NOVERIA

Intervista con Francesco Mattei, chitarrista dei Noveria, autori di uno migliori album del 2016.

ME Sono passati due anni dal vostro bellissimo debutto, siete soddisfatti dei riscontri avuti da Risen?

Francesco Mattei: Ciao ragazzi di MetalEyes, grazie innanzitutto per averci ospitato qui sulle vostre pagine e per le belle parole dette sul nostro conto. Ora veniamo a noi!
Assolutamente si, per essere una band venuta fuori a ciel sereno e senza preavvisare nessuno, con il nostro debut Risen abbiamo avuto subito un boost positivo, sia per quanto riguarda la critica sui vari portali e riviste di settore, sia per quanto riguarda l’appeal della band, inquadrata subito come un gruppo di ragazzi che sanno quel che fanno e non come una band che ha bisogno di “rodaggio”. In pratica, siamo partiti in quinta come al volante di una Ferrari! In ogni caso direi che siamo pienamente soddisfatti, Risen resta per noi un ottimo album e trovo sempre piacere nel riascoltarlo.

ME Non era facile ripetersi, eppure siete riusciti a creare un’opera che supera l’enorme lavoro svolto con il debutto: quale è il segreto?

FM In realtà la lavorazione di Forsaken è stata diversa nell’approccio. Sicuramente avere Risen alle spalle ti fa riflettere sul fatto che non puoi prendere determinate cose alla leggera e soprattutto, che hai creato in qualche maniera delle aspettative nei confronti della fan base. Da un lato sai che puoi sperimentare, ma dall’altro sai anche che non puoi allontanarti troppo dal sound che ti ha caratterizzato, quindi il segreto vero e proprio credo si trovi nel duro lavoro e nella buona dose di sana autocritica nel processo di composizione. Bisogna valutare bene quali sono gli elementi che funzionano e quelli che non vanno, ed in Forsaken abbiamo avuto a che fare con diverse situazioni musicali che non avevamo affrontato in passato.

ME Quali sono le maggiori differenze a livello di sound tra il primo album e Forsaken?

FM In Forsaken c’è stato un inserimento più massiccio di pianoforti e di brani più lenti e cadenzati per poter esprimere al meglio il concept, caratterizzato dai diversi stadi psicologici. Ci vogliono tempo e pazienza. In generale lo consideriamo un album molto più dinamico rispetto a Risen … più largo, ricco di atmosfere e con una forte componente emotiva incentrata sulle voci di Frank, che secondo me ha raggiunto un ottimo livello sia tecnico che interpretativo in ogni brano dell’album. Un’altra differenza sostanziale è che Risen non aveva ballad, mentre qui ne abbiamo due, When Everything Falls ed Acceptance. Forsaken è sicuramente un album che necessita di più ascolti per essere apprezzato appieno.

ME Forsaken non è solo un grande album prog-metal, perché il tema trattato porta inevitabilmente ad alzare l’asticella emozionale: potete descrivere il concept che ha ispirato la musica di Forsaken?

FM Ti ringrazio per le belle parole. Il concept, purtroppo, prende vita da una triste storia che ha toccato la nostra famiglia un paio di anni fa, quando abbiamo avuto un pesante lutto per la perdita di una giovane ragazza a causa di un cancro molto aggressivo. Ho visto i miei familiari cadere nella disperazione e depressione per la perdita della propria figlia che, con tutte le sue forze, ha lottato nella battaglia contro il cancro.
Ho sempre ammirato la sua tempra e la sua forza di reagire positivamente alla malattia. Era suo tipico venirsene fuori con frasi del tipo “Dai usciamo, che vuoi che sia, tutto si supera”, come se in realtà non ci fossero problemi. Una grande forza ed una voglia di vivere unica. Forsaken nasce proprio da questa brutta avventura. Dopo aver proposto il concept ai ragazzi della band, abbiamo tutti scelto di tributare la sua vita e non solo … abbiamo deciso di allargare il tributo anche a tutte le persone stroncate da questa infida malattia. Il modello della psichiatra Elizabeth Kubler Ross è arrivato di lì a poco, dopo aver fatto delle ricerche sul campo e mi ha dato l’ispirazione per comporre la musica attraverso i vari stadi.

ME Suonate un genere musicale in cui la tecnica individuale è importantissima, ma riuscite a mantenere un equilibrio perfetto con la componente emotiva, una virtù non così scontata, specialmente nel vostro genere, siete d’accordo?

FM Sono pienamente d’accordo. Oggi come oggi con Youtube e la rete si hanno a disposizione tutte le informazioni necessarie a diventare un musicista tecnicamente impressionante e con l’ausilio di un pc si possono fare i dischi in camera … Non che sia un male, assolutamente, ma spesso e volentieri si tende a trascurare il lato melodico della musica, soprattutto con la chitarra. E’ indubbio che suonare veloce “faffiga” come dice il buon Mick Jagger di Fabio Celenza, ma non bisogna dimenticarsi che la tecnica è solo un mezzo per raggiungere le note giuste. Sono quelle che fanno la differenza: sviluppare un tema efficace è impegnativo e richiede del tempo. Oggi purtroppo tutti corrono e hanno fretta, ma non voglio assolutamente sminuire nessuno, anzi, in giro ci sono dei grandi talenti e sono orgoglioso di conoscerne una buona parte e di poter scambiare idee con loro.

ME I Symphony X sono il gruppo a cui venite più frequntemente accostati: quali altre band vi hanno ispirato per creare il sound presente nei vostri due full length?

FM L’accostamento ai grandi Symphony X è indubbio che venga fuori, in quanto tutti noi siamo dei grandi fan della band americana e, personalmente, Michael Romeo è uno dei miei miti da quando ho iniziato a suonare la chitarra. Non è quindi una novità! Personalmente mi ispiro anche a band come i Children of Bodom, Arch Enemy e Rammstein per quanto riguarda il flow dei brani e le parti più aggressive, mentre mi piacciono molto gli Evergrey, Dgm e, ultimamente, i Katatonia per le cose più melodiche. Soprattutto per quanto riguarda i Katatonia mi piace il loro modo di essere dark e melancolici, che è proprio il mood che cercavamo per un album poliedrico come Forsaken.

ME A mio parere la scena underground nazionale negli ultimi tempi è cresciuta moltissimo, non solo per quanto riguarda il metal progressivo, ed anche quest’anno le opere di valore non sono certo mancate: voi che idea vi siete fatti della scena italiana degli ultimi tempi?

FM Sono d’accordo con te, la scena italiana sta crescendo e diventa sempre più competitiva se non addirittura superiore qualitativamente alle produzioni europee e americane.
Ci avviciniamo sempre di più alla punta dell’Olimpo e questo non può che farmi piacere e ben sperare. Di qualità e talento ne abbiamo da vendere ed è solo questione di tempo prima che tutti se ne accorgano. Ci sono band come Dgm, De La Muerte e Helslave, giusto per citarne alcune, che stanno alzando l’asticella qualitativa di bel po’ di punti in quanto a freschezza e proposta musicale nei loro generi diversi. Ognuno di noi contribuisce alla crescita della scena.
L’unico problema vero, secondo me molto grave, è che qui in Italia non giochiamo mai di squadra: le band non si aiutano e spesso e volentieri i proprietari dei locali non investono nella proposta di musica originale e preferiscono puntare sulle cover band.
Fuori dalla nostra penisola c’è un interesse maggiore ed un’organizzazione più efficace per gli eventi di questo tipo.
Peccato.

ME Vi lascio spazio per eventuali date e news e vi saluto a nome di tutto lo staff di MetalEyes!

FM Vi ringrazio vivamente per lo spazio concesso! Per quanto riguarda noi Noveria, tra gennaio e febbraio saremo in giro in Belgio e Olanda e stiamo aspettando delle conferme per un’altra manciata di date qui in casa. Abbiamo ricevuto proposte per suonare in Grecia e stiamo attualmente valutando la situazione. Nel frattempo, a febbraio rilasceremo, tramite Scarlet, un lyric video per un brano di Forsaken e probabilmente gireremo un altro video! Rimanete sintonizzati, ce ne saranno delle belle! Ringrazio tutta la nostra fan base per il supporto costante! You Rock!

Beyond The Black – Lost In Forever

Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

Questi cinque ragazzi che con i loro strumenti accompagnano la giovanissima sirena Jennifer Haben, ex artista pop con la precedente band (Saphir), senza avere ancora un album all’attivo nel 2014 salivano, per la prima delle tre volte, sul palco del Wacken Open Air, forti di un contratto firmato con la Airforce1 Records, costola della major Universal.

Lo scorso anno nientemeno che Sascha Paeth (Heaven’s Gate, Avantasia) produsse il debutto, Songs of Love and Death, ed ora siamo già al secondo album, sempre con la poderosa spinta della Universal, intitolato Lost In Forever.
E ammettiamolo, perdersi per sempre tra le trame sinfoniche dei Beyond The Black è un attimo: anche questo secondo album, infatti, ha tutto per portare il nome del gruppo negli ambienti altolocati del metal patinato e da classifica.
La giovane età della singer, dal tono vocale da teenager che attira inevitabilmente le attenzioni delle sue emuli coetanee, abbinata ad un sound sinfonico in bilico tra il metal power dei Rhapsody meno pomposi e le melodie pop gotiche degli Evanescence, accentuano la sensazione di un gruppo dal successo pianificato, anche se, al netto di qualche difetto nel songwriting che sa molto di già sentito, la produzione cristallina e gli arrangiamenti orchestrali sono un bel sentire anche per gli appassionati più attempati.
Tutto funziona in questo lavoro, un album composto da hit metal melodici, sinfonici, pacatamente gotici, drammatici il giusto ed epici quel tanto che basta per far alzare più di un pugno al cielo ai ragazzi del centro Europa e non solo, visto che, a parte il nostro paese, la band ha ovviamente trovato una buona posizione nelle varie classifiche rock.
Dall’opener Lost In Forever, alla splendida Beautiful Lies per passare direttamente all’ epicità rhapsodiana della fenomenale Dies Irae, Lost In Forever è un riuscito esempio di metal sinfonico composto con lo scopo ben preciso di piacere a più persone possibili, dimostrandosi ruffiano, potente e, diciamolo pure, cantato molto bene.
Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

TRACKLIST
01. Lost In Forever
02. Beautiful Lies
03. Written In Blood
04. Against The World
05. Beyond The Mirror
06. Halo Of The Dark
07. Dies Irae
08. Forget My Name
09. Burning In Flames
10. Nevermore
11. Shine And Shade
12. Heaven In Hell
13. Love’s A Burden

LINE-UP
Jennifer Haben – lead vocals
Nils Lesser – lead guitar
Christopher Hummels – rhythm guitar & backing vocals
Erwin Schmidt – bass
Tobias Derer – drums
Michael Hauser – keyboards

BEYOND THE BLACK – Facebook

Wizard – The Evolution Of Love

Debutto con i fiocchi, The Evolution Of Love merita tutta l’attenzione degli amanti della buona musica, sperando che il trio possa recuperare, con gli interessi, il tempo trascorso prima di tagliare questo traguardo.

Finalmente giungono al traguardo del primo full length gli storici hard rockers napoletani Wizard, un trio fondato dal bassista Roy Zaniel e dal batterista Rino Musella, addirittura sul finire degli anni settanta.

Il gruppo campan,o dopo anni di attività live ed una serie di demo, dà così continuità alla sua discografia, dopo l’ep Straight to the Unknown, uscito un paio di anni fa.
The Evolution Of Love è dunque il primo lavoro su lunga distanza per uno dei gruppi più longevi dell’hard rock napoletano: magari poco conosciuti fuori regione, anche per la discografia piuttosto scarna, i Wizard si palesano come realtà di grande spessore, grazie ad un sound che, ovviamente, attinge dal decennio settantiano, ma senza risultare assolutamente vintage o nostalgico.
Melodie, buone soluzioni ritmiche che passano dal progressive al funky rock, ed una naturale predisposizione per il rock strumentale, seguito ovviamente dal tocco bluesy che è insito nei gruppi hard rock di ispirazione settantiana, sono le principali caratteristiche del trio, e il loro riferimento principale non può che essere il Glenn Hughes solista, assieme a Deep Purple e Led Zeppelin, il tutto amalgamato con la componete groove che accompagna la musica degli Wizard nel nuovo millennio.
Ad aprire le danze ci pensa il rock strumentale di W3/79, che verrà bissato nel corso dell’album dal capolavoro Metaphysical Journey, altro strumentale purpleiano dalle ottime reminiscenze progressive, poi The Evolution Of Love diviene un un emozionante viaggio nell’hard rock degli ultimi trent’anni, con un stile ora aggressivo (The Walking Dead), ora melodico e sognante (The Eden), e infine stupendamente progressivo nella conclusiva Lucy Is Coming.
Debutto con i fiocchi, The Evolution Of Love merita tutta l’attenzione degli amanti della buona musica, sperando che il trio possa recuperare, con gli interessi, il tempo trascorso prima di tagliare questo traguardo.

TRACKLIST
1.W3/79
2.You got the feeling
3.The walking dead
4.Intro
5.Take me away
6.Mainline
7.Loneliness
8.The Eden
9.Metaphysical Journey
10.The evolution of love
11.Lucy is coming

LINE-UP
Roy Zaniel – Bass, Vocals
Rino Musella – Drums
Marco Perrone – Guitars

WIZARD – Facebook

Vesen – Rorschach

Thrash metal agguerrito e senza compromessi in arrivo dalla penisola scandinava, precisamente dalla Norvegia e dalla sua capitale Oslo.

Il trio in questione si chiama Vesen, attivo dall’ultimo anno dello scorso secolo, con già quattro album all’attivo di cui l’ultimo datato 2012 (This Time It’s Personal).
Descritta come gruppo black/thrash, la band scandinava in realtà è una tipica macchina da guerra thrash metal, influenzata dal sound teutonico, in primis dai maestri Sodom.
Rorschach è  il classico album old school senza compromessi, valorizzato da un’ottima produzione e potenziato da scariche adrenaliniche e terremotanti di metallo da battaglia, oscuro quel tanto che basta per vomitare malignità e terrore.
Ottime le ritmiche, potenti come uno schiacciasassi, la voce cattivissima è forse, a tratti, l’unica concessione al black metal, mentre le atmosfere guerresche e i pochi interventi solistici fanno dell’album un monolite di metallo estremo dal forte impatto.
Il songwriting mantiene il livello dei brani su una buona media, anche se le tracce alla fine tendono ad assomigliarsi un po’ troppo l’una all’altra.
Niente di clamoroso dunque, ma la serie centrale di brani come Screaming Sane, Crown of Scars e Vulgar, Old and Sick Blasphemy farà sicuramente la gioia dei thrashers di lungo corso dai gusti teutonici.

TRACKLIST
1. Damnation Path
2. Pray for Fire
3. Target: Horizon
4. Blood, Bones and Pride
5. Screaming Sane
6. Crown of Scars
7. Vulgar, Old and Sick Blasphemy
8. All in Vain
9. Away the Tormentor
10. Final Insult

LINE-UP
Dag Olav Husås – Drums
Ronny Østli – Guitars, Vocals
Thomas Ljosåk – Guitars, Vocals

VESEN – Facebook

Voodoo Terror Tribe – The Sun Shining Cold

In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

Tornano con un nuovo lavoro sulla lunga distanza gli statunitensi Voodoo Terror Tribe, da più di dieci anni in pista con il loro industrial metal ruffiano, tra gli ultimi scampoli di un nu metal da classifica e sonorità alternative che negli States continuano a fare il bello e cattivo tempo sul mercato.

Aiutato da Christian Machado degli Ill Nino, con cui hanno condiviso l’ultimo tour e che ha curato loro la produzione ed il mixing, oltre ad apparire come ospite sul brano Cell, il gruppo capitanato dal chitarrista Emir Erkal, originario di Istanbul ma trapiantato in America, dà vita ad un album che non va più in là del compitino, tra rabbiose sfuriate estreme di matrice industrial, melodie rock dai drammatici toni alternative e poche idee.
Insomma, un album di maniera, con qualche brano dall’ottimo appeal e perfetto per provare ad uscire nel circuito mainstream, ed altri che si fanno più rabbiosi e non dispiacciono, ma mancano della scintilla per entrare nei cuori degli ormai pochi appassionati di nu metal sparsi per un’America che guarda, ancora per poco, al metalcore ed un’Europa che fa spallucce, a meno che non ti chiami Korn.
The Sun Shining Cold è un album di genere che potrebbe piacere ai fans dei Disturbed, tornati a fare male con l’ultimo lavoro e scoperti dai giovani kids con la fortunata cover di The Sound Of Silence, e proprio di questo manca a quest’album, di un singolo che spinga con la forza di un wrestler i dieci brani in scaletta che trovano nella mansoniana Pussy, nel devastante singolo in compagnia di Machado e nella seguente e hard rock No Hell Like Home i momenti migliori.
In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

TRACKLIST
1.Lady in The Wall
2.City of Sixes
3.Burn More Bridges
4.Cell
5.No Hell Like Home
6.Edge of Within
7.Night Wolf
8.Pussy
9.Die to The Din of The Drums
10.Under The Knife

LINE-UP
Gil Pan Zastor – Vocals & Sampling
Emir Erkal – Guitars & Synths
Primer – Bass
T-Bone – Drums

VOODOO TERROR TRIBE – Facebook

Ufosonic Generator – The Evil Smoke Possession

The Evil Smoke Possession ci riporta alle sonorità delle band che nei decenni scorsi hanno fatto la storia del genere, rivelandosi una bella sorpresa per gli appassionati.

Il doom classico ha avuto nella prima metà degli anni novanta un ritorno di fiamma che andava a braccetto con la qualità dei gruppi della Hellhound prima e, in seguito della, Rise Above di Lee Dorrian, label fondata dallo sciamano inglese dopo il buon riscontro dei suoi Cathedral.

Ovviamente anche per quegli ormai storici gruppi, gli anni settanta ed i gruppi pionieri del rock metal messianico erano le fonti massime di ispirazione per tornare a far risplendere i suoni diventati famosi grazie ai Black Sabbath, ma glorificati da enormi talenti come Pentagram e Candlemass.
Il successo dello stoner, figlio tossico e desertico del doom, ha lasciato qualche scoria nel sound dei nuovi gruppi che, nell’underground, intraprendono la strada lenta e monolitica della musica del destino: un bene per certi versi, visti i risultati e le ottime realtà che, specialmente. nel nostro paese arricchiscono il patrimonio sabbatico della scena metal.
Ufosonic Generator, monicker che ricorda non poco il mondo della cattedrale di Dorrian, sono un quartetto nostrano che arriva all’esordio con questo The Evil Smoke Possession, fulgido esempio di doom metal potente, molto rock’ n’ roll nell’approccio, con riferimenti ed ispirazioni che vanno dagli anni settanta ai gruppi della generazione successiva, senza farsi mancare di un pizzico di follia stoner, ormai presente nelle opere delle nuove generazioni.
Una quarantina di minuti tra potenza dirompente, frenate monolitiche ed andamento che si trascina tra la sabbia di un deserto reso rosso dal fiume vulcanico che gli scorre sotto, pronto ad esplodere tra le pachidermiche note di At Witches’Bell, Meridian Daemon e Silver Bell Meadows.
The Evil Smoke Possession ci riporta alle sonorità delle band che nei decenni scorsi hanno fatto la storia del genere, rivelandosi una bella sorpresa per gli appassionati.

TRACKLIST
1.A Sinful Portrait
2.Anapest
3.At Witches’Bell
4.Master Of Godspeed
5.Meridian Daemon
6.Silver Bell Meadows
7.Mowing Devil
8.The Evil Smoke Possession

LINE-UP
Gojira – Vocals
Carmichael Bell – Bass
DD Morris – Guitar
S.McManchester – Drums

UFOSONIC GENERATOR – Facebook

 

Perc3ption – Once And For All

Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro.

Aldilà dell’oceano non si vive di solo mainstream e la tradizione metallica classica è ben consolidata nelle terre del nuovo continente, se poi si guarda verso sud, tra le nazioni in cui il metal è ben radicato non manca certo il Brasile.

A San Paolo, per esempio, nascono nel 2007 i Perc3ption, quintetto dedito ad un power prog metal che alterna con sagacia ritmiche potenti e aggressività heavy metal supportata da una marcata vena progressiva.
Once And For All è il secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep ed un full length uscito nel 2013 (Reason and Faith), un lavoro ambizioso, un’ora di metal progressivo prodotto e suonato molto bene.
Sezione ritmica ben presente, dita che danzano sui manici delle chitarre ed un cantante sontuoso mettono a dura prova i nostri padiglioni auricolari, martoriati da un sound drammatico, orchestrato a dovere e dove finalmente spicca l’heavy metal, duro e puro.
E qui sta il bello, Once And For All è un album pregno di durezza metallica, in cui le melodie (bellissime) ricamano una serie di brani dall’aura tragica, mentre il gruppo senza degenerare sfoggia tecnica sopraffina.
Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro, ovviamente non mancano parti più atmosferiche, dove la band concede armonie che fungono da quiete prima della tempesta di suoni che investono l’ascoltatore, tuoni e fulmini metallici, prima che la pioggia di note scenda copiosa e si trasformi in una inondazione power metal.
Accompagnato da una suggestiva copertina alla Savatage, con un maestro di pianoforte che suona il suo strumento nel mezzo di un paesaggio ghiacciato, l’album vive di un feeling drammatico ed emozionale altissimo, con la splendida ed orchestrale Welcome To The End quale picco di un opera da far vostra senza riserve.

TRACKLIST
1.Persistence Makes the Difference
2.Oblivion’s Gate
3.Rise
4.Immortality
5.Braving the Beast
6.Magnitude 666
7.Welcome to the End
8.Extinction Level Event
9.Through the Invisible Horizons

LINE-UP
Glauco Barros – Guitars, Vocals (backing)
Rick Leite – Guitars, Vocals (backing)
Wellington Consoli – Bass
Peferson Mendes – Drums
Dan Figueiredo – Vocals

PERC3PTION – Facebook

PERC3PTION – Web Page

The Descent – The Coven Of Rats

The Coven Of Rats si compone di undici brani devoti al death metal melodico, con un uso parsimonioso ma ben congegnato di elementi thrash e death vecchia scuola.

Negli ultimi tempi il death metal melodico dai rimandi alla scena scandinava ha regalato una manciata di opere sopra la media, in barba ai pruriti commerciali di qualche gruppo storico (In Flames?) e giunti da paesi lontani tra loro.

Ai Path Of Sorrow dall’Italia, agli Sky Scrypt dalla Russia si sono aggiunti i The Descent dalla Spagna, tre modi diversi di suonare il genere, ma tutti ben saldi nella tradizione nord europea.
The Coven Of Rats è il secondo lavoro della band proveniente dai Paesi Baschi (Bilbao); il primo lavoro, Dimensional Matters, venne licenziato dal combo nel 2012, dopo sei anni dall’inizio delle ostilità ed il suo successore conferma i The Descent come ottimi interpreti di queste sonorità, in un underground che giustamente se ne fotte di trend e mode e tira dritto per la sua strada, dando spazio a quei gruppi che se non brillano per originalità, si destreggiano con la materia alla grande.
The Coven Of Rats si compone di undici brani devoti al death metal melodico, con un uso parsimonioso ma ben congegnato di elementi thrash e death vecchia scuola.
Il quintetto punta dritto sull’impatto, aiutato da una discreta tecnica ed un ottimo cantante che ricorda l’Anders Fridèn dei tempi migliori, tra growl e scream era Colony/Clayman ed un sound strutturato per non fare prigionieri.
Qualche spruzzata di synth per rendere ancora più melodico il loro metallo estremo, ed aiutare così le chitarre a travolgerci di assoli che dal metal classico prendono lo spirito e una valanga di ritmiche che dal thrash prendono forza; in mezzo, soluzioni armoniche già sentite (chiariamolo) ma assolutamente perfette, almeno in questo contesto.
Prodotto benissimo e licenziato dalla Suspiria Records, l’album nel suo insieme riesce a donare al fan di queste sonorità una quarantina di minuti abbondanti di tutti gli stilemi del genere e, se mi permettete, è tanta roba.
In Flames, The Haunted, At The Gates, Dimension Zero, qualche accenno ai Dark Tranquillity nelle parti più oscure, sono le influenze e le ispirazioni che impreziosiscono le varie The Warrior Within, la title track, At The Foot Of The Monolith e la splendida Overcome, brano che riassume perfettamente il sound di cui si nutre questo lavoro, mandando i The Descent a giocarsela con le migliori band che ripropongono il genere in questo nuovo millennio; per il fans del death metal melodico un album irrinunciabile.

TRACKLIST
1.Alpha
2.The Warrior Within
3.Falling from Grave
4.New Millennium Spawn
5.The Coven of Rats
6.At the Foot of the Monolith
7.Dead City Gospel
8.Ten Times Stronger
9.Overcome
10.Seeds of Madness
11.Bitter Game
12.Omega

LINE-UP
Charlie – Vocals
Ander – Guitar
Borja “Taj” – Guitar
Iñigo – Bass
Txamo – Drums

THE DESCENT – Facebook

Sail Away – Welcome Aboard

I Sail Away propongono un hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dei suoni cari ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale.

Le nuove band che si affacciano sulla scena nostrana aumentano ogni giorno di più, fortunatamente mantenendo alta la qualità di un metal italiano mai così protagonista come in questi ultimi anni.

I torinesi Sail Away presentano il loro debutto, anche se si tratta di musicisti con una già buona esperienza alle spalle: infatti i due fondatori, Francesco Benevento (chitarra) e Federico Albano (voce), sono delle vecchie conoscenze della scena underground torinese e coppia collaudata in Savage Souls e Assedio.
Raggiunti da Luca Guglielminotti al basso e Alessio Piedinovi alle pelli, danno vita a questo progetto hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dello stile caro ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale: ne esce un album migliorabile a livello di suoni ma molto affascinante, con una serie di inni dal mood piratesco e volontà ribelle in puro stile heavy metal.
Heavy metal e hard’n’roll si danno il cambio nel comandare l’arrembaggio ai padiglioni auricolari degli ascoltatori, mentre la chitarra di Benevento spara assoli che sono cannonate da colpito ed affondato e Albano ci suggerisce cori epici e guerreschi che si stampano in testa al primo ascolto.
Tra i brani, The Artificial Impostor, l’irriverente hard rock di Sweet Dried Rose, la pesante e metallica Engraved In The Stone ed il tributo a Mark Reale ed i suoi Riot posto in chiusura (Immortals Hymns Shine One), brano dalle molte citazioni alla musica del grande chitarrista scomparso, sono vento tempestoso sopra il mare metallico su cui viaggia la nave Sail Away, e i mid tempo di cui è ricco Welcome Aboard non mancheranno di soddisfare gli equipaggi delle navi battenti bandiera heavy metal.

TRACKLIST
1.Welcome Aboard
2.Another Sunday
3.The Artificial Impostor
4.Petals Of Blood
5.Sweet Dried Rose
6.Engraved In The Stone
7.Giants Of The Dawn
8.Wine In My Glass
9.Immortal Hymns Shine On

LINE-UP
Federico Albano – vocals
Francesco Benevento – Guitars
Luca Guglielminotti – bass
Alessio Piedinovi – Drums

SAIL AWAY – Facebook

Pentacle – Ancient Death (reissue)

Death metal scarno, assolutamente old school anche se un po’ scolastico nelle soluzioni e nell’approccio, che classifica questo lavoro tra le opere ad esclusivo uso e riscoperta per i soli amanti del genere.

Un’altra ristampa da parte della label olandese Vic Records, questa volta riguardante una band ancora attiva, i Pentacle.

Attivo dall’alba dei primi anni novanta, il gruppo di Bladel può vantare una discografia di tutto rispetto, con solo due lavori sulla lunga distanza (…Rides the Moonstorm del 1998 e Under the Black Cross licenziato nel 2005) ma colmata da una serie infinita di ep e split, con la compilation The Fifth Moon … Beyond and Back del 2014 a fungere da ultimo canto del pentacolo, almeno fino ad ora.
Ancient Death è un ep uscito nel 2001 e risulta una mezz’ora di death metal old school che richiama più la scena americana che quella europea, un macigno di metal estremo che avvicina la band a quanto fatto dai loro colleghi Obituary, specialmente nelle prime opere (Slowly We Rot, Cause Of Death).
Growl molto simile a quello di John Tardy e parti cadenzate suonate in obitorio ed alternate a veloci ripartenze dalle ritmiche black: il sound del gruppo sta tutto qui, racchiuso in uno tsunami di musica estrema vecchia scuola.
Picchiano duro i Pentacle, anche se sarebbe stata d’aiuto, per chi non conosce il gruppo, una ristampa più eloquente, magari con uno dei due album fin qui pubblicati.
Death metal scarno, assolutamente old school anche se un po’ scolastico nelle soluzioni e nell’approccio, che classifica questo lavoro tra le opere ad esclusivo uso e riscoperta per i soli amanti del genere.
Da rilevare solo le cover di due classici del metal estremo: Legion Of Doom (Mantas) e Witch Of Hell (Death).

TRACKLIST
1.Prophet Of Perdition
2.Descending Of The Soul
3.Legion Of Doom
4.Immolated In Flames
5.Witch Of Hell
6.Walking Upon Damnation’s Land
7.Soul’s Blood

LINE-UP
Mike Verhoeven – Guitars
Marc Nelissen – Drums
Wannes Gubbels – Vocals, Bass

PENTACLE – Facebook

Magnum – Valley Of Tears – The Ballads

Una raccolta di emozioni non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico d’autore.

Un gruppo importante come i Magnum potrebbe permettersi un’uscita ogni sei mesi, anche apparentemente inutile come questo The Valley Of Tears, raccolta di ballad ri-registrate o rimasterizzate, pescate da varie opere dei menestrelli dell’hard rock mondiale.

Bob Catley , Tony Clarkin ed i loro fidi compagni non mancano certo di eleganza e talento raffinato, ed infatti i brani più profondi e melodici dei vari capolavori che il gruppo ha licenziato sono cardini della loro discografia, il meglio che il talento compositivo della band britannica abbia sfornato nella sua lunga carriera.
Nato dal suggerimento della figlia di Clarkin, questo best of delle migliori ballad create dalla band esce con le vacanze di Natale ormai alle spalle, un peccato, perché disco più natalizio non c’è trattandosi dell’immersione nel puro talento melodico, comodamente seduti in poltrona con le luci dell’albero che cambiano sequenza ogni trenta secondi ed il liquido ambrato di un buon cognac che crea piccole onde nella classica coppa, mentre Catley ci delizia con la sua inimitabile voce sulle note create da questo monumento all’hard rock melodico e adulto che sono e saranno sempre i Magnum.
L’ultimo lavoro Sacred Blood “Divine” Lies, uscito all’inizio di quest’anno, aveva ridato smalto ai cinque menestrelli inglesi, ora questa raccolta ritorna a far parlare di loro, dopo tantissimi anni dall’inizio di questa fantastica avventura, decine di album, progetti solisti e collaborazioni importanti; allora ben venga questo tuffo nel rock d’autore, melodico, sognante ed assolutamente perfetto nel trasmettere emozioni.
The Valley of Tears,  Your Dreams Won’t Die, The Last Frontier, A Face In The Crowd e via tutte le canzoni scelte per questo album non sono altro che una prova sontuosa delle meraviglie che l’inossidabile Catley ed i suoi compari sono riusciti a donare ai rockers sparsi per il mondo in quasi quarant’anni di carriera, una raccolta non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico, quello d’autore.

TRACKLIST
1. Dream About You (remastered)
2. Back in Your Arms Again (newly re-recorded)
3. The Valley of Tears (remixed, remastered)
4. Broken Wheel (newly re-recorded)
5. A Face in the Crowd (remixed, remastered)
6. Your Dreams Won’t Die (remastered)
7. Lonely Night (acoustic version, newly re-recorded)
8. The Last Frontier (remixed, remastered)
9. Putting Things In Place (remixed, remastered)
10. When The World Comes Down (new live version)

LINE-UP
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Mark Stanway – keyboards
Al Barrow – bass
Harry James – drums

MAGNUM – Facebook

No Remorse – Wolves

Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

Quando il branco di Lupi accerchia la donna, gli ululati si fanno intensi, rituali e con famelica aggressione comincia lo scempio del corpo tra le grida dell’incolpevole vittima, le prime note metalliche di Wolves sprigionano scintille di puro acciaio, ed ancora una volta l’heavy metal trova una delle sue più convincenti espressioni.

Si continua a produrre grande musica metal su e giù per lo stivale, questa volta assolutamente classico, puro e caldo come il sangue che sgorga dalla giugulare dilaniata dalle fauci dei temibili fratelli della notte.
No Remorse, musicisti con qualche pelo in più sullo stomaco e neanche pochi capelli bianchi, provengono dalla fusione di due band toscane avvenuta nel 1999 e hanno dato alle stampe un album omonimo nel 2004 ed il full length Sons Of Rock ormai sei anni fa.
Era tempo di tornare e il gruppo lo ha fatto con questo mini cd di cinque brani intitolato Wolves, un concentrato di heavy metal perfettamente in linea con la tradizione, che si traduce in ritmiche potenti (Franco Birelli al basso e Massimiliano Becagli alla batteria), assoli affilati come gli artigli di un lupo affamato (Sandro Paoli e Aldo Tesi alle chitarre) e i suoi ululati alla luna, grazie alla voce del portentoso Maurizio Muratori.
Dimenticatevi qualsiasi sound che non sia puro acciaio metallico, il gruppo quello suona e lo sa fare al meglio, con un riff maideniano che mette in fuga le bestie e presenta la folgorante title track.
Un chorus da cantare ai bordi di un palco incendiato dalla carica del quintetto e via con Titanium, devastante metal song che ricorda non poco i Primal Fear, prima che Metal Queen lasci spazio all’anima hard rock dei No Remorse e ci spiazzi con un assolo meno aggressivo ma molto più elegante, in poche parole un brano sopra la media.
La ballad d’ordinanza ha le note di The Time To Say Goodbye, mentre con la conclusiva Steelage si fanno quattro passi nella new wave of british heavy metal, grazie al brano più maideniano di quella piccola raccolta di perle che è Wolves.
Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

TRACKLIST

1. Wolves
2. Titanium
3. Metal Queen
4. The Time to Say Goodbye
5. SteelAge

LINE-UP
Maurizio Muratori – Vocals
Sandro Paoli – Guitars
Aldo Tesi – Guitars
Franco Birelli – Bass
Massimiliano Becagli – Drums

http://www.facebook.com/NOREMORSEsince1999/?fref=ts

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Un bellissimo lavoro, certo che se la band voleva sondare il terreno per un eventuale full lenght, la missione è compiuta alla grande, il sottoscritto si è già messo in attesa e dopo l’ascolto di Wolves lo farete anche voi.

Church of Disgust – Veneration of Filth

Il sound sprigiona horror e malignità da tutti i pori, e i testi incentrati per lo più sulle opere di H.P. Lovecraft fanno il resto.

Dal caldo opprimente di un Texas trasformato nell’inferno sulla terra, arrivano i deathsters Church Of Disgust con il loro nuovo e secondo lavoro.

Partito come un duo nel 2010 ( Dustin James, voce e chitarra, e Joshua Bokemeyer alla batteria) e con il primo album uscito due anni fa (Unworldly Summoning), il gruppo si è trasformato ora in un quartetto con una sezione ritmica nuova di zecca (Travis Andrews al basso e Dwane Allen a sfondare drumkit, con Bokemeyer passato alle seconda chitarra).
Il nuovo lavoro non si discosta più di tanto dal recente passato della band texana e Veneration of Filth continua il martellamento a suon di death metal old school, ovviamente di scuola statunitense, tra accelerazioni paurose e rallentamenti richiamanti i Morbid Angel.
Il sound sprigiona horror e malignità da tutti i pori, e i testi incentrati per lo più sulle opere di H.P. Lovecraft fanno il resto in un album in linea con le produzioni estreme dal taglio classico.
Sound oscuro e profondo come l’abisso infernale da cui scaturiscono i demoni che, impossessatisi dell’anima di James, gli conferiscono un growl profondo e sinistro; un chitarrismo efficace, anche se a volte leggermente macchinoso, e un drumming possente, portano Veneration Of Filth ad un livello ottimale, strutturato su dieci capitoli urlanti dolore e sofferenza che hanno il loro fulcro nelle trame morbose di Plague of Punishment, Supine in the Face of Total Death e nella conclusiva e monolitica Sunken Altan Of Dagon il loro sunto, tra parti di morboso doom/death e accelerazioni estreme dal devastante incedere.
Un buon album di genere, perciò con i suoi pregi e difetti, ma ascolto raccomandato per chi è amante del death metal americano.

TRACKLIST
1.Wrath of the Thirteen
2.Ripping Decay
3.Corpses of Dead Worlds
4.Abhorrent Cruelty
5.Plague of Punishment
6.Temple of Sonance (Interlude)
7.Supine in the Face of Total Death
8.To Seek Congress with the Realms Beyond
9.Veneration of Filth
10.Sunken Altar of Dagon

LINE-UP
Dustin James – Guitars (rhythm), Vocals
Joshua Bokemeyer – Guitars (lead)
Travis Andrews – Bass
Dwane Allen – Drums

CHURCH OF DISGUST – Facebook

Pighead – Until All Flesh Decays

Per gli amanti del metal estremo di matrice brutal che amano Suffocation, Dying Fetus e compagnia omicida, l’album è assolutamente consigliato.

Giovani e dannatamente brutali, i Pighead licenziano il nuovo devastante e marcissimo album in questo tramonto dell’anno di grazia 2016.

Il trio tedesco (il bassista Clemens figura come ospite), al terzo lavoro sulla lunga distanza è protagonista di un brutal death metal molto ben strutturato, tra lo slamming ed il technical death.
Terzo lavoro si diceva, con i primi due album usciti rispettivamente nel 2010 (Cadaver Desecrator) e nel 2012 (Rotten Body Reanimation), quindi il gruppo berlinese si è preso quattro anni per dare alle stampe questo notevole pezzo di brutalità in musica, prodotto bene e dal songwriting che in alcuni casi risplende di cattiveria e malignità, ma che sa esaltare con soluzioni ritmiche molto ben congegnate (Revengeful Strife).
Il genere non promette originalità ovviamente, influenze ed ispirazioni sono uguali a tante giovani band in giro per il mondo, ma i Pighead hanno qualcosa in più, le canzoni.
Infatti, nella loro brutalità, i brani di Until All Flesh Decays non mancano di mantenere una loro forma canzone, e l’album ne giova risultando ostico, violento, terremotante ma a tratti pregno di morboso appeal.
Per gli amanti del metal estremo di matrice brutal che amano Suffocation, Dying Fetus e compagnia omicida, l’album è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
1.Transcend the Unknown
2.Twitching Xenomorphic Shades
3.Eliminate Alien Elements
4.State of Absolute Misery
5.Corrupted
6.Indoctrinate
7.Revengeful Strife
8.Until All Flesh Decays
9.A Swamp of Dark Crimson Sludge
10.Siamese Spawn
11.Exterminating the Unworthy
12.The Piggrinder

LINE-UP
PHIL – Vocals
CONOR – Drums
DENNY – Guitar
CLEMENS – Sessionbass

PIGHEAD – Facebook

Damned Pilots – Overgalaxy

Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.

Siete pronti per una nuova avventura spaziale insieme ai Damned Pilots?

Allora salite con loro sul furgoncino spaziale direttamente dagli anni settanta e volate su e giù per la galassia, scontrandovi con Gorguss, nemico di una vita.
La band post nuclear metal nostrana ha fatto le cose in grande per questo nuovo lavoro, prodotto da Ron Goudie (Gwar, Death Angel, Poison), mixato e masterizzato dal leggendario Bill Metoyer, (W.A.S.P., Trouble e Slayer) e l’album ne esce come un prodotto dal taglio internazionale, che amalgama con sagacia hard & heavy del decennio novantiano, metal estremo ed hard rock moderno e psichedelico, un caleidoscopio di sonorità tra sfumature vintage e bordate di groove metal dal buon appeal.
Un viaggio nello spazio, dunque, anche se le atmosfere alternano fughe nella galassia psichedelica e lunghe passeggiate in quel deserto americano dove i personaggi dei primi film di Rob Zombie compivano le loro malefatte a colpi di groove metal in La Sexorcisto style, quindi tanto flower power drogato di stoner e hard rock.
Non mancano accenni al doom, sempre con l’anima stonerizzata, ma è indubbio l’amore che il gruppo ha per il metal nato tra le pietre e la calda sabbia del deserto.
Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.
Poi quando lo scontro con Gorguss si fa più violento (Gorguss, il brano canzone) il doom metal prende il sopravvento per un risultato davvero riuscito, accompagnato da uno spirito hippy che spoglia il sound dalla durezza scarna del doom classico per donargli un’atmosfera da tragico e melanconico trip.
Un gran bel lavoro, che al sottoscritto ha ricordato a più riprese una via di mezzo tra il già citato La Sexorcisto, capolavoro degli White Zombie, Manic Frustration, l’album più hard rock della discografia dei doomster Trouble, e l’hard rock stonerizzato dei Monster Magnet, il tutto suonato tra gli anni sessanta ed il nuovo millennio.
Non ci sono riempitivi e l’ascolto se ne giova che è un piacere, dunque lasciate a casa lo scooter e guardate verso il cielo, potrebbe fare la sua comparsa il furgoncino spaziale dei Damned Pilots, e salirci, anche se pericoloso, è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
01. Intro
02. Damned Pilots
03. Season Of The Ending
04. Desert Europa
05. Just Another Day
06. Gorguss
07. Hell Is Cold
08. People Don’t Die
09. Sylvanic
10. Mos

LINE-UP
Don Nutz
Sgt Ote
Willer Hz
Erik Space

DAMNED PILOTS – Facebook

Avulsed – Deathgeneration

A chi ha familiarità con il gruppo rimane solo da segnalare l’ottima scelta dei brani da parte del leader mentre, per chi non conoscesse la band, Deathgeneration è un’opera essenziale per ogni appassionato.

Venticinque anni di attività nel mondo della musica non è cosa da poco, figuriamoci nel metal estremo, se poi la ricorrenza riguarda una band seminale come gli spagnoli Avulsed, il traguardo va sicuramente festeggiato nel migliore dei modi.

E Dave Rotten, storico vocalist del gruppo e responsabile artistico della Xtreem, ha fatto le cose in grande per festeggiare al meglio la sua band, con una raccolta di brani racchiusi in un doppio cd reinterpretati per l’occasione con una serie di ospiti di grido.
Deathgeneration vede, infatti, la partecipazione di nomi altisonanti del metal estremo, molti di questi importantissimi per lo sviluppo di queste sonorità, con l’aggiunta di un secondo cd contenente le versione originali dei brani.
Una compilation che risulta davvero un monumento al death metal old school, non solo per la qualità altissima della musica del gruppo madrileno, ma in questo caso anche per il suddetto contributo di artisti i cui nomi non hanno bisogno di presentazioni.
Chris Reifert (Autopsy), Will Rahmer (Mortician), Rogga Johansson (non abbiamo spazio a sufficienza per scrivere tutte le band che lo vedono coinvolto …), Mike Van Mastrigt (ex-Sinister), Piotr Wiwczarek (Vader), Mark “Barney” Greenway (Napalm Death), Tomas Lindberg (At The Gates), sono solo alcuni dei graditi ospiti che il buon Rotten ha voluto su questo tripudio alla sua creatura più importante e i ragazzi non si sono certo tirati indietro, rendendo questo disco un imperdibile gioiellino estremo.
Si parla, del resto, di uno dei gruppi più influenti a livello underground della scena europea, dal 1991 a dispensare death metal di morte in giro per il continente, dunque si tratta di un’operazione più che mai giustificata dall’importanza della nome in ballo.
A chi ha familiarità con il gruppo rimane solo da segnalare l’ottima scelta dei brani da parte del leader mentre, per chi non conoscesse la band, Deathgeneration è un’opera essenziale per ogni appassionato.

TRACKLIST
1.Amidst The Macabre (instr.)
2.Stabwound Orgasm
3.Breaking Hymens – guest: Per Boder (God Macabre/Mordbrand)
4.Sweet Lobotomy – guest: Chris Reifert (Autopsy)
5.Burnt But Not Carbonized – guest: Antti Boman (Demilich)
6.Daddy Stew – guest: Snencho (Aborted)
7.Addicted To Carrion – guest: Will Rahmer (Mortician)
8.Dead Flesh Awakened – guest: Rogga Johansson (Paganizer)
9.Powdered Flesh – guest: Ludo Loez (Supuration/S.U.P)
10.Gorespattered Suicide – guest: Mike Van Mastrigt (ex-Sinister/Neocaesar)
11.Nullo (The Pleasure Of Self-mutilation) – guest: Johan Jansson (Interment/Moondark)
12.Exorcismo Vaginal – guest: Paul Zavaleta (Deteriorot)
13.Carnivoracity – guest: Anton Reisenegger (Pentagram Chile/Criminal)
14.Sick Sick Sex – guest: Ville Koskela (Purtenance)
15.Devourer Of The Dead – guest: Tomas Lindberg (At The Gates)
16.Horrified By Repulsion – guest: Kam Lee (ex-Massacre)
17.Blessed By Gore – guest: Bongo (Necrophiliac)
18.Red Viscera Serology – guest: John McEntee (Incantation)

LINE-UP
Dave Rotten – Vocals
Jose “Cabra” – Guitars
Juancar – Guitars
Tana – Bass
Arjan van der Wijst – Drums

AVULSED – Facebook

Delirium X Tremens – Troi

Metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più belli, misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola,

Sono ormai anni che il monicker Delirium X Tremens gira nella scena estrema underground, almeno da quando Cyberhuman, debutto in mini cd, fece conoscere la band bellunese ai fans del metallo estremo.

Il gruppo, duro e pesante come uno dei passi dolomitici affrontati in bicicletta, arriva tramite la Punishment 18 Records al terzo full length della sua ormai lunga carriera, successore di CreHated from No_Thing del 2007 e Belo Dunum, Echoes from the Past, licenziato cinque anni fa: Troi è un concept che racconta il viaggio di un ragazzo guidato da un gufo posseduto dall’anima di un alpino, verso la casa dove è custodito un importante album di fotografie.
Veniamo quindi trasportati nell’immaginario montano delle Dolomiti, tra orgoglio nordico, spunti folk popolari di quelle terre e metal estremo, a tratti epico, devastante ed originale nel saper mantenere con sagacia l’equilibrio tra death metal old school e spunti musicali che vanno dal folk al rock, dalla musica popolare a mood alternativi che, all’apparenza, con il metal estremo c’entrano poco ma fondamentali nel sound del quartetto bellunese.
I Delirium X Tremens sono un gruppo originale, su questo non c’è il minimo dubbio, e anche per questo il nuovo lavoro ha bisogno di qualche giro in più nel laser ottico per essere pienamente assimilato, ma l’atmosfera malinconicamente epica di brani che sprizzano tradizione nordica (finalmente italiana, aggiungo), come Col Di Lana/Mount Of Blood, The Voice Of The Holy River e la tragicità di eventi drammatici e storici come Spettri nella Steppa, fanno di Troi un lavoro sicuramente affascinante.
Un’opera di metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola, tra il freddo, la solitudine e la magica bellezza delle Dolomiti.

TRACKLIST
01. Ancient Wings
02. Col Di Lana, Mount Of Blood
03. The Dead Of Stone
04. The Voice Of The Holy River
05. Owl
06. Spettri Nella Steppa
07. Song To Hall Up High (Bathory Cover)
08. When The Mountain Call The Storm
09. The Picture

LINE-UP
Ciardo – Vocals
Med – Guitars
Thomas – Drums
Pondro – Bass

DELIRIUM X TREMENS – Facebook

Attractha – No Fear to Face What’s Buried Inside You

Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi.

Heavy metal che amalgama una manciata di generi in un unico sound potente e a tratti diretto, mantenendo le caratteristiche peculiari delle migliori metal band nate in Brasile.

Debuttano sulla lunga distanza gli AttracthA e lo fanno con un lavoro estremamente metallico, dalle ottime intuizioni hard rock moderne e con  qualche soluzione progressive che valorizza il sound di cui è composto No Fear to Face What’s Buried Inside You.
Nato ormai da quasi una decina d’anni e con un ep all’attivo, il gruppo di San Paolo ha fatto le cose in grande per questo suo primo, importante lavoro, con Edu Falaschi (Angra, Almah) alla produzione e successivamente il mix e il mastering eseguiti a Los Angels da Damien Rainaud (Fear Factory, DragonForce and Babymetal).
Ne esce un buon lavoro, potente e metallico, tra soluzioni moderne ed ottime parti dove il metal tradizionale e l’hard rock fanno capolino tra il solchi dei nove brani in scaletta.
Un sound d’assalto, come già scritto, che non fa mancare ritmiche che alternano groove e parti più intricate, con la voce maschia del buon Cleber Krichinak che comanda le operazioni con piglio e tanta grinta.
I rimandi sono tutti al metal statunitense, con accelerazioni al limite del thrash Bay Area e chorus che mantengono un buon appeal anche nelle parti più aggressive.
Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi, basta soffermarsi sulla splendida No More Lies, mid tempo drammatico e progressivo dove convivono in armonia le varie ispirazioni del gruppo.
Più diretta la prima parte (Bleeding in Silence, Move On), dall’approccio diretto, più ragionata ed intimista la seconda, con i brani migliori del lavoro ad alzare il valore dell’album (oltre No More Lies si distinguono Holy Journey, altro mid tempo da applausi, e la progressiva Victorius).
In conclusione, No Fear to Face What’s Buried Inside You è un buon lavoro, se siete amanti del metal made in U.S.A. un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1.Bleeding in Silence
2.Unmasked Files (Revisited)
3.231
4.Move On
5.Mistakes and Scars
6.No More Lies
7.Holy Journey
8.Victorious
9.Payback Time

LINE-UP
Cleber Krichinak – Vocals
Humberto Zambrin – Drums
Ricardo Oliveira – Guitars
Guilherme Momesso – Bass

ATTRACTHA – Facebook

Ghost Of Mary – Oblivaeon

Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo

Decisamente interessante il debutto dei nostrani Ghost Of Mary, un concept ispirato da un racconto del cantante Daniele Rini incentrato sulla vita e sulla morte e accompagnato da un notevole death sinfonica arricchito da ottime parti classiche e gothic doom.

Un’opera dark, oscura e malinconica che tocca il genere in tutte le sue sfumature, regalando all’ascoltatore un sunto del death metal gotico, partendo addirittura dai primi anni novanta, in particolare dalla scena olandese.
Infatti quest’album torna a far risplendere uno dei movimenti più importanti per lo sviluppo di queste sonorità, affiancando al lento incedere, elegantemente sfiorato dagli strumenti classici, sfuriate estreme di matrice scandinava e dark rock per un risultato che, nella sua altalena di ombrose ed oscure emozioni, si rivela del tuto all’altezza della situazione.
Oblivaeon è un disco vario, maturo, perfettamente in grado di mantenere la giusta tensione e non far perdere l’attenzione all’ascoltatore, travolto dalle sorprese che il gruppo riversa in un songwriting ispiratissimo, così da passare agevolmente tra le ispirazioni che hanno portato alla stesura dei brani in modo fluido e senza forzature.
Death metal melodico d’alta classe, quindi, impreziosito da un’ottima parte orchestrale, da un muro ritmico estremo efficace e da un’interpretazione magistrale di Rini, bravo sia con le parti estreme che con le clean vocals.
Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo, ma che ovviamente non manca di picchi qualitativi molto alti come la magnifica Shades, insieme a Something To Know e The End is the Beginning, altri due piccoli gioiellini di questo bellissimo lavoro, esempio perfetto di quello che a mio parere è la maggiore caratteristica del sound dei Ghost Of Mary: death gothic olandese e death melodico scandinavo che si scambiano gli onori e gli oneri in perfetta armonia.
Provate ad immaginare i primi The Gathering, Dark Tranquillity ed un accenno ai Lacrimosa più sinfonici ed avrete un’idea attendibile di cosa vi aspetta tra i solchi di Oblivaeon.

TRACKLIST
1.The Moon and the Tree
2.Shades
3.Last Guardian
4.Nothing
5.The Ancient Abyss
6.Oblivaeon
7.Black Star
8.Something to Know
9.The End is the Beginning
10.Nowhere Now Here
11.The Ancient Abyss (piano version)

LINE-UP

Daniele Rini – voice
Mauro Nicolì – guitar
Gabriele Muja – guitar
Nicola Lezzi – bass
Damiano Rielli – drums
Joele Micelli – violin

GHOST OF MARY – Facebook

Niterain – Vendetta

Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori

Oslo come Los Angeles ?
A sentire la musica dei Niterain si direbbe che musicalmente la capitale norvegese si sia rifatta il trucco, abbia abbandonato il face painting da truce blackster satanista, si sia cotonata i capelli, abbia indossato gli spandex e via su e giù per il Sunset Boulevard finchè la luce dell’alba non rischiara gli angoli dove bottiglie vuote e preservativi sono gli unici testimoni di notti all’insegna del life style rock ‘n’ roll.

Il giovane quartetto entra prepotentemente in quella cerchia di gruppi che, negli ultimi tempi, hanno dato nuovo lustro allo sfavillante sound ottantiano, e licenzia il suo secondo album, firmando un contratto di promozione con la nostra Volcano Records e apprestandosi a conquistare l’Europa.
Di battaglie sui palchi, in giro per il vecchio e nuovo continente, la band ne ha già vinte parecchie, aprendo per Steel Panther, 69 Eyes, Sebastian Bach ed L.A. Guns e presentandosi con tutta la sua carica hard rock ‘n’ roll in diversi festival, mentre Vendetta prendeva forma ed ora è pronto per far innamorare i rockers sparsi per il globo.
Un sound che chiamare esplosivo è un eufemismo, una raccolta di canzoni in pieno stile ottantiano ma perfettamente in grado di tenere il passo in questo nuovo millennio, dove la voglia di divertirsi a colpi di metallico rock ‘n’ roll sembra tornata finalmente a rendere meno grigio questo vivere quotidiano targato 2016.
Vendetta è una fialetta di nitroglicerina infilata nei bassifondi di chi sostiene che il rock è morto, un bombardamento a tappeto di puro sleazy metal statunitense, un greatest hits del meglio della scena che faceva mettere in fila gli spettatori davanti al Whisky a Go Go ( a proposito i ragazzi ci hanno suonato non tanto tempo fa), quando non pochi dei musicisti, diventati in seguito delle star, arrivavano a Los Angeles con la valigia piena di speranze ed un passaggio su scalcinati bus partiti dalla provincia.
Dal primo riff dell’opener Lost And Wasted verrete scaraventati virtualmente nella bolgia di quel locale, sotto le sferzate dell’inno Come Out, della devastante No More Time, di Something ain’t right, per arrivare in fondo ai quasi quaranta minuti di durata in pieno shock da metal party.
Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori.

TRACKLIST
01. Lost And Wasted
02. Come Out
03. The Threat
04. Rock N’ Roll
05. Romeo
06. One More Time
07. Something Ain’t Right
08. Don’t Fade Away
09. #1 Bad Boy
10. Electric
11. Vendetta

LINE-UP
Sebastian Tvedtnæs – vocals
Adrian Persen – guitar
Frank Karlsen – bass
Morten Garberg – drums

NITERAIN – Facebook