Joy – Ride Along!

Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

L’hard rock dalle sonorità vintage e psichedeliche, in questi anni ha trovato molti estimatori ed il fiume di gruppi che inonda il mercato si è diviso in vari torrenti musicali di cui i principali sono quelli che portano al blues ed allo psych rock.

Come da tradizione sono però i gruppi statunitensi quelli che regalano le migliori soddisfazioni, con una serie di realtà dall’alto tasso psichedelico come questo trio di San Diego che di nome fa Joy e che arriva al suo secondo bellissimo lavoro.
Guidato dal chitarrista e cantante Zachary Oakley, anche produttore dell’album, la band si completa con il fantastico batterista Thomas DiBenedetto e dal bassista Justin Hulson, creatori di questo manifesto al psych rock, colmo di sonorità fuzz e sporcato da iniezioni di blues acido.
Oakley fa prodigi con la sua sei corde ricordando non poco il mood hendrixiano e i brani sono caratterizzati da un’aura di jam tipica del genere.
Numerosi sono gli ospiti che intervengono a valorizzare le varie canzoni, tutti musicisti della scena come il drummer Mario Rubacala (Earthless, OFF!), Brendan Dellar, chitarrista dei Sacri Monti e soprattutto quella macchina di riff che risulta Parker Griggs, axeman e leader dei clamorosi Radio Moscow.
Da Misunderstood, passando per Evil Woman e la cover degli ZZ Top Certified Blues, l’album è un trip rock blues psichedelico dall’alto tasso elettrico, la sei corde spara riff saturi, mentre Help Me e Red White And Blues ci aprono la strada per la clamorosa Peyote Blues, song acustica che mischia Led Zeppelin e southern rock in pieno effetto collaterale da funghi allucinogeni, ed il risultato non ci fa smettere di danzare, penzolando in pieno trip settantiano.
Gypsy Mother’s Son conclude il lavoro, il più lungo dei brani raccolti nel disco non può che essere una jam di rock adrenalinico e psichedelico, che ci trascina a suon di watts al gran finale.
Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

TRACKLIST
1. I’ve Been Down (Set Me Free)
2. Misunderstood
3. Evil Woman
4. Going Down Slow
5. Certified Blues (ZZ Top – Cover)
6. Help Me
7. Red, White and Blues
8. Peyote Blues
9. Ride Along!
10. Gypsy Mother’s Son

LINE-UP
Zachary Oakley – Guitar & Vox
Justin Hulson – Bass
Thomas DiBenedetto – Drums

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Eerie – Eerie

Un buon esordio in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma.

La Tee Pee records presenta il sound di questo gruppo come un ibrido tra il black metal e l’hard rock dai rimandi settantiani, vero in parte anche se a mio parere, oltre alle ritmiche a tratti sferzate da un vento black’n’roll, gli Eerie sono la classica band rock vintage.

E di vintage nell’omonimo debutto del gruppo non manca niente: dalla copertina, alla produzione fino all’attitudine di questi quattro rockers statunitensi che preciso, hanno creato un bel disco di hard rock, psichedelico, irrobustito dalle ritmiche di cui sopra, potenziato da atmosfere sabbatiane e molto stonerizzato.
Un mega trip che dall’opener Hideous Serpent porta la band indietro nel tempo, riprendendo quei canoni stilistici di molte doom rock band (c’è tanto di Sabbath, ma anche di Saint Vitus e Count Raven nel sound), con il cantato evocativo che riempie di atmosfere messianiche i brani (Immortal Rot) e un’aura stoner/psichedelica che sicuramente lascia in un angolo la componente black descritta dalla label.
Poco male perché l’album funziona, il chitarrista Tim Lehi è davvero bravo a costruire un muro di riff e continui solos, urlati in questo nuovo millennio, ma nati tra i solchi dei vinili settantiani, mentre la sezione ritmica tiene il passo con la prova esuberante e varia del drummer Moses Saarni.
Brani medio lunghi come Master Of Creation e la spettacolare Yeti, traccia doom metal hard rockin cui la band trova il perfetto equilibrio tra urgenza metallica, psichedelia e hard rock zeppeliniano, sono il sunto di cosa ci si può aspettare da questi bravi Eerie.
Non fatevi fuorviare, Eerie risulta un buon esordio per il gruppo, ma è in grado di soddisfare soprattutto gli amanti dell’hard rock con più di un capello bianco sulla ormai rada chioma, magari dopo aver trovato in soffitta il vecchio sacchettino di pelle dove una volta nascondevano i loro sogni.

TRACKLIST
1. Hideous Serpent
2. Yeti
3. Master Of Creation
4. Immortal Rot
5. Blood Drinkers

LINE-UP
Tim Lehi – Guitars
Moses Saarni – Drums
Dave Sweetapple – Bass
Shane Baker – Vocals

 

Grond – Worship The Kraken

Ogni brano è un piccolo gioiellino di genere, niente novità o sperimentazioni, solo grande musica estrema conosciuta come death metal

Gli oceani nacondono nei profondi abissi avvolti da un’oscurità millenaria mostri abominevoli, creature che vivono in luoghi impossibili da raggiungere per l’uomo, ma che, quando decidono di tornare in superficie, portano con sé morte e distruzione ed il mare diventa una trappola mortale, un inferno d’acqua che si chiude sopra i resti del massacro perpetrato dal Kraken, la leggendaria piovra gigante.

La colonna sonora di questo abominio si intitola Worship The Kraken, secondo lavoro sulla lunga distanza per deathsters russi Grond, macchina di morte in musica proveniente dalla Russia, attiva dall’alba del nuovo millennio e con un primo lavoro alle spalle (Howling from the Deep del 2013) più un paio di lavori minori in formato ep.
Il quartetto composto da Kist (batteria, voce), Dust e Raze (chitarre) e Daemorph al basso, pesca dal cilindro un bellissimo lavoro di death metal old school, devastante in tutte le sue parti, una perla nera che dal fondo dell’oceano viene in aiuto ai marinai per rispedire il Kraken nel profondo degli abissi a colpi di metal estremo con le carte in regola per deliziare gli amanti del death metal classico.
Prodotto benissimo, Worship The Kraken deflagra in tutta la sua potenza, blast beat, rallentamenti, riff potentissimi ed un growl d’antologia imprimono al lavoro una marcia in più e tutto funziona a dovere, devastante e letale come la morsa dei tentacoli del mostro marino.
Siamo perfettamente in bilico tra la tradizione europea ed il death metal Bay Area, una blasfema alleanza che produce devastazione in musica, la varietà nel songwriting, i continui cambi di ritmo ed atmosfere, tra roboanti e distruttive cavalcate e la marzialità del doom/death di scuola Asphyx (Below the Thunders… apice dell’opera ) fanno del nuovo lavoro dei Grond un esempio di perfetto di metal estremo vecchia scuola, arrembante, oscuro, guerresco e devastante.
Ogni brano è un piccolo gioiellino di genere, niente novità o sperimentazioni solo grande musica estrema conosciuta come death metal e questo basta per fare di Worship The Kraken uno dei lavori migliori di quest’anno nel genere.
Asphyx, Entombed, Immolation, Dismember, Bolt Thrower, Obituary, la storia del death metal sta tutta in questi quaranta minuti di musica estrema creata dai Grond, perdersela è peccato mortale.

TRACKLIST
1. Invocation
2. Kronos the Devourer
3. Steel Coffins
4. White Waters of South
5. Blood Monk (Goatlord cover)
6. Worship the Kraken
7. Below the Thunders…
8. Devonian Tyrant
9. Japetus the Ice Gate
10. Typhoon is Coming

LINE-UP
Kist – drums / vocal
Dust- guitar
Raze – guitar
Daemorph – bass

GROND – Facebook

GxSxD – The Adversary

La guerra personale dei GxSxD è inarrestabile, pregna di morte e paura focalizzate in un sound oltremodo ispirato e dalle sfumature oscure che non risparmiano atmosfere raggelanti.

Una bomba questa mezzora circa di metal estremo proveniente dal paese del sol levante, precisamente da Okayama, e secondo full length dei samurai estremi GxSxD (God Send Death), dopo dieci anni esatti dal primo omonimo album e da una buona raccolta di split e demo.

Per questo nuovo lavoro in uscita per la Pulverised Records, la band nipponica ha fatto le cose in grande iniziando dall’artwork, curato dall’illustratore svedese Pär Olofsson (Exodus, Malevolent Creation, Immolation, Demonaz), mentre le registrazioni sono state lasciate alle mani esperte di Wojtek and Slawek Wieslawski ai Notorious Hertz Studio (Vader, Decapitated, Behemoth, Hate).
Con queste premesse ci si aspettava musica devastante e dal grande impatto ed infatti The Adversary è un buon esempio di death metal old school forgiato nelle caverne dove, a suo tempo, sono stati creati tra le fiamme i lavori di Vader e Behemoth.
Ma il gruppo ha dalla sua un tocco statunitense che riecheggia tra le spire di questo malefico rettile che si attorciglia e stritola, ingoia famelico le proprie vittime e rigurgita violenza, brutale e senza compromessi.
Strutturato infatti come un lavoro brutal i brani raggiungono al massimo i tre minuti di durata, un bene perché il risultato è un’opera senza orpelli, tredici brani sparati , veloci e disarmanti nella loro fredda e disumana foga.
Non male i solos di chitarre che urlano dolore dall’inizio alla fine, in un’atmosfera che si incendia al passaggio di questi monolitici e pesantissimi brani che non risparmiano ritmiche impressionati e trasudano sangue a volontà.
Il growl è ispirato e personale, la guerra personale dei GxSxD è inarrestabile, pregna di morte e paura focalizzate in un sound oltremodo ispirato e dalle sfumature oscure che non risparmiano atmosfere raggelanti.
Un ottimo lavoro, che va sparato fino alla fine e che tutto di un fiato va fatto proprio, come il pasto di un gigantesco rettile. Consigliato.

TRACKLIST
1. To Die For
2. Another
3. The Abbyss
4. Mercy Killing
5. Requiem
6. Choices
7. Chaos World
8. Squall
9. Nightmare
10. Await
11. Abhorrence
12. Day of Suffering
13. Fate

LINE-UP
Yu Sato – Bass
Yohsuke Oka – Bass, Guitars, Vocals
Ikunaga Mimura – Drums
Yusuke Oka – Guitars, Vocals

GxSxD – Facebook

 

Spit The Blood – Spit The Blood

La band crea un muro di thrash rabbioso e annichilente, ma se la velocità e l’attitudine vecchia scuola fanno la differenza, la parte moderna non riesce a convincere del tutto.

Amalgamare il sound tradizionale con il groove sembra diventata un’abitudine per le nuove leve del thrash metal che si affacciano sul mercato underground metallico.

Un sound che diventa un pugno nello stomaco veloce e potentissimo, mazzate metalliche che alternano la furia del thrash alla marzialità del groove metal, davvero impressionate l’impatto che ne scaturisce quando le due anime si uniscono per sparare bordate di musica devastante.
Non tutte però ci riescono perfettamente così che nei lavori creati è forte la differenza tra le canzoni di chiara ispirazione tradizionale e quelle più moderne.
E quello che succede per esempio in questo debutto omonimo degli Spit The Blood, gruppo proveniente da Atene, un terzetto di thrashers dal sound potentissimo, assolutamente devastante, ma che riesce ad essere incisivo solo nei brani in cui le sonorità old school prendono il sopravvento sulle monolitiche ritmiche colme di groove.
Spit The Blood così funziona a metà, la band crea un muro di thrash rabbioso e annichilente, ma se la velocità e l’attitudine vecchia scuola fanno la differenza, la parte moderna non riesce a convincere del tutto.
Sono fatti per suonare musica veloce i tre musicisti greci, la sezione ritmica quando parte sgommando è da infarto e la chitarra spara riff cattivi e taglienti, ed infatti brani come Mindless, Society e la title track funzionano benissimo, pregne di quel thrash metal vecchia scuola dai rimandi Bay Area style.
Funzionano meno le tracce in cui il gruppo rallenta e la velocità si tramuta in potenza cadenzata, perfetta per i gusti dei fans odierni ma poco incisiva tra le mani del trio.
Spit The Blood nella sua interezza è un disco sufficientemente adatto per spaccare teste in furiosi headbanging in sede live, e se siete fans accaniti del genere dategli un ascolto, altrimenti passate oltre.

TRACKLIST
1. Escape
2. Reason to Kill
3. Mindless
4. Society
5. Track 5
6. The Face
7. Degradation
8. Spit the Blood
9. Predators

LINE-UP
Spyros – Bass
John – Drums
Nick – Guitars, Vocals

SIT THE BLOOD – Facebook

Lateral Blast – La Luna Nel Pozzo

Un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare

Accompagnato da un sontuoso digipack, in linea con i lavori progressivi degli anni settanta (opera del pittore bolognese Vito Giarrizzo), esce il secondo album del gruppo romano Lateral Blast, La Luna nel Pozzo.

L’’esordio I Am Free, datato 2014, ha riscosso molti commenti positivi tra gli addetti ai lavori, mentre il gruppo si è fatto notare per una buona attività live che li ha visti sul palco del Pistoia Blues nel 2014.
Elegante progressive rock cantato in lingua madre, La Luna Nel Pozzo è un’opera che riprende gli stilemi della tradizione settantiana, specialmente quella nazionale, aggiungendo bellissime ed affascinanti atmosfere folk , senza dimenticare gli inarrivabili maestri internazionali di uno dei generi più conservatori della storia del rock.
La band non si perde in suite estenuanti, i brani si susseguono mai troppo prolissi come da trend delle nuove leve del prog, e questo è un bene, perché l’album scorre piacevolmente anche per chi non è abituato al genere.
Si respira l’aria rarefatta di una mattina ai piedi di un castello e l’impronta folk è molto importante nel sound del gruppo: il flauto di Rosa Zumpano, molto brava anche al microfono con il suo tono ruvido ed emozionale, dona alle canzoni una magia senza tempo, richiamando non poco la musica di Angelo Branduardi, assistita dalla chitarra elettrica, raffinata e mai invadente, di Leonardo Angelucci e soprattutto dalle tastiere di Alessandro Ippoliti.
E’ un progressive rock d’autore quello suonato dai Lateral Blast, poetico, forse poco irruento per i canoni attuali, ma colmo di sfumature da assaporare con gli ascolti; vario nell’uso della doppia voce e perfetto nell’alternare strumenti acustici, momenti ritmici cangianti che sconfinano dalle linee guida del genere e magnifiche atmosfere rese sognanti dalla coppia flauto/tastiere.
Tra i brani spiccano il singolo Io Voglio Volare, l’energica Troubadour e Suite per Lei, riassunto compositivo del credo musicale della band romana.
Siamo nel progressive classico, ma con una forte influenza folk che aleggia su tutta l’opera: un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare, lasciandosi alle spalle inutili esibizioni tecniche e puntando tutto sulle emozioni.
Siamo vicini, a mio parere, al sound degli storici Il Castello Di Atlante, rispetto ai quali i Lateral Blast appaiono molto meno sinfonici ma perfettamente a loro agio nell’amalgamare sonorità progressive a reminiscenze prettamente folk.

TRACKLIST
01 Intro
02 L’Ululato
03 Come Nuvole
04 Troubadour
05 Le Urla Dei Bambini
06 Io Voglio Volare
07 Silenzio
08 Hellesylt
09 Il Morto Felice
10 Suite Per Lei
11 Scheletro feat. Daniele Coccia
12 La Luna Nel Pozzo

LINE-UP
Leonardo Angelucci – Voce, Chitarra Elettrica
Rosa Zumpano – Voce, Flauto Traverso
Antonello D’Angeli – Voce, Chitarra Acustica
Matteo Troiani – Basso
Tommaso Guerrieri – Batteria, Percussioni
Alessandro Ippoliti – Tastiere, Keytar

LATERAL BLAST – Facebook

Myth Of A Life – She Who Invites

La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool

Gran bel lavoro per questa melodic death metal band inglese, di stanza a Sheffield ma dai componenti di varia origine internazionale: i Myth Of A Life, infatti, fin dall’inizio dell’attività hanno sempre avuto problemi di formazione, se è vero che la line up all’opera su questo ottimo lavoro è già cambiata di ben tre elementi su quattro.

Un dettaglio visto l’enorme potenziale del gruppo che, dopo l’ep Erinyes uscito un paio di anni fa, licenziano, sotto l’ala della Sleaszy Rider, She Who Invites, debutto sulla lunga distanza.
Dicevamo della line up: oltre al vocalist Phil “Core’’ Dellas (unico membro superstite), sull’album troviamo Takanori Shono alla sei corde, , Charlie Power al basso, ed il nostro Damiano Porcelli, dei deathsters Golem, alla batteria; questi ultimi tre sono stati sostituiti, rispettivamente, da William Price, Liam Banks ed Alexander Bound
She Who Invites risulta un gran bel disco, furioso, spettacolare nelle melodie, travolgente nelle ritmiche e perfettamente cantato usando growl e screaming iin un delirio di melodic death metal dai rimandi scandinavi, velocissimo e suonato alla grande.
La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool, un uragano estremo insomma che torna a valorizzare l’ormai bistrattato death metal melodico.
Non un calo di qualità nelle composizioni e tanta voglia di far male, fanno di She Who Invites  un ottimo esempio di come il genere, se suonato a questi livelli, riesca a regalare emozioni forti all’ascoltatore, letteralmente travolto dalla furiosa carica che la band sfoga su brani irresistibili come Scourged and Crucified e Lobotomized.
Blast beat, ritmiche al fulmicotone, solos che trasudano melodie e qualche ritmo sincopato, permettono all’album di mettere tutti d’accordo, sia chi ama la tradizione del genere, ma anche chi sta crescendo con le nuove sonorità, più in linea con la scuola americana.
Ancora Taking Back What Is Mine e Pull the Trigger mettono a ferro e fuoco i padiglioni auricolari, la band sembra un leone in gabbia, feroce parte all’assalto, morde con riff taglenti, stacca arti con ritmiche intricate e suonate a velocità impressionanti ma mantenendo un appeal clamoroso in tutti i brani che compongono questo piccolo monumento al death metal melodico.
Le influenze sono le solite di ogni gruppo che guarda al nord dell’Europa, con l’aggiunta assolutamente perfetta di una carica ritmica moderna che ne fa un bellissimo esempio di metal estremo targato 2016.

TRACKLIST
1. Codex Of Betrayal
2. Scourged and Crucified
3. Lobotomized
4. Erinyes
5. Taking Back What Is Mine
6. Pull The Trigger
7. Broken
8. Through The River
9. She Who Invites
10. Waiting To Die
11. Murder
12. Burning Vision

RECORDING LINE-UP
Takanori Shono – guitars
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Charlie Power – bass
Damiano Porcelli – drums

CURRENT LINE-UP
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Alexander Bond – drums
William Price – guitars
Liam Banks – bass

MYTH OF A LIFE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=XCRzBzSszag

Harvest – Omnivorous

Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.

Nel nostro girovagare tra le scene metalliche mondiali giungiamo a Panama e, nella capitale, incontriamo i deathsters Harvest.

Omnivorous è un ep di sei brani più intro, che segue la tradizione estrema aggiungendo tonnellate di groove ed un’urgenza hardcore, specialmente nel growl ed in qualche riff.
La principale influenza del gruppo centroamericano sono i primi Sepultura, ma la band si muove con sufficente disinvoltura tra varie correnti senza perdere un grammo nell’impatto pesantissimo che le chitarre sature di groove imprimono al sound.
Un sound che implode, mai troppo veloce ma sofferto e cadenzato , una rabbia che si muove tra le sonorità estreme del death metal classico e la travolgente monolicità dei suoni estremi moderni, colpendo al volto con forza micidiale.
Non varia di molto l’atmosfera delle tracce, tutte pesantissime mentre scorrono nel vostro lettore una più roboante dell’altra con Hellraiser e la title track (la prima dal mood apocalittico, la seconda più varia e sostenuta dagli interventi di una clean vocal) che risultano quelle più interessanti dell’intera raccolta.
Non male come inizio, il gruppo sa tenere alta la tensione e la rabbia sprigionata avvolge Omnivorous in un’aura di drammaticità congeniata a dovere per descrivere il caos che ci circonda in questo nuovo millennio.
Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.
La band per il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa, magari con una sterzata decisa verso sonorità moderne che potrebbe essere opportuna, vista la buona riuscita dei brani che più si avvicinano al sound proposto dalle groove metal band odierne.

TRACKLIST
1. Intro (Wicked Beauty)
2. Lavinia
3. Medusoide
4. King of Nothing
5. Hellraiser
6. Omnivorous
7. Letchworth Hell

LINE-UP
Jocelyn Amado – Drums
Jaime “Ricky” Moreno – Guitars
Ernesto Gómez – Vocals

HARVEST – Facebook

Liquid Graveyard – By Nature So Perverse

By Nature So Perverse non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.

Ancora in preda a convulsioni procurate da quel monolito power/thrash che risulta l’ultimo lavoro del supergruppo statunitense Shatter Messiah, arriva come un treno in corsa il nuovo lavoro dei Liquid Graveyard, altro supergruppo, questa volta molto più estremo e tutto europeo, licenziato ancora dalla Sleaszy Rider Records che, specialmente con queste due releases, sale di diritto sul podio delle label underground dell’ultimo periodo.

Una soddisfazione per Iyezine, che ha creduto nel lavoro della label greca, non mancando di supportare i vari gruppi che le sono stati presentati, tutti di ottimo livello e dalle più svariate sonorità.
Ma torniamo a noi, o meglio ai Liquid Graveyard, combo estremo che vede collaborare tre icone storiche delle sonorità estreme: Shane Embury, enorme (in tutti i sensi) bassista dei re del grind Napalm Death e di altre decine di band tra cui Brujeria, Lock Up, Blood from the Soul e Meathook Seed, John Walker chitarrista dei seminali deathsters britannici Cancer e Nicholas Barker, inumano batterista che ha prestato le sue bacchette a praticamente tutti i migliori act black/death in circolazione (Cradle Of Filth, Dimmu Borgir, Atrocity e Benediction, ma non basterebbe un elenco telefonico per nominarli tutti), con dietro al microfono il growl della cantante Raquel Walker, moglie del chitarrista.
By Nature So Perverse è il terzo lavoro dei Liquid Graveyard (dopo On Evil Days e The Fifth Time I Died, gruppo che non manca di esaudire i desideri estremi dei fans delle band in cui i musicisti hanno militato, specialmente quelle più death oriented, ma non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.
Si passa così da brani arrembanti, segnati da una produzione fredda e sintetica, ad altri più ragionati e sconvolti da frenate ritmiche che inducono a sfumature apocalittiche, in un susseguirsi di atmosfere terremotanti.
Grande il lavoro di Barker, un vulcano che esplode ad ogni colpo di bacchetta sulle pelli e notevole il growl della Walker, rabbioso e pregno di attitudine black, mentre i riff del consorte godono di una monoliticità esponenziale così come Shane Embury, di coppia con il drummer, forma una sezione ritmica da infarto, potentissima nelle parti doom, devastante quando la furia grind si impossessa del sound.
La classe non è acqua ed il songwriting, pur nella sua natura estrema, appare ragionato; la furia metallica, così come la potenza devastante, è tenuta a freno puntando sulle atmosfere, estremizzate da una patina di lucida e sintetica pazzia, come un serial killer che nel suo covo, con calma mette in fila gli attrezzi del mestiere prima di accanirsi sulla vittima in un penzolare continuo di ganci e catene, asettico, pulito, senza anima ne pietà.
Un bellissimo ed affascinante lavoro estremo, inutile annoiarvi con track by track o riferimenti più o meno espliciti ma che non renderebbero giustizia ai nomi altisonanti che compongono il gruppo. Fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Oppengrinder
2. Motherhate
3. Influence Corrupt
4. Mechanism
5. The Opportunist
6. By Nature So Perverse
7. All Bile All Vile
8. Clonenations
9. Sour Conspiracy
10. Red Eyed Angel
11. Onkalo
12. Outrophy

LINE-UP
John Walker – guitars, backing vocals
Shane Embury – bass
Nick Barker – drums
Raquel Walker – vocals

LIQUID GRAVEYARD – Facebook

Shatter Messiah – Orphans of Chaos

Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata

La label greca Sleaszy Rider, in evidenza nel mondo del metal underground di questi ultimi anni con l’uscita di lavori che pescano da svariati generi che compongono l’immenso mosaico che risulta la nostra musica preferita, questa volta centra il colpo grosso e licenzia questo ottimo lavoro, il quarto del super gruppo Shatter Messiah.

La band, in attività da una dozzina d’anni, schiera tra le sue fila una manciata di musicisti che hanno militato in gruppi fondamentali per lo sviluppo del genere, autori di capolavori epocali come Annihilator (Robert Falzano), Nevermore (Curran Murphy), Monstrosity, Death e Vital Remains (Kelly Conlon).
Batteria, chitarra e basso, formazione praticamente fatta, ma al gruppo si aggiungono gli altrettanto importanti Pat Gibson alla sei corde e quell’animale metallico di Michael Duncan dietro al microfono, una iena che valorizza tutto il lavoro strumentale dei suoi colleghi con una prova mostruosa.
Quarto album dunque, quarto pezzo di indistruttibile acciaio metallico, arrivato a metà dell’anno in corso dopo aver dato alle stampe il primo vagito dieci anni fa (Never to Play the Servant) per poi proseguire nella creazione di un devastante power/thrash con God Burns Like Flesh (2007) e Hail the New Cross, uscito tre anni fa.
Orphans Of Chaos riprende a triturare padiglioni auricolari dove l’ultimo lavoro si era interrotto, il sound del gruppo che si rifà, senza copiarlo pedissequamente, a quello dei Nevermore e dei gruppi che al thrash metal aggiungono dose letali di power metal statunitense e sfumature progressive, risulta una mazzata tecnicamente ineccepibile, curatissima nella produzione e dal songwriting straordinario.
Inutile girarci intorno, stiamo parlando di un gruppo composto da musicisti che sono top players del proprio strumento, con esperienze di alto livello alle spalle e la cosa esce allo scoperto in ogni passaggio, su ogni nota esplosa dalle casse del vostro impianto messo a dura prova dalla potenza sprigionata dal combo americano.
Ritmiche che alternano groove, accelerazioni e cambi di ritmo vorticosi, chitarre che squarciano il cielo con solos folgoranti, cambi di atmosfera che rimanendo nei canoni oscuri dell’U.S. Metal si impregnano di umori progressivi e vocalizzi che passano da grintosi toni thrash ad aperture melodiche e teatrali tra Warrel Dane e Russell Allen.
Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata, regalando un prezioso diamante nero ai fans del genere.
In uscita nelle versioni cd, lp e digipack, troviamo come bonus track l’ep Full Moon Blood, altre tre mazzate thrash metal di dimensioni apocalittiche, motivo in più se non bastasse per farlo vostro e goderne in questi caldi giorni estivi.

TRACKLIST
1. Fixx For Demise
2. Shallow
3. Slave
4. Forget Forgiveness
5. Nothing Friend
6. The Mad Man Lies
7. Doom
8. Disruption
9. Thoughtless Timeless
10. Cold And Alone
11. Free
FULL BLOOD MOON:
12. Full Blood Moon
13. Dead Eye Liar
14. Disallussion Of My Misery

LINE-UP
Michael Duncan – vocals
Curran Murphy – guitars
Kelly Conlon – bass
Pat Gibson – guitars
Robert Falzano – drums

SHATTER MESSIAH – Facebook

Carnage Inc – Fury Incarnate

Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni.

Thrash metal senza compromessi ci propongono gli indiani Carnage Inc, giovane band di Mumbai che va ad infoltire la scena estrema sempre più pressante sul mercato europeo grazie alla Trascending Obscurity, label che negli ultimi anni ha avuto il merito di portare a conoscenza degli appassionati molte delle realtà presenti in quel lontano e per noi ancora misterioso paese.

Il debutto del gruppo si riassume in questi cinque brani che vanno a comporre Fury Incarnate, ep dall’alto tasso adrenalinico e buon esempio di thrash metal tra tradizione e soluzioni moderne.
Un pugno nello stomaco ben calibrato ed orchestrato con ottima padronanza di mezzi dal quartetto, un’alternanza di atmosfere che riprendono in toto il genere suonato nella storica Bay Area e lo imbastardiscono, a tratti con ritmiche colme di groove ed un approccio moderno che lascia aperte al gruppo più soluzioni nel prossimo futuro.
Storceranno il naso i puristi ma per suonare thrash metal la tecnica è più importante di quello che si possa pensare, ed il gruppo indiano non difetta certo in qualità, sia nella sezione ritmica che nel lavoro delle due asce che non risparmiano solos taglienti e riff veloci e nelle parti moderne massicci e saturi il giusto.
Ne escono cinque brani carichi a palla, due davvero ben fatti (il singolo Defiled e Day Of Delirium), la prima chiaramente ispirata agli eroi del thrash americano, la seconda strutturata su di un riff orientaleggiante e da rallentamenti atmosferici di drammatica tensione.
Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school (primi Metallica, Anthrax) ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni (Lamb Of God, Shadows Fall), perciò in grado di accontentare più palati abituati a succulenti piatti metallici. Consigliato.

TRACKLIST
1.Dawn
2.Defiled
3.Fury Incarnate
4.Day Of Delirium
5.Ungod

LINE-UP
Varun Panchal – Rhythm Guitar/Vocals
Navin Mudaliyar – Lead Guitar
Jason Dias – Bass/Backing vocals
Moinuddin Farooqui – Drums

CARNAGE INC. – Facebook

Wired Anxiety – The Delirium Of Negation

Il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.

Band che si aggira per i vicoli di Mumbai dal 2009, i Wired Anxiety, dopo aver esordito con l’ep The Eternal Maze nel 2012, tornano tramite la Transcending Obscurity con questo nuovo lavoro, un ep di quattro brani dal titolo The Delirium Of Negation.

Bene ha fatto la label nel supportare il gruppo, visto il buon potenziale del quartetto e l’ottimo lavoro che, se pur di breve durata, lascia presagire un futuro più che roseo per il combo indiano.
Dall’opener Test Subject: Human, infatti, la band non lascia scampo puntando sulla potenza e l’abbondare di ritmiche colma di groove, una tecnica più che buona e monolitici mid tempo che si alternano ad atmosfere al limite del brutal.
Dalla voce brutale, alle spaventose accelerazioni è tutto un susseguirsi di frenate e ripartenze, sorrette da un songwriting elevato che permette ai brani di differenziarsi uno dall’altro ed alla band di lasciare un’ottima impressione su chi ascolta.
Si passa così da momenti ragionati che richiamano il death old school, a devastanti performance che del brutal tecnico prendono l’attacco frontale di squisite performance esecutive.
Heavily Sedated risulta un brano clamoroso in questo senso, ma non sfigurano neanche gli altri, purtroppo per noi, pochi brani in scaletta come Severe Comorbidity e la conclusiva Focus 22.
Poco altro da aggiungere se non che il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.
Altra ottima scoperta da parte della Transcending Obscurity e ascolto obbligato peri i fans del genere.

TRACKLIST
1. Test Subject: Human
2. Heavily Sedated
3. Severe Comorbidity
4. Focus 22

LINE-UP
Sumeet Ninawe – Drums
Adwait Jadhav – Bass
Dheeraj Govindraju – Vocals
Naval Katoch – Guitars

WIRED ANXIETY – Facebook

Paganizer – On the Outskirts of Hades

Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.

La label indiana Transcending Obscurity è diventata in questi ultimi anni un punto di riferimento per il metal estremo non solo proveniente dalla propria terra ma addirittura mondiale, almeno in ambito underground.

Il colpo dell’anno per la label asiatica è stato mettere le grinfie sui leggendari Paganizer, death metal band svedese con a capo l’instancabile Rogga Johansson, mente e braccio di un interminabile elenco di gruppi che hanno messo a ferro e fuoco questi ultimi due o tre anni metallici.
Down Among the Dead Men, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Necrogod, Putrevore, Revolting, The Grotesquery, sono solo alcune delle band delle quali il buon Rogga è ideatore, senza chiaramente dimenticare i Paganizer, gruppo dal quale Rogga ha filtrato i suini da conogliare in altre realtà.
On the Outskirts of Hades è il primo lavoro dei Paganizer dopo la firma con Transcending Obscurity, un ep di quettro brani per appena, purtroppo, tredici minuti di spettacolare death metal scandinavo, assolutamente old school, dal songwriting forte di una compattezza, un’esperienza, ed una forma invidiabile.
Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.
Quattro brani che annichiliscono e che ci invitano ad attendere con trepidazione il nuovo full length che, dopo l’ascolto di Angry All the Time, Adjacent to Purgatory, The Netherworld Carnivale e la titletrack, non potrà che risultare all’altezza della situazione. Ben tornato Rogga.

TRACKLIST
1.Angry All the Time
2. Adjacent to Purgatory
3. The Netherworld Carnivale
4. On the Outskirts of Hades

LINE-UP
Rogga Johansson – Guitars, Vocals
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Matte Fiebig – Drums
Martin Klasen – Bass

PAGANIZER – Facebook

7th Abyss – Unvoiced

Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo

Potete chiamarlo metalcore, deathcore o modern death metal, fatto sta che il metal estremo dai rimandi modernisti in questi ultimi anni ha dettato legge sul mercato internazionale, tanto che, se con pazienza passate un’oretta davanti allo schermo televisivo sintonizzato su un canale dedicato, gli unici momenti estremi di cui potrete godere sono ad esclusiva dei gruppi di genere, specialmente provenienti dagli States.

In Europa e nell’underground non mancano ottime realtà, soffocate da quelle in arrivo dal nuovo continente, ma assolutamente in grado di convincere tanto quanto e molte volte di più dei loro colleghi americani.
I 7th Abyss sono un gruppo tedesco attivo da tre anni, licenziano il loro debutto per la Trollzone Records e si immergono nell’oscuro e pericolosissimo mondo del metal estremo, totalmente fuori da ogni ispirazione old school e con i piedi ben saldi nel death metal del nuovo millennio.
Unvoiced è un buon lavoro, colmo di ritmiche groove, accelerazioni devastanti, chitarre che ci vanno giù pesante con le ritmiche per poi affossare l’ascoltatore con solos di tagliente metallo melodico, alternando il sound statunitense a qualche incursione nel nuovo modo di concepire il death metal melodico scandinavo, portato alla fama soprattutto dai maestri Soilwork.
Ne esce un bel pugno nello stomaco, inflitto senza pietà dal gruppo bavarese, che non si fa mancare un ottimo uso delle varie tonalità del singer, bravo nelle urla estreme, così come nelle clean, comunque maschie e che non spezzano l’atmosfera brutalmente drammatica del disco.
Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo, strutturato con buona padronanza del songwriting e dei ferri del mestiere dai 7th Abyss, i quali lasciano sul suolo non pochi cadaveri dopo il bombardamento inflitto con Deaf, Memories of Lies e Point of Wiew, esempi perfetti della loro carica assassina.
In conclusione, un esordio più che positivo per i 7th Abyss, che escono a testa alta dall’importante traguardo del primo full length.

TRACKLIST
01. Into the abyss
02. Lost eternity
03. Deaf
04. Unvoiced
05. Nightmare at the fields
06. Don’t take blowjobs from the Prime Time Whore
07. Memories of lies
08. Despaired (‘cause I’m disappointed ‘bout the Dead)
09. Not.That.Day.
10. Point of view 1
11. Schwester Rabiata

LINE-UP
Andreas Müller – Vocals
Robert Klein – Lead Guitar
Daniel Bieberstein – Rhythm Guitar
Alexander Dietz – Bass Guitar
Matthias Krapp – Drums

7TH ABYSS – Facebook

Psychoprism – Creation

Un’opera di una bellezza disarmante da parte di un quintetto di musicisti preparatissimi, con un songwriting che avvicina la band ai nomi di rilievo del metal mondiale di stampo classico.

Il metal classico è vivo più che mai, magari si è rinnovato, o forse dagli anni ottanta si è evoluto con l’aggiunta di elementi sinfonici e prog, ma rimane comunque il genere di riferimento per i metallari sparsi per il mondo, anche e soprattutto nel nuovo millennio.

I detrattori o gli uccelli del malaugurio che si beano della morte del genere padre di tutto il movimento metallico, anche quello più moderno o estremo, possono mettersi l’anima in pace, specialmente se a mantenerlo in vita sono band eccezionali come questi musicisti statunitensi che, sotto il monicker Psychoprism, hanno creato un lavoro di power/prog metal straordinario.
Il gruppo del New Jersey due anni fa licenziò il primo ep autoprodotto, e la Pure Steel è piombata come un falco sul gruppo e dopo la firma, pubblicandone il primo full length, Creation, in questo assolato e tragico luglio.
Un’opera di una bellezza disarmante da parte di un quintetto di musicisti preparatissimi, con un songwriting che avvicina la band ai nomi di rilievo del metal mondiale di stampo classico, trovando nelle sfumature progressive un alleato per far risplendere la musica di cui si compone questo manifesto all’arte musicale.
Probabilmente Creation rimarrà nel genere l’esordio più riuscito fino alla fine dell’anno, anche se forse non riscuoterà neanche un quarto del successo che un’opera del genere meriterebbe, ma non importa, se siete amanti della musica, qui la si deve glorificare come si deve.
Prendete il metal classico raffinato dei Crimson Glory, aggiungete potenti dose ritmiche di estrazione power, una vena progressiva che si espande per tutta la durata dell’album, direttamente dai primi e fondamentali lavori di Queensryche e Fates Warning, e incorniciateli con note sinfoniche di commovente epicità: avrete forse un’idea di cosa vi aspetta appena la title track imploderà nei vostri padiglioni auricolari, donandovi musica regale e splendidamente metallica.
Chiaramente i musicisti non possono che essere dei maestri, ed allora rimarrete a bocca aperta quando Jess Rittgers vi sconvolgerà con la sua voce che, se a tratti richiama Geoff Tate, risulta ancora più teatrale, un’ugola nata per emozionare.
Bill Visser e la sua sei corde sono una macchina di solos altamente metallica, ma che ovviamente non manca di crogiolarsi in scale progressive dall’alto tasso tecnico, mentre la sezione ritmica (Kevin Myers alle pelli e Erick Hugo al basso) non si risparmia in cavalcate power e repentini ed intricati cambi di tempo.
Il tutto viene valorizzato dai tasti d’avorio di Adam Peterson, raffinati, a tratti neoclassici, squisitamente orchestrati da questo mostro di bravura, ed a mio avviso arma in più del gruppo americano.
Niente di nuovo direte voi, il classico album suonato con maestria e nulla più!
Nulla di più sbagliato, invece, perchè Creation vive di un’emozionalità unica e la pelle d’oca che procurano brani intensi e meravigliosamente metallici come The Acclaimed, la super ballad Friendly Fire, l’epico power metal neoclassico di Against The Grain, la potentissima e velocissima The Wrecker, difficilmente la riproverete di questi tempi, specialmente continuando ad ascoltare i soliti nomi.
Lavori come questo mi fanno ringraziare il cielo per essermi innamorato della musica fin da ragazzino facendomi sentire un uomo fortunato. Capolavoro.

TRACKLIST
1. Alpha
2. Creation
3. Shockwaves
4. The Acclaimed
5. Chronos
6. Friendly Fire
7. Against the Grain
8. Defiance
9. The Wrecker
10. Stained Glass

LINE-UP
Erick Hugo – Bass
Jess Rittgers – Vocals
Bill Visser – lead guitars
Kevin Myers – Drums
Adam Peterson – Keyboard

PSYCHOPRISM – Facebook

Comet Control – Center Of The Maze

Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

Tra le nevi del Canada, verso lo spazio profondo insieme alla navicella Comet Control, al secondo lavoro con questo ottimo Center Of The Maze, che amalgama psichedelia, rock britannico e space rock, di ritorno da una falla temporale a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.

Tastiere sintetiche, chitarre sature, atmosfere liquide e sognanti, fanno di questo lavoro un ottimo ascolto per gli amanti dei suoni vintage usciti da un trip psichedelico, un viaggio bellissimo tra asteroidi e stelle lontane anni luce, dove spadroneggiano note fluttuanti perse nel profondo cosmo.
Il quintetto di Toronto, capitanato dalla eterea voce del chitarrista/cantante Chad Ross, è composto dalla bassista Nicole Howell, da Jay Anderson alle pelli, dalla chitarra di Andrew Moszynski e dalle fondamentali tastiere di Christopher Sandes: il loro sound spazia tra almeno cinquant’anni di musica rock, dai Beatles e Marc Bolan dell’era psychedelica, al rock britannico degli anni novanta, passando per i maestri dello space rock Hawkwind, in un turbinio di elettrizzanti brani rock d’annata, canzoni pregne di chitarre sature di rock alternativo, e liquide avventure pink floydiane.
Center Of The Maze è un album vario con il quale vengono espresse tutte le varie componenti del sound con buona padronanza del songwriting, ed ogni tassello risulta al posto giusto così da non perdere interesse ovunque il gruppo porti la sua musica.
Il sitar, che apre la beatlesiana Silver Spade, è la prima delle gradite sorprese di questo lavoro che riesce ad emozionare e farci sognare, prima con la stupenda The Hive, poi con la roboante ed alternativa Criminal Mystic, lasciando alle due mini suite finali Sick In Space e Artificial Light il compito di riportarci indietro, non prima di averci fatto perdere nel trip spaziale dell’album.
Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

TRACKLIST
1. Dig Out Your Head
2. Darkness Moves
3. Silver Spade
4. The Hive
5. Criminal Mystic
6. Golden Rule
7. Sick In Space
8. Artifical Light

LINE-UP
Chad Ross – Guitars, Vocals
Nicole Howell – Bass
Jay Anderson – Drums
Andrew Moszynski – Guitars
Christopher Sandes – Keyboards

COMET CONTROL – Facebook

https://soundcloud.com/actionmedia/comet-control-dig-out-your-head

Teodasia – Reloaded

La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.

I Teodasia sono una band veneta in attività da una decina d’anni, con un full length (Upwards del 2012) ed un paio di ep alle spalle, ed il loro symphonic metal dai rimandi gotici vedeva nella singer Priscilla Fiazza uno dei suoi punti di forza.

Ora cambia tutto e dietro al microfono troviamo una dei talenti vocali dello stivale, Giacomo Voli, singer di cui Iyezine vi ha parlato in occasione del suo disco solista uscito lo scorso anno, ed un nuovo chitarrista nella persona di Al Melinato che rimpiazza il pur bravo Fabio Compagno.
Rivoluzione o ricambio naturale che sia, fatto sta che il gruppo, ora un quartetto completato dai superstiti Nicola Falsone al basso e Francesco Gozzo alle pelli, presenta i nuovi arrivati con questo nuovo lavoro, una raccolta di brani già editi e rifatti per l’occasione, più tre canzoni nuove di zecca.
Inutile raccontarvi della bravura del nuovo singer, un altro enorme talento nato nelle nostre bistrattate terre quando si parla di musica metal, specialmente dai fans sempre pronti a rincorrere le band straniere perdendosi gioiellini come questo Reloaded.
La musica del gruppo perde completamente la componente gotica per acquistare molta più energia hard & heavy, i vecchi brani, già belli nella stesura originale, ma rifatti su misura per il nuovo singer, si vestono di metal sontuoso, melodico, a tratti epico, elegante ed estremamente coinvolgente.
Voli regala emozioni a profusione, teatrale quando il sound lo richiede (spettacolare su Lost Words of Forgiveness), inarivabile quando la sua ugola spazia sulle scale sinfoniche prodotte dai suoi compari che non mancano di impreziosire la propria musica di tagli progressivi di altissima qualità.
La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.
Questo lavoro funge da anticipazione per il nuovo Metamorphosis, in uscita in autunno, drizzate le orecchie perché qualcosa mi dice che saranno meraviglie sonore.

TRACKLIST
1. Broken
2. Rise
3. Temptress
4. Hollow Earth
5. Revelations
6. Lost Words of Forgiveness
7. Ghosts
8. Land of Memories, pt. 1
9. Land of Memories, pt. 2
10. Reloaded

LINE-UP
Francesco Gozzo – Drums
Nicola Falsone – Bass
Alberto Melinato – Guitars
Giacomo Voli – Vocals

TEODASIA – Facebook

Demonbreed – Where Gods Come to Die

Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

Corre veloce la macchina da guerra denominata Demonbreed, band che annovera tra proprie fila ex membri dei Lay Down Rotten e di altre band portatrici di bestialità in musica.

Dopo aver dato alle stampe uno split cd in compagnia dei The Dead Goats lo scorso giugno, giungono all’esordio sulla lunga distanza con questo ottimo esempio di death metal old school dal titolo Where Gods Come to Die.
L’album, prodotto alla grande dal chitarrista Fernando presso i Fat Knob Studios e mixato e masterizzato da Dennis Israel ai Clintwoks Mixing And Mastering, risulta una tremenda mazzata estrema come ormai nell’underground siamo abituati ad ascoltare negli ultimi tempi.
Death metal scandinavo ed influenze centro europee si alleano per una guerra senza pietà ai nostri padiglioni auricolari, il tutto ben sostenuto da un buon songwriting, esperienza ed attitudine che affiorano dai solchi di queste undici mitragliate più la clamorosa cover di Blood Colored dei mai troppo osannati maestri Edge Of Sanity, tratta per chi non lo sapesse (nel caso smettete subito di leggere questo articolo) dal capolavoro Purgatory Afterglow, consegnato alla storia del metal estremo nell’anno di grazia 1994.
Chi tributa Dan Swano e la sua band non può che entrare di diritto nelle mie simpatie, ma i Demonbreed si fanno apprezzare pure per la furia senza freni della loro musica, un mix come accennato di death scandinavo e soluzioni guerresche che richiamano in primis i Bolt Thrower, per poi rallegrarci con rallentamenti doom alla Asphix ed un’atmosfera maligna insita nell’angelo morboso.
Con un grande lavoro sugli strumenti, i musicisti impegnati in questa campagna contro l’esercito del bene mettono sul piatto l’esperienza accumulata con le loro passate esperienze, così che Where Gods Come To Die possa allietare i deathsters innamorati dei suoni old school.
Non c’è tregua, da Vultures in the Blood Red Sky (la title track funge da intro) in poi è un susseguirsi di piccole perle nere, le due chitarre affilate come rasoi bombardano di riffoni pesanti come incudini, mentre il gran lavoro della sezione ritmica, tra accelerazioni spaventose e brusche frenate rendono i brani vari e tremendamente efficaci.
Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

TRACKLIST
01. Where Gods Come to Die
02. Vultures in the Blood Red Sky
03. A Thousand Suns Will Rise
04. Summon the Undead
05. Revenge in the Afterlife
06. Empty Grave
07. Red Countess
08. Perish
09. Barren Wasteland
10. Folded Hands
11. Blood Colored (Edge Of Sanity cover)
12. Seed of Ferocity

LINE-UP
Jost Kleinert – Vocals
Daniel Jakobi – Guitars, b.vocals
Fernando Thielmann – Guitars,b.vocals
Johannes Pitz – Bass
Timo Claas – Drums

DEMONBREED – Facebook

Lita Ford – Time Capsule

Una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinante mondo.

Una delle regine dell’hard rock è tornata con un nuovo album, o meglio una raccolta di brani inediti scritti durante gli anni e mai immessi sul mercato.

Lo fa aiutata da una schiera di musicisti dal background vario ma tutti estremamente importanti per lo sviluppo della nostra musica preferita, così da trasformare una semplice (anche se bellissima raccolta di vecchi demotape) in un album imperdibile per tutti i fans dell’hard rock.
Lita Ford è una donna con un curriculum musicale da far impallidire molti degli illustri colleghi maschi, con una serie di flirt che l’hanno vista in compagnia del buon Lemmy, Joe Lynn Turner e tra gli altri Chris Holmes e Tony Iommi, tanto per citare l’ex marito ed il protagonista scabroso della sua autobiografia uscita ultimamente, ma soprattutto chitarrista del gruppo al femminile più importante della storia del rock, le Runaways di Joan Jett.
Time Capsule passa con disinvoltura da brani rock’n’roll, a grintose e ruvide hard rock songs, non facendoci mancare le super ballatone (Where Will I Find My Heart Tonight e War of the Angels) per le quali la Ford solista è famosa e l’album nella sua interezza convince, senza che i tanti anni passati dalla stesura delle tracce lo appesantiscano.
Ed arriviamo ai numerosi ospiti che imprimono il loro marchio su ogni brano di Time Capsule, iniziando da Jeff Scott Soto che duetta con la Ford in Where Will Find My Heart Tonight, mentre i due Kiss Gene Simmons e Bruce Kulick impreziosiscono il rock’n’roll ottantiano di Rotten To The Core.
Ma le sorprese non finiscono qui, Dave Navarro fa la sua comparsa in Killing Kind, song che vede al basso la presenza di Billy Sheehan e ai cori Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick.
Black Leather Heart risulta uno dei brani più riusciti del disco, colmo di groove leggermente moderno, con ancora Billy Sheehan a formare con il batterista Rodger Carter una sezione ritmica da urlo.
Ancora grande musica rock con Anything for the Thrill ed un salto nel blues rock con King of the Wild Wind, una song dal lento incedere, sporcata da un’attitudine blues che commuove.
Time Capsule viaggia su ottimi livelli e la Ford non manca di sbalordire per la grinta , dopo tanto tempo, per una sempre splendida voce che affiora nelle due ballad citate.
Cinquantasette anni e non sentirli, una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinate mondo, ci diverte e si diverte, bentornata.

TRACKLIST
01. Intro
02. Where Will I Find My Heart Tonight
03. Killing Kind
04. War of the Angels
05. Black Leather Heart
06. Rotten to the Core
07. Little Wing
08. On the Fast Track
09. King of the Wild Wind
10. Mr. Corruption
11. Anything for the Thrill

LINE-UP
Lita Ford – Vocals, Guitar
Jeff Scott Soto – Guest Vocals
Chris Holmes – Voice on “Intro”
Robin Zander – Backing Vocals
Rick Nielsen – Backing Vocals
Bruce Kulick – Guitar
Greg Buahio – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Billy Sheehan – Bass
Gene Simmons – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Dave Navarro – Mandolin
Rodger Carter – Drums

LITA FORD – Facebook

J.T.Ripper – Depraved Echoes and Terrifying Horrors

Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

Nell’underground metallico è forte una tendenza old school che negli ultimi anni si è amplificata in tutti i generi e prevalentemente in quelli estremi.

Death metal, thrash e raw black metal vivono grazie a questo sottobosco musicale, ancora ancorato alle sonorità storiche, molte volte con buoni risultate, altre sinceramente un po meno.
I tedeschi J.T. Ripper si piazzano esattamente nel mezzo con questo primo lavoro sulla lunga distanza, composto da nove brani di speed/thrash metal old school arricchiti da un’attitudine evil di chiara matrice black.
Ne esce Deapraved Echoes and Terrifying Horrors, lavoro che che si colloca tra Slayer, Venom e la sacra triade tedesca Sodom/Kreator/Destruction, influenze nobili per il trio di Chemnitz, anche se la strada da percorrere per raggiungere le loro ispirazioni è ancora molto lunga.
L’album si guadagna la piena sufficienza e qualcosa di più per l’alto impatto e l’attitudine, ma perde qualcosa in songwriting e produzione; il primo leggermente monocorde, la seconda molto old school, forse troppo.
Poco più di mezz’ora a mille allora, un forte sentore di putrida blasfemia ma anche di già sentito, portano il trio di thrashers composto da S (basso e voce), D (chitarra) e C (battteria), nei meandri infernali creati dai gruppi che misero a ferro e fuoco il decennio ottantiano, la passione nel riportare tali sonorità è commovente ed il gruppo ce la mette tutta per risultare più aggressivi possibile, ed in effetti ci riesce alla grande, specialmente nei brani più elaborati come Darkest Minds e la punkizzata Repulse Desire.
Se siete amanti di tutto quello che è vintage nel metal estremo, Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Black Death
2. Seven Comandments
3. Human Coffin
4. Darkest Minds
5. Bloody Salvation
6. Route 666
7. Fallout (Over France)
8. Repulsive Desire
9. Buried Alive

LINE-UP
Chris – Drums
Daniel – Guitars
Steffen – Vocals, Bass

J.T.RIPPER – Facebook