Stone Broken – Ain’t Always Easy

Il sound del gruppo inglese è quanto di più radiofonico e melodico si possa trovare in giro nel genere, come se si fosse al cospetto di Nickelback che sappiano ancora graffiare, con il groove ad accompagnare song dall’impatto melodico esagerato e dall’enorme potenziale.

Gli inglesi Stone Broken sono un quartetto in arrivo da Walsall, attivo dal 2013 e con un primo album autoprodotto uscito tre anni dopo ed intitolato All In Time.

Negli ultimi tempi Chris Davis, Rich Moss, Robyn Haycock e Kieron Conroy hanno firmato un contratto con Spinefarm/Universal Music e licenziano il nuovo album, Ain’t Always Easy, composto da undici brani anticipati dal singolo Worth Fighting For, brano che parla del delicato tema degli abusi domestici.
Il sound del gruppo inglese è quanto di più radiofonico e melodico si possa trovare in giro nel genere, come se si fosse al cospetto di Nickelback che sappiano ancora graffiare, con il groove ad accompagnare song dall’impatto melodico esagerato e dall’enorme potenziale.
Il primo singolo e video apre l’album, esplosivo e grintoso risulta perfetto per rompere il ghiaccio ed entrare con una spallata nel mondo di Ain’t Always Easy, seguito da Let Me See It All, dal groove micidiale dall’irresistibile refrain.
Da qui in poi i ritmi perdono leggermente potenza e l’album prende una strada melodica non del tutto inaspettata, con Follow Me e Otherside Of Me che riprendono qualche riff più duro delle prime tracce senza però far male.
Un album che una volta sarebbe stato venduto come post grunge, termine che non va più di moda ma che descrive il sound proposto dagli Stone Broken, risposta inglese alla band che di Chad Kroeger.

Tracklist
1.Worth Fighting For
2.Let Me See It All
3.Heartbeat Away
4.Home
5.Follow Me
6.I Believe
7.Doesn’t Matter
8.Anyone
9.Just a Memory
10.Other Side of Me
11.The Only Thing I Need

Line-up
Rich Moss – Vocals, Guitar
Chris Davis – Guitar, Vocals
Kieron Conroy – Bass
Robyn Haycock – Drums, Vocals

STONE BROKEN – Facebook

The Shiva Hypothesis – Ouroboros Stirs

Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.

La Wormholedeath non si smentisce con le sue uscite di ottima qualità e licenzia il primo album di questo notevole gruppo estremo, nato nei Paesi Bassi da diversi anni e chiamato The Shiva Hypothesis.

Il quartetto in questione suona un atmosferico mix di black e death metal, con molte sfumature dark ed una teatralità innata: il sound è valorizzato da un’anima progressiva, con strutture caratterizzate da furiosi cambi di tempo ritmici e dissonanze chitarristiche su una base estrema cupa e pregna di misticismo.
Ouroboros Stirs lascia ad un intro quasi impercettibile il compito di portarci all’attacco funesto di Ananda Tandava, primo squillo di questo misterioso lavoro; a tratti il sound dei nostri risulta intriso di quelle atmosfere dark/progressive care ai primi Arcturus, per poi lasciare spazio a violente tempeste death/black alla Behemoth, il cantato tra scream e growl interpreta i testi a sfondo religioso e filosofico in un clima di tregenda sonora, in parte smorzata dalle atmosfere oscure e pacate di cui la band è maestra.
Maze Of Delusion (uno dei brani, insieme a Caduceus e Praedormitium, che componevano il promo di cui vi avevamo parlato in passato) è uno splendido esempio di thrash/black metal che si sviluppa su tempi medi, per poi accelerare improvvisamente e tornare a calcare territori black metal puri, prima che un’intermezzo dark alla Fields Of The Nephilim incoroni il brano come il picco qualitativo di Ouroboros Stirs.
Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.
Ouroboros Stirs cresce con gli ascolti così da metabolizzare le varie sfumature di cui è composto: lasciatevi rapire dal suono creato dal gruppo olandese, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Enkindling
2.Ananda Tandava
3.Caduceus
4.Praedormitium
5.Build Your Cities on the Slopes of Mount Vesuvius
6.Maze of Delusion
7.Carrying off the Effigy
8.With Spirits Adrift

Line-up
ML – Bass, Keys, Electric & Accoustic Lead Guitar (track 5 & 8), Additional Vocals (track 3 to 7)
BN – Drums & Percussion, Additional Vocals (track 6)
JB – Electric & Accoustic Guitars, Additional Vocals (track 4)
MvS – Vocals

THE SHIVA HYPOTHESIS – Facebook

Chronic Hate – The Worst Form of Life

I Chronic Hate hanno trovato la formula per risultare personali senza perdersi nei meandri di un sound intricato e fine a sé stesso: il loro death metal è arrembante e convincente nella sua folle e violenta corsa verso la perdizione.

Nell’underground estremo nazionale strisciano nell’ombra creature estreme feroci e malvagie come i Chronic Hate, gruppo veneto attivo dal 2001 e con una lunga gavetta alle spalle fatta di cambi nella line up, concerti in giro per l’Europa dell’est (soprattutto in Polonia) ed un precedente full length (Dawn Of Fury uscito nel 2012), accompagnato da un paio di demo ed un ep.

I Chronic Hate tornano sul mercato con un nuovo lavoro, questo maligno e devastante The Worst Form of Life, album composto da dieci tracce di death metal diretto e senza fronzoli, ben prodotto così da bilanciare perfettamente l’impatto old school ed un’attitudine al passo coi tempi.
Il gruppo non le manda certo a dire, spinge fin da subito sul tasto della concretezza, dimostra che gli anni di esperienza nel sottosuolo estremo non sono passati invano e ci accoglie pieno di odio e malvagità con queste bordate di metallo oscuro e violento, tra growl e scream, ritmiche forsennate e chitarre lancinanti.
The Worst Form of Life non lascia scampo, la sua natura maligna è concentrata e lasciata sfogare in brani di un’urgenza che lascia senza fiato, corse affannose per sfuggire ad un bagno di sangue, veloci passaggi di puro male che trovano nella conclusiva Stato Di Agonia la giusta fine di una caduta nel baratro della follia.
I Chronic Hate hanno trovato la formula per risultare personali senza perdersi nei meandri di un sound intricato e fine a sé stesso: il loro death metal è arrembante e convincente nella sua folle e violenta corsa verso la perdizione.

Tracklist
1.Parasites
2.Toxic Voices
3.Bearer of Disease
4.Abstract Utopia
5.Procreators of Pain
6.Contaminations
7.Repugnance
8.Infected Breeding
9.Choose Your Bullet
10.Stato di Agonia

Line-up
Andrea – Vocals
Daniele – Guitars, Backing Vocals
Marco S. – Bass
Marco C. – Drums

CHRONIC HATE – Facebook

Tesseract – Sonder

Il nuovo album Sonder riappacifica in parte i Tesseract con i loro detrattori, farà sicuramente storcere il naso ai vecchi fans, ma è indubbio che la strada intrapresa sia quella giusta, almeno dal punto di vista commerciale.

Tornano i Tesseract, una delle più famose progressive metal band odierne, tacciati di tanta tecnica e poche emozioni nei primi lavori che avvicinavano il gruppo inglese al djent, tanto da essere definiti tra i precursori del genere.

Da Polaris in poi le cose sono leggermente cambiate: il ritorno dietro al microfono del singer Daniel Tompkins è coinciso con un importante ammorbidimento del sound, non più mero esercizio tecnico di scuola moderna .
Il nuovo album riappacifica in parte i Tesseract con i loro detrattori, farà sicuramente storcere il naso ai vecchi fans, ma è indubbio che la strada intrapresa sia quella giusta, almeno dal punto di vista commerciale.
Sonder, parola proveniente dal Dizionario Dei Dolori Oscuri di John Koenig e usata come titolo dai Tesseract, accentua l’atmosfera intellettuale della proposta dei gruppo, che dall’opener Luminary in poi ci fa partecipe di un viaggio nello spazio alla ricerca di un senso alle nostre esistenze per poi ritrovarci dentro il nostro corpo, anime imprigionate e sole, i cui confini sono delimitati dalla nostra pelle.
Tutto questo affannarsi in tale ricerca porta ad un sound molto melodico, solo in parte spazzato da tempeste di tecnico metallo moderno per poi ritornare in un mood pinkfloydiano neanche troppo originale, in verità.
Tutto è perfetto, pure troppo, e se la fredda lucidità con cui il gruppo ci concede queste nuove otto tracce, non è nulla in confronto ai primi sopravvalutati lavori, il disco si rivela piuttosto lontano (se si parla di metal progressivo) dai capolavori dei gruppi scandinavi, in qualche modo legati al metal estremo di matrice death/black.
Sonder resta comunque un buon album e le varie King, Beneath My Skin e Mirror Image sono brani che non conoscono imperfezioni, riuscendo a dare agli amanti dei Tesseract, specialmente dopo il precedente album, quello che speravano di sentire da un nuovo lavoro firmato dal gruppo inglese.

Tracklist
01.Luminary
02.King
03.Orbital
04.Juno
05.Beneath My Skin
06.Mirror Image
07.Smile
08.The Arrow

Line-up
Acle Kahney – Guitar
James Monteith – Guitar
Jay Postones – Drums
Daniel Tompkins – Vocals
Amos Williams – Bass

TESSERACT – Facebook

Malachia – Red Sunrise – The Complete Anthology

Limitata a 500 copie in doppio cd, Red Sunrise – The Complete Anthology è un passo obbligato per i cultori del metal a sfondo cristiano e dei collezionisti delle migliori produzioni anni ottanta.

Prosegue la rivalutazione di band perse negli anni che diedero lustro alla scena Christian Metal statunitense da parte della Roxx Records: questa volta tocca agli storici Malachia, quintetto di Los Angels attivo dal 1984 al 1988, anno in cui cambiarono monicker in Vision.

La label americana licenzia questa esaustiva compilation, intitolata appunto Red Sunrise – The Complete Anthology, dove trova spazio tutto il materiale scritto dal gruppo in entrambe le sue denominazioni.
La band era composta da Wade A. Little al basso, Dave Devaughn alla batteria, Jeffrey James alla sei corde, Steve Ayola ai tasti d’avorio e Ken Pike alla voce e chitarra, quest’ultimo emulo del primissimo Geoff Tate, così come la musica del gruppo si avvicinava non poco a quella dei primi Queensryche.
E la più fortunata band di Seattle torna alla mente nell’ascoltare questa raccolta di brani dal sound metallico, melodico e a tratti progressivo, dai testi incentrati ovviamente sul cristianesimo.
Rage For Order, l’album più heavy metal in senso stretto dei Queensryche, spiega perfettamente l’ approccio del gruppo californiano, elegante nelle soluzioni progressive, con i tasti d’avorio che disegnano arabeschi su brani heavy e melodici, a tratti nobilitati da raffinate atmosfere epiche, un cantato perfetto per l’epoca e cavalcate che sono l’abc dell’heavy metal d’oltreoceano.
Dall’ep Under the Blade al full lenght Red Sunrise (uscito nel 1987), in questa compilation troverete tutto dei Malachia e dei Vision, formando una raccolta di brani suggestivi e a loro modo epocali come In Christ We Rock, Red Sunrise, Master’s Call, Lonely Is The Night e Runaway.
Limitato a 500 copie in doppio cd, Red Sunrise – The Complete Anthology è un passo obbligato per i cultori del metal a sfondo cristiano e dei collezionisti delle migliori produzioni anni ottanta.

Tracklist
Disc 1
1.In Christ We Rock
2.Red Sunrise
3.Lonely Is the Night
4.Let It Go
5.Sightless Eyes
6.Heaven or Hell
7.Mark of the Beast
8.Master’s Call
9.Runaway (2018 remaster)
10.Narration
11.Heaven or Hell
12.Mark of the Beast
13.Master’s Call
14.Let It Go
15.Red Sunrise
16.In Christ We Rock

Disc 2
1.Runaway
2.In Christ
3.Keep the Faith
4.Plain Sight
5.Separate Ways
6.Change of a Heart Beat
7.Life Giver
8.What Must I Do
9.Light
10.Love, It’s Only You I See
11.Tonal Intensity
12.We Touch
13.Not Living Without You
14.Tonal Intensity
15.What Must I Do

Line-up
Wade A. Little – Bass
Dave Devaughn – Drums
Jeffrey James – Guitars
Steve Ayola – Keyboards
Ken Pike – Vocals, Guitars

ROXX PRODUCTIONS – Facebook

Kataklysm – Meditations

Oggi i Kataklysm suonano come dei Pantera che, dopo aver passato mesi ad ascoltare Soilwork ed At The Gates, si riunissero per comporre nuovo materiale, quindi lasciate che il death metal duro e puro lasci spazio al thrash, al groove e alle melodie e che Meditations faccia bella mostra di sé sul vostro scaffale, c’è comunque da divertirsi.

Torna una delle band storiche del panorama death metal mondiale, i Kataklysm di Maurizio Iacono, con il suo tredicesimo full length di una carriera discografica iniziata all’alba degli anni novanta e proseguita fino ai giorni nostri tra tanti alti e pochissimi bassi.

Tredici lavori che hanno avuto il loro picco qualitativo all’inizio del nuovo millennio, con tre album fondamentali come Shadows & Dust, Serenity In Fire e In The Arms Of Devastation.
Meditations continua l’evoluzione del gruppo verso un death metal più moderno e groovy, melodico come non ci si sarebbe mai aspettato quindici anni fa, ma altrettanto foriero di buona musica estrema.
Forse Iacono ha lasciato ai suoi Ex Deo il compito di dar battaglia con un death metal old school che, se vive di violenta epicità, e di tematiche legate alla storia, ricorda non poco il selvaggio ed arrembante sound dei vecchi Kataklysm.
Oggi la band canadese ricorda più una melodic death metal band (In Limbic Resonance), dal sound che viene sferzato da trombe d’aria thrash metal e potenziato da ritmiche groove, risultando appunto orientato verso una modernità imprevedibile all’epoca dei macigni estremi menzionati.
Meditations è un bel lavoro, e del resto i fans che seguono il gruppo potevano tranquillamente aspettarsi questa evoluzione che parte da almeno due album fa (Waiting for the End to Come ed il precedente Of Ghosts and Gods), quindi le melodie ricche di appeal di Guillotine o Outsider, poste come benvenuto all’interno di Meditations, non dovrebbero rappresentare una grossa sorpresa.
Oggi i Kataklysm suonano come dei Pantera che, dopo aver passato mesi ad ascoltare Soilwork ed At The Gates, si riunissero per comporre nuovo materiale, quindi lasciate che il death metal duro e puro lasci spazio al thrash, al groove e alle melodie e che Meditations faccia bella mostra di sé sul vostro scaffale, c’è comunque da divertirsi.

Tracklist
1. Guillotine
2. Outsider
3. The Last Breath I’ll Take Is Yours
4. Narcissist
5. Born To Kill And Destined To Die
6. In Limbic Resonance
7. And Then I Saw Blood
8. What Doesn’t Break Doesn’t Heal
9. Bend The Arc, Cut The Cord
10. Achilles Heel

Line-up
Maurizio Iacono – Vocals
JF Dagenais – Guitar
Stephane Barbe – Bass
Oli Beaudoin – Drums

KATAKLYSM – Facebook

Graveyard – Back To The Mausoleum

Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.

Dalla tomba di un cimitero abbandonato in una zona imprecisa della Catalogna sorgono ancora una volta i Graveyard, band attivissima nella cena estrema iberica.

In undici anni, infatti, il gruppo proveniente da Barcellona, oltre a tre full length ha licenziato un paio di ep ed una marea di split a completare una discografia invidiabile, numericamente parlando.
Il sound è un buon esempio di death metal old school, catacombale e legato da un sottilissimo filo alla scena scandinava di primi anni novanta con tra Dismember ed Unleashed.
Niente di nuovo dunque, ma d’impatto, specialmente per chi stravede per queste storiche sonorità alle quali la band  aggiunge poche ma ottime atmosfere di lento incedere doom/death, a sottolineare ancor di più i testi incentrati su temi death/horror.
Back To The Mausoleum è un ep composto da quattro brani più intro che nulla aggiunge e nulla toglie ai Graveyard, band di genere che è sempre una sicurezza per gli amanti del death tradizionale di scuola nord europea.
Un growl che sembra uscito dall’ugola di un cadavere sepolto da centinaia di anni e tornato a camminare sulla terra, solos taglienti, armonie e rallentamenti melodici che creano melanconiche atmosfere mortifere e veloci ripartenze feroci come uno zombie accanito sulle viscere di una vittima, è tutto quello che troverete su Back To The Mausoleum, niente male tutto sommato.

Tracklist
1. Scorched Earth
2. And The Shadow Came
3. Craving Cries I Breath
4. In Contemplation
5. An Epiphany Of Retribution

Line-up
Javi – Guitars
Gusi – Drums
Julkarn – Bass & Vocals
Mark – Guitars
Fiar – Live vocals

URL Facebook
https://www.facebook.com/deathmetalgraveyard

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)

Descrizione Breve

Eversin – Armageddon Genesi

Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Parlare solo di scena tricolore per quanto riguarda gli Eversin appare riduttivo: la band siciliana, infatti, ha dimostrato nel corso degli anni di avere sempre più un taglio internazionale, sia per quanto riguarda il curriculum live sia per quello discografico, dall’alto livello qualitativo in un genere per niente facile come il thrash metal.

Armageddon Genesi segue di tre anni il bellissimo Trinity: The Annihilation, album che aveva portato una tempesta di suoni slayerani sulla scena estrema, marchiata a fuoco dal gruppo con il proprio sound devastante ed a suo modo originale nel saper fondere al meglio il thrash metal classico e quello moderno.
Il nuovo album vede un ulteriore passo verso un approccio unico e personale al genere: la band, con ancora in sella tutti e quattro i cavalieri dell’apocalisse (Ignazio Nicastro/Guerra, Giangabriele Lo Pilato/Pestilenza, Angelo Ferrante/Carestia, Danilo Ficicchia/Morte) lascia quasi definitivamente i suoni dai rimandi old school per un impatto moderno, creando un suono particolare, che se ha molte affinità con i Kreator più sperimentali (Ferrante su questo lavoro appare come un Mille Petrozza indemoniato) alza un muro metallico mostruoso ed invalicabile.
Dalle prime note di Legions si capisce che armageddon e apocalissi si abbatteranno su di noi con una violenza che non lascia scampo, con il basso di Nicastro che forma con il drumming di Ficicchia un maremoto ritmico sul quale le dissonanze chitarristiche di Lo Pilato e le urla petrozziane di Ferrante ingigantiscono a dismisura il clima da fine del mondo, in questo ennesimo monumentale macigno estremo targato Eversin.
Con la partecipazione di Ralph Santolla (purtroppo proprio ieri è giunta la tragica notizia del suo decesso) sulla cadenzata e a suo modo marziale Soulgrinder, e di Lee Wollenschlaeger dei Malevolent Creation sulla title track, l’album imprime una marcia in più al sound del gruppo, che si fa moderno, ritmicamente inarrestabile e devastato da una chitarra i cui assoli sono strumenti di tortura metallica.
Se Havoc Supreme può ricordare Winter Martyrium( da Renewal dei Kreator), le atmosfere apocalittiche delle varie Where Angels Die, Seven Heads e della conclusiva To The Gates Of The Abyss, sono sunto di tutto quello che la band ha fagocitato in questi anni e rigettato sotto forma di metallo dall’indiscussa potenza espressiva.
Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Tracklist
01. A Dying God Walks The Earth
02. Legions
03. Jornada Del Muerto
04. Soulgrinder (feat. Ralph Santolla)
05. Havoc Supreme
06. Where Angels Die
07. Seven Heads
08. Armageddon Genesi (feat. Lee Wollenschlaeger)
09. To The Gates Of The Abyss

Line-up
Ignazio Nicastro – Bass
Angelo Ferrante – Vocals
Giangabriele Lo Pilato – Guitars
Danilo Ficicchia – Drums

EVERSIN – Facebook

Ancient Oak Consort – Hate War Love

Hate War Love è un’elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal.

Odio – guerra – amore: Sicilia 1943, l’amore come unica arma contro l’odio che porta alla guerra e alla distruzione, anche dell’animo umano.

Da questi drammatici temi nasce il concept album degli Ancient Oak Consort, band capitanata dal chitarrista classico Andrea Vaccarella , attiva da più di vent’anni ma con solo un paio di opere alle spalle: Ancient Oak, licenziata nel 1997, e The Acoustic Resonance of Soul, uscita nel 2006, dodici anni prima che questa nuova opera vedesse la luce, con il gruppo che, oltre al compositore e chitarrist,a vede al microfono Giulia Stefani (Ravenscry) e alla batteria Stefano Ruscica, più un nutrito numero di special guests come Roberto Tiranti (Labyrinth), Mathias Blad (Falconer), Francesco “Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) alla voce, Cosimo Tranchino, Dario Giannì, Filippo Di PietroBasso al basso e Alexandra Butnaru al violino.
Elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal, Hate War Love è una maestosa creatura musicale formata da diciassette brani, dai quali veniamo accompagnati tra le terre bruciate dal sole della Sicilia dalla splendida e particolare voce della Stefani, seguendo il corso fluido delle note, quelle grintose del metal progressivo, oppure creatrici di atmosfere classiche, o ancora ispirate alla musica popolare, suonata da centinaia di anni sulle rive che si affacciano nel Mediterraneo.
Gli ospiti danno il loro contributo, ma al microfono la scena è tutta per la cantante, dalla timbrica suadente che non ha nulla delle cantanti pompose che tanto vanno di moda oggi nel metal sinfonico.
I brani classici sono quelli che più donano quel tocco di originalità all’opera, lasciando le sicure strade sinfoniche e mettendo in risalto la chitarra classica e le eleganti armonie di violino, viola e violoncello.
Album da ascoltare nella sua interezza, sensibile alla raffinata musicalità degli strumenti classici, Hate War Love esprime un susseguirsi di emozioni che odio, guerra ed il loro naturale antidoto (l’amore) regalano dall’inizio dei tempi.

Tracklist
1.Walking (Barcarola)
2.Eternal Clash
3.Love Theme (Piano)
4.By the Sea
5.Diario di bordo
6.The Heaven’s Lie
7.Sweetly (Ninna nanna)
8.Men Fighting for Men
9.Love Theme (Dialogue)
10.Barcarola
11.The Race
12.Will You Remember Me?
13.The Letter
14.Epilogue
15.Sick Dream
16.Love Theme (Guitar Version)
17.Ninna nanna

Line-up
Andrea Vaccarella – Guitars
Giulia Stefani – Voice
Stefano Ruscica – Drums

Guests:
Roberto Tiranti (Labyrinth) – Voice
Mathias Blad (Falconer) – Voice
Francesco “ Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) – Voice
Cosimo Tranchino – Bass
Dario Giannì – Bass
Filippo Di Pietro – Bass
Alexandra Butnaru – Violin, Viola

ANCIENT OAK CONSORT – Facebook

Skeletal Remains – Devouring Mortality

Devouring Mortality alterna brani più diretti ad altri nei quali il guitar work fugge verso lidi progressivi, regalando scudisciate e ripartenze velocissime, o mid tempo in cui le chitarre ci accompagnano negli abissi più profondi.

La Century Media non si fa scappare questi ottimi deathsters californiani al terzo lavoro sulla lunga distanza, un trio che si dimostra una macchina da guerra old school, chiaramente dal sound che guarda al genere suonato in terra statunitense negli anni novanta.

La band nasce dunque nel 2011, ed in appena sette anni rilascia tre album ed un live, non male per un gruppo odierno: Devouring Mortality va a confermare l’ottimo momento dei deathsters californiani in fase di songwriting.
L’album è in toto un lavoro vecchia scuola, il growl a tratti ricorda quello di John Tardy degli Obituary con i brani che si susseguono devastanti, dalle ritmiche importanti sotto l’aspetto tecnico e le ispirazioni che vanno dai Death ad un po’ tutta la scena che girava intorno ai mostri sacri del genere.
Devouring Mortality alterna brani più diretti ad altri nei quali il guitar work fugge verso lidi progressivi, regalando scudisciate e ripartenze velocissime, o mid tempo in cui le chitarre ci accompagnano negli abissi più profondi.
I brani spingono senza pietà e la band, grazie ad una produzione in linea con l’attitudine old school, risulta perfetta per far tornare i fans all’epoca d’oro del metal estremo di stampo death.
Catastrophic Retribution, il bombardamento a tappeto della title track, le strade progressive intraprese da Torture Labyrinth prima che un potente mid tempo si impossessi della sua anima, e il massacro attuato da Mortal Decimation non concedono tregua e sviluppi diversi dai canoni del genere: gli Skeletal Remains in questo senso sono una sicurezza e l’album un ascolto gradito per i deathsters ispirati dal sole californiano.

Tracklist
1. Ripperology
2. Seismic Abyss
3. Catastrophic Retribution
4. Devouring Mortality
5. Torture Labyrinth
6. Grotesque Creation
7. Parasitic Horrors
8. Mortal Decimation
9. Lifeless Manifestation
10. Reanimating Pathogen
11. Internal Detestation
Bonus track on Special Edition Digipak:
12. Hung, Drawn And Quarted (CANCER – cover)

Line-up
Adrian Marquez – Bass
Chris Monroy – Vocals & Guitars
Mike De La O – Guitars

Johnny Valles – Drums (on “Devouring Mortality”)
Adrian Obregon – Guitar (on “Devouring Mortality”)
Carlos Cruz – Drums (live)

SKELETAL REMAINS – Facebook

Materdea – Pyaneta

Un affascinante e superbo album di musica metal, tra sontuose orchestrazioni, melodie acustiche, attitudine pagan/folk e potenza power.

Torna, a distanza di due anni dal bellissimo The Goddess’ Chants e a quattro dal capolavoro A Rose For Egeria, quella che dopo aver ascoltato questa sontuosa opera dal titolo Pyaneta, si conferma come una delle migliori realtà symphonic metal in assoluto.

I Materdea sono un mondo a parte, raffinati ed eleganti musicisti che coniugano in modo assolutamente perfetto sinfonie metal e melodie folk, ritmiche power prog ad un amore incondizionato per la natura ed il pianeta che ci ospita, troppo spesso dimenticato e torturato dalla scellerata umanità moderna.
La bellezza di Pyaneta raggiunge vette straordinarie: il viaggio intrapreso dal gruppo esplora la vita e la natura con l’aiuto di una musica totale, magari dall’approccio più moderno rispetto all’immaginario fantasy che ispirava gli scorsi lavori, ma ancora una volta supportato da un’eleganza ed una raffinata attitudine che l’album talmente bello da commuovere.
Al comando dei Materdea ci sono sempre il chitarrista Marco Strega e quella splendida interprete che è Simon Papa, cantante che incanta letteralmente, grazie al dono di saper ipnotizzare con l’elegante bellezza della sua voce.
Prodotto da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, Pyaneta è composto da undici perle sinfoniche, pregne di atmosfere folk e cavalcate power metal, dove violini e violoncello (Camilla D’Ononfrio, Giulia Subba e Chiara Manueddu) insieme alle orchestrazioni formano un muro sonoro costruito su una sezione ritmica precisa e potente (Morgan De Virgilis al basso e Carlos Cantatore alla batteria), con la chitarra di Marco Strega a colorare quadri elettrici là dove Simon Papa ci delizia con la sua voce fuori dal tempo.
Potrei citarvi tutta la tracklist senza correre il rischio di uscire dall’eccellenza, mentre sarebbe più difficile fare paragoni scomodi con realtà che sono lontane miglia dal suono Materdea: preferisco quindi lasciarvi all’ascolto di questo affascinante e superbo album di musica metal, tra sontuose orchestrazioni, melodie acustiche, attitudine pagan/folk e potenza power.

Tracklist
01. Back To Earth
02. The Return of the King
03. One Thousand and One Nights
04. Pyaneta
05. Neverland
06. S’Accabadora
07. The Legend of the Pale Mountains
08. Legacy of the Woods
09. Coven of Balzaares
10. Metamorphosis (Bonus Track CD version only)
11. Bourrè del Diavolo

Line-up
Simon Papa – voce
Marco Strega, – chitarra e voce
Chiara Manueddu – violoncello
Camilla D’Onofrio – violino
Giulia Subba – violino
Morgan De Virgilis – basso
Carlos Cantatore – batteria

MATERDEA – Facebook

Blood Moon Hysteria – My Sacrifice EP

Runar Beyond torna ad esprimere con la musica emozioni come il disagio esistenziale e la profonda inquietudine, in un’atmosfera che conduce alle condizioni più estreme e dolorose dell’animo umano.

La musica che accompagna un gesto rituale e di sottomissione come il sacrificio non può che esprimere drammatica e tragica sofferenza, così come avviene con le quattro tracce che compongono il ritorno dei Blood Moon Hysteria, sotto cui monicker si cela Runar Beyond, musicista di Stavanger al secondo lavoro dopo il debutto di due anni fa intitolato Crimson Sky.

Accompagnato dal fido Fredrik S al piano, il polistrumentista e compositore norvegese dà vita a quattro brani di metal oscuro, melanconico e dark, la colonna sonora dell’apocalisse come scritto nella presentazione dell’opera licenziata come sempre dalla nostrana Wormholedeath.
Lasciati ormai i sentieri acustici della sua prima creatura, Beyond The Morninglight, Runar entra nell’oscuro e misantropico mondo del black metal, anche se le ispirazioni dark e l’atmosfera di oscura sofferenza sono riscontrabili nell’ormai consolidato sound a metà strada tra Joy Division e primi Katatonia.
Ispirate e tragiche sono le sfumature di Deception e Deception PT 2, assolutamente estreme quelle della title track e soprattutto della conclusiva Towards The Abyss, brani che portano la musica dei Blood Moon Hysteria verso territori di violenta disperazione, dopo l’estremo atto del sacrificio.
Runar Beyond torna ad esprimere con la musica emozioni come il disagio esistenziale e la profonda inquietudine, in un’atmosfera che conduce alle condizioni più estreme e dolorose dell’animo umano.

Tracklist
1.My Sacrifice
2.Deception
3.Towards The Abyss
4.Deception Part 2

Line-up
Runar Beyond – Music and lyrics
Fredrik S – Special guest on piano

BLOOD MOON HYSTERIA – Facebook

Construct Of Lethe – Exiler

Consigliato agli amanti del death metal tecnico, Exiler è l’album esemplare di una band da seguire e da annoverare nei gruppi migliori del genere.

Construct Of Lethe è la creatura estrema creata dal chitarrista e bassista Tony Petrocelly, ex Dead Syndicate ed un’altra manciata di band, dal 2010 attivo con questa oscura meraviglia death metal, tecnicamente fuori categoria tanto da essere considerata una technical death metal band, ma che a ben sentire regala molto di più che tecnica fine a se stessa.

Un full length già edito un paio di anni fa (Corpsegod) ed un ep (The Grand Machination ) erano finora quello che Petrocelly e compagni (Dave Schmidt alla voce, Patrick Bonvin alla chitarra solista e Kevin Paradis alla batteria) avevano lasciato ai posteri prima che un macigno sonoro dal titolo Exiler arrivasse a rimettere in gioco il terzetto statunitense nell’underground estremo.
E’ un death metal progressivo e suonato splendidamente, oscuro e colmo di cambi di tempo e dissonanze, quello che troviamo nel nuovo lavoro dei Construct Of Lethe, musicisti di valore assoluto che oltre a giocare con la tecnica imprimono ai brani un feeling pazzesco.
I Morbid Angel di Covenant, i Death e gli Immolatiion sono i punti di riferimento, e riff su riff, cambi di tempo, ritmi e solos al limite dell’umano caratterizzano brani non facilissimi da assimilare ma perfetti nel loro estremismo sonoro, il che rende l’album, fin dalle prime battute dell’iniziale Rot Of Augury,  un’altalena impazzita.
Rallentamenti doom potenziano Soubirous, valorizzata da un solo classico che strappa le carni: la chitarra soffre e lancia urla disarmanti e disperate, mentre la sezione ritmica comanda le operazioni, rallentando e accelerando capricciosa ed estrema.
A Testimony Of Ruin Terraces Of Purgation sono brani di pura violenza controllata, oscura e chirurgica, davvero impressionanti per potenza d’impatto.
Consigliato agli amanti del death metal tecnico, Exiler è l’album esemplare di una band da seguire e da annoverare nei gruppi migliori del genere.

Tracklist
1.Rot of Augury
2.A Testimony of Ruin
3.The Clot
4.Soubirous
5.Fugue State
6.Terraces of Purgation
7.Fester in Hesychasm

Line-up
Dave Schmidt – Vocals
Tony Petrocelly – Guitars, Bass
Patrick Bonvin – Lead Guitar
Kevin Paradis – Drums

CONSTRUCT OF LETHE – Facebook

Crushing The Deceiver – Crushing The Deceiver

Il primo omonimo album del quartetto di matrice cristiana non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola.

La Roxx records, label statunitense attiva nel proporre band di ogni genere che abbiano quale comune denominatore la religione cristiana, dopo i Californiani Deliverance ci presentano i Crushing The Deceiver, quartetto di Clovis, con il loro thrash metal possente e che sfiora in molte occasioni il death.

Il primo omonimo album del quartetto non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola: Grant Mohler. che si occupa della parte vocale, Johnny Rios alle chitarre, con Ryan Morrow al basso e Trent Allen alla batteria, sono partiti per una missione non facile, quella di avvicinare più persone possibili a Dio attraverso il metal estremo.
Se ci riusciranno lo vedremo più avanti, l’importante è la musica e allora iniziamo col dire che Crushing The Deceiver è un album riuscito, almeno per chi è avvezzo a queste sonorità.
La band, aiutata da una manciata di musicisti della scena cristiana come Michael Phillips (Join The Dead, Deliverance), Greg Minier (The Crucified, Applehead) e Shawn Beaty (Dogwood) non le manda certo a dire e rifila una serie di diretti in pieno volto, per una mezzora di thrash metal tripallico e duro come l’acciaio.
La voce, che a tratti sfiora  un growl di stampo death, tende a risultare leggermente forzata, ma è un dettaglio perchè la macchina gira a dovere e la band rende grazia al signore con devastanti bombe metalliche come The Light Inside Me, In God’s Hand e Forever Free.
La furia si placa con la conclusiva Gabriel’s Song, brano acustico che accende la luce divina su questo primo omonimo lavoro dei Crushing The Deceiver.

Tracklist
1. An Angels Armor
2. The Light Inside Me
3. Guide The Way To You
4. In God’s Hands
5. Pushing Back Hell
6. Crushing The Deceiver
7. Born Again
8. Forever Free
9. Gabriel’s Song

Line-up
Grant Mohler – Vocals
Johnny Rios – Guitars
Ryan Morrow – Bass
Trent Allen – Drums

CRUSHING THE DECEIVER – Facebook

Sign Of The Jackal – Breaking The Spell

Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione della band.

Nel recupero della tradizione metal/rock che sta avvenendo in questi anni, non manca certo l’heavy metal di scuola ottantiana ed in particolare quella che univa la musica pesante con tematiche horror, prese in prestito da libri e film e di cui in Italia eravamo e siamo ancora oggi maestri.

Inutile menzionare i Death SS, band che più di ogni altra ha marchiato con il fuoco dell’inferno la musica metal tricolore, mentre nel sottobosco ad alimentare la fiamma luciferina si ergono realtà interessantissime.
Il talento dei gruppi nostrani, oltre che nella musica in sé, è sempre stato l’apparire più credibili di altri e non si smentiscono neppure a questa regola i Sign Of The Jackal, gruppo trentino che dell’horror heavy metal ne ha fatto il suo blasfemo credo.
Con la strega Laura “Demon’s Queen” al microfono ed un paio di lavori alle spalle (l’ep The Beyond del 2011 e Mark Of The Beast, album licenziato nel 2013), il quintetto ci regala un altra notte insonne con il timore che gli artigli di Freddy Krueger ci afferrino l’anima o la piccola Regan si svegli dal torpore gelido in cui è piombata da quando il demone l’ha posseduta.
Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione dei nostri, tra citazioni musicali che vanno dai Maiden, agli Scorpions (Terror At The Metropol) senza ovviamente dimenticare Steve Sylvester e tutto quello che ha insegnato in materia.
Grande partenza con le keys che intonano il tema portante de L’esorcista e che ci danno il benvenuto in Breaking The Spell, poi la batteria accende la miccia e Night Curse ci investe con la sua carica heavy metal, un vero sballo per gli amanti del suono metallico duro e puro.
Non c’è un brano sotto tono o un assolo che non faccia venir voglia di imbracciare la scopa e scimmiottare inarrivabili guitars hero, in un’atmosfera horror metal trascinante ed irresistibile (Class of 1999, Heavy Rocker, Nightmare ma potrei citarle tutte).
In conclusione, Breaking The Spell risulta un gioiellino metallico, ed i Sign Of The Jackal un’autentica sorpresa nel vasto panorama underground italico.

Tracklist
Side A
1.Regan
2.Night Curse
3.Class of 1999
4.Mark of the Beast
5.Heavy Rocker

Side B
6.Nightmare
7.Terror at the Metropol
8.Beyond the Door
9.Headbangers

Line-up
Laura “Demon’s Queen”- Vocals
Bob Harlock666 – Lead & Rhythm Guitars
Max – Rhythm & Lead Guitars
Nick “DevilDrunk” – Bass
Corra “Hellblazer”- Drums

SIGN OF THE JACKAL – Facebook

Order Ov Riven Cathedrals – Göbekli Tepe

Fin dalle prime battute, l’universo e lo spazio profondo sono i territori in cui si muove il sound del duo italiano, che atterra nell’antico Egitto come in uno stargate musicale che ricorda non poco i capolavori degli statunitensi Mechina, insieme ai Nile i due gruppi che più si avvicinano al dirompente e devastante tsunami estremo creato dagli Order Ov Riven Cathedrals.

Di questa band si sa poco o nulla, quindi siamo ancora una volta alle prese con un misantropico progetto estremo, formato da due individui riconoscibili come 12, alle prese con tutti gli strumenti, ed En Sabar Nur, al microfono e responsabile in toto dei testi incentrati su tematiche affascinanti come l’antico Egitto, la storia della Mesopotamia e lo studio dell’astronomia.

Göbekli Tepe è il secondo album, licenziato a distanza di un anno dal precedente The Discontinuity’s Interlude, un mastodontico lavoro incentrato su un death metal ferocissimo, tecnico ed epicizzato da opprimenti parti orchestrali che formano, con il growl brutale del singer, un terrificante e apocalittico pezzo di granito metallico.
Fin dalle prime battute, l’universo e lo spazio profondo sono i territori in cui si muove il sound del duo italiano, che atterra nell’antico Egitto come in uno stargate musicale che ricorda non poco i capolavori degli statunitensi Mechina, insieme ai Nile i due gruppi che più si avvicinano al dirompente e devastante tsunami estremo creato dagli Order Ov Riven Cathedrals.
Worship Ov Abduction, From Neptune Towards Assyria, Revelation Ov A Neutron Swarm passano da atmosfere di epico metallo oscuro di stampo death dall’aura spaziale a sfumature orientali, in un contesto estremo ed orchestrale da brividi, formando all’unisono un’opera coinvolgente, valorizzata da sinfonie dove le voci di dee si sovrappongono come sirene, al devastante turbinio di note che formano l’opera.
Invocation Ov The Kavod è l’ultima perduta sinfonia estrema prima che l’outro 29.9792458 Hymns To Complete Disintegration concluda questo mirabolante viaggio tra lo spazio sconosciuto e le antiche civiltà di un passato remoto che rivive nella musica degli order Order Ov Riven Cathedrals e, forse, su altri lontanissimi pianeti.

Tracklist
1.Heretica Speedlight 299.792458
2.Worship Ov Abduction
3.Adoration Ov The Spherical Trigonometry
4.Wrath Of A Photon God
5.From Neptune Towers Assyria
6.Glorification Ov The Divine Fallout
7.Revelation Ov A Neutron Swarm
8.The Fury Algorithm
9.Invocation Ov The Kavod
10.29.9792458 Hymns To Complete Disintegration

Line-up
12 – All Instruments
En Sabar Nur – Vocals, Lyrics

Hangarvain – Roots And Returns

Roots And Returns segna un cambio di direzione, lasciando le strade dell’alternative rock del bellissimo Freaks e riavvicinandosi in qualche modo al magnifico Best Ride Horse, continuando a recuperare suoni, ispirazioni ed atmosfere del rock americano classico ed inglobando nel sound elementi riconducibili al southern rock, al blues e soprattutto al rhythm and blues.

Alessandro Liccardo e Sergio Toledo Mosca hanno alzato la saracinesca dietro la quale la loro cinquecento riposava da un paio d’anni, hanno ricaricato la batteria, gonfiato le gomme, lubrificato per bene il motore e sono pronti per tornare a viaggiare in lungo ed in largo per lo stivale e non solo, accompagnati da Francesco Sacco e Mirkko De Maio, fida sezione ritmica di quella macchina rock’n’roll chiamata Hangarvain.

I musicisti napoletani nel frattempo hanno riversato le loro energie in progetti importanti come la Volcano Records & Promotions, label che in poco tempo è diventata un punto di riferimento per il rock underground tricolore e per la quale esce questo nuovo lavoro di sei brani (cinque inediti più la cover di I Heard It Through The Grapevine di Marvin Gaye) che rappresenta una sorta di nuovo inizio per una delle realtà più importanti nate nella nostra penisola per quanto riguarda il genere.
Roots And Returns segna un cambio di direzione, lasciando le strade dell’alternative rock del bellissimo Freaks e riavvicinandosi in qualche modo al magnifico Best Ride Horse, ma a pochi metri la cinquecento scala marcia e passa oltre, andando a recuperare suoni, ispirazioni ed atmosfere del rock americano classico ed inglobando nel sound elementi riconducibili al southern rock, al blues e soprattutto al rhythm and blues.
Il riff che funge da miccia al candelotto rock’n’roll che farà esplodere la title track è quanto di più southern troverete in giro, richiamando i Lynyrd Skynyrd di God & Guns: un inizio che sorprende ed esalta, a cui fa seguito il mid tempo Apple Body, con l’anima blues che si impossessa delle dita di un Liccardo in forma smagliante alla sei corde.
Si può sicuramente considerare un lavoro di transizione questo Roots And Returns, ma è indubbio che l’approccio più classico alle composizioni renda ulteriormente personale il sound dei “nuovi” Hangarvain, splendidi interpreti del rock americano con l’irresistibile refrain di Love Is Calling Out e Give Me An Answer.
The River travolge con un ritmo hard blues forsennato, il chorus in sede live farà più vittime dell’influenza e gli Hangarvain in questa sede tornano per un attimo all’appeal del precedente lavoro.
La già citata cover chiude questo album con un groove micidiale e la piccola automobile è ormai sulla strada, tornata libera di portare i quattro musicisti nostrani ovunque si faccia del rock sanguigno, irriverente e maledettamente sporcato di rhythm and blues: bentornati Hangarvain.

Tracklist
1. Roots And Returns
2. Apple Body
3. Love Is Calling Out
4. Give Me An Answer
5. The River
6. I Head It Through The Grapevine

Line-up
Sergio Toledo Mosca – Lead Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars, Backing Vocals
Francesco Sacco – Bass
Mirkko De Maio – Drums

HANGARVAIN – Facebook

Cardiac Arrest – A Parallel Dimensions Of Despair

Sempre coerente con una proposta classica, il gruppo di Adam Scott, unico superstite della formazione originale, è una band che se non regala grosse sorprese, sicuramente non delude le attese degli amanti del death metal vecchia scuola di ispirazione americana, ed il nuovo album in questo senso è una sicurezza.

I Cardiac Arrest, pur rimanendo in secondo piano rispetto alle band storiche del death metal statunitense, possono essere considerati ormai come dei veterani della scena estrema dai rimandi old school, essendo attivi dal lontano 1997 e con una discografia numericamente importante.

A Parallel Dimensions Of Despair infatti è il sesto full length nella lunga storia del gruppo di Chicago, che si somma ad un buon numero di lavori minori, dal 2004 (anno di uscita dell’ep Heart Stopping Death Rot) ai giorni nostri.
Sempre coerente con una proposta classica, il gruppo di Adam Scott, unico superstite della formazione originale, è una band che se non regala grosse sorprese, sicuramente non delude le attese degli amanti del death metal vecchia scuola di ispirazione americana, ed il nuovo album in questo senso è una sicurezza.
Cliché ben in mostra, soluzioni tradizionali e struttura dei brani che appoggia le sue basi su un approccio che più puramente di genere non si può, offrono agli ascoltatori un altro ennesimo e pesantissimo lavoro, tutto cuore e violenza.
La band passa con disinvoltura da mid tempo monumentali a devastanti ripartenze, in un’atmosfera di pesante metallo di morte, classico e pregno di quelle sfumature che celano odori ammuffiti di tombe spalancate e terra smossa.
Tre sono i brani per cui vale la pena procurarsi questo lavoro: When Murder Is Justified, mid tempo potente che avvicina il sound ai suoni doom, raggiunti dalla monumentale This Dark Domain e la conclusiva Voices From The Tomb che con i suoi otto minuti mostra tutti i lati del sound dei Cardiac Arrest, passando da passaggi velocissimi a rallentamenti catacombali.
Un buon lavoro di genere che accontenterà i fans del gruppo, non riuscirà probabilmente a conquistarne di nuovi, ma credo che al gruppo di Chicago importi poco.

Tracklist
1.Immoral And Absurd
2.Become The Pain
3.Unforgiving….Unrelenting
4.When The Teeth Sink In
5.When Murder Is Justified
6.Drudge Demon
7.Rotting Creator
8.It Takes Form
9.This Dark Domain
10.Professional Victim
11.Voices From The Tomb

Line-up
Adam Scott – Vocals, Guitars
Dave Holland – Bass, Vocals
Tom Knizner – Guitars, Vocals
Nick Gallichio – Drums

CARDIAC ARREST – Facebook

Coroner – Punishment For Decadence

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Il trio svizzero non ha bisogno di presentazioni, almeno per chi il genere lo mastica da un po’, un trio di infallibili musicisti con a capo Tommy T. Baron, chitarrista mostruoso e anima del gruppo nato a Zurigo nel 1983 e che in carriera ha scritto una manciata di capolavori di thrash metal tecnico e progressivo tra i quali Punishment For Decadence è il secondo lavoro.
La discografia dei “Voivod” svizzeri si ferma nel 1993, ma bastano cinque anni ed altri tre album (No More Color, Mental Vortex e Grin) per entrare nella leggenda del metal estremo.
Punishment For Decadence viene licenziato dunque nel 1988 dalla Noise Records, label che si prenderà carico in seguito delle uscite più importanti del metal suonato nel centro Europa, e nella formazione, oltre al già citato chitarrista troviamo Ron Royce (voce, basso) e Marquis Marky (batteria).
L’album èuna scheggia impazzita di thrash metal ultra tecnico, veloce e progressivo, la voce cartavetrata di Royce si scaglia su una serie di cavalcate dove la doppia cassa impera e la chitarra è splendida protagonista di intrecci armonici che faranno scuola e straordinari solos che impazzano su brani a tratti esaltanti.
L’anima progressiva del terzetto svizzero si fa largo tra la tempesta di metallo che si abbatte sull’ascoltatore con i primi due brani, Aborted e Masked Jackal.
Arc-Lite è uno strumentale magnifico, una prova di tecnica spaventosa da parte dei tre musicisti, mentre l’album continua a regalare perle estreme come Skeleton On Your Shoulder e la devastante The New Breed, con Tommy T. Baron che esce dai canoni del genere per regalare solos dall’impostazione shred.
Primo capolavoro di questa straordinaria band, Punishment For Decadence testimonia la bravura, non solo strumentale, dei Coroner, replicata con gli album successivi, ma queste sono altre storie metalliche.

Tracklist
1. Intro
2. Absorbed
3. Masked Jackal
4. Arc-Lite
5. Skeleton on Your Shoulder
6. Sudden Fall
7. Shadow of a Lost Dream
8. The New Breed
9. Voyage to Eternity
10. Purple Haze

Line-up
Ron Royce – Vocals, Bass
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums

CORONER – Facebook

My Haven My Cage – Sweet Black Path

Sweet Black Path è il nuovo album della one man band italiana chiamata My Haven My Cage, un ottimo esempio di thrash/death vecchia scuola contaminato dalla musica popolare spagnola e normanna, creando interessanti e particolari atmosfere tra irruenza ed epici momenti folk.

Uscito lo scorso anno ed arrivato a MetalEyes solo oggi, Sweet Black Path è il secondo album della one man band siciliana My Haven My Cage.

Il musicista Mauro Cardillo ha dato vita alla sua creatura qualche anno fa, con il primo lavoro intitolato The Woods Are Burning del 2016, che viene dunque seguito da queste nuove otto tracce che, se lasciano ancora per strada qualcosa per quanto riguarda la produzione, offrono non poco a livello artistico, il sound infatti si basa su di un thrash/death con affascinanti inserti di musica folk normanna e spagnola.
Ovviamente il mastermind sa il fatto suo, sia tecnicamente che a livello compositivo, e già dall’opener Abyss I Am l’impressione di essere al cospetto di un album interessante e a suo modo originale è forte.
Immigrant Song e Delirium mostrano che la strada compositiva intrapresa dai My Haven My Cage è quella giusta: passaggi heavy/thrash vengono impreziositi da lunghe parti strumentali in cui atmosfere folk ricamano momenti di musica totale, la voce cartavetrata ed in linea con il genere viene accompagnata da linee corali dal flavour epico, mentre Hope viene introdotta da una suggestiva atmosfera semiacustica prima che la furia estrema riprenda il sopravvento.
Lamb Of God (Aleppo) è un brano che segue strade progressive, così come la folk/thrash/prog/death Werther Dies, traccia che lascia spazio alla conclusiva title track, che suggella un lavoro molto intenso.
Da migliorare sicuramente la produzione che rimane a mio avviso il tallone d’Achille di questo nuovo lavoro firmato My Haven My Cage, gradita sorpresa ed ulteriore gioiellino dall’underground tricolore.

Tracklist
1.Abyss I am
2.Immigrant Song
3.Delirium
4.Hope
5.Peaceful
6.Lamb of God (Aleppo)
7.Werther Dies
8.Sweet Black Path

Line-up
Mauro Cardillo – All Instruments

MY HAVEN MY CAGE – Facebook