Mare Infinitum – Alien Monolith God

Alien Monolith God è un lavoro davvero eccellente nel suo districarsi tra i mortiferi e cadenzati riff e le improvvise quanto ariose aperture melodiche.

Secondo album per i russi Mare Infinitum che danno, così, un seguito al riuscito esordio del 2012, “Sea Of Infinity”.

Già dall’opener The Nightmare Corpse-City of R’lyeh si può constatare che qualcosa è cambiato nel sound della band moscovita: infatti l’ortodosso death doom dell’esordi viene qui arricchito da una stentorea voce pulita, ad opera di Ivan Guskov, che fa il paio con il consueto ed ottimo growl di Andrey Karpukhin (A.K. iEzor – Abstract Spirit e Comatose Vigil, uscito dalla band dopo la registrazione dell’album), mentre le atmosfere, proprio in concomitanza con le aperture vocali si fanno anch’esse più terse, assumendo sembianze quasi epiche.
Il progetto è come sempre condotto da Georgiy Bykov (Homer), il quali si occupa di tutta la parte strumentale e, indubbiamente, la maggiore varietà conferita alle sonorità death doom denota una crescita esponenziale delle doti compositive di questo musicista.
I tre anni intercorsi tra un album e l’altro sono stati quindi ben spesi, a giudicare dai risultati ottenuti: Alien Monolith God è, infatti, un lavoro davvero eccellente nel suo districarsi tra i mortiferi e cadenzati riff e le improvvise quanto ariose aperture melodiche.
Il disco risulta così avvincente in ogni suo passaggio senza sacrificare nulla dal punto di vista dell’impatto emotivo e neppure risentendo di una durata che va a sfiorare l’ora.
Nessuno dei cinque brani mostra la corda, andando a comporre un monolite sonoro inattaccabile sotto l’aspetto qualitativo; chiaramente l’impronta tipica della scena doom moscovita è sempre ben presente, come è normale che sia quando ci si muove in un ambito nel quale le band ed i musicisti sono piuttosto coesi e portati quindi alla reciproca collaborazione.
Una menzione particolare la meritano comunque la lunghissima e cangiante title-track e l’evocativa traccia di chiusura The Sun That Harasses My Solitude, conclusione degna di un disco impeccabile che darà sicura soddisfazione agli amanti del genere.

Tracklist:
1. The Nightmare Corpse-City of R’lyeh
2. Prothetic Consciousness
3. Alien Monolith God
4. Beholding the Unseen Chapter 2
5. The Sun That Harasses My Solitude

Line-up:
Homer – Guitars, Bass, Programming
Ivan Guskov – Vocals

MARE INFINITUM – Facebook

Dryom – 2

Un buon disco consigliato agli estimatori della scuola funeral russa.

Secondo album per questo progetto funeral doom russo denominato Dryom (Дрём), piuttosto misterioso come spesso accade per le proposte musicali provenienti da quelle lande.

Questo 2 è, invero, una versione molto ortodossa quanto ben eseguita del genere: un growl gorgogliante sovrasta un tessuto musicale dai tratti piuttosto atmosferici tanto che i territori calcati qui appaiono vicini a quegli degli Ea, pur con una minore varietà per quanto riguarda l’uso della chitarra solista ed una presenza meno massiccia delle tastiere.
Il probabile unico musicista dietro al progetto conosce alla perfezione la materia e regala a chi ama il genere un’ora di funeral che non delude, avvolgendo con i suoi ritmi pachidermici che sorreggono una afflato melodico comunque sempre ben presente.
Le quattro lunghe tracce appaiono piuttosto uniformi, aspetto che va inteso più come una caratteristica peculiare di questo stile musicale piuttosto che un difetto, per cui è difficile scegliere un brano oppure un altro, anche se la conclusiva She (i titoli dei brani e lo stesso nome della band sono stati traslitterati dal cirillico all’inglese per agevolarne la lettura) mostra qualcosa in più quanto a dolente drammaticità.
Un buon disco consigliato agli estimatori della scuola funeral russa.

Tracklist:
1. Dead City
2. Drawing
3. Blizzard
4. She

Endlesshade – Wolf Will Swallow the Sun

L’ennesima nuova stimolante scoperta proveniente dalla scena death-doom ucraina sulla quale focalizzare l’attenzione anche in prospettiva futura.

Album d’esordio per gli Endlesshade i quali contribuiscono ad arricchire, con questo Wolf Will Swallow the Sun, una scena death-doom ucraina già piuttosto vivace.

Il fatto di inserire nel titolo il nome di una delle band guida del genere equivale ad una dichiarazione di intenti ma può apparire anche fuorviante, visto che i riferimenti ai maestri finlandesi ci sono, eccome, ma non nella misura in cui ci si sarebbe potuti attendere. Tutto sommato, infatti, è soprattutto la title track che vede maggiormente omaggiati Kotamäki e soci, mentre nel resto del disco predomina soprattutto un’aura drammatica, nella quale vengono alternati tratti sognanti ad altri piuttosto aspri.
Il gruppo di Kiev non reinventa la ruota ma propone nel migliore dei modi ciò che ogni appassionato del genere vorrebbe ascoltare: partiture dolenti, riff robusti, melodie decadenti disegnate dalla chitarra solista sulle quali si staglia l’impressionante growl di una Natalia Androsova che, almeno da quanto ci è dato ascoltare su disco, appare per distacco il migliore growl femminile mai udito.
Tra le splendide Post Mortem e Truth Untold viene racchiusa quasi un’ora di death-doom, assolutamente in linea stilisticamente con le migliori espressioni dell’area ex- sovietica, che ci consegna gli Endlesshade come l’ennesima nuova stimolante scoperta sulla quale focalizzare l’attenzione anche in prospettiva futura.

Tracklist:
1. Post Mortem
2. 7
3. Wolf Will Swallow the Sun
4. Noctambulism
5. Edge
6. Truth Untold

Line-up:
Artem Ivanov – Drums
Mikhail Chuga – Guitars
Yuriy Politko – Guitars
Olga Bedash – Keyboards
Natalia Androsova – Vocals
Angelus – Bass

ENDLESSHADE – Facebook

Filii Eliae – Cimiterivm

Il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono “Cimiterivm” un gran bel disco.

La genesi dei Filii Eliae va ricercata molto indietro nel tempo: erano infatti gli anni 80 quando i fratelli Maurizio e Roberto Figliolia muovevano i primi passi nella scena metal campana con le loro band dai monicker come Mayhem ed Enslaved, che vennero poi resi famosi ad altre latitudini, .

Dopo un lunghissimo silenzio la nuova creatura, che prende il nome dalla latinizzazione del cognome dei nostri, si manifesta con l’ottimo “Qvi Nobis Maledictvm Velit”, album capace di riscuotere unanimi consensi a livello di critica.
La ritrovata vena creativa di Martirivm ed Ossibvs Ignotis (nomi d’arte adottati dai due) porta la band salernitana a produrre, a meno di un anno di distanza, un nuovo lavoro, Cimiterivm, che ne sancisce in tutto e per tutto l’innegabile valore.
Il sound dei fratelli campani, che si avvalgono al basso dell’ausilio di Vastvm Silentivm, si può definire a buona ragione come black/doom, poiché del primo assimila le ritmiche nei passaggi più veloci mentre dal secondo attinge soprattutto al suo saper essere solenne, epico e allo stesso tempo, pesante come un macigno.
Allo stesso modo non è azzardato intravvedere negli Abysmal Grief un nobile influsso per quanto riguarda i tratti più funerei dell’album, contrassegnati da un uso piuttosto simile delle tastiere, come pure un minimo debito nei confronti del maestro The Black, non fosse altro che per il ricorso ai testi in latino, anche se, va detto subito, lo stile dei Filii Eliae è molto più composito e ricco di sfumature.
Non a caso, Martirivm si rivela musicista di grande spessore sia quando tesse atmosfere macabre con le tastiere e la chitarra, con la quale si lascia andare con gradita frequenza ad assoli intrisi di melodia, sia con uno screming/growl alla Sakis, mai superfluo e sempre incisivo pur nella difficoltà di interpretare i testi nell’antica lingua.
Per capire quali siano gli intenti dei Filii Eliae basta ascoltare il primo brano, lo strumentale Introitvs, che si rivela tutt’altro che una consueta intro, costituendo invece il primo dei tre splendidi strumentali che esplicitano, senza lasciare alcun dubbio, le doti compositive ed il gusto melodico non comune della band salernitana.
La successiva title-track è la virtuale partenza di un rituale che si snoderà tra una serie di brani avvincenti, vari e perfettamente eseguiti (anche da una sezione ritmica che svolge il suo compito in maniera essenziale ma efficace); il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono Cimiterivm un gran bel disco.
Tra le tracce (ognuna di eccellente livello, qui di filler non se ne parla neppure) mi sentirei di segnalare ancora la furiosa Tabvula Rasa e la migliore del lotto, Odivm Aeternvm, episodio dai ritmi che avvincono apparendo un’ipotetica e mirabile fusione tra i Rotting Christ ed i Satyricon di “K.I.N.G.” ma risultando, invece, la ciliegina sulla torta messa sull’album da una band dai tratti del tutto personali come i Filii Eliae.

Tracklist:
1. Introitvs
2. Cimiterivm
3. Cinis Cineri
4. Tabvla Rasa
5. Exeqviae
6. Plvrimvm Sangvinis
7. Ivs Vitae Ac Necis
8. Fvneralis
9. Odivm Aeternvm
10. Extrema Pars

Line-up:
Ossibus Ignotis – Drums
Martirium – Vocals, Guitars
Vastum Silentium – Bass

FILII ELIAE – Facebook

Forgotten Tomb – Hurt Yourself And The Ones You Love

L’ennesima prova maiuscola di una grande band, con un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.

Per comprendere il valore effettivo dei Forgotten Tomb è sufficiente fare un ripasso mentale delle proprie conoscenze musicali cercando di ricordare quante siano le band che, nell’arco di oltre quindici anni di carriera ed almeno sette album all’attivo, abbiano mantenuto costantemente uno standard qualitativo così elevato.

Ben poche, immagino, e tra queste la creatura di Herr Morbid è una tra quelle che sono tutt’oggi attive senza alcuna intenzione di mollare la presa, come dimostra un lavoro eccellente come Hurt Yourself And The Ones You Love.
Come ebbi già occasione di dire in occasione del precedente “… And Don’t Deliver Us From Evil”, i Forgotten Tomb hanno cambiato pelle rispetto alle asperità degli esordi, eppure, paradossalmente, non sono mai stati pesanti come oggi, con un sound riconoscibile in ogni passaggio e capace di attingere da svariati generi mantenendo un’impronta oscura e tutt’altro che che rassicurante dalla prima all’ultima nota.
Rispetto al precedente album i brani appaiono ancor più profondi e la componente doom forse spicca come non mai nella pur abbondante produzione della band piacentina: le chitarre suonano corposamente distorte e, a tale approdo, potrebbe non essere del tutto estranea l’esperienza di Herr Morbid con i Tombstone Highway, band che lo ha visto alle prese con una formidabile proposta di southern “doomizzato”.
Non a caso i due brani che maggiormente impressionano sono proprio quelli che trasportano questo seme: prima Bad Dreams Come True, specie nella sua fase iniziale, visto che in seguito si apre ad una delle rare quanto impressionanti sfuriate di black melodico, poi soprattutto la monolitica Dread the Sundown, traccia che segna probabilmente uno dei momenti più elevati dell’intera discografia del gruppo emiliano, con il suo riff dalla pesantezza quasi estenuante che, specie nella parte conclusiva, provoca un effetto straniante difficile da spiegare se non provandolo di persona.
L’opener Soulless Upheaval, la title track, Mislead the Snakes e la più  orecchiabile (relativamente, si intende) King of the Undesirables, portano al loro interno le stimmate di un sound che mai come oggi rasenta le perfezione, grazie al mirabile e graduale inserimento di elementi che lo hanno traghettato dal depressive black dei primi album fino a questa forma di metal che ne mantiene inalterato lo spirito, pur senza esibirlo in maniera cruda e diretta come avveniva al’inizio dello scorso decennio.
Il malinconico ambient di Swallow the Void mette la parola fine su un album inattaccabile sotto qualsiasi punto di vista.
Fuori dai nostri confini i Forgotten Tomb ci vengono invidiati un po’ da tutti; sarebbe il momento di dimostrare finalmente che anche in Italia un numero consistente di persone è in grado di apprezzare forme artistiche più estreme, come già avviene da tempo in molti altri paesi …

Tracklist:
1. Soulless Upheaval
2. King of the Undesirables
3. Bad Dreams Come True
4. Hurt Yourself and the Ones You Love
5. Mislead the Snakes
6. Dread the Sundown
7. Swallow the Void

Line-up:
Herr Morbid – Guitars, Vocals
Algol – Bass
Asher – Drums
A. – Guitars (lead)

FORGOTTEN TOMB – Facebook

Dementia Senex / Sedna – Deprived

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Dementia Senex e Sedna, band entrambe di stanza a Cesena, si sono già messe in luce nel recente passato con ottime prove: i primi con l’ep “Heartworm” del 2013, i secondi con l’album omonimo dello scorso anno che è stato considerato da gran parte della critica come uno dei migliori lavori in assoluto del 2014.
I due brani presenti nello split sono stati incisi entrambi lo scorso anno ma, mentre per i Dementia Senex si tratta di una nuova produzione successiva allo scorso Ep, per i Sedna bisogna risalire a qualche settimana prima dell’inizio delle registrazioni dell’album; inevitabilmente ciò comporta per i primi una sostanziale evoluzione rispetto a quanto prodotto in precedenza, mentre per i secondi resta ben impresso il sound che poi sarebbe confluito nel lavoro su lunga distanza.
Indubbiamente i Dementia Senex denotano una rabbia veicolata in maniera più diretta, pur senza trascurare la componente melodica, nell’ambito di una traccia come Blue Dusk che sembra spostare comunque l’asse compositiva verso un sound meno aspro, mentre l’approccio dei Sedna, che affonda maggiormente le proprie radici in una forma molto personale di black metal impastato dallo sludge e da ampie sfumature post hardcore, anche con Red Shift  si dimostra in qualche modo più avvolgente pur essendo piuttosto contiguo a quello dei compagni di split.
In entrambi i casi la manipolazione della materia è di primissima qualità in maniera tale che, forse, mai prima d’oggi le due band concittadine si sono trovate così vicine anche dal punto di vista stilistico; in tal senso, se non si può fare a meno di constatare quanto l’intensità mostrata dai Sedna sia qualcosa difficilmente avvicinabile per chi si cimenta in questo genere musicale.
Nonostante ciò i Dementia Senex non escono certo ridimensionati dall’arduo confronto, confermando e rafforzando le doti messe in mostra all’epoca di “Heartworm”; va rimarcato però, a tale proposito, che dopo l’uscita dello split la band ha dovuto subire la defezione del vocalist Cristian Franchini e questo potrebbe intralciarne momentaneamente la progressione.
Detti ciò, Deprived è un uscita di pregio che riporta l’attenzione su due band destinate a dare ulteriore lustro alla scena metal nazionale.

Tracklist:
1. Dementia Senex – Blue Dusk
2. Sedna – Red Shift

Dementia Senex
Mattia Bagnolini – Drums
Cristian Franchini – Vocals
Filippo Merloni – Guitars
Marco Righetti – Guitars
Gianmaria Mustillo – Bass

Sedna
Mattia Zoffoli – Drums
Elyza Baphomet – Vocals, Bass
Alex Crisafulli – Vocals, Guitars

DEMENTIA SENEX – Facebook

SEDNA – Facebook

Dormant Inferno / Dionysus – Beyond Forgotten Shores

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche, gli indiani Dormant Inferno ed i pakistani Dionysus.

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche: gli indiani Dormant Inferno e i pakistani Dionysus: due realtà giovani e dalle enormi potenzialità, per di più piuttosto diverse tra loro nonostante vengano inserite entrambe nella famiglia death-doom.

Francamente sono rimasto molto impressionato dai Dormant Inferno, band che ha all’attivo un Ep (“In Sanity”) risalente al 2011; il trio di Mumbai è autore di una prova magnifica, con il picco rinvenibile nella seconda traccia Deliverance, dove viene esibita un’interpretazione del genere trascinate, melodica, ottimamente eseguita e arricchita da una versatile interpretazione vocale. Notevoli anche l’iniziale Veil of Lunacy e la perfetta rielaborazione di A Once Holy Throne, cover dei maestri statunitensi Incantation.
I pakistani Dionysius, reduci dall’Ep del 2012 “A Hymn to the Dying”, vengono parzialmente penalizzati da una produzione non all’altezza di quella che ha gratificato non poco l’operato dei compagni di split: il loro sound, però, sembrerebbe più riconducibile ad un black/death melodico alla Children Of Bodom, sia per le ritmiche più sostenute sia per lo stesso screaming del vocalist riconducibile allo stile di Alexis Laihio.
I due brani proposti, Beneath the Skies of War e Rain, sono comunque abrasivi il giusto e mettono in mostra una band preparata e dalle idee molto chiare, con l’aggiunta di una naturale predisposizione per soluzioni sonore catchy e di grande efficacia.
In sintesi: i Dormant Inferno hanno, a mio avviso, tutti i numeri per esplodere fragorosamente alla prossima occasione, mentre dai Dionysus mi aspetto quell’ulteriore salto di qualità necessario per emergere un contesto molto più affollato come quello relativo al genere da loro proposto.
Peraltro il lavoro è disponibile anche in versione limitata con un bonus CD contenente i precedenti lavori di entrambe le band: un’ottima occasione per ascoltare qualche minuto in più di buona musica e di verificare, dati alla mano, il grado di maturazione mostrato dai due gruppi nel corso di questi ultimi anni.

Tracklist:
1. Dormant Inferno – Veil of Lunacy
2. Dormant Inferno – Deliverance
3. Dormant Inferno – A Once Holy Throne (Incantation)
4. Dionysus – Beneath the Skies of War
5. Dionysus – Rain

Line-up:
Dormant Inferno:
Gautam Shankar – Vocals
Sunny Bhambri – Guitars, Bass
Lenin Kharat – Keyboards

Dionysus:
Sheraz Ahmed – Guitar, Drums
Umair Ahmed – Guitar
Waleed Ahmed – Vocals, Bass, Acoustic Guitar

DORMANT INFERNO – Facebook

DIONYSUS – Facebook

Dopethrone – Hochelaga

“Hochelaga” è permeato di ritmi lenti, completamene riempiti da un grande muro del suono, con un incedere marcio eppure costante, anzi incessante.

I Dopethrone sono semplicmente uno dei migliori gruppi sludge doom del globo, saturatori dell’atmosfera intorno alle casse, lentezze fumatorie e tanta marcezza.

Il loro suono è un groove maledetto che continua a girare nel nostro cervello, fatto di chitarre abrasive e batteria potente, in un misto di stile New Orleans e traiettorie comuni al metal.
Questo è il loro quarto disco che, nelle loro intenzioni dovrebbe essere quello più sporco e cattivo, e direi che ci sono riusciti in pieno.
Dopo aver pubblicato “Demonsmoke” su STB Records, nel 2011 è la volta di “Dark Foil” per Totem Cat Records, poi nel 2012 la loro già avviata carriera prende una svolta essendo stati invitati al Roadburn Festival dai curatori Voivod, così da pubblicare “III”, album che ha avuto molto seguito in Europa.
Quest’ultimo disco prende il titolo dal ghetto di Montreal, città del gruppo: Hochelaga fu il nucleo della città di Montreal nel XVII secolo, in un territorio già abitato dagli Irochesi, che fino a quel momento vivevano tranquilli ed in pace.
Il quartiere è ora il classico posto dove cercare droga, sesso ed altro, come ve ne sono in ogni città.
Il suono dei Dopethrone è quanto di più indicato da mettere ad alto volume, meglio se con amplificatori che arrivino il più in alto possibile, poiché questa musica non può essere ascoltata a basso volume.
Hochelaga è permeato di ritmi lenti, completamene riempiti da un grande muro del suono, con un incedere marcio eppure costante, anzi incessante.
Chi già li conosce sappia che sono ancora più devastanti, chi non li conosce venga giù nel fango con loro e con noi.

Tracklist:
1. Sludgekicker
2. Chamaleon Witch
3. Vagabong
4. Scum Fuck Blues
5. Dry Hitter
6. Bullets
7. Riff Dealer

Line-up:
Borman – Batteria
Vincent – Chitarra e Voce
Vyk – Basso

DOPETHRONE – Facebook

FamishGod – Devourers of Light

Un disco tutt’altro che di impatto immediato, ma allo stesso tempo pericolosamente avvolgente pur nelle sue atmosfere cupe ed asfissianti.

Dalla sempre attiva etichetta spagnola Xtreem Music arriva il disco d’esordio dei connazionali Famishgod.

A differenza di molte delle ultime uscite provenienti dalla penisola iberica in ambito doom negli ultimi tempi, la band propende decisamente verso il funeral o quanto meno verso un death doom dai tratti scarni e morbosi, sulla scia di nomi quali Encoffinaton e Disembowlement o, restando su un piano leggermente più ascoltabile, Evoken.
Appare ovvio, quindi, quanto tutto ciò renda il disco tutt’altro che di impatto immediato, ma allo stesso tempo pericolosamente avvolgente, pur nelle sue atmosfere cupe ed asfissianti.
I Famishgod sono in realtà il progetto di Pako Deimler, che si occupa di tutti gli strumenti ad eccezione della batteria, che è affidata ad una macchina, mentre alla voce troviamo il ben noto Dave Rotten dei grandi Avulsed.
Una produzione scarna, il rantolo inumano di Dave, un’assenza quasi totale di qualsiasi spiraglio di luce, fatte salve le sporadiche concessioni acustiche da parte di Pako, sono i fattori che rendono Devourers of Light un lavoro per iniziati, ovvero per appassionati che hanno dimestichezza con sonorità di questo tipo.
Costoro potranno trarre sicuramente la giusta dose di piacere dalle trame ossessive proposte dal mefitico duo nel corso di un’ora di musica di rara pesantezza, ma indubbiamente dotata di una profondità che rende l’ascolto un’esperienza particolare.
Minimale e ottundente, il sound dei Famishgod possiede un effetto realmente soffocante e ancor più risaltano, pertanto, quei rari momenti in cui la chitarra traccia qualche linea melodica che, mai come in questo caso, equivale a nulla più di una cura palliativa per un moribondo.
In tal senso i brani migliori sono rappresentati dalla coppia centrale Black Eye / Premature Grave, proprio perché sono gli unici che possono essere assimilati senza ricorrere necessariamente al boccaglio dell’ossigeno, in virtù di un asciutto ma efficace lavoro chitarristico.
Come detto, consiglierei di lasciar perdere a priori a chi, al solo sentir pronunciare la parola doom, si mette sulla difensiva, mentre a quelli che si beano di questa velenosa dipendenza, Devourers of Light potrebbe riservare non poche soddisfazioni.

Tracklist:
1. Chapter 1: Devourer of Light
2. Chapter 2: Famish
3. Chapter 3: Black Eye
4. Chapter 4: Premature Grave
5. Chapter 5: The Monarch
6. Chapter 6: Two Last Stairs
7. Chapter 7: Brightless

Line-up:
Pako Deimler – All instruments, Drum programming
Dave Rotten – Vocals

FAMISHGOD – Facebook

Autumnia – Two Faces Of Autumn

Interessante riedizione dei due primi lavori degli Autumnia

Dopo aver parlato nei giorni scorsi dell’ultimo album degli Apostate restiamo in Ucraina per vedere cosa ci offre quest’uscita degli Autumnia.

Intanto, se nel caso citato in precedenza, si trattava del nuovo disco di una band riformatasi di recente, in questo caso ci troviamo di fronte ad un lavoro retrospettivo che unisce in una sola confezione, nel formato del doppio CD, i primi due dischi di un combo dalla storia più recente ma anche più noto.
È interessante, infatti, poter seguire, tramite l’ascolto di una coppia di album di buon valore, l’evoluzione della band di Alexander Glavniy nel corso degli anni.
Il musicista, avvalendosi di una delle migliori voci del settore come quella di Vladislav Shahin dei Mournful Gust, pubblicò nel 2004 un disco d’esordio davvero eccellente, probabilmente un po’ troppo devoto a tratti ai primissimi Anathema e My Dying Bride, ma anche per questo capace di rievocare in maniera competente e con la dovuta intensità le sonorità seminali che, qualche anno dopo averle tenute a battesimo, quelle stesse storiche band avrebbero abbandonato.
Drammatico e melodico nelle giuste dosi, In Loneliness of Two Souls introdusse così nel migliore dei modi il nome degli Autumnia al proscenio del doom europeo.
In By the Candles Obsequial, due anni dopo, fecero il loro ingresso nel sound pesanti influssi gothic accentuati dall’uso massiccio delle tastiere e dal contributo di una voce femminile in un brano che, se da un lato arricchirono e resero più accattivante la proposta, dall’altra fece apparire meno genuino e più artefatto l’operato del duo ucraino. Tecnicamente di livello superiore al predecessore, l’album destava una migliore impressione di primo acchito per poi mostrarsi non sempre troppo profondo: sicuramente un lavoro di buon livello, in ogni caso, in qualche modo propedeutico all’ulteriore passo verso sonorità ancor più eleganti che sarebbe avvenuto con “O Funeralia”, ultimo parto discografico degli Autumnia datato 2009.
Questa raccolta edita dalla Solitude, arrivata dopo un lungo periodo di silenzio, potrebbe far presagire un ritorno della band con materiale inedito. La perdita di Shahin, che nel 2010 scelse di dedicarsi esclusivamente ai suoi Mournful Gust, non è sicuramente da poco, visto il valore del soggetto, ma al di là di tutto sono piuttosto curioso di vedere che scelte potrebbe compiere oggi Glavniy, un musicista che, a mio modesto parere, ha nelle proprie corde il potenziale per comporre quell’album di grandissimo spessore che finora ha solo sfiorato in occasione del pur ottimo album di debutto.

Tracklist:
CD1
1….By Your Hand
2.Before Leave for Ever
3.In Sorrow and Solitude
4.At Eternal Parting
5.Pray for Me
6.Into the Grave
CD2
1.Increasing the Grief Terrestrial
2.With Wailing and Lament
3.Bitterness of Loss
4….And the Life Dies Away…
5.In Loneliness of Two Souls

Line-up:
Alexander Glavniy – All Instruments
Vladislav Shahin – Vocals

Apostate – Time Of Terror

“Time Of Terror” è un album convincente nel suo intero sviluppo e tutto sommato diverso per stile ed approccio rispetto a ciò che si ascolta abitualmente dalle doom band ucraine.

Gli ucraini Apostate risulteranno probabilmente sconosciuti ai più, benché la loro nascita risalga a circa vent’anni fa. Questo perché, come spesso accade, dopo un demo ed un ep la band interruppe l’attività per tornare poi nel 2007 con una compilation contenente questi due vecchi lavori.

Il primo full length arriva quindi nel 2010 senza lasciare grosse tracce; diverso è il caso per quest’album che, al contrario, mostra una band un grado di proporre un death-doom privo di fronzoli ma indubbiamente efficace nella propria sobria linearità.
Quasi un’ora di musica che di snoda sulle coordinate delineate agli albori del genere, quindi piuttosto sbilanciata sul versante death, con dosi omeopatiche di digressioni gothic che vengono fagocitate da un suono grumoso, condotto da riff distorti e dall’efficacia inversamente proporzionale alla loro relativa pulizia.
La traccia iniziale Solar Misconception rappresenta l’ideale manifesto della band, con le sue atmosfere plumbee stemperate parzialmente da una melodia che si fa largo a stento, anche a causa di una pruduzione non proprio memorabile che, se da un lato può rivelarsi funzionale allo stile degli Apostate, dall’altra tende ad appiattire un po’ la resa sonora di tutto il lavoro.
Time Of Terror resta comunque un album convincente nel suo intero sviluppo e tutto sommato diverso per stile ed approccio rispetto a ciò che si ascolta abitualmente dalle doom band ucraine.

Tracklist:
1. Solar Misconception
2. Pale Reflection
3. Pain Served Slow
4. Memory Eclipse
5. World Undying

Line-up:
Alexander Kostko – bass
Bohdan Kozub – vocals
Nikita Holovin – drums
Vlad Filimon – guitars
Yurko Savchuk – guitars

APOSTATE – Facebook

The Whorehouse Massacre – Altar Of The Goat Skull / VI

Pur apprezzandone gli intenti, trovo questa interpretazione del genere un po’ troppo minimale e lofi per i miei gusti, ma non per questo l’operato dei The Whorehouse Massacre va sottovalutato o ancor peggio ignorato

Il lavoro che andiamo ad esaminare è la riedizione in un unico cd dei due Ep editi dai canadesi The Whorehouse Massacre nel 2013, rispettivamente intitolati Altar Of The Goat Skull e VI.

Autori di un full length in circa un decennio di attività, i nordamericani propongono uno sludge doom molto diretto, ruvido, ma anche sicuramente lontano da ogni riproposizione manieristica del genere.
Se i brani di Altar Of The Goat Skull (quelli da Indignation finoa a Sewer Dreams) sono decisamente più minimali tanto che, pur limacciosi come da copione, assumono sembianze monolitiche mostrando un’uniformità talvolta eccessiva, la parte dedicata a VI (da Big Mouth fino a Sob Story) presenta un netto rallentamento della manovra e, in aggiunta ad un sound appena più pulito, presenta il volto migliore della band, che spinge maggiormente sul versante doom con qualche lieve ma percepibile variazione sul tema.
Alla luce di questo, ciò che lascia perplessi è il fatto che, nonostante la collocazione dei brani possa far pensare il contrario, il più recente tra i due Ep è proprio Altar Of The Goat Skull, e questo, in teoria, farebbe propendere per un’evoluzione dei canadesi proprio verso quel lato claustrofobico del sound che meno mi ha convinto.
Pur apprezzandone gli intenti, trovo infatti questa interpretazione del genere un po’ troppo minimale e lo-fi per i miei gusti, ma non per questo l’operato dei The Whorehouse Massacre va sottovalutato o ancor peggio ignorato: ritengo altresì che, apportando qualche elemento di discontinuità in più, senza dover necessariamente snaturare un sound sporco il giusto, i nostri potrebbero destare ulteriore interesse rispetto a già lusinghieri riscontri ottenuti finora.

Tracklist:
1. Indignation
2. A.C.S.-4
3. A.C.S.-3
4. Buried in Darkness
5. Altar of the Goat Skull
6. The Black Coast
7. Sewer Dreams
8. Big Mouth
9. Bowels of Hell
10. End of Mankind
11. Sassy Pants (Sloth cover)
12. The Temples of Perdition
13. Sob Story

Line-up:
W.P. – Guitars, Drums, Bass, Vocals
K.H. – Bass
K.M. – Guitar, Bass

THE WHOREHOUSE MASSACRE – Facebook

Aethyr – Corpus

Gli Aethyr sorprendono e convincono con questo loro secondo album che potrebbe folgorare più di un appassionato dello sludge doom meno convenzionale.

Altro giro, altro regalo, con l’ennesimo buonissimo prodotto partorito dalla sempre più incalzante scena metal russa.

Questa volta tocca ai moscoviti Aethyr stupire con uno di quegli album difficile da collocare da un unto di svista stilistico, per quanto ascrivibile approssimativamente ad una forma di doom alquanto cangiante e, solo a tratti, sperimentale.
Nonostante ciò possa far presagire un ascolto irto di difficoltà, in realtà Corpus è un lavoro che predilige un impatto piuttosto diretto, salvo i momenti in cui la band esibisce un’anima ambient tutt’altro che banale (The Gnostic Mass).
Nihil Grail, brano già edito nell’omonimo Ep del 2011, è una sferzata blackdoom che riconducibile a grandi linee allo stile dei Secrets Of The Moon ma con un’indole più diretta e meno dark, impressione confermata e rafforzata da una Sanctus Satanicus ancora più focalizzata su armonie sufficientemente accessibili.
ATU è invece una maratona sludge appannaggio di chi è avvezzo a tale genere ed adora restare invischiato in suoni rallentati e viscosi, e Cvlt, in fondo, non è affatto da meno, sia pure se inframmezzata da parti vocali che spostano leggermente le coordinate su versanti post hardcore.
La title track dimostra quanto questi ragazzi russi possiedano anche un naturale talento per uno sviluppo melodico di indubbia qualità, sia pure restando nell’alveo ultrarallentato del doom, venato da un lavoro chitarristico riconducibile però al black più atmosferico.
Templum chiude in maniera non dissimile, con la variante di un’accelerazione furibonda nella sua parte centrale, un album sicuramente riuscito, chiaramente di ascolto non facilissimo ma neppure poi troppo ostico per chi possiede una sufficiente familiarità con i suoni proposti.
Nonostante la lunghezza, infatti, Corpus scorre senza asciare scorie negative ed anche una traccia come The Gnostic Mass, nella quale peraltro la voce campionata è quella del ben noto “Mr.Crowley”, si rivela funzionale alla resa complessiva del lavoro.
Gli Aethyr sorprendono e convincono con questo loro secondo album che potrebbe folgorare più di un appassionato dello sludge doom meno convenzionale.

Tracklist:
1. Nihil Grail
2. Sanctus Satanicus
3. ATU
4. Cvlt
5. The Gnostic Mass
6. Corpus
7. Templum

Line-up:
Mr.D (Denis Dubovik)- Vocals, Lead Guitar
Mr.W (Vladimir Snegotsky)- Rhythm Guitar
Mr.S (Anton Sidorov) – Drums
Mr.Y (George Meshkov) – Bass

AETHYR – Facebook

Shallow Rivers – The Leaden Ghost

Tirando le somme, la sensazione è che gli Shallow Rivers abbiano sentito la necessità di inasprire ulteriormente il proprio sound, rendendolo sicuramente più cupo ma facendogli perdere parzialmente quell’afflato melodico che aveva reso il lavoro precedente qualcosa di molto vicino ad un capolavoro.

“Nihil Euphoria” era stato uno degli album migliori del 2013, almeno secondo il mio particolare metro di giudizio, pertanto mi sono approcciato al nuovo lavoro di russi Shallow Rivers con aspettative piuttosto elevate.

Il duo formato dal chitarrista Yury Ryzhov e dal vocalist Vladimir Andreev non delude affatto in tal senso, anche se The Leaden Ghost è un lavoro sicuramente diverso per umore e stile rispetto al predecessore.
Già il brano d’apertura, Of Silent Winds that Whistle Death, dopo un’introduzione pacata, scarica sull’ascoltatore qualche minuto di death sulla scia dei brani più diretti dei Novembers Doom e solo parzialmente si apre ai ricami chitarristici ai quali il buon Yury ci aveva abituati.
Si arriva alla seconda traccia, Light upon us, Haze around us,  e cambia lo scenario, che diventa quello del funeral death doom onirico degli Ea, con la tastiera ben presente nel tessere le trame di un brano splendido, per quanto anch’esso sicuramente anomalo rispetto a quanto esibito nel disco d’esordio.
Scorched, Wrecked, Torn, then Crumbled to the Sea ritorna alle coordinate del brano d’apertura, salvo un break chitarristico centrale decisamente più evocativo, mentre We Are Cold è una traccia breve dai connotati relativamente catchy, sempre tenendo conto del genere musicale offerto: qui Rhyzov lascia finalmente sfogare la propria vena melodica che trova un costante ed efficace contraltare nel growl urticante di Andreev.
Snow amplifica ulteriormente le aperture della canzone precedente, rivelandosi senza dubbio il punto più alto della raccolta grazie al perfetto dosaggio degli ingredienti, con le atmosfere gothic volte a smorzare quel muro di incomunicabilità che, in alcune circostanze, i nostri parevano aver definitivamente eretto.
La conclusiva title track costituisce appunto l’emblema del lavoro, con la sua alternanza tra parti connotate da una grande asprezza e fugaci rallentamenti atmosferici: a partire dal quinto minuto il brano si schiude definitivamente riversandoci addosso tutta la drammaticità e l’intensità di cui gli Shallow Rivers sono eccellenti interpreti.
Tirando le somme, la sensazione è che gli Shallow Rivers abbiano sentito la necessità di inasprire ulteriormente il proprio sound, rendendolo sicuramente più cupo ma facendogli perdere parzialmente quell’afflato melodico che aveva reso il lavoro precedente qualcosa di molto vicino ad un capolavoro.
La bellezza degli ultimi due brani fa capire ampiamente di cosa sia capace questa ottima coppia di musicisti e, anche se The Leaden Ghost non è riuscito ad entusiasmarmi come fece a suo tempo “Nihil Euphoria”, si va a collocare in un contesto qualitativo pur sempre molto elevato.

Tracklist:
1. Of Silent Winds that Whistle Death
2. Light upon us, Haze around us
3. Scorched, Wrecked, Torn, then Crumbled to the Sea
4. We are Cold
5. Snow
6. The Leaden Ghost

Line-up:
Yury “Dusted Wind” Ryzhov – Guitars
Vladimir Andreev – Vocals

SHALLOW RIVERS – Facebook

Evadne – Dethroned Of Light

Mezz’ora di musica di ottima fattura che, per assurdo, non placa ma rende ancor più impellente il desiderio di ascoltare un nuovo full length da parte degli Evadne.

Dopo un album splendido come “The Shortest Way” non si vedeva davvero l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da parte degli Evadne: con questo Ep intitolato Dethroned Of Light, la band valenciana esaudisce solo in parte questo desiderio.

Infatti, tra le quattro tracce proposte, l’unica inedita è quella d’apertura, Colossal, e mai come in questa caso il titolo appare calzante: atmosfere drammatiche e melodie struggenti ci riportano al death-doom nelle sue espressioni più alte, andando a scomodare i Swallow The Sun più ispirati (quelli di “The Morning Never Came”, per interderci).
Dopo questo brano, che dimostra l’ottimo stato di salute dei nostri dal punto di visto compositivo, il resto del lavoro viene dedicato alla rielaborazione di brani già editi, uno per ciascuna delle precedenti uscite: The Wanderer era la malinconica traccia strumentale presente in “The Shortest Way”, la novità risiede nel fatto certo non marginale che qui vengono aggiunte le vocals, andando a completare nella maniera migliore un brano al quale mancava appunto il growl di Albert Conejero per assurgere allo stato di ennesima perla scaturita dalle mani degli Evadne.
Awaiting riprende i toni più gothicheggianti di “The 13th Condition”, ma è indubbio che questa versione appaia molto più adeguata al sound attuale della band iberica che qui, tra l’altro, si avvale del contributo vocale di Natalie Koskinen, voce femminile dei seminali Shape Of Despair, dei quali attendiamo sempre speranzosi un seguito ad “Illusion’s Play” pubblicato nel lontano 2004; risale allo stesso anno la prima uscita degli Evadne, con il demo “In the Bitterness of Our Souls”, dal quale viene tratta la traccia di chiusura dell’Ep, Bleak Rememberance, resa in maniera tale da non mostrare alcuna ruga essendo del tutto all’altezza, in questa sua nuova veste, della produzione più recente.
Mezz’ora di musica di ottima fattura che, per assurdo, non placa ma rende ancor più impellente il desiderio di ascoltare un nuovo full length da parte della band che oggi, assieme agli Helevorn, rappresenta nel migliore dei modi un movimento doom spagnolo che sta crescendo in maniera esponenziale.

Tracklist:
1. Colossal
2. The Wanderer
3. Awaiting
4. Bleak Remembrance

Line-up:
Albert Conejero – Vocals
Josan Martin – Guitars
Jose Quilis – Bass
Joan Esmel – Drums
Marc Chulia – Guitars

EVADNE – Facebook

In Lacrimaes Et Dolor / The Blessed Hellbrigade / Aphonic Threnody / Y’ha-nthlei – Of Poison and Grief (Four Litanies for the Deceased)

Nel complesso un’altra uscita di valore per la GS Productions, tutt’altro che superflua in quanto consente di verificare i progressi di realtà emergenti quali gli In Lacrimaes Et Dolor, The Blessed Hellbrigade e Y’ha-nthlei, confermando nel contempo lo stato di grazia degli Aphonic Threnody.

Altra uscita da parte dell’etichetta russa GS Productions, evidentemente specializzata in split album, questa volta con un lavoro che vede all’opera quattro diverse band, tre delle quali italiane più gli inglesi Aphonic Threnody, anch’essi dotati comunque di una cospicua componente tricolore.

A poche settimane di distanza da “In Memoriam” ritroviamo gli i In Lacrimaes Et Dolor i quali, ancora una volta, convincono con un funeral death doom che, rispetto alla precedente uscita, ritorna a calcare sentieri più classici, andando a lambire più volte con Of Poison and Deceit umori e suoni degli Skepticism. L’uso dell’organo agevola indubbiamente questo accostamento, e del resto l’ottimo growl di Francesco Torresi non è da meno rispetto a quello di Matti Tilaeus. Ancora un’ottima prova quindi per il musicista di Macerata Dany Noctis, in attesa di un nuovo full length che, viste le basi poste in questi ultimi anni, potrebbe rappresentare una folgorazione per molti.
Il secondo brano vede all’opera i novaresi The Blessed Hellbrigade i quali, rispetto ai più giovani colleghi marchigiani, propongono un doom dai tratti più epici che funerei, spesso sporcato da ritmiche di matrice black; la cosa non sorprende visto che i due musicisti impegnati, M. e Mayhem, sono due vecchie conoscenze della scena black del norditalia. Il brano, Maudit et Superieur, è decisamente intrigante, mostrando per di più una certa discontinuità rispetto a quanto proposto dalle altre tre band.
Gli Aphonic Threnody sono la band più conosciuta del lotto, oltre ad essere l’unica sulla carta non italiana, nonostante il vocalist Roberto ed il batterista Marco siano due musicisti sardi ben conosciuti per essere i motori di band come Urna ed Arcana Coelestia ed il nuovo chitarrista Zack provenga anch’egli dalla nostra penisola. Il gruppo guidato dal londinese Riccardo (chitarra e basso) e che presenta alle il neo-entrato Juan, tastierista cileno ex Mar De Grises, dopo altri due split, un Ep ed un magnifico album come “When Death Comes”, continua a proporre ottima musica con questo brano, Bury Them Deep, che esplora un versante meno funeral e più evocativo rispetto a quanto esibito di recente.
Chiude il lavoro il brano offerto da un altro duo, quello formato dai Y’ha-nthlei dei musicisti lombardi Sadomaster ed Omrachk, i quali, con The Tomb’s Penumbra offrono una traccia all’insegna di un funeral più ostico e scarno rispetto al resto della compagnia. Il sound lascia poco spazio ad aperture melodiche privilegiando un andamento dall’impatto decisamente più disturbante per quanto ugualmente efficace.
Nel complesso un’altra uscita di valore per la GS Productions, tutt’altro che superflua in quanto consente di verificare i progressi di realtà emergenti quali gli In Lacrimaes Et Dolor, The Blessed Hellbrigade e Y’ha-nthlei, confermando nel contempo lo stato di grazia degli Aphonic Threnody.

Tracklist:
1. In Lacrimaes Et Dolor – Of Poison and Deceit
2. The Blessed Hellbrigade – Maudit et Superieur
3. Aphonic Threnody – Bury Them Deep
4. Y’ha-nthlei – The Tomb’s Penumbra

Line-up:
In Lacrimaes Et Dolor
Francesco Torresi – Vocals
Dany Noctis – Keyboards
Mauro Ulag – Bass
Francesco Castricini – Guitars
Alina Lilith – Songwriting

The Blessed Hellbrigade
Mayhem – Drums
M. – Vocals, Guitars, Bass

Aphonic Threnody
Juan – Keyboards, Piano
Zack – Guitars
Marco – Drums
Roberto – Vocals
Riccardo – Guitars, Bass

Y’ha-nthlei
Sadomaster Guitars, Bass
Omrachk Vocals, Guitars, Drum programming, Effects

Woccon – Solace In Decay

Il death doom degli Woccon appare piuttosto peculiare nel suo incedere, proprio per i suoi tempi mai eccessivamente rallentati ed un mood molto meno cupo rispetto alla media.

Al terzo anno di attività arrivano al debutto sui lunga distanza gli statunitensi Woccon, che si erano già messi in luce nel 2012 con l’ottimo Ep “The Wither Fields”, un lavoro che all’epoca mi venne segnalato dallo stesso vocalist e chitarrista Tim Rowland, consentendomi di scoprire una nuova, stimolante realtà, nei confronti della quale non era necessario possedere particolari doti divinatorie per predirne un roseo futuro.

Proprio le basi poste con quell’uscita costituiscono il solido appoggio sul quale gli Woccon creano il loro death-doom invero non del tutto convenzionale, a causa delle frequenti sfumature post rock che talvolta arrivano ad addolcire un sound che, sicuramente, prende come punto di riferimento principale i magnifici connazionali Daylight Dies, senza che ciò vada a discapito della personalità, tutt’altro.
Lo stile della band della Georgia, infatti, appare piuttosto peculiare nel suo incedere, proprio per i suoi tempi mai eccessivamente rallentati ed un mood molto meno cupo rispetto alla media, privilegiando talvolta un aspetto melodico più sognante che malinconico (ed ecco l’aggancio con il post rock di cui si parlava poc’anzi).

L’ottima interpretazione vocale di un Tim Rowland che, per fortuna, non cede alla tentazione di stemperare con passaggi “clean” il suo notevole growl, non sorprende alla luce di quanto di buono aveva mostrato già in occasione dell’Ep, e conferisce al sound quella stabilità che porta gli Woccon ad offrire quasi un’ora di musica avvincente, davvero priva di cali e con alcuni picchi emotivi realmente entusiasmanti quali le splendide Impermanence e Behind The Clouds, senza dimenticare le pennellate più tenui di una traccia come la strumentale Valadiliene, veri colpi di classe che fin da ora collocano la band di Athens su livelli prossimi ai maestri del genere.

Tracklist:
1. Intro
2. Giving up the Ghost
3. Atrophy
4. This Frozen Soil
5. And the World Wept
6. Impermanence
7. Valadilene
8. An Enduring Remorse
9. Behind the Clouds
10. Wherever I May Be
11. Wandering

Line-up:
Tim Rowland – Vocals, Guitars
Tiler Kuykendall – Guitars
Sam Dunn – Bass
Chris Wilder – Guitars
Kellen Harris – Drums

WOCCON – Facebook

Frowning – Funeral Impressions

“Funeral Impressions” si dimostra una prova di grande spessore qualitativo nel corso della quale viene esibita un’ora abbondante di suoni dolenti ma arricchiti da una connotazione melodica sempre in bella evidenza.

Dopo il riuscito split con gli Aphonic Threnody ritroviamo i Frowning, ovvero il progetto solista del musicista tedesco Val Atra Niteris, alle prese con la prima prova su lunga distanza.

Dopo aver ottenuto un deal prestigioso con quella che è ormai la casa madre del doom europeo, la label russa Solitude Productions, ed aver testato il responso degli appassionati con l’uscita in coabitazione con la band inglese autrice del recente “When Death Comes”, c’erano tutte le condizioni favorevoli perché questa opera prima potesse rivelarsi un nuovo importante tassello in ambito funeral.
Ebbene, si può affermare con certezza che le premesse sono state abbondantemente mantenute, visto che Funeral Impressions si dimostra una prova di grande spessore qualitativo nel corso della quale Val sciorina un’ora abbondante di suoni dolenti ma arricchiti da una connotazione melodica sempre in bella evidenza.
Se la traccia strumentale Day In Black é un episodio meraviglioso quanto parzialmente atipico, nel corso del quale il musicista tedesco esibisce le proprie pregevoli doti di chitarrista, il resto del lavoro si snoda sui ritmi rallentati allo spasimo che il genere impone, raccogliendo svariate influenze, quali soprattutto Mournful Congregation ed Evoken tra quelle dichiarate, oltre ad Ea e Eye Of Solitude per quanto concerne la ricerca della melodia all’interno di partiture gonfie di una malinconica oppressione.
Emblematico in tal senso un brano come Sleep Eternally, che brilla per una parte centrale realmente da brividi, con una chitarra che esprime un dolore quasi lancinante nel suo splendido sviluppo melodico.
E, in effetti, il lavoro prende ulteriormente quota da questo brano fino alla sua conclusione, con le più lunghe ed altrettanto valide Murdered by Grief e A Way into Relief, evidenziando una piacevole progressione che consente al’ascoltatore di mantenere sempre viva l’attenzione.
Frowning si conferma così un altro nome certo sul quale contare negli anni a venire: alla creatura di Val Atra Niteris non manca proprio nessuna delle peculiarità che rendono il funeral doom una delle più efficaci rappresentazioni artistiche del dolore e dell’angoscia destinate ad attanagliare, prima o poi, ogni essere umano.

Tracklist:
1. Intro
2. Obsessed
3. Receive my Tears
4. Day in Black
5. Sleep Eternally
6. Murdered by Grief
7. A Way into Relief

Line-up:
Val Atra Niteris Everything

FROWNING – Facebook

Jupiterian – Archaic

I brasiliani Jupiterian fanno il loro esordio con questo ep all’insegna di un death doom dai connotati piuttosto tradizionali.

I brasiliani Jupiterian fanno il loro esordio con questo ep all’insegna di un death doom dai connotati piuttosto tradizionali.

Se il Brasile ha dato alla luce band formidabili in ambito power (Angra) o death/thrash (Sepultura), lo stesso non si può dire per il doom, dove le uniche realtà di una certa rilevanza, resesi protagoniste comunque di buone uscite in tempi recenti, sono i Mythological Cold Towers e gli HellLight, nomi comunque di non primissima fila; se vogliamo, il sound dei Jupiterian si rifà maggiormente ai lavori più datati dei primi pur senza toccarne le vette a livello di epicità.
Soprattutto nei primi due brani, Archaic fa emergere una band piuttosto consistente, in grado di trasformare un approccio relativamente grezzo in qualcosa di davvero efficace: un buon growl, riff pastosi e dilatati e una discreta vena evocativa rendono la title-track e Procession Towards the Monolith tracce senz’altro valide, a testimonianza di un potenziale da non sottovalutare.
Meno efficace, in quanto appesantita da soluzioni ripetitive, appare invece la conclusiva Currents of Io, che pure mostra alcuni sprazzi pregevoli, ma con l’aggravante di diluirli in oltre dieci minuti di durata, nel corso dei quail i Jupiterian propongono tutti gli stilemi del genere.
Decisamente valida quindi la prima metà del lavoro, al contrario della seconda che invece evidenzia qualche limite della band paulista.
Per sapere quale dei due volti sia effettivamente quello più rappresentativo dei Juptiterian non resta che attenderli alla prova del full-length, collocandoli per ora nel novero delle band da tenere sotto osservazione.

Tracklist:
1. Archaic
2. Procession Towards the Monolith
3. Currents of Io

Line-up:
R – Bass
G – Drums
A – Guitars
V – Vocals, Guitars

JUPITERIAN – Facebook

Abysmal Growls of Despair / In Lacrimaes Et Dolor / Until My Funerals Began – In Memoriam

Molto interessante questo split album, che vede all’opera tre diverse realtà dedite al funeral doom, unitesi con l’intento di dedicare la loro musica alle vittime del conflitto che sta lacerando da mesi l’Ucraina.

Molto interessante questo split album, che vede all’opera tre diverse realtà dedite al funeral doom, unitesi con l’intento di dedicare la loro musica alle vittime del conflitto che sta lacerando da mesi l’Ucraina.

Abysmal Growls Of Despair, In Lacrimaes Et Dolor e Until My Funerals Began sono tre progetti solisti rispettivamente provenienti da Francia, Italia e Ucraina e l’opera di assemblaggio è avvenuta grazie all’operato dell’attiva label russa GS Productions, che abbiamo imparato a conoscere grazie ad altri split album con protagonisti di livello quali, tra gli altri Aphonic Threnody, Ennui e Frowning.
La peculiarità di questo lavoro è, intanto, quella di mostrare tre maniere differenti di approcciarsi alla materia, anche se, ovviamente. per saper cogliere tali sfumature è necessario avere una certa dimestichezza con il genere.
L’apertura è affidata alle due tracce degli Abysmal Growls Of Despair, progetto dell’iperattivo musicista di Tolosa, Hangvart: ben quattro, infatti, sono gli album pubblicati negli ultimi due anni, tre dei quali solo nel 2014.
Rispetto ai compagni di split, il transalpino è quello che propone una versione decisamente meno accessibile del funeral, nonostante il primo dei due brani a sua disposizione, Nimis Sero, sia in effetti la pregevole rilettura di un tema arcinoto come quello della marcia funebre di Chopin: le atmosfere restano quasi sempre opprimenti, complici un growl che è soprattutto un rantolo e una scrittura pressoché priva di particolari aperture, benché in Quiet Moments faccia capolino una minima parvenza di melodia che attenua solo parzialmente il senso di soffocamento, sintomo di un dolore che implode letteralmente piuttosto che trovare uno sbocco verso l’esterno.
Superata questa fase di non facile decrittazione, le due tracce affidate agli In Lacrimaes Et Dolor di Dany Noctis, musicista residente a Macerata ma originario dell’est europeo, spostano gli scenari su terreni parzialmente più accessibili.
Dolor Aeternum e On Death’s Row sono le nuove testimonianze di un talento musicale al quale non manca davvero nulla per raggiungere i vertici qualitativi del genere: il suo funeral è decisamente melodico e atmosferico ma rifugge ogni banalità, arricchito com’è da una sensibilità artistica e personale che va a riversarsi in toto nelle composizioni. Se Dolor Aeternum è un bel brano, con l’uso delle clean vocals che ricorda parzialmente i Pantheist più recenti, On Death’s Row è una traccia magnifica che sfoggia una linea portante dal grande potenziale evocativo.
Ritroveremo tra breve gli In Lacrimaes et Dolor alle prese con un altro split, questa volta a quattro, con la presenza tra gli altri degli Aphonic Threnody, il cui cantante Roberto Mura (anche Arcana Coelestia e Urna) ha curato assieme a Dany stesso la parte grafica di In Memoriam, non facendo nulla per nascondere gli orrori della guerra e la stupida caducità del genere umano, anche attraverso immagini piuttosto crude.
Il compito di chiudere l’album è affidato agli Until My Funerals Began di Rumit, che è proprio di Donetsk, ovvero la città all’interno dei confini ucraini che più di altre è stata funestata da morti di civili derivanti dal conflitto. Luctus è un brano già edito, per l’esattezza nell’Ep “May 2, 2014”, ed è costituito principalmente da una musica carica di tensione emotiva che funge da accompagnamento a voci campionate connesse alla guerra in atto, mentre Burn My Flesh è un’altra traccia dall’elevato tasso di drammaticità che conferma quanto di buono era già emerso dal precedente full-length “False Horizon”.
E’ indubbio il fatto che Rumit, toccato molto da vicino dagli eventi che vengono trattati in questo lavoro, sia riuscito ad imprimere nelle proprie composizioni quel qualcosa in più in grado di far risaltare in maniera quasi fisica rabbia, dolore e disperazione.
Uno split album decisamente riuscito, quindi: per qualcuno magari potrebbe costituire lo spunto per informarsi meglio riguardo ad avvenimenti che superficialmente si tendono a sottovalutare in quanto lontani geograficamente ma che, in realtà, sono molto più vicini a noi di quanto vogliamo ammettere.
L’album può essere acquistato presso la GS Productions oppure contattando direttamente le band.

Tracklist:
1.Abysmal Growls Of Despair – Nimis Sero
2.Abysmal Growls Of Despair – Quiet Moments
3.In Lacrimaes Et Dolor – Dolor Aeternum
4.In Lacrimaes Et Dolor – On Death’s Row
5.Until My Funerals Began – Burn My Flesh
6.Until My Funerals Began – Luctus

GS PRODUCTIONS
ABYSMAL GROWLS OF DESPAIR – Facebook
IN LACRIMAES ET DOLOR – Facebook
UNTIL MY FUNERALS BEGAN – Facebook