori, Children Of Bodom, Stratovarius e primi In Flames, il tutto elevato alla massima potenza melodica.
Changing the Directions e Frustration, chiudono alla grande questa ennesima prova di forza da parte di una band unica, una delle migliori nel genere, regalando nella song che chiude il lavoro atmosfere che ci portano al periodo settantiano, tra prog e accenni blues, il tutto in un contesto metallico che rimane aggressivo ed oscuro, un capolavoro.
Inutile dire che Premonitions è un album bellissimo che non può mancare tra gli ascolti dei fan del genere, un grande ritorno dopo il clamoroso full lenght di due anni fa.

TRACKLIST
1. Premonitions… (Under the Tree of Regrets)
2. The Cage (Breaking the Paradigms)
3. Untouchable (My Past Mistakes…)
4. Anorexic Dysphoria (AElegy for the Brainless)
5. Changing the Directions (Unresolved)
6. Frustration (Imprisoned Dreams)

LINE-UP
Edu Megale – Guitars
Guilherme de Alvarenga – Vocals, Keyboards
Caio Campos – Bass

D.A.M – Facebook

A Soul Called Perdition – Into The Formless Dawn

Qualcuno taccerà questo album come opera poco originale, fate spallucce e lasciatevi travolgere dalle note marchiate a fuoco di Into The Formless Dawn: lunga vita al melodic death metal scandinavo.

A distanza di di molti anni il melodic death metal scandinavo, dopo il successo negli anni novanta, continua a regalare nell’underground ottime realtà che portano avanti la tradizione del genere nel segno del più puro sound creato dai gruppi storici della fredda penisola su a nord.

Il death metal, melodicizzato da sfumature heavy è stato in parte tradito da quei gruppi che lo hanno portato alla ribalta della scena metal mondiale, troppi occhi ed orecchie puntate ad occidente e precisamente negli states, dove il genere è stato imbastardito e violentato da elementi moderni, così da guadagnare in vendite, ma perdere molto del proprio fascino.
Per primi gli In Flames, seguiti da altre bands nel corso degli anni hanno sempre più lasciato le sonorità classiche, colpevoli di ammorbidire la parte estrema, per un approccio moderno e core, così che, specialmente i gruppi nati in seguito, pur con ottimi album alle spalle, si sono dovuti accontentare del mercato underground.
Poco male se le proposte che arrivano a chi cerca di portare all’attenzione dei fans il sottobosco metallico internazionale, giudicando la musica per quello che è, senza guardare alla moda del momento.
La one man band A Soul Called Perdition, monicker che nasconde le imprese musicali di Tuomas Kuusinen, musicista finlandese all’esordio discografico autoprodotto, fa parte di quelle realtà che, uscite tra il ’94 ed il ’98 avrebbe fatto sprecare inchiostro a molti scribacchini dei giornali cool dell’epoca, che, non dimentichiamolo, allora non perdevano occasione per incensare qualsiasi gruppo death metal solo leggermente più melodico del normale, parlando, a volte a sproposito, di nuovi In Flames, Dark Tranquillity o Amorphis.
Dunque questo lavoro che, per inciso, risulta un ottimo esempio di melodic death metal scandinavo, dove il buon Tuomas suona tutti gli strumenti e se lo è pure prodotto e mixato, farà sicuramente la gioia degli amanti del suono anni novanta, essendo un concentrato di metal estremo travolto da melodie chitarristiche di stampo heavy, dove cavalcate death metal veloci ed ispirate, si scontrano con aperture melodiche e growl robusto e cattivo il giusto per inchiodarvi alla poltrona.
Otto brani, prodotti benissimo, una mazzata di mezzora che torna a far risplendere il sottogenere estremo che più cuori ha fatto innamorare negli ultimi vent’anni, suonati alla grande da un musicista, compositore e produttore davvero bravo.
Into The Formless Dawn risulta così, un’opera studiata nei minimi dettagli, un esordio davvero riuscito, compatto, aggressivo e melodico, senza forzature e perfettamente bilanciato in tutte le sue componenti.
Woe, Severance, To Those Who Shall Follow, tanto per citare alcune tracce dell’album ( ma l’opera è da godersi per intero, anche perché non rivela cadute di tono) vi riporteranno piacevolmente indietro nel tempo, mentre primi Sentenced, Amorphis, Hypocrisy e gli In Flames non ancora americanizzati, si riconquisteranno un posto nel vostro lettore.
Qualcuno taccerà questo album come opera poco originale, fate spallucce e lasciatevi travolgere dalle note marchiate a fuoco di Into The Formless Dawn: lunga vita al melodic death metal scandinavo.

TRACKLIST
01. Woe
02. There Is No Shelter
03. Into The Formless Dawn
04. Severance
05. Emptiness
06. Immortal, Entwined
07. To Those Who Shall Follow
08. We Walked In The Shadows

LINE-UP
Tuomas Kuusinen – Vocals, Guitars, Bass, additional instruments

A SOUL CALLED PERDITION – Facebook

Tranquillizer – Des Endes Anfang

Primi Dark Tranquillity e Dissection sono i gruppi di maggiore ispirazione per la band, a cui auguro quella stabilità che potrebbe favorire una presenza più costante sul mercato

La Germania continua ad essere da anni la patria dei suoni metallici, dall’hard rock al metal estremo la tradizione metal è ben radicata nel popolo tedesco, ed i vari generi continuano a trovare nuovi estimatori proprio nella terra posta al centro dell’Europa.

Non solo come si potrebbe pensare l’heavy classico o il più tradizionale power metal, ma anche le frange più estreme hanno sempre trovato terra fertile da quelle parti, sia per quanto riguarda il numero di fans che di gruppi dediti al genere.
I Tranquillizer sono una band di Francoforte attiva dal 2008, ma arrivata solo ora al primo lavoro sulla lunga distanza, lasciando alle spalle un ep targato 2011.
Dunque ci hanno messo un po per entrare in modo deciso sul mercato, ma il risultato non è affatto male e Des Endes Anfang accontenterà una buona fetta degli amanti del death metal melodico dai richiami black e fortemente influenzato dall’onnipresente scena scandinava.
Il quintetto tedesco sempre in difficoltà per i vari cambi di line up che, in questi anni, ne hanno rallentato la carriera nel mondo metallico underground, si presenta con un buon esempio di metal estremo melodico, strutturato sull’alchimia tra black e death, ma reso vario ed interessante da ottime cavalcate di classico metal dai tratti epici e dark, che conferisce al sound un’aurea oscura e drammatica.
Le veloci parti ritmiche, si attorcigliano come serpenti in amore, a solos melodici, ottimi stacchi acustici e refrain trascinanti, le songs non perdono molto in impatto lungo la durata del lavoro, certo non mancano i difetti, ma sono ben bilanciati da una forma canzone ben strutturata.
Appunto, i difetti : non tutto funziona perfettamente, per esempio l’ottimo scream, viene accompagnato da un growl in stile brutal che non ci azzecca un granché con la proposta del combo tedesco e in alcuni casi il fantomatico già sentito affiora tra le tracce di questo Des Endes Anfang, contribuendo a far scendere un poco il valore dell’album, che rimane comunque un’opera prima dignitosa.
Primi Dark Tranquillity e Dissection sono i gruppi di maggiore ispirazione per la band, a cui auguro quella stabilità che potrebbe favorire una presenza più costante sul mercato, mentre ai fans del melodic death un ascolto al disco è consigliato, visto che potrebbero trovare in Des Endes Anfang qualcosa di sufficiente per crogiolarsi tra i cliché del genere.

TRACKLIST
1. Agonie
2. Eine andere Welt
3. Bestie Krieg
4. Werde Zu Staub
5. Kapitulation
6. Blutrot
7. Welk
8. Ins Licht
9. Seelenreiter

LINE-UP
Madelaine Kühn – Bass
Johannes Gauerke – Vocals (lead), Trombone, Drums
Aleksander Vetter – Guitars
Fabian Wohlgemuth – Guitars, Vocals
Nico Dunemann – Drums

http://www.facebook.com/pages/Tranquillizer/139894089390032

Amorphis – Under The Red Cloud

Under The Red Cloud non deluderà i fans degli Amoprhis i quali troveranno, perfettamente al loro posto, tutti gli ingredienti che hanno fatto della loro musica uno dei migliori esempi di metal degli ultimi vent’anni.

Premessa: il nuovo album degli Amorphis, il dodicesimo per la precisione, ed il settimo dell’era Joutsen ( se consideriamo “Magic & Mayhem – Tales from the Early Years” del 2010 che vedeva il vocalist reinterpretare vecchi brani dei primi dischi) è un lavoro molto bello, che poco aggiunge ma, assolutamente, non scalfisce una discografia che, in vent’anni di onorata carriera, ha visto il gruppo finlandese esprimersi sempre ad alti livelli grazie ad una manciata di album da considerare sicuramente capolavori del death metal melodico scandinavo, anche se con un approccio al genere sempre personalissimo ed originale.

Progressive death metal, sempre colmo di riferimenti alle tradizioni del loro paese, un talento per la melodia straordinario e un nugolo di musicisti che, pur avvicendandosi nella line up, hanno mantenuto un livello tecnico altissimo, sono stati gli ingredienti per il successo della band fin dal lontano 1994, anno di uscita del secondo e meraviglioso “Tales from the Thousand Lakes”, seguito dal capolavoro assoluto “Elegy” (1996).
“Eclipse”, album del 2006 che segnava l’entrata in formazione dell’attuale vocalist, è stato per gli Amorphis un nuovo inizio: Joutsen, dotato di talento e carisma ha regalato al gruppo un vero frontman, mentre la discografia inanellava buoni lavori e nulla più, con l’eccezione dello spettacolare “Skyforger” del 2009.
Under The Red Cloud consolida una formula collaudatissima, marchio di fabbrica del gruppo, un’ora di immersione nel mondo prog/folk/death metal direttamente dalla terra dei mille laghi, pregno di stupende melodie, ottimamente prodotto e suonato, dove il vocalist continua imperterrito a regalare interpretazioni emozionali, alternando con la solita maestria ed eleganza, growl, scream e voce pulita (migliorata in modo esponenziale), tra digressioni di epico prog, sfuriate estreme e melodie estrapolate dalle tradizioni popolari della loro terra.
Niente di nuovo direte voi, vero, infatti il nuovo album pecca solo per un pilota automatico nel songwriting ormai lungi dall’essere disinserito, così che Under The Red Cloud risulta un album formalmente perfetto ma un pò freddino, piccolo difetto che non lo inserisce fra i capolavori della band, anche se, come già detto rimane un lavoro molto bello.
L’album vede come ospiti Chrigel Glanzmann degli Eluveitie al flauto e Martin Lopez (ex Opeth) alle percussioni e si snoda lungo un lotto di brani dal flavour epico su cui spiccano la stupenda Death Of A King, le arcigne Bad Blood e Dark Path, l’epicissima The Four Wise One e l’ipermelodica Sacrifice.
Gli Amorphis aggiungono un altro buon lavoro alla loro ormai considerevole discografia: Under The Red Cloud non deluderà i fans della band che troveranno, perfettamente al loro posto, tutti gli ingredienti che hanno fatto della loro musica, uno dei migliori esempi di metal degli ultimi vent’anni.

Tracklist:
1. Under the Red Cloud
2. The Four Wise Ones
3. Bad Blood
4. The Skull
5. Death of a King
6. Sacrifice
7. Dark Path
8. Enemy at the Gates
9. Tree of Ages
10. White Night

Line-up:
Jan Rechberger – Drums
Esa Holopainen – Guitars (lead)
Tomi Koivusaari – Guitars (rhythm)
Santeri Kallio – Keyboards
Niclas Etelävuori – Bass, Vocals (backing)
Tomi Joutsen – Vocals

AMORPHIS – Facebook

Soulline – Welcome My Sun

Un album indicato per gli amanti del death metal melodico.

Nuovo lavoro in casa Soulline, band svizzera nata all’alba del nuovo millennio, giunta al quarto lavoro in studio: non più dei novellini dunque, ma una band dalla buona esperienza, anche se in questi quindici anni di attività non è mai riuscita a sfondare sul mercato.

Ci riprovano con oggi Welcome My Sun, album che porta con sé una novità non trascurabile, l’entrata in formazione del singer Ghebro, ottimo interprete del genere, aggressivo e corrosivo.
I Soulline per questo lavoro si è affidata alle cure degli Unisound Studios in Svezia e al talento del guru del death metal melodico Dan Swanö, ed il risultato non può che essere convincente.
Welcome My Sun, aiutato così da un ottimo lavoro in fase di produzione, deflagra per poco più di trenta minuti, consacrati allo scandinavian melodic death metal, aggiungendovi quel tocco di ritmiche core che fanno tanto cool di questi tempi, pur mantenendo la sua impronta scandinava ben salda.
Infatti l’album risulta un ottimo esempio del genere, le chitarre rifilano solos grondanti melodie, le ritmiche alternano la potenza ed il groove del core alle accelerate death, con il nuovo arrivato che rifila una prova più che convincente al microfono.
Niente che non sia già stato fatto da chi il genere lo ha portato alla ribalta (In Flames e Soilwork su tutti) ma l’ottima vena del gruppo e canzoni che spaccano riescono a far decollare il lavoro che, complice anche la durata ridotta, si lascia ascoltare dall’inizio alla fine, senza perdere un grammo in potenza e tensione.
Ora, che il metalcore cominci a tirare la cinghia è un fatto, ma questo buon compromesso tra la tradizione nord europea e il sound americano riesce ad entusiasmare, sopratutto se le band hanno dalla loro un songwriting ispirato, come nel caso dei Soulline e del loro nuovo lavoro, sound che in sede live spacca, regalando devastanti brani dove sfumature elettroniche arricchiscono la struttura dei brani, così da risultare pieni, grosse mazzate di metal estremo melodico.
Tra le songs che compongono il lavoro e che ripeto, va assolutamente ascoltato tutto d’un fiato, Anvils, Drunk, Right Here, Right Now hanno una marcia in più, per potenza e senso della melodia nel buon lavoro di chitarra, risultando toste ma allo stesso tempo facilmente memorizzabili.
L’ultima canzone è la riuscita cover di Anytime Anywhere dei conterranei e grandissimi hard rocker Gotthard del compianto Steve Lee, resa chiaramente molto più ruvida, senza perdere lo spirito della più famosa band elvetica.
In definitiva un album da ascoltare e far proprio senza indugi, specialmente se siete amanti del death metal melodico.

Tracklist:
1. Rise Up
2. Anvils
3. Wild Sneak
4. Drunk
5. Broken My Madness
6. Right Here Right Now
7. Welcome My Sun
8. No Exception
9. Anytime Anywhere

Line-up:
Lore – Guitar
Marco – Guitar
Ghebro – Vocals
Miles – Bass
Yuval – Drums

SOULLINE – Facebook

Watch Them Burn – Watch Them Burn

Debutto per i valdostani Watch Them Burn con cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Debutto omonimo autoprodotto per i valdostani degli Watch Them Burn, autori di un lavoro composto da cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Non male questo mini: la band, attiva da quattro anni, sa come muoversi tra i solchi del genere suonato, cercando di variare la propria proposta con ritmiche cangianti, mai troppo core, riuscendo ad amalgamare perfettamente il death melodico scandinavo, con il genere più in voga ultimamente tra quelli estremi.
Ne escono brani potenti e devastanti e dall’ottimo appeal; ottimo il lavoro delle chitarre, a cura di Corruptor e Mithra che, tra l’impatto prodotto dal gruppo, se ne escono con qualche assolo classico di ottima fattura, e sopra le righe la sezione ritmica (Shinigami al basso e Anubi alle pelli) che asseconda la vena cangiante dei brani, tra le ritmiche sostenute delle tracce più death oriented (bellissima l’opener The Day After) ed il groove potente e cadenzato di quelle più core (Dark Side).
Impreziosito dalla prova sontuosa del vocalist Maniac, vario e perfetto nell’adattare il suo scream ad ogni situazione musicale creata (finalmente un gruppo che non usa la voce pulita) mantenendo una tensione che si alza ad ogni brano, Watch Them Burn risulta un’opera prima riuscita ed in più parti avvincente.
Soul-R, la modernissima e marziale My Country e la conclusiva Afterlife, dove il gruppo valdostano torna alle sonorità death dell’opener, completano un album che si rivela, così, un buon ascolto sia per il fans del death metal melodico, sia per quelli più orientati a sonorità in linea con i gusti del momento: la band ha diverse strade da far percorrere alla propria musica, vedremo in futuro quale sarà l’indirizzo preso, magari con un lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist:
1.The Day After
2.Soul R
3.My Country
4.Dark Side
5.Afterlife

Line-up:
Maniac – vocals
Corruptor – Guitar
Mithra – Guitar
Shinigami – Bass
Anubi – Drum

WATCH THEM BURN – Facebook

Psychophobia – The Fall

Una quindicina di minuti di musica che costituiscono un’importante conferma delle qualità del gruppo.

Certo che gli In Flames di band ne hanno influenzate molte: più passa il tempo e più il gruppo di Anders Friden si rivela un importante modello, sia per i gruppi orientati al death melodico, sia per quelli che si ispirano alla band svedese dopo la svolta dall’impronta americana che avvenne da “Reroute to Remain” in poi.

Gli Psychophobia fanno man bassa del sound di album storici come “Whoracle” e “The Jester Race” e lo arricchiscono di ritmiche power: il risultato è una buona amalgama, che stordisce ed a tratti esalta; derivativo certo, ma i tre brani proposti in questo ep sono manna per gli amanti del genere, che vogliono tornare alle origini del death melodico senza perdersi in soluzioni core e godendo degli elementi classici del genere, con solos melodici e voce cattiva oltre alle suddette ritmiche.
La band, non è proprio di primo pelo, e la sua discografia si avvale di un demo del 2003, di un mini cd e di un full length risalente a tre anni, il tutto in oltre un decennio di carriera nel mondo metallico underground.
L’esperienza si sente tutta e pur senza apparire troppo personale, il gruppo il proprio mestiere lo sa fare bene, confezionando tre brani feroci, scorrevoli e melodici, pur picchiando da par loro.
The Fall, se concepito per sondare il terreno per un futuro album, la sua missione la porta a casa con dignità: Servants Of Deception, la title track e The Code piacciono, colme di riferimenti al genere ed ottime soluzioni ritmiche, solos che strappano qualche convinto applauso e growl che impazza, finalmente anche nei ritornelli, aggressivo e sul pezzo.
Una quindicina di minuti di musica che costituiscono un’importante conferma delle qualità del gruppo, sono quello che avrete da quest’opera, datele un ascolto e mettetevi in attesa del prossimo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist:
1.Servants of Deception
2.The Fall
3.The Code

Line-up:
Pater – guitar
Maryjan – guitar
Maly – drums
Stygmat – vocal
Kom – bass

PSYCHOPHOBIA – Facebook

HELL’S GUARDIAN – Intervista

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei lombardi Hell’s Guardian

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei lombardi Hell’s Guardian (risponde il batterista Dylan).

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iye Intanto congratulazioni per l’avvenuto accesso alla compilation: ci raccontate in breve la storia della band?

Ciao a tutti, gli Hell’s Guardian nacquero a Berzo Demo in provincia di Brescia nel 2009 da un idea mia e di Freddie (chitarrista), alla quale poi si sono aggiunti Cesare (cantante growl/chitarrista) e Pietro (cantante clean/bassista). All’inizio ci presentammo come cover band di gruppi come Ensiferum, Amorphis, Amon Amarth, In Flames, per poi proporre brani inediti, con influenze delle band sopracitate. Nel 2010 uscì il nostro primo demo Hell’s Guardian, dopo quattro anni con vari concerti nel lombardo, nel 2014 uscì il nostro primo album in studio Follow Your Fate che ricevette un buon riscontro positivo con il pubblico e con la critica. A metà 2014 il nostro bassista Pietro decise di lasciare il gruppo per concentrarsi sulle proprie passioni e nel frattempo decidemmo di suonare dal vivo con alcuni nostri amici al basso. A fine Luglio uscirà un nuovo EP che si intitolerà Ex Adversis Resurgo.

iye Cosa vi ha spinto a partecipare al contest indetto dalla Underground Metal Alliance?

Ci ha colpito la professionalità da parte degli ideatori del contest, ma soprattutto la possibilità di far conoscere maggiormente la band ad un nuovo pubblico sia sui social network, sia concretamente per chi scaricherà la compilation.

iye Oltre a quelli più immediati, legati alla partecipazione a questa iniziativa, quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati nell’immediato futuro?

Il 30 giugno pubblicheremo due nuove canzoni in formato digitale su tutti i music network e social network, invece esattamente il mese dopo uscirà l’EP Ex Adversis Resurgo con i due brani inediti, due brani live registrati al Circolo Colony (BS) per l’occasione del Brixia Metal Fest ed un brano del primo album riarrangiato con il pianoforte. Inoltre stiamo già pensando ad un secondo album.

iye Quali sono per voi le band ed i musicisti di riferimento e per quali nomi, attualmente, varrebbe la pena oggi di fare un sacrificio per assistere ad un concerto?

Ovviamente siamo stati influenzati da numerose band, tra cui Amon Amarth, Ensiferum, Amorphis, In Flames; infine da un gruppo che ho visto di recente e che consiglio a tutti di vedere se si ha la possibilità, gli Insomnium.

iye Suonare metal in Italia è un’impresa che porta con sé il suo bel coefficiente di difficoltà; tracciando un consuntivo di quanto fatto finora, siete soddisfatti dei riscontri ottenuti dalla band?

Noi siamo più che soddisfatti, il nostro primo album è stato recensito e accolto molto positivamente dalle varie webzine e riviste. Allo stesso tempo abbiamo suonato anche con gruppi italiani come Vision Divine, In.Si.Dia, EndlessPain, Spellblast, Furor Gallico, Evenoire etc. Quindi possiamo dire che pian piano i fan aumentano.

iye Per quanto riguarda invece l’attività dal vivo, anche voi avete incontrato le stesse difficoltà nel trovare date e location disponibili che molti evidenziano? Ci sarà, comunque, la possibilità di vedervi all’opera su qualche palco nel corso dell’estate?

Purtroppo è un problema che conosciamo benissimo ma in Italia si sa, sarà sempre così. Quest’estate saremo al Legend Club di Milano il 21 giugno per il Rockshots Festival, il 12 Luglio a Gaggiano (MI) per il Grave Party e il 25 Luglio al Pirates Of Rock a Malesco in provincia di Verbania; quest’ultima data sarà per noi la prima volta in Piemonte.

iye Per finire, vi lasciamo lo spazio per fornire ai nostri lettori almeno un buon motivo per avvicinarsi alla vostra musica.

Ovviamente invito tutti a seguirci sui vari social network e se vi capita di venirci a vedere dal vivo perché è li che diamo il 100 % di noi stessi! Ci teniamo a creare un buon spettacolo e a trasmettervi tutto ciò che proviamo.
Ringraziamo In Your Eyes Zine per questa intervista, l’Underground Metal Alliance per questo servizio che ha offerto e per tutto l’impegno che ci sta mettendo! Ringraziamo tutto il pubblico che ci segue sui nostri canali web e ai concerti … a tutti voi consigliamo di scaricare la compilation dell’ U.M.A. perché sono presenti numerose band che meritano davvero tanto!
Seguiteci sui nostri social network e sul nostro sito per varie news future … a presto!

HELL’S GUARDIAN – Facebook

Right To The Void – Light Of The Fallen Gods

Ottimo melodic death metal con questo secondo album dei francesi Right To The Void

Imperterrito al trascorrere del tempo, specialmente in ambito underground, il death metal melodico continua a partorire band di ottime potenzialità, non solo rivolte a quello più moderno violentato da ritmiche core, tanto caro ai giovani fan di questi tempi, ma anche al più vecchio e mai domo scandinavian melodic death dei primi anni novanta, che dall’underground ha acquistato nuova linfa non potendo più contare sulle band che lo resero popolare allora, ammaliate dai dollari statunitensi e in gran parte sbiadite parodie di se stesse.

I Right To The Void, gruppo francese al secondo full-length, licenziato in questi giorni per la sempre più imprescindibile WormHoleDeath, la lezione l’hanno imparata eccome ed il loro nuovo album risulta un ottimo esempio di come si possa, seguendo sentieri già tracciati, risultare ugualmente convincenti sotto ogni punto di vista. La band esordisce con un demo nel 2010 per poi approdare nel 2013 al primo album (“Kingdom Of Vanity”), sempre per la label italiana, acquisendo nel contempo una buona esperienza live dividendo il palco con band del calibro di Napalm Death ed Immolation, esperienze che forgiano i musicisti transalpini, qui in ottima forma e più compatti che mai. Light Of The Fallen Gods si rivela così un gran lavoro di genere, sempre in bilico tra soluzioni od school e melodic-death impreziosite dall’ottimo lavoro delle chitarre, che alternano bordate estreme a solos melodici di ottima fattura(Paul e Gauthier). Una sezione ritmica di grande impatto (Hugo alle pelli e Romain al basso) ed un vocalist (Guillame) sugli scudi per tutto il lavoro, bravissimo sia nel classico growl che nell’uso dello scream dai rimandi black, molto usato nel genere ma poche volte così convincente, fanno sì che la decina di brani proposti lascino il segno; il gruppo non dà tregua e l’album, fin dall’opener Swallow’s Flight parte a mille per non fermarsi più, regalando botte di metallo estremo, cavalcate elettriche devastanti che, a tratti, lambiscono atmosfere di epicità oscura dalla notevole resa. Siamo al cospetto degli Dei, come recita il titolo, ed allora tra cielo e terra infuria la battaglia, feroce, senza esclusione di colpi, dove anche l’ascoltatore vacilla sotto il bombardamento di canzoni come le velocissime Death Circles, Fate Of Betrayal, Through The Grave e, mentre i due eserciti se le danno di santa ragione, riprendiamo fiato con la prima parte strumentale della stupenda The One Who Shoulder’s The Light. Con una produzione al top e una copertina che trasuda epicità nordica, questo lavoro potrebbe piacere non poco ai seguaci di Amon Amarth e compagnia vichinga, pur non essendo comunque un prodotto viking “tout court” ma tenendo ben saldo il cordone che lega la band al melodic death; etichette a parte, un album da ascoltare e far vostro. Promossi a pieni voti.

Tracklist:
1. Swallow’s Flight
2. Death Circles
3. Fate of Betrayal
4. The Sun of the Living Ones
5. Throught the Grave
6. The One Who Shoulders the Light (Part I)
7. The One Who Shoulders the Light (Part II)
8. Majesty’s Doors
9. Origins of a New World
10. This Is Our Time

Line-up:
Fabien – Bass
Hugo – Drums
Paul – Guitars
Gauthier – Guitars
Guillaume – Vocals

RIGHT TO THE VOID – Facebook

Circle Of Indifference- Shadows Of Light

Spettacolare esordio dei Circle Of Indifference con questo magnifico “Shadows of Light”.

Altro lavoro che se non arriva a sfiorare il capolavoro ci va tremendamente vicino.

I Circle Of Indifference sono la creatura del polistrumentista Dagfinn Øvstrud, nata lo scorso anno come one man band anche se il musicista svedese è aiutato nella lavorazione del disco da un manipolo di ottimi specialisti della scena estrema. Shadows Of Light ne è il clamoroso debutto che, insieme allo stupendo “Nightmare Years” dei Maahlas, mi ha completamente rapito tanto è il talento estremo che esce dalle composizioni di questo lavoro, all’insegna di un death metal melodico all’ennesima potenza; il tutto viene supportato da un songwriting straordinario che, senza finire troppo nell’abusato calderone del prog/death alla Opeth, stupisce per tecnica compositiva pregno com’è di canzoni che definire esaltanti è un eufemismo. Niente di nuovo, affermerà qualcuno, vero, ma qui siamo davanti ad un album talmente perfetto, così ben costruito che è impossibile non rimanerne affascinati: cavalcate elettriche accompagnano digressioni elettroniche, tutto il metal scandinavo passa per i solchi di questa straordinaria opera, in cui una produzione bombastica non è altro che la ciliegina su una torta che non riuscirete più a fare ameno di divorare. Edge Of Sanity e la loro guida Dan Swanö sono i riferimenti più logici per le soluzioni adottate in questo lavoro, senza dimenticare anche i Pain di Peter Tagtgren nelle parti elettroniche, e ho detto tutto … Aggiungete un innato senso melodico che, anche nelle parti più violente rende i brani uno più bello dell’altro, ed ecco che il grande disco è servito su un piatto d’argento dallo chef svedese, che lascia all’enorme vocalist Brandon Leigh Polaris il compito di accompagnarci per tutta la durata dell’album con il suo growls spettacolare. Tutto è perfetto, non c’è una nota fuori posto in Shadows Of Light, e la musica vi travolgerà senza darvi tempo per riprendervi tra un brano e l’altro, devastati da cotanto talento al sevizio di un metal debordante. Dove poi entra in gioco una female vocals (Darkness) i Circle Of Indifference sverniciano e mettono in fila tutte le symphonic metal band del pianeta, senza dimenticare di dare una ripassatina al metallo epico che qui diventa furiosa musica guerresca, sprizzante eroicità da tutti i pori (Another Day In Paradise). Siamo di fronte ad un album che, non fosse per l’assoluta cecità del mainstreem e di molti addetti ai lavori, farebbe il pieno nelle classifiche di fine anno in ambito estremo. Se il buon Dagfinn Øvstrud si accontenta, di sicuro non mancherà nella nostra …

Tracklist:
1. Despair (Intro)
2. A Child but Not
3. Walk with Me
4. Alone
5. Shadows of Light
6. Evil
7. This Is Not the End
8. Darkness
9. Another Day in Paradise
10. Abyss
11. Push
12. Shadows of Light (Aybars Remix)
13. Hope (Outro)

Line-up:
Dagfinn Øvstrud – All instruments, Lyrics

Guests:
Brandon L. Polaris – Vocals
Tyler Teeple – Guitars (lead)
Nikky Money – Vocals (on track 8)
Aybars Altay – Additional Instruments of Aybars Remix

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

Black Therapy – The Final Outcome

I romani Black Therapy sfornano un Ep clamoroso a base di melodic death metal

Scandinavian melodic death metal: quante realtà , quante band, in tutto il mondo, si avvicinano al genere che più di ogni altro, dalla metà degli anni novanta, ha donato popolarità al metal estremo? Una marea.

Ma quante di queste possono vantarsi d’essere legittimamente eredi a livello di qualità, delle band che di questo genere hanno fatto la storia? Poche.
E se, senza andare a cercare troppo in là, una di queste fosse proprio qui in Italia?
Arrivati al terzo lavoro dopo un demo, “Through This Path” del 2010, ed il full-lenght “Symptoms Of A Common Sickness” dello scorso anno, i romani Black Therapy licenziano questi stupefacenti quattro brani, racchiusi nell’ep The Final Outcome, uno scrigno contenente quattro brani da antologia, esaltanti, devastanti, ultramelodici, ottimamente prodotti e, ovviamente, dal tiro pazzesco.
Mad World è una delle più belle canzoni sentite ultimamente nel genere (cover di un brano presente nella colonna sonora del film “Donnie Darko”), brano spettacolare nel quale un giro di piano ultramelodico accompagna la band sul podio del genere, collocandosi molto vicino ai Dark Tranquillity di “Projector”.
Seguono la pianistica ed emozionante Sunset Of The Truth e l’accoppiata Black Crow / The Final Outcome che manda in visibilio l’ascoltatore di turno grazie alla prova straordinaria della band, che esibisce grandi ritmiche, solos melodici, doppie vocals ad alternare growls alla Stanne e scream, il tutto impregnato di una vena oscura tale da far impallidire la band scandinava.
Quindici minuti di melodic death metal semplicemente perfetto che, se dovessero essere confermati con il prossimo full-length, potrebbero portare la band a raggiungere vette fino a ieri considerate irraggiungibili.

Track list:
1. The Final Outcome
2. Black Crow
3. Mad World
4. Sunset of the Truth

Line-up:
Luca Soldati – Drums
Daniele Rizzo -Guitars
Lorenzo “Kallo” Carlini – Guitars
Giuseppe Massimiliano Di Giorgio – Vocals
Marco Cattaneo – Bass

BLACK THERAPY – Facebook

Tantal – Expectancy

Expectancy raccoglie tutti gli elementi che hanno fatto diventare il death melodico uno dei generi più seguiti in ambito metallico e, senza nessuna concessione alla modernità, i Tantal realizzano un lavoro straordinario.

Ci sono vari modi per suonare dell’ottimo death melodico: partendo dalla base scandinava, in questi anni centinaia di band si sono approcciate a questo modo di fare del buon metal, molte di queste con buoni risultati, amalgamandolo a seconda dei gusti con altri generi, dando così nuova linfa a questo tipo di suono che ha portato ad una autentica rivoluzione nel panorama estremo.

Ora la moda (anche nell’underground, inevitabilmente, si segue a tratti la corrente) porta le band ad un approccio “core”, seguendo la strada di In Flames, Soilwork e dei gruppi d’oltremanica con ottimi risultati, in molti casi maggiori di quelli delle band di riferimento, ma non mancano le sorprese come i clamorosi Tantal, provenienti dalla madre Russia, freschi di firma con Bakerteam Records. Il loro secondo album, questo Expectancy, raccoglie tutti gli elementi che hanno fatto diventare il death melodico uno dei generi più seguiti in ambito metallico e, senza nessuna concessione alla modernità, realizzano un lavoro straordinario, imprimendo al sound connotazioni che vanno dal thrash al prog metal, riempiendolo di suoni sinfonici e bombastici e aggiungendoci del loro in quanto a bravura tecnica ed elevata qualità di songwriting. Se tutto questo non bastasse, oltre ad un growl potente e perfetto che ricorda il Mikael Stanne di “The Gallery”, i Tantal lasciano alla sublime voce della singer Milana Solovitskaya il compito di fare il bello e il cattivo tempo su tutto l’album, lasciando l’ascoltatore a bocca aperta, sovrastato dal talento di questa sirena dell’est. Una produzione perfetta costituisce la classica ciliegina sulla torta, ed Expectancy viaggia su livelli altissimi, con brani avvincenti tra ritmiche da Transiberiana (Mikhail Krivulets al basso e Vyacheslav Gyrovoy alle pelli) e due asce che regalano funambolici solos, tecnicamente eccelsi ma allo stesso tempo sanguigni (Dmitriy Ignatiev e Alexandr Strelnikov, anche vocalist). Questo album non fa gridare al miracolo per proprietà innovative (così sistemiamo gli amanti dell’originalità a tutti i costi) ma, in fondo, la band non fa che mettere in musica le varie influenze, che partendo appunto dai Dark Tranquillity, passano per il death e per il prog metal di Dream Theater e Symphony X; qui è la qualità che fa la differenza, marchiando un lotto di brani che, partendo da Through the Years, regala musica esaltante, suonata con grinta e classe da cinque musicisti fuori categoria. Un lavoro da ascoltare e riascoltare senza remore

Tracklist:
1. Through the Years
2. Expectancy Pt.1 (Desert in My Soul)
3. Echoes of Failures
4. In Times of Solitude
5. Nothing (Selfish Acts)
6. Pain That We All Must Go Through
7. Expectancy Pt.2 (Despair)
8. Under the Weight of My Sorrow I Crawl
9. Бей первым! (Спеть для неба…)
10. В моих глазах

Line-up:
Mikhail Krivulets – Bass
Vyacheslav Gyrovoy – Drums
Alexandr Strelnikov – Guitars, Vocals
Dmitriy Ignatiev – Guitars
Milana Solovitskaya – Vocals

TANTAL – Facebook