Accept – The Rise Of Chaos

Gli Accept di oggi sono un gruppo di cui potersi fidare ciecamente, uno dei pochi dalla carriera ultra trentennale del quale vale la pena ascoltare ancora un album di inediti.

Se esiste una band che, senza essere mai arrivata al successo stellare di Iron Maiden o Metallica, incarna perfettamente la storia e lo sviluppo delle sonorità heavy, questa si chiama Accept, il gruppo che con gli Scorpions ha regnato per anni sulla scena hard & heavy tedesca ed oggi sempre capace di raggiungere ottimi livelli senza lasciare quel fastidioso odore di stantio che aleggia tra le note degli album di molti dei loro amici/rivali sopravvissuti alla storia del metal mondiale.

Tanti cambi di line up che, invece di minarne la stabilità, hanno rinfrescato il songwriting del gruppo, ed una discografia che parte addirittura dagli anni settanta con pochissime cadute di tono ed un bel numero di album divenuti dei classici.
Udo ormai fa parte del passato, così come gli altri musicisti che hanno contribuito a fare del suono Accept un marchio riconoscibile e personale: il presente si chiama Mark Tornillo, dietro al microfono da ormai quattro lavori ed affiancato da Wolf Hoffmann e Uwe Lulis alle chitarre, Peter Baltes al basso e Christopher Williams alla batteria.
Se la band dal vivo fa fuoco e fiamme, in studio estrae dal cilindro un album perfetto di heavy metal classico alla Accept, che tradotto vuol dire anthem a ripetizione fatti di chorus esaltanti (l’opener Die By The Sword risulta in questo caso un inizio straripante), riff granitici e solos in un crescendo sonoro diretto e senza orpelli di sorta, roba da duri insomma.
E dura è la musica di The Rise Of Chaos, una serie di pugni al volto, una tempesta di destro/sinistro che vi smorzeranno il fiato, mentre Tornillo il suo lo sa fare alla perfezione, come un vero animale metallico, incisivo, cartavetrato e dal carisma dei grandi.
The Rise Of Chaos, il riff di Koolaid dai rimandi neanche troppo velati ai fratelli Young, Carry The Weight e What’s Done Is Done regalano ottime atmosfere metalliche, confermate in blocco da una tracklist di tutto rispetto.
Gli Accept di oggi sono un gruppo di cui potersi fidare ciecamente, uno dei pochi dalla carriera ultra trentennale del quale vale la pena ascoltare ancora un album di inediti.

Tracklist
1. Die By The Sword
2. Hole In The Head
3. The Rise Of Chaos
4. Koolaid
5. No Regrets
6. Analog Man
7. What’s Done Is Done
8. Worlds Colliding
9. Carry The Weight
10. Race To Extinction

Line-up
Mark Tornillo – Vocals
Wolf Hoffmann – Guitars
Uwe Lulis – Guitars
Peter Baltes – Bass
Christopher Williams – Drums

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ACCEPT – Facebook

Svartstorm – Illusion Of Choice

È la sua spontaneità a rendere Illusion Of Choice meritevole di attenzione, benché il genere offerto sia stato già sviscerato ampiamente da molti in passato: bravi gli Svartstorm, quindi, nel perseguire con convinzione e gradualità un risultato positivo tutt’altro scontato.

Sempre dalla prolifica Russia arriva questo full length d’esordio degli Svartsorm, band di Saratov attiva dall’inizio del decennio, dedita ad un gothic/power metal molto dinamico e ben equilibrato nel suo snodarsi tra sfumature epiche e malinconiche.

L’utilizzo della lingua madre può creare qualche intoppo ma proprio una certa immediatezza del sound rende la cosa un po’ meno problematica, questo anche grazie ad un’interpretazione davvero versatile del bravo Alexandr Tolgayev, a suo agio con qualsiasi gamma vocale, anche se per lo più predilige vocalizzi ruvidi tipici del power thrash.
Illusion Of Choice, tra brani di nuovo conio e qualcuno ripescato dalle uscite più recenti (Damned e Dead Town), scorre via molto fluido, tra accelerazioni e brillanti spunti melodici, un buon lavoro tastieristico che, senza perdersi in virtuosismi, punteggia adeguatamente il sound, come avviene emblematicamente nella notevole Irrelevant People, infiorettata anche da una voce femminile.
Probabilmente anche la lontananza geografica dalla scena moscovita rende il sound degli Svartsorm un po’ meno omologato a certi schemi e l’impressione è che l’album, per quanto curato, possieda una sua carica di selvaggia spontaneità che fa passare in second’ordine anche qualche momento meno scintillante di altri.
È appunto la sua spontaneità a rendere Illusion Of Choice meritevole di attenzione, benché il genere offerto sia stato già sviscerato ampiamente da molti in passato: bravi gli Svartstorm, quindi, nel perseguire con convinzione e gradualità un risultato positivo tutt’altro scontato.

Tracklist:
1.Мы Просили У Вечности Рай (We Begged The Eternity For Paradise)
2.Чёрный Цвет Лжи (Black Color Of Lies)
3.Мёртвый Город (Dead Town)
4.Проклятые (Damned)
5.Ненужные Люди (Irrelevant People)
6.Ветер Февраля (February Wind)
7.Стены Этих Домов (These Houses’ Walls)
8.Ошибки Творца (Errors Of The Creator)
9.В Вечном Забвении (In Eternal Oblivion)

Line-up:
Alexandr Tolgayev – vocals
Vladimir Bratkov – guitars
Peter Fateyev – drums
Dmitriy Udalov – bass (1, 3)
Elena Sukhodoeva – keyboards

with the participation of:
Roman Nosov – bass (2, 4-9)
Ksenia Lamash – female vocals (5)
Vitaliy Belobritzkiy (Psilocybe Larvae) – lead guitars (7)

SVARSTSTORM – Facebook

Rage – Seasons Of The Black

Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, magari non il migliore del gruppo, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

I Rage vantano una discografia immensa e per una buona metà di altissima qualità, con geniali intuizioni che hanno praticamente inventato un genere, sommate ad un approccio ed una coerenza che hanno fatto della band e del suo uomo giuda Peavy Wagner un monumento ad un certo modo di intendere il metal.

Oggi una delle band più importanti nate in Germania sotto la bandiera del power torna con un nuovo album: archiviato il periodo (splendido) in cui il funambolico Victor Smolsky elargiva prove chitarristiche dal taglio progressivamente neoclassico, dal precedente The Devils Strikes Again i Rage si avvalgono del più essenziale Marcos Rodríguez.
Con l’ausilio di Vassilios Maniatopoulos, dietro ai tamburi come nel precedente lavoro, il trio non si risparmia consegnandoci a distanza di un solo anno un buon lavoro, diretto, potente e melodico come nella tradizione dei dischi più lineari offerti in tutti questi anni.
Chiariamo subito un fatto importantissimo: il periodo orchestrale è finito da un pezzo, con i Rage a suonare power sinfonico, epico ed oscuro quando gli idolatrati sovrani del symphonic power metal di oggi erano solo dei lattanti, così come, con l’allontanamento di Smolsky, il sound ha perso quel tocco progressivo che ne aveva valorizzato l’ultimo periodo; la band è tornata così a suonare puro e diretto power metal come ai tempi di Black In Mind, da molti (compreso il sottoscritto) considerato uno dei loro lavori cardine.
Quindi Seasons Of The Black, seguendo la nuova/vecchia strada intrapresa con il precedente lavoro, risulta un pezzo di granito power metal, con i Rage a picchiare come forsennati su brani che dosano potenza metallica, melodie, accelerazioni power di livello superiore e refrain che entrano in testa dopo pochi passaggi, confermando che Peavy, pur invecchiando, non perde un grammo in talento compositivo.
Il mastodontico (in tutti i sensi) bassista e cantante continua imperterrito nella sua missione, mentre, assecondato dai nuovi compari, ci porge la mano per poi scaraventarci in mezzo alla tempesta di suoni che dalla title track ci investe senza tregua, con l’album che altrerna brani top (Blackened Karma, la devastante Walk Among The Dead) a qualche passaggio più ordinario (Septic Bite).
Con il mixaggio curato da sua maestà Dan Swanö ed una produzione perfetta per il genere senza essere troppo patinata, Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

Tracklist
1. Season Of The Black
2. Serpents In Disguise
3. Blackened Karma
4. Time Will Tell
5. Septic Bite
6. Walk Among The Dead
7. All We Know Is Not
8. Gaia 1:02 9. Justify
10. Bloodshed In Paradise
11. Farewell

Line-up
Peter Peavy Wagner – Vocals, Bass
Marcos Rodriguez – Guitars, Vocals
Vassilios Lucky Maniatopoulos – Drums, Vocals

RAGE – Facebook

Infinitas – Civitas Interitus

Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Interessante progetto in arrivo dai monti della vicina Svizzera quello degli Infinitas, i quali danno alle stampe il loro primo full length.

La band, dalle forti connotazioni medievali, prende spunto da gruppi storici come gli Skyclad e debutta con Civitas Interitus, album dal sound che amalgama thrash, folk, reminiscenze power e qualche accenno estremom, dando vita ad un incalzante e a tratti epica storia fuori dal tempo.
Si potrebbe sintetizzare (come fa il gruppo stesso) in melodic thrash metal la musica che compone l’album, chiaramentedi matrice old school, su cui la cantante Andrea con buon impatto e interessanti soluzioni si destreggia con risultati che vanno aldilà delle aspettative.
Aggressiva e melodica, ma pur sempre d’impatto metal, la voce accompagna questi dieci brani, tra le foreste ed i castelli persi nelle Alpi in un tempo indefinito, se non per le ambientazioni epico folkloristiche che non solo accompagnano i brani più aggressivi (Alastor e Samael) ma creano atmosfere suadenti e pregne di sfumature tradizionali in tracce come la bellissima Amon, perla folk/thrash metal di questo lavoro.
Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Tracklist
1.The Die Is Cast
2.Alastor
3.Samael
4.Labartu
5.Aku Aku
6.Skylla
7.Rudra
8.Morrigan
9.Amon
10.A New Hope

Line-up
Andrea Böll – Vocals, Percussion
Laura Kalchofner – e-Recorder, Background Vocals
Pauli Betschart – Bass, Background Vocals
Pirmin Betschart – Drums, Vocals, Percussion, Clarinette
Selv Martone – Guitar, Virtual Instruments

INFINITAS – Facebook

FS Projekt – Kredo Tvoyo

FS Projekt è l’espressione di un buon talento musicale che sicuramente merita un’esposizione adeguata al suo valore, poi come sempre sarà il pubblico a decretarne le fortune.

Anche se a noi italiani un simile monicker potrebbe far pensare ad una band dopolavoristica messa in piedi da un gruppo di ferrovieri, FS Projekt è in realtà frutto del talento musicale del moscovita Sergei Fomin (conosciuto anche come Efes o, appunto, FS).

Il musicista ci ha contattato per sottoporci tutto il materiale composto fin dal 2013, anno di partenza del progetto, che consta di due EP e quattro singoli, ultimo dei quali Kredo Tvoyo, risalente ai primi giorni del 2017.
Quindi utilizziamo il pretesto di parlare di quest’ultima uscita per scoprire anche la musica prodotta in precedenza, per un fatturato totale di una decina di brani a base di un solido e melodico power metal cantato in lingua madre dal bravo vocalist Oleg Mishin.
Efes, nella realizzazione delle canzoni si è fatto aiutare da un manipolo di colleghi dal buon pedigree e dalle sicure doti tecniche, il che rende davvero interessante questo excursus nella ancor breve storia degli FS Projekt, che prende il via con l’ep di tre brani Rozhdeniye Maga, in grado di fotografare in maniera piuttosto nitida la buona caratura di un heavy power dalle tematiche fantasy e ricco di spunti melodici di un certo pregio.
Il percorso prosegue con i due singoli Za Khladny Gory e Elfiyskiy Marsh, traccia ricca di cristallini spunti acustici e contraddistinta da un chorus decisamente arioso.
Con il secondo ep Garpiya il sound sembra irrobustirsi, avvicinandosi ancor più a livello di sonorità e certo power di matrice tedesca, senza però smarrire quella discreta peculiarità accentuata dalle liriche in russo, le quali rivestono il tipico ruolo di arma a doppio taglio, visto che a livello di scorrevolezza non ci può essere paragone con il più classico idioma anglofono.
E si arriva infine, agli ultimi due singoli: Iskusstvo Voiny, uscito circa un anno fa, dove per la prima volta fanno la loro apparizione vocalizzi in stile harsh, ed il già citato e più recente Kredo Tvoyo, intriso in maniera decisa di umori folk che, a mio avviso, si rivelano un vero e proprio valore aggiunto, indicando in qualche modo un’ideale strada da seguire con maggiore continuità in futuro.
Evidentemente il bravo Efes, giunto a questo punto, ha ritenuto fosse il caso di provare a farsi conoscere anche al di fuori dai patri confini, cercando magari di cogliere qualche opportunità che si dovesse concretizzare a livello di contratto discografico o di supporto promozionale.
FS Projekt è comunque l’espressione di un buon talento musicale che sicuramente merita un’esposizione adeguata al suo valore, poi come sempre sarà il pubblico a decretarne le fortune.

01 Rozhdeniye Maga – Rozhdeniye Maga
02 Rozhdeniye Maga – Lyod
03 Rozhdeniye Maga – Fingolfin
04 Za Khladny Gory
05 Elfiyskiy Marsh
06 Garpiya – Garpiya
07 Garpiya – Six Strings
08 Garpiya – Crimson Sail
09 Iskusstvo Voiny
10 Kredo Tvoyo

Line up:
Efes – music, lyrics, arrangements, guitars, bass, castanets, vocals, production, keyboard sound design

FS PROJEKT – Facebook

Dark Avenger – The Beloved Bones : Hell

Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.

Ne è passata acqua sotto i ponti da quando, nel lontano 1995 i brasiliani Dark Avenger debuttavano con il primo, omonimo album.

Dopo sei anni, precisamente nel 2001, Tales Of Avalon: The Terror consegnò il gruppo di Brasilia all’immortalità grazie ad una prova non solo clamorosa a livello tecnico, ma soprattutto benedetta da un songwriting superlativo.
Sedici anni sono una vita musicalmente parlando e i Dark Avenger, dopo averci provato con la seconda parte del concept che li ha resi famosi tra gli amanti dei suoni heavy/power (Tales Of Avalon: The Lament) nel 2013, tornano con una nuova storia ed un bellissimo e quanto mai devastante lavoro, The Beloved Bones : Hell.
E, in effetti, la band scatena un autentico inferno di suoni metallici, con una serie di brani che si candidano come uno dei più riusciti esempi del genere in questo 2017.
Il full length è stato registrato, mixato e prodotto dal chitarrista Glauber Oliveira e masterizzato da Tony Lindgren presso i Fascination Studios, un’ulteriore garanzia di qualità, e licenziato dalla Rockshot Records .
Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.
Siamo tornati ai livelli che la band raggiunse all’alba del nuovo millennio, con un Mário Linhares letteralmente indemoniato dietro al microfono ed i suoi compari che sembrano suonare tra le fiamme di qualche girone infernale, diabolici ed assolutamente imprevedibili nelle intricate trame di brani spettacolari.
Il metal classico nella sua forma più dura, aggressiva, ma allo stesso tempo raffinata ed elegante con brani che formano una mastodontica opera che si avvicina pericolosamente alla perfezione, questo è The Beloved Bones: Hell.
Inutile, come sempre in questi casi, un track by track che nulla aggiunge a quanto scritto (Smile Back To Me, King For A Moment, Parasite e Purple Letter sono tracce che nel genere trovano pochi confronti): i Dark Avenger sono tornati con l’album della vita, quello che conferma dopo così tanti anni tutto tutto il bene detto dagli addetti ai lavori ai tempi dell’uscita del secondo bellissimo lavoro.

Tracklist
1.The Beloved Bones
2.Smile Back to Me
3.King for a Moment
4.This Loathsome Carcass
5.Parasite
6.Breaking Up, Again
7.Empowerment
8.Nihil Mind
9.Purple Letter
10.Sola Mors Liberat
11.When Shadow Falls

Line-up
Gustavo Magalhães – Bass
Hugo Santiago – Guitars
Mário Linhares – Vocals
Anderson Soares – Drums
Glauber Oliveira – Guitars

DARK AVENGER – Facebook

Edguy – Monuments

In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica dedli Edguy.

Ladies & gentlemen, prendete posto sulla vostra poltroncina riservata per lo spettacolo che tra poco andrà ad incominciare.

Chiudete gli occhi e fatevi trasportare dai primi cinque inediti scritti per l’occasione, che nulla aggiungono e nulla tolgono alla storia musicale di uno dei gruppi più influenti degli ultimi vent’anni di power/heavy metal, capitanato da un talento che ha dell’inumano visto le opere, non solo del gruppo in questione, ma pure del suo alter ego Avantasia, con il quale ha scritto alcune delle metal opera più belle nella lunga storia del metal classico.
Gli Edguy … chi l’avrebbe mai detto, venticinque anni dopo l’inizio dell’attività e quasi venti dal capolavoro Vain Glory Opera, album che irrompeva sul mercato, allora in pieno periodo di vacche grasse per il genere (almeno nel vecchio continente), dopo i buoni esordi con Savage Poetry e soprattutto Kingdom Of Madness: eppure eccoci a celebrare la band guidata da un ragazzaccio dal talento spropositato, un tipo che non prendendosi mai troppo sul serio sprigiona una simpatia unica, unita ad una bravura non solo come cantante ma specialmente come compositore.
Come Tobias sia riuscito a mantenere un livello così alto con le sue due anime rimarrà un mistero, anche quando il power divenne il genere di esclusiva competenza degli Avantasia e gli Edguy virarono verso l’hard & heavy,.
La Nuclear Blast festeggia questo importante traguardo per la band di Fulda con questa imperdibile raccolta: doppio cd e dvd con la registazione di un live del periodo Hellfire Club, più tutti i video che il gruppo ha registrato fino ad oggi.
Power metal, hard & heavy, hard rock che si fa ruffiano e melodico, ma sempre di una qualità che ha lasciato a bocca aperta migliaia di appassionati, mentre con Vain Glory Opera e Out Of Control si torna con una punta di nostalgia al periodo della clamorosa esplosione del gruppo, confermata dall’uscita di Theater Of Salvation nel 1999 (Babylon) e la coppia di capolavori Mandrake ed Hellfire Club (Tears Of A Mandrake, Mysteria, King Of Fools e Lavatory Love Machine).
In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica del gruppo, consigliato non solo ai vecchi fans e collezionisti del verbo Sammet ma soprattutto ai giovanissimi, che avranno modo di fare la conoscenza del meglio che la macchina metallica Edguy abbia regalato in questi anni che sono passati, inesorabili e veloci come un lampo per tutti…

Tracklist
1. Ravenblack
2. Wrestle The Devil
3. Open Sesame
4. Landmarks
5. The Mountaineer
6. 929
7. Defenders Of The Crown
8. Save Me
9.The Piper Never Dies
10. Lavatory Love Machine
11. King Of Fools
12. Superheroes
13. Love Tyger
14. Ministry Of Saints
15. Tears Of A Mandrake
16. Mysteria
17. Vain Glory Opera
18. Rock Of Cashel
19. Judas At The Opera
20. Holy Water
21. Spooks In The Attic
22. Babylon
23. The Eternal Wayfarer
24. Out Of Control
25. Land Of The Miracle
26. Key To My Fate
27. Space Police
28. Reborn In The Waste

Line-up
Tobias Sammet – Vocals
Jens Ludwig – Guitar
Dirk Sauer – Guitar
Tobias Exxel – Bass
Felix Bohnke – Drums

EDGUY – Facebook

Burning Ground – Last Day Of Light

Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare.

Le vie del power metal sono infinite e arrivano a Cagliari, in una delle nostre due isole maggiori, portando nobile metallo oscuro e drammatico come da tradizione americana.

La band in questione, all’esordio discografico tramite la Minotauro Records, si chiama Burning Ground, è attiva dal 2002 ma solo ora arriva a fermare la propria musica su disco e, come una foto o un’immagine, lasciare finalmente qualcosa di sé a chi la segue.
E bene ha fatto la Minotauro a non lasciarsi sfuggire il quintetto sardo, all’opera su un lavoro notevole, heavy power che non disdegna passaggi al limite del thrash, atmosfere epiche ed oscure, ed un’eleganza insita nel songwriting del gruppo ed assolutamente di scuola americana.
Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare, con un singer di razza (Maurizio Meloni) ad interpretare i brani con grinta e pathos, una chitarra solista che sciorina solos forgiati nel sacro fuoco del metal (Andrea Alvito), accompagnata dalle ritmiche del buon Alberto Bandino.
Il basso di Alessio Melis pompa sangue power, le pelli bruciano sotto i colpi inferti da Angelo Melis, mentre Dark Ages è l’intro che ci dà il benvenuto in questo piccolo gioiellino di metal classico.
Non ci si muove dal territorio americano, The Killing Hand conferma la totale devozione del gruppo all’heavy power classico, le atmosfere sono da subito aggressive ed oscure, ma elegantemente impreziosite da un grande lavoro melodico della sei corde.
Darkened Desire è uno splendido brano dove le ritmiche la fanno da padrone così come la cura nei chorus, e Facing The Shame è un bombardamento metallico, così come Before I See.
Primi Savatage, Metal Church e Sanctuary, ma pure Nevermore ed Iced Earth, nella musica del gruppo passa una buona fetta del metal classico statunitense, proveniente dagli anni ottanta , ma senza dimenticare i più giovani interpreti della musica dura, ormai da anni nel cuore dei true metallers, messo a dura prova dal The Burning Ground e dalla title track.
Una gradita sorpresa, un album ed una band da non lasciarsi sfuggire, specialmente se vi nutrite di pane ed U.S. power metal.

Tracklist
1.Dark Ages
2.The Killing Hand
3.Darkened Desire
4.Facing the Shame
5.Before I See
6.The Burning Ground
7.Last Day of Light
8.Dawn of Hope

Line-up
Alessio Melis – Bass
Maurizio Meloni – Vocals
Angelo Melis – Drums
Andrea Alvito – Guitars (lead)
Alberto Bandino – R.guitars

BURNINGROUND – Facebook

Sacred Oath – Twelve Bells

Old school metal in the modern world, si legge sulle informazioni della loro pagina Facebook, frase che calza a pennello per il quartetto statunitense che viaggia a mille con una serie di brani che fanno impallidire le ultime generazioni.

Sembra facile scrivere un album fresco, potente e spettacolarmente heavy, ma non è così.

Il mercato, specialmente quello underground, è colmo di gruppi più o meno bravi che sfornano a getto continuo opere metalliche che si rivelano delle buone proposte, con almeno due o tre canzoni ottime ed un livello generale che garantisce il supporto di fans e addetti ai lavori, ma per diventare una cult band, per proporre musica di alto livello c’è bisogno di più fattori, tra cui uno stato di grazia che dà all’artista una marcia in più.
Sacred Oath è un nome che a molti dice poco, ma per chi ama il metal underground di stampo classico è sinonimo di ottima musica metallica, in arrivo dagli States, precisamente dal Connecticut; vecchi metallari (il gruppo è attivo dal 1984) che non ne vogliono sapere di mollare la presa sui nostri bassifondi e nell’anno di grazia 2017 se ne escono con Twelve Bells, ultimo e ottavo album di una carriera che ebbe uno stop tra il 1987 ed il 2005 ma che ha trovato negli ultimi anni qualità e continuità.
Licenziato in Europa dalla eOne e registrato nello studio del cantante/chitarrista Rob Thorne, l’album è un bellissimo, potente e melodico esempio di heavy/power americano, spettacolarizzato da ritmiche ed atmosfere che della classica oscurità tutta yankee si nutrono, valorizzato da un songwriting elevato che permette al gruppo di fare il bello e cattivo tempo in tutta l’ora a sua disposizione.
Old school metal in the modern world, si legge sulle informazioni della loro pagina Facebook, frase che calza a pennello per il quartetto statunitense che viaggia a mille con una serie di brani che fanno impallidire le ultime generazioni.
Canzoni con riff, ritmiche e chorus perfetti, solos che arrivano solo nel momento opportuno, ballad in crescendo che lasciano trasparire un amore neanche troppo velato per il metal del vecchio continente (Never And Forevermore), song che ricordano i primi passi dei fratelli Oliva (Bionic) e tanto power oscuro e a tratti progressivo (Well Of Souls e la conclusiva The Last Word) dove echi di Fates Warning e Queensryche, rendono raffinato il tiro metallico alla Metal Church che il gruppo a più riprese fa proprio.
In conclusione, un album perfetto, nel genere uno dei migliiori usciti nell’ultimo periodo, fidatevi e cercatelo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.New Religion
2.Twelve Bells
3.Fighter’s Heart
4.Bionic
5.Never and Forevermore
6.Demon Ize
7.Well of Souls
8.Eat the Young
9.No Man’s Land
10.The Last Word

LINE-UP
Brendan Kelleher – Bass
Kenny Evans – Drums
Bill Smith – Guitars
Rob Thorne – Vocals, Guitars

SACRED OATH – Facebook

White Skull – Will Of The Strong

Gli White Skull continuano la loro missione metallica con maestria, ed arrivati al decimo album possono sicuramente essere soddisfatti del cammino intrapreso, non perdetevi dunque un altro splendido esempio di power metal made in Italy, c’è da esserne fieri.

Sotto il simbolo del teschio bianco agisce una delle più importanti metal band italiane, magari leggermente sottovalutata per importanza rispetto ad altre, ma sicuramente tra le migliori a livello qualitativo nell’ambito della propria proposta.

I vicentini White Skull arrivano alle soglie del ventesimo anni di attività con un nuovo album di power metal, appunto alla “White Skull”, il che tradotto significa ritmiche potenti, un’attenzione maniacale per le melodie, ottime orchestrazioni e brani vincenti, epici e metallici.
Il decimo lavoro è un traguardo di tutto rispetto, specialmente in Italia, dove sono tante ed anche valide le band che mollano, magari per attendere tempi migliori, mentre il gruppo veneto ha mantenuto una costanza commovente, anche in periodi in cui il genere era praticamente ignorato dagli addetti ai lavori.
Will Of The Strong arriva dunque a festeggiare la doppia cifra, in un periodo buono per i suoni classici, quando anche nella scena tricolore veniamo travolti da reunion più o meno azzeccate e non mancano nuove leve a rimpolpare le truppe dell’esercito metallico.
Con un Alexandros Muscio in più ai tasti d’avorio (Highlord ed Opera IX), bravissimo nell’orchestrare i brani di questo Will Of The Strong lasciando la componente power ben in evidenza, ed una raccolta di brani che si mantiene su ottimi livelli per tutta la durata, gli White Skull ci regalano l’ennesimo ottimo lavoro, maturo e curato in ogni dettaglio, nel quale sette delle dodici canzoni parlano di donne che hanno avuto un peso nella storia tra cui Evita Peron, Giovanna d’Arco, l’apache Lozen, la ribelle cinese Wang Cong’er e Matilda di Canossa, ed in generale un tributo al coraggio ed al sacrificio.
Musicalmente parlando, Will Of The Strong non deluderà sicuramente i fans del gruppo e del genere: epicità, melodie, cori, fughe ritmiche, intricate parti chitarristiche ed un gran lavoro nelle orchestrazioni ci parlano di un album riuscito, intrigante, da far proprio godendo del talento di questi musicisti nostrani, garanzia di ottimo metal.
Detto di una prestazione sugli scudi della storica cantante Federica “Sister” De Boni, Will Of The Strong ha in Holy Warrior, nella doppietta composta dalla title track e Lady Of Hope, nella splendida ballata Sacrifice e nell’epica Lay Over i brani che fanno la differenza in un contesto che non mostra cadute di tono o riempitivi.
Gli White Skull continuano la loro missione metallica con maestria, ed arrivati al decimo album possono sicuramente essere soddisfatti del cammino intrapreso, non perdetevi dunque un altro splendido esempio di power metal made in Italy, c’è da esserne fieri.

TRACKLIST
1.Endless Rage
2.Holy Warrior
3.Grace O’ Malley
4.Will of the Strong
5.Lady of Hope
6.I Am Your Queen
7.Hope Has Wings
8.Metal Indian
9.Shieldmaiden
10.Sacrifice
11.Lay Over
12.Warrior Spirit

LINE UP
Alexandros Muscio – Keyboards
Alex Mantiero – Drums
Tony “Mad” Fontò – Guitars
Federica “Sister” De Boni – Vocals
Danilo “Man” Bar – Guitars
Jo Raddi – Bass

WHITE SKULL -Facebook

Perpetual Fire – Bleeding Hands

Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo.

Di questi tempi, se nel power metal cercate qualche spunto più personale rispetto al “palla lunga e pedalare” di molte realtà d’oltreconfine, la scena nostrana regala piccoli gioiellini classici, magari poco considerati dal solito fan noiosamente esterofilo, anche se negli ultimi tempi sembra che il vento piano piano stia cambiando direzione.

Andiamo prima in terra greca, perché è qui che la Sleaszy Rider Records ha la sua base, una label che sta riscuotendo sempre più consensi licenziando album uno più bello dell’altro e molti di questi cercandoli nella nostra penisola.
Torniamo da noi, in quel di Milano per presentarvi i Perpetual Fire, quintetto capitanato da Steve Volta, chitarrista bravissimo e per molti anni al servizio di Pino Scotto, ed il loro terzo album Bleeding Hands, un lavoro italiano al 100% per bravura strumentale ed eleganza nel songwriting, un talento innato per le melodie e quel tocco progressivo diventato marchio di fabbrica della scuola nazionale.
Diciamolo una volta per tutte, ormai Vision Divine, Labyrinth e Secret Sphere sono a capo di una scena che nell’hard & heavy non ha nulla da invidiare a quelle straniere, con i loro emuli a sfornare opere di spessore ed affiancando i maggiori act che fanno faville nei generi che compongono l’universo metallico.
Tutto questo ben di Dio non sarà supportato dai numeri per quanto riguarda il versante live, ma rimane indubbio che in Italia si fa da anni grande musica metal, ed ogni uscita conferma questa tendenza con buona pace dei detrattori.
Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo: Volta ha fatto tesoro delle sue esperienze e i brani escono vari, travolgenti, mai banali nelle ritmiche o nei solos, con un singer (Roby Beccalli) che adatta la sua voce alle varie atmosfere, passando da tonalità rock a quelle power per sfornare un’aggressività da leone in passaggi che si fanno estremi, con una sezione ritmica da infarto (Mark Zampetti al basso e Cisco Lombardi alle pelli) e le tastiere che ricamano tappeti di metal neoclassico o sanguigni passaggi rock blues (Tush, splendida cover degli ZZ Top).
Volta è fenomenale pur senza dare l’impressione di esagerare e rimanendo saldo nella forma canzone, con solos dinamitardi e vari, così come varie sono le sfumature di questo lavoro che non ha battute d’arresto ma almeno un trittico di brani a fare traino e differenza: Queen Of Honor, Bloody Apple e Crimson Twilight, le più progressive del lotto e vicine al sound dei gruppi citati in precedenza.
Bleeding Hands risulta così un album riuscito ed appagante per ogni fans del genere, giocando le sue carte alla pari con le ultime notevoli uscite in campo power/prog metal, non perdetevelo.

TRACKLIST
01 – Psycho Cancer
02 – Scrambled
03 – Queen Of Honor
04 – Bloody Apple
05 – Tush
06 – Look Beyond The Night
07 – When You’re Dead
08 – Crimson Twilight
09 – Let The Snow
10 – A New World Begins

LINE-UP
Roby Beccalli – Vocals
Steve Volta – Guitars
Mark Zampetti – Bass
Mauro Maffioli – Keyboards
Cisco Lombardi – Drums

PERPETUAL FIRE – Facebook

Dream Evil – Six

Tornano i Dream Evil e lo fanno con un lavoro che segue la strada dell’heavy power scandinavo, cpn suoni pieni e cristallini, una buona alternanza di ritmiche hard & heavy/power metal ed un amore sconfinato per le band che hanni visto all’opera Ronnie James Dio.

Premessa: un album come Six, sesto full length dei Dream Evil, può piacere o meno, non porterà nessuna novità nel mondo del metal classico, ma è indubbio il suo valore come album di genere, anche perchè valorizzato da suoni eccellenti.

Detto questo, presentiamo questo lavoro per il gruppo del famoso produttore Fredrick Nordstrom, qui in veste di chitarrista, ed accompagnato da quattro musicisti tecnicamente inattaccabili ed in forma smagliante.
La band svedese ha avuto il suo momento di gloria specialmente con l’arrivo del nuovo millennio e l’ entrata sul mercato con i primi due lavori (Dragonslayer ed Evilized): una popolarità che cresce e si stabilizza con The Book Of Heavy Metal, l’album più famoso, uscito nel 2004.
Il ritorno avviene con un lavoro che segue la strada dell’heavy power scandinavo, con suoni pieni e cristallini, una buona alternanza di ritmiche hard & heavy /power metal ed un amore sconfinato per le band nelle quali Ronnie James Dio ha militato nella sua leggendaria carrera (Rainbow, Black Sabbath, passando per i suoi Dio), il tutto chiaramente reso appetibile ed esaltante da suoni che esplodono letteralmente dalle casse, da chorus epico melodici, e chitarre che passano dalla pesantezza cimiteriale di Tony Iommi, ai solos melodici suonati cavalcando l’arcobaleno di Ritchie Blackmore.
Fine della storia, di lavori del genere ne avrete sentiti tanti e ne sentirete ancora (fortunatamente), rimane solo da farvi partecipi di un lotto di brani bellissimi che si mantengono su una qualità mediamente alta, con Dream Evil (il brano), Sin City e le fenomenali Hellride e Too Loud a fare di Six un album imperdibile per chiunque ami il metal di stampo classico, suonato di questi tempi anche da Astral Doors e Jorn che, con i Dream Evil, sono gli esempi più convincenti.

TRACKLIST
1. Dream Evil
2. Antidote
3. Sin City
4. Creature Of The Night
5. Hellride
6. Six Hundred And 66
7. How To Start A War
8. The Murdered Mind
9. Too Loud
10. 44 Riders
11. Broken Wings
12. We Are Forever

LINE-UP
Niklas Isfeldt – Lead vocals
Fredrik Nordström – Lead rhythm guitars
Mark U Black – Lead lead guitars
Peter Stålfors – Lead bass
Patrik Jerksten – Lead drums

DREAM EVIL – Facebook

Iced Earth – Incorruptible

Gli Iced Earth sono tornati con uno dei lavori più intensi e riusciti degli ultimi anni, un album imperdibile per chi ama il power/thrash americano.

I continui saliscendi tra le preferenze dei fans (anche per colpa di album non completamente riusciti), i cambi di line up, specialmente dietro al microfono e i problemi di salute del leader indiscusso Jon Schaffer (operato ultimamente e per la seconda volta al collo), avrebbero disintegrato la stabilità artistica di qualsiasi band, non degli incorruttibili (come suggerisce il titolo) Iced Earth, autentico patrimonio metallico per chi li ha seguiti fin dagli esordi.

Burnt Offerings, The Dark Saga, Something Wicked This Way Comes rimane un trittico di lavori che sono e rimarranno nella storia del metal classico mondiale, uno dei picchi qualitativi più alti del power/thrash americano, nel loro essere devastanti, melodici ed oscuri come vuole la tradizione a stelle e strisce, almeno quando si parla di heavy metal.
Jon Schaffer si è guadagnato in veste di songwriter, prima ancora che in quella di chitarrista, un posto tra i grandi interpreti della nostra musica preferita, anche se in tanti anni di onorata ed “incorruttibile” carriera non sono mancate le battute d’arresto, specialmente negli ultimi anni.
Destino ha voluto che da Dystopia, album del 2011, dietro al microfono si sia posizionato Stu Block, ex singer dei notevoli Into Eternity, unico ed autorevole erede di quel Matt Barlow che fece risplendere con la sua drammatica, teatrale e personalissima voce gli album storici del gruppo americano, richiamato più volte nel regno della terra ghiacciata ma non più convincente e convinto come in passato.
Incorruptible può iniziare ad essere descritto da questa verità, Block è posseduto dal demone che tanti anni fa fece fuoco e fiamme dentro al corpo di Barlow e l’opera, oscura, spettacolare, drammatica e devastante se ne giova non poco.
Jon Schaffer ne ha passate di tutti i colori, nel frattempo ha quasi finito di costruire il suo studio personale dove è stato registrato l’album e la sua musica ne ha risentito, questa volta positivamente: non siamo ai livelli dei capolavori che incendiarono gli anni novanta, ma è indubbio che la band sia tornata a suonare grande power/thrash.
E allora fatevi travolgere dalle atmosfere dannatamente oscure e teatrali di questo ancora una volta emozionante lavoro: il marchio di fabbrica stampato in evidenza su queste nuove dieci composizioni è Iced Earth in tutto e per tutto, trattandosi di una delle poche band che al giorno d’oggi possano vantarsi d’aver creato e portato avanti negli anni uno stile inconfondibile, rimanendo sempre legati ad una ifedeltà metallica che ha del commovente.
Basta menzionare la splendida The Relic (part 1), con un Block su livelli emozionali che toccano le vette del suo storico predecessore, o lo strumentale Ghost Dance (Awaken The Ancestors) e l’immancabile ed epico brano dedicato ad un fatto storico, questa volta riguardante l’Irish Brigade e la battaglia di Fredericksburg con la clamorosa Clear The Way (December 13th, 1862).
Non mi dilungherò oltre, se non per ribadire che gli Iced Earth sono tornati con uno dei loro lavori più intensi e riusciti degli ultimi anni, imperdibile per chi ama il power/thrash americano.

TRACKLIST
1. Great Heathen Army
2. Black Flag
3. Raven Wing
4. The Veil
5. Seven Headed Whore
6. The Relic (Part 1)
7. Ghost Dance (Awaken The Ancestors)
8. Brothers
9. Defiance
10. Clear The Way (December 13th, 1862)

LINE-UP
Jon Schaffer – Rhythm, lead and acoustic guitars, Keyboards/MIDI, Vocals
Stu Block – Lead Vocals
Brent Smedley – Drums
Luke Appleton – Bass Guitar, Vocals
Jake Dreyer – Lead Guitar

ICED EARTH – Facebook

Biogenesis – A Decadence Divine

Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

Dall’underground metallico statunitense arrivano ottimi lavori, magari fuori dai soliti cliché del metal made in U.S.A. più cool, ma sicuramente opere di spessore che MetalEyes puntualmente vi porta a conoscenza.

La label Roxx Records, specializzata in christian metal, licenzia il quarto lavoro dei Biogenesis, gruppo proveniente dall’Ohio, attivo da ormai vent’anni ed in cui milita il singer Chaz Bond, ex Jacobs Dream, power metal band fuori con una manciata di ottimi lavori nel primo decennio del nuovo millennio.
A Decadence Divine è un ottimo album che ingloba una serie di atmosfere e sfumature diverse tra loro, vari generi che, amalgamandosi, trovano un equilibrio quasi perfetto e creano questo oscuro e tragico monolite di metallo, progressivo ed orchestrale.
Il singer tra clean e growl dà prova di saperci fare, così come i musicisti che lo accompagnano in questa che, di fatto, è un’ avventura nel mondo del metal tra classico ed estremo.
La title track, l’oscura Inside The Beast, la veloce e Thrashy As Empire Falls, formano un inizio scoppiettante, con i tasti d’avorio che cuciono arabeschi di musica classica, le sei corde che imprimono un marchio di fabbrica progressive/thrash, con la sezione ritmica che sale in cattedra quando la velocità diventa sostenuta.
Molto teatrale, tanto che in alcuni momenti il sound ricorda la splendida musica dei Saviour Machine (Lines In The Sand), l’album risulta un monolito di spettacolare metallo oscuro e progressivo, colonna sonora di una decadenza che, fin dal titolo, il gruppo descrive divina, frutto di forze e volontà più grandi dell’uomo.
La sinfonica Tears Of God e la conclusiva Brood Of Vipers sono un paio di esempi di questo clamoroso lavoro che diventa sempre più intenso ogni minuto che passa, mentre Iced Earth, Symphony X e i tedeschi Crematory divengono più che semplici ispirazioni.
Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

TRACKLIST
1. Prelude (Nocturnal Images)
2. A Decadence Divine
3. Inside the Beast
4. Bet Your Soul
5. As Empires Fall
6. Lines in the Sand
7. The Pain You Left Behind
8. Tears of God
9. Land of Confusion
10. In the Darkness I Dwell
11. Brood of Vipers
12. Silence (CD Only Bonus Track)

LINE-UP
Sam Nealeigh – Keyboards
Majennica Nealeigh – Drums
Dan Nealeigh -Bass
Luke Nealeigh – Lead/Rhytym Guitars
James Riggs – Lead/Rhythym Guitars
Chaz Bond – Lead Vocals

BIOGENESIS – Facebook

Altair – Descending : The Devilish Comedy

Quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.

La Sleaszy Rider si conferma come una delle label europee che, a livello underground, ha alzato non poco l’asticella qualitativa delle proprie proposte comprendenti praticamente tutte le correnti musicali del mondo metallico.

Con un occhio particolare anche per la scena italiana, la label greca non sta sbagliando un colpo e, parlando di suoni classici e dai rimandi power, dopo l’ultimo bellissimo album dei Kaledon ci presenta un’altra ottima band nostrana, i ferraresi Altair.
Attivi dal 2008, con un passato fatto di aggiustamenti più o meno importanti nella line up, gli Altair giungono al secondo album, dopo l’ottimo debutto licenziato nel 2013, quel Lost Eden che ha portato ottimi riscontri; si ripresentano con questo ottimo lavoro intitolato Descending: A Devilish Comedy, un concentrato di power progressive metal suonato bene, prodotto meglio e composto da un lotto di belle canzoni.
Si, perché poi alla fine lo scrivere brani dal buon appeal, pur mantenendo un approccio da metal band tecnica e progressiva senza far mancare all’ascoltatore melodie, refrain e ritornelli che entrano in testa al primo ascolto, diventa fondamentale per non farsi dimenticare, in questi tempi in cui tutto va di fretta anche nella musica (con opere che rimangono nel lettore, lo spazio di due o tre ascolti) .
E il sestetto di Ferrara ci riesce con questi quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.
Con il microfono ben saldo tra le mani del buon Simone Mala, interpretativo e sanguigno vocalist di razza, e le evoluzioni tecniche dei suoi compagni, Descending: A Devilish Comedy vi accompagnerà nel mondo del power metal elegante e melodico, metallico nel più tradizionale senso del termine tra Gamma Ray e Stratovarius, Helloween e Sonata Arctica e con un tocco di progressivo metallo di cui i Symphony X sono gli assoluti maestri.
Non rimane che piazzarvi le cuffie nelle orecchie e godere delle evoluzioni del gruppo nelle varie Path Of Worms, Seven, Sed Of Violence e la conclusiva A Lesson Before Ascending, per poi, alla fine, ripartire daccapo …

TRACKLIST
1. Descending
2. Path of Worms
3. Limbo
4. Seven
5. Godless
6. Seed of Violence
7. Flame of Knowledge
8. Frozen Graves
9. A Lesson Before Ascending

LINE-UP
Simone Mala – Voice
Luca Scalabrin – Bass/Vocals
Gianmarco Bambini – Guitar
Albert Marshall – Guitar
Enrico Ditta – Keyoboards
Simone Caparrucci – Drums

ALTAIR – Facebook

Soulspell – The Second Big Bang

Si torna a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.

Le metal opera ormai fanno storia a sé nella discografia di una band, molte volte sono episodi che non trovano repliche, altre invece diventano il leit motiv di un’intera discografia o quasi.

Inutile ricordare l’importanza della seconda parte della discografia dei Savatage e, in seguito, delle opere di Ayreon e Avantasia in quello che ormai è un genere parallelo al metal di estrazione classica, ispirato dall’heavy e dal power a seconda della provenienza dei musicisti e pregno di sinfonie operistiche (da qui il nome metal opera).
Concept più o meno riusciti spesso trovano nella quantità e qualità degli ospiti intervenuti il loro maggiore interesse, molte volte superando quello per la musica vera e propria.
Si torna dunque a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.
Prodotto da Tito Falaschi, masterizzato e mixato da Dennis Ward, si tratta di un monumentale lavoro in cui gli ospiti che si danno il cambio nelle varie parti sono il fiore all’occhiello di un album inattaccabile, perfettamente in grado di funzionare nella sua interezza, ma con brani che potrebbero tranquillamente viaggiare per conto proprio, mentre le cavalcate power tra Helloween ed Avantasia splendono tra le orchestrazioni ed epiche sinfonie, e a tratti ci si spellano le mani tra atmosfere hard rock e fughe metal prog.
Fin qui niente di nuovo, e ci mancherebbe, ma come il genere impone le sfumature cangianti di brano in brano mantengono altissima l’attenzione, anche perché le sorprese, specialmente al microfono, sono tante e di altissima qualità.
Infatti, tra gli altri, alla voce troverete Andre Matos, Arjen Lucassen, Blaze Bayley, Fabio Lione, Oliver Hartmann, Ralf Scheepers, Tim Ripper Owens, Timo Kotipelto, tutti a farvi tornare la voglia di power metal, melodico, epico e sinfonico, con i nomi di spessore che non si fermano ai soli cantanti ma proseguono con quelli alle prese con i vari strumenti, a partire da un Lucassen nei panni di tuttofare (oltre al canto, il menestrello olandese si cimenta con chitarra e tastiere), Jani Liimatainen e Kiko Loureiro alle sei corde, Frank Tischer (Avantasia) alle tastiere, Markus Grösskopf al basso, più un buon numero di musicisti della scena brasiliana.
Angra, Avantasia e Ayreon sono le influenze che escono prepotentemente dalle note di The Second Big Bang, album che merita l’attenzione degli amanti del genere, per un songwriting molto ispirato di cui si giovano brani intensi ed emozionanti come Sound Of Rain, Horus’s Eye, il singolo Dungeons And Dragons con il nostro Fabio Lione in pieno delirio rhapsodyano, e Game Of Hours.
Amanti delle metal opera fatevi sotto, questo lavoro sazierà la vostra fame di storie raccontate in musica e vi fornirà grandi soddisfazioni.

TRACKLIST
01 – Time To Set You Free
02 – The Second Big Bang
03 – The End You’ll Only Know At The End
04 – Dungeons And Dragons
05 – Horus’s Eye
06 – Father And Son
07 – White Lion Of Goldah
08 – Game Of Hours
09 – Super Black Hole
10 – Sound of Rain
11 – Soulspell (Apocalypse Version)
12 – Alexandria (Apocalypse Version)

LINE-UP
Vocals :
Andre Matos (The White Lion Of Goldah), Arjen Lucassen (Space And Time), Blaze Bayley (Banneth, the Keeper of the Tree), Daísa Munhoz (The Princess Judith), Dani Nolden (The Shadows), Fabio Lione (The Dungeon Master), Jefferson Albert (Padyal, the Worshipful Master), Oliver Hartmann (The Space Agency Director), Pedro Campos (Timo’s Mystical Body), Ralf Scheepers (The Clairvoyant), Tim Ripper Owens (The Holy Dead Tree), Timo Kotipelto (Greibach, The Mathematician) e Victor Emeka (Adrian, the Apprentice).

Bass :
Daniel Guirado, Markus Grösskopf (Helloween) e Tito Falaschi

Guitars :
Arjen Lucassen (Ayreon), Cleiton Carvalho, Eduardo Ardanuy (ex-Dr. Sin), Jani Liimatainen (ex-Sonata Arctica), Kiko Loureiro (Megadeth / Angra), Leandro Erba, Marcos Pópolo, Rodolfo Pagotto (Vandroya), Thiago Amendola e Tito Falaschi.

Keyboards:
Arjen Lucassen (Ayreon), Fábio Laguna (Hangar / ex-Angra), Frank Tischer (Avantasia) e Rodrigo Boechat.

Drums :
Eduardo Santos, Gabriel Viotto, Heleno Vale e Juliano Caserta.

SOULSPELL – Facebook

Atreides – Neopangea

Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo.

Nati dalle ceneri dei metallers Skydancer intorno al 2014, i power metallers Atreides licenziano il loro primo full length per la Suspiria Records, questo buon pezzo di granito heavy/power dal titolo Neopangea.

Il quartetto spagnolo presenta dunque un roccioso album di metallo classico cantato in lingua madre, seguendo le band storiche del metal iberico, ma a differenza dei loro colleghi, l’impostazione melodica e progressiva tipica della scena spagnola, viene scaraventata in un angolo dalla furia power: gli Atreides suonano pesante, sicuramente melodici ma dalle ritimiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash metal e con un’atmosfera oscura più vicina al metal classico statunitense.
Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo; non manca certo quel tocco orchestrale tipico dei gruppi del genere, ma dell’album piace la belligeranza di brani come Penitiencia o il riff estremo di Plaga Capital, che giunge a rompere l’atmosfera romantica creata dall’ottima Balada n°6.
E così, tra ritmi forsennati, epica oscurità ed incendiari passaggi metallici, il cantante Iván López e compagni, influenzati da gruppi come Kamelot, Iced Earth ed i compatrioti Avalanch, si distinguono per forza e potenza amalgamate ad una certa eleganza, liberando la bestia sotto forma di un convincente album heavy/power metal.
E’ da seguire la scena spagnola, foriera di ottime realtà per quanto riguarda il metal classico, dall’heavy al power e della quale gli Atreides sono uno degli esempi recenti di maggior spicco.

TRACKLIST
1.Caminante
2.Penitencia
3.Laberintos
4.La niebla
5.Frágiles
6.Balada Nº6
7.Plaga capital
8.¿A dónde ir?
9.Solaris
10.Nueva pangea

LINE-UP
Antonio Orihuela – Bass
Dany Soengas – Guitars,Backing Vocals, Keys
Adrián Moa – Drums
Iván López – Vocals

ATREIDES – Facebook

Burning Shadows – Truth In Legend

Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

Metallo classico, epico e potenziato da ritmiche power, ormai di prassi nel genere, questa in poche parole è la musica che si ascolta sull’ultimo lavoro dei Burning Shadows, quartetto proveniente dal Maryland.

Una carriera iniziata all’alba del nuovo millennio, una manciata di ep e due lavori sulla lunga distanza è il bottino di questi guerrieri statunitensi, ora di nuovo in sella sui propri destrieri, armi in pugno e pronti per l’ennesima battaglia a colpi di heavy power metal.
E’ un buon lavoro Truth In Legend,  che non nasconde la sua vena epica, marcata non poco e che avvicina il sound del gruppo all’epic metal tradizionale, anche per la voce declamatoria e maschia di Tom Davy, ad un primo ascolto non convincente se ci si aspetta un disco power metal duro e puro, ma che cresce nel momento in cui si entra nel cuore del sound dei Burning Shadows.
Il power americano è chiaramente presente, sicuramente più in luce rispetto a quello europeo, lasciato ad alcune soluzioni ritmiche più veloci, per il resto è una glorificazione del metal guerresco tra Manowar e Cirith Ungol, con solos maideniani che portano un po’ di Europa nel sound del gruppo, in mano alle ispirazioni che arrivano tutte dal nuovo continente.
Sworn To Victory, la title track e la conclusiva Deathstone Rider risultano il cuore dell’album ed il sunto della proposta dei Burning Shadows: l’epicità è una spessa coltre di nebbia formata dalle goccioline evaporate dalle pozze di sangue che si allargano sul campo di battaglia, i crescendo maideniani, si alternano a cavalcate heavy power che a tratti ricordano gli Iced Earth, mentre l’epic metal glorioso e declamatorio porta Truth In Legend su territori meno power di quello che si può pensare in un primo momento.
La conclusione dell’opera viene lasciata, come detto, a Deathstone Rider, brano capolavoro di questa ottima prova da parte del gruppo americano.
Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

TRACKLIST
1.Day of Darkness
2.Southwind
3.Sworn to Victory
4.From the Stars
5.The Last One to Fall
6.Truth in Legend
7.The Blessed
8.Deathstone Rider

LINE-UP
Tim Regan – Rhythm Guitar, Vocals
Tom Davy – Lead Vocals
Chris Malerich – Lead Guitar
The Spencehammer – Drums

http://www.facebook.com/bsmetal

Sunless Sky – Doppelgänger

Un album di power metal americano su cui svetta il talento della coppia formata dal cantante Juan Ricardo e dal chitarrista Curren Murphy.

Prendete un singer talentuoso come Juan Ricardo (Wretch, Dark Arena) ed un chitarrista come Curren Murphy dei magnifici Shatter Messiah, ed ex nientemeno che di Nevermore ed Annihilator, ed avrete un massiccio, aggressivo e melodico esempio di metal americano tripallico come il nuovo lavoro dei Sunless Sky, realtà proveniente da Cleveland all’arrembaggio con Doppelgänger, secondo album che ognuno che si professi amante del metal classico d’oltreoceano è obbligato ad amare.

Brani aggressivi, tra thrash e power in puro american style, un cantante che, già sentito sull’ultimo Wretch conferma il suo valore, e trame chitarristiche da guitar hero, supportate da una sezione ritmica potente come quella composta da Kevin Czarnecki al basso e Coltin Rady, fanno dell’album un capolavoro a livello underground.
La ricetta è semplice e già dall’opener Starfall si capisce che qui c’è da divertirsi, d’altronde la band non fa altro che prendere il thrash power metal dei Vicious Rumors, amalgamarlo con atmosfere oscure di chiara ispirazione Metal Church e la sciare che i due top player facciano il resto così che da semplice album di metal a stelle e strisce, Doppelgänger diventi un piccolo gioiello tutto potenza ed attitudine.
Ancora una volta è la Pure Steel a farsi da portavoce di quello che succede in campo metal classico aldilà dell’oceano, una scena quella statunitense che non è solo composta da vecchie glorie, ma si fa vedere con band dall’alto valore qualitativo come appunto i Sunless Sky o gli stessi Wretch, tanto per non andare oltre a quello che gravita intorno a questo gruppo di musicisti che ancora una volta regalano perle di power metal come Kingdom Of Sky, Lake Of Lost Soul, Inside The Monster e la conclusiva Black Symphony.
Album da avere senza se e senza ma , fosse solo per ascoltare ancora una volta uno dei cantanti più bravi della nuova generazione nata aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1. Starfall
2. Doppelgänger
3. Kingdom Of Sky
4. Stone Gods
5. Lake Of Lost Souls
6. Netherworld
7. Adrenaline Junkie
8. Inside The Monster
9. Heroin
10. Black Symphony

LINE-UP
Juan Ricardo-Vocals
Curran Murphy-Guitars
Kevin Czarnecki-Bass
Coltin Rady-Drums

SUNLESS SKY – Facebook

Skeletoon – Ticking Clock

Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.

Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening

LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums

Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”

SKELETOON – Facebook