Thunder and Lightning – The Ages Will Turn

The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

Superata la decina d’anni di attività, tornano sul mercato i berlinesi Thunder And Lightning con il quarto full length della loro carriera, iniziata nel 2004 e che vede, oltre ai primi due demo ed un ep, tre album usciti tra il 2008 e il 2013 (Purity, Dimension e In Charge of the Scythe).

Il genere proposto è un power metal melodico con qualche ottimo spunto heavy, oscuro e drammatico e pregno di mid tempo e cavalcate che nel loro già sentito rivelano una buona attitudine da parte di un gruppo che, pur se nato nel cuore dell’Europa, non mancano di inserire nel sound atmosfere metalliche statunitensi.
Prodotto dal chitarrista Marc Wüstenhagen, The Ages Will Turn vive di questo connubio tra le due scuole classiche e ne esce un buon lavoro che unisce l’aggressività tutta europea con le atmosfere e le sfumature del classico metal americano.
Così, dopo l’intro The Ravaging Overture, l’album entra subito nel vivo con Welcome To The Darkside, ottimo inizio e classica power metal song, anche se l’impronta melanconica e tragica si sente già dalle prime note.
Silent Watcher e Black Eyed Child continuano a dispensare power metal di ottima fattura e si comincia a sentire la forte ispirazione Iced Earth che il gruppo si porta dietro, sia nelle soluzioni melodiche che nei chorus.
E Columbia conferma le influenze della band berlinese, con un brano perfettamente in bilico tra la band di Jon Schaffer ed i Blind Guardian, mentre nella più potente One Blood compare come ospite alla sei corde Máté Bodor (Alestorm, Wisdom).
La title track continua a dispensare metallo oscuro e si arriva alla conclusiva Mary Celeste, brano dove troviamo il secondo ospite, Der Schulz degli Unzucht, ad accompagnare l’ottimo singer Norman Dittmar, per il brano top dell’album, splendidamente teatrale, sorretto da un chorus oscuro ed epico ed attraversato da una vena statunitense tra Iced Earth, Savatage e Metal Church.
The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

TRACKLIST

1.The Ravaging Overture
2.Welcome to the Darkside
3.Silent Watcher
4.Black Eyed Child
5.Eternally Awake
6.Columbia
7.One Blood
8.The Ages Will Turn
9.Hysteria
10.Mary Celeste

LINE-UP

Robert Rath – Bass
Steve Mittag – Drums
Benjamin Dämmrich – Guitars
Marc Wüstenhagen – Guitars, Vocals
Norman Dittmar – Vocals

THUNDER AND LIGHTNING – Facebook

Crawler – Hell Sweet Hell

Hell Sweet Hell è un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.

Quindici anni di storia, un passato da cover band dei gruppi storici dell’heavy metal mondiale ed un secondo album di inediti pronto per conquistare i cuori del metallari duri e puri.

Tornano i Crawler, band di Cremona, a distanza di sei anni dal debutto sulla lunga distanza, quel Knight Of The Word che ha ottenuto ottimi riscontri.
Per Valery Records esce questo nuovo lavoro intitolato Hell Sweet Hell, un’ora abbondante su e giù per il metal classico degli ultimi venticinque anni, tra spunti progressivi, piglio epico orchestrale e più di uno sguardo sulla musica scritta da Tobias Sammet (Claudio Cesari, vocalist del gruppo lo si può senz’altro considerare il Sammet nostrano) sia con gli Avantasia che con gli Edguy, oltre ad un cordone ombelicale difficile da tagliare con Iron Maiden e Judas Priest.
Hell Sweet Hell è un album curato, prodotto molto bene con un lotto di brani trascinanti e dal taglio internazionale, assolutamente in grado di tenere botta con le opere provenienti da fuori confine grazie ad un songwriting sopra la media, un cantante davvero bravo e una varietà di atmosfere che offre ad ogni brano una sua identità.
Si passa così dal power metal melodico all’heavy metal tradizionale, dal symphonic power a canzoni dagli ottimi spunti progressivi, con un’altro richiamo importante come quello dei Symphony X.
Ricco di cambi di tempo ed atmosfere, Hell Sweet Hell si fa apprezzare nella sua interezza, non scendendo mai da un elevato ottimo e facendo focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla bontà della musica più ancora che sull’ottima tecnica strumentale dei bravissimi musicisti che formano il gruppo.
L’aggressiva e tagliente Dhampyre, la progressiva ed orchestrale The Power Of Magic, il power metal di Neverland e le chitarre hard rock di No Pain, che ricorda i brani più divertenti e pazzi degli Edguy, fanno risplendere la prima parte dell’album, mentre si torna alle atmosfere epiche con The Lair of the Smoking Dragon che precede l’heavy metal classico ed aggressivo della title track.
Drammatica, oscura e progressiva si rivela Akhenaton, degna conclusione dell’album, una traccia metallica e magniloquente che mette la parola fine si di un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.
Niente di nuovo? Vero, ma che musica ragazzi!

TRACKLIST
1.Dracarys! (intro)
2.Winter is Coming
3.Dhampyre
4.The Power of Magic
5.Neverland
6.I wait for my Siren
7.No Pain
8.The Eyes and the Dark
9.The Lair of the Smoking Dragon
10.Hell sweet Hell
11.7 Days
12.Akhenaton

LINE-UP
Claudio Cesari – Vocals
Matteo Cattaneo – Guitars
Filippo Severgnini – Guitars
Daniele Mulatieri – Bass
Nicola Martiniello – Drums

CRAWLER – Facebook

Hell’s Crows – Hell’s Crows

Un album spettacolare di power heavy prog metal perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana.

Nel nostro paese si continua a fare grande musica metal, molte volte purtroppo poco considerata da fans e addetti ai lavori ma supportata dalle webzine di riferimento che, con volontà e passione, provano ogni giorno a cambiare questo trend tutto italiano.

Si perché una band come gli oscuri, potenti e melodici Hell’s Crows, in Germania (tanto per fare un esempio di terre metalliche) sarebbero sicuramente sulla bocca e nelle orecchie degli amanti dei suoni heavy power, di quelli ricamati come negli ultimi anni di parti progressive che non solo sottolineano la bravura dei musicisti ma donano un tocco nobile al sound dei gruppi.
Niente di nuovo, per carità, ma entusiasmante sì, specialmente quando si parla di schiacciare il pedale a tavoletta, partire sgommando con cavalcate heavy, colme di drammatica oscurità, mentre i corvi pasteggiano sui cadaveri dei più deboli di cuore.
Gli Hell’s Crows avevano già dato prova delle loro capacità nei primi due lavori , il demo licenziato nel 2008 e l’ep Screaming Death uscito due anni dopo, dunque sette anni sono passati prima che gli uccelli infernali tornassero a banchettare sulla terra, questa volta aiutati dalla Valery Records e da un album spettacolare: power heavy prog metal, perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana, un passato da band hard rock ed un futuro tra Symphony X, Iron Maiden e Judas Priest, mentre Back To The Future continua a girarmi nella testa, le atmosfere di drammatico metallo americano si alternano alle cavalcate maideniane e alle taglienti chitarre priestiane che animano brani come Fall Of The Divine e Nightmares.
Hanno vita facile gli Hell’s Crows, vista la qualità del songwriting, le intuitive parti progressive che tanto sanno di Symphony X, obbligata parentesi per entrare nei cuori dei defenders del nuovo millennio, ed un vocalist dal talento melodico sopra la media, senza perdere un grammo di quell’attitudine old school che mette d’accordo pure gli ascoltatori più avanti con gli anni (Across The Sea).
All’inno Hell’s Crows è lasciato il compito di concludere l’album e darci l’arrivederci sui palchi di un’estate calda, troppo calda, specialmente se gli uccelli di nero piumato si poseranno sul davanzale della vostra casa.

TRACKLIST
1.Prelude To Decadence
2.Fall Of The Divine
3.Back To The Future
4.Mechanical Quantum
5.Fist Of Steel
6.Sons Of The Wind
7.Nightmares
8.Executioner
9.Across The Sea
10.In The Eyes Of Raider
11.Hell’s Crows

LINE-UP
Randy Rush – Vocal, Guitar
Yuri Fetisov – Lead Guitar
Alan Johns – Bass
Johnny Pezzola – Drums

HELL’S CROWS – Facebook

Malacoda – Ritualis Aeterna

Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.

Un altra band proveniente dal Canada nel mirino di MetalEyes, questa volta con sonorità power sinfoniche e dalle atmosfere gotiche.

Da Oakville (Ontario) arrivano i Malacoda, un quintetto che può annoverare tra le proprie fila il talento di Jonah Weingarten, tastierista dei prog metallers Pyramaze.
Ritualis Aeterna continua nella strada tracciata dal primo album pubblicato nel 2015, con un’affascinante copertina e buone orchestrazioni sinfoniche, viaggiando al ritmo di un gothic power metal dalle tinte horror, molto melodico e a suo modo teatrale, senza forzare troppo sull’aspetto estremo, così da mantenere un appeal discreto anche per chi non è fanatico delle sonorità dalle tinte dark.
Sinfonie di scuola power, molto comuni di questi tempi, si alleano con una forma di teatralità gotica e quindi ne esce un’opera a tratti sontuosa, anche se sviluppata nella durata di un mini cd, ma molte volte questo è più un bene che un male.
E, infatti, Ritualis Aeterna si lascia ascoltare senza patemi, assolutamente perfetto nel coniugare l’horror metal al power di scuola Rhapsody e Kamelot, dunque elegante il giusto e valido nel sostituire l’epicità del gruppo nostrano con atmosfere gotiche.
Penny Dreadful è l’opener perfetta in cui tutto il sound è riassunto in quasi sei minuti di ottima musica metal orchestrale, mentre I Got A Letter è più moderna e dark, quasi ottantiana nel suo amalgamare dark rock e metal classico.
Pandemonium è il brano top dell’ep, con l’alternanza di cori operistici e growl di estrazione death, The Wild Hunt è teatrale e drammatica e la sua atmosfera oscura valica il confine con la seguente Linger Here, ballad dark wave di respiro rock/pop.
Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.

TRACKLIST
1.Penny Dreadful
2.I Got A Letter
3.Pandemonium
5.The Wild Hunt
6.Linger Here
7.There Will Always Be One

LINE-UP
Cooper Sheldon – Bass
Mike Harshaw – Drums
Brad Casarin – Guitars
Lucas Di Mascio – Guitars, Vocals
Jonah Weingarten – Keyboards, Orchestration

MALACODA – Facebook

True Strenght – Steel Evangelist

L’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.

Alziamo le mani al cielo e diamo il benvenuto sulle pagine di MetalEyes ai True Strenght, band statunitense di heavy power metal dalle tematiche cristiane.

Il christian metal torna a risplendere della luce divina con Steel Evangelist, secondo album del gruppo americano e successore del primo The Cross Will Always Prevail, licenziato nel 2014.
I True Strenght suonano heavy power metal dai natali statunitensi, dunque anche se il sound è meno oscuro si può senz’altro parlare di U.S. metal di qualità, a prescindere dal credo dei musicisti
Steel Evangelist è composto da dieci brani per settanta minuti di metal devoto a Gesù Cristo, e il trio capitanato da Ryan “The Archangel” Darnell (basso, voce e chitarra) mette sul piatto un album di metal epico, ricco di cavalcate dai crescendo maideniani e da un approccio old school.
Leggermente prolisso, l’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.
Josh Cirbo alla sei corde e Ryan Mey alle pelli aiutano il leader nella sua missione, mentre una alla volta Cilician Gates, l’inno maideniano Gabriel The Archangel e la lunga Blood Waters The Cedars Of schiudono all’ascolto il pensiero musicale del gruppo americano.
Licenziato dalla Roxx Records , l’album contiene buona musica metallica dai richiami classici e, quindi, per i fans dell’heavy metal americano un ascolto è senz’altro consigliato.

TRACKLIST
1.No Cheek Left to Turn
2.Steel Evangelist
3.Cilician Gates
4.Don’t Take the Mark of the Beast
5.The Fall of the Ripest Apple
6.Gabriel the Archangel
7.Woe to the Sons of Ishmael
8.Blood Waters the Cedars of Lebanon
9.Twenty-One Martyrs Clothed in Orange
10.The War We Fight

LINE-UP
Ryan “The Archangel” Darnell – Bass, Guitars (rhythm), Vocals (lead)
Ryan Mey – Drums
Josh Cirbo – Guitars (lead)

TRUE STRENGTH – Facebook

Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

Heaven’s Guardian – Signs

Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

La Pure Steel si prende carico della distribuzione del nuovo album dei brasiliani Heaven’s Guardian prodotto dalla Megahard Records.

Il gruppo sudamericano non è certo di primo pelo nella scena power metal, la sua attività iniziata nel 1999 l’ ha portato ad incidere due full length nei primi anni del nuovo millennio, per poi finire nel limbo e tornare dopo più di dieci anni con Signs, album che porta con se una novità importante, l’ affiancamento di una voce femminile (Olivia Bayer) al singer Flavio Mendez ed una sterzata verso i lidi sinfonici tanto cari alle band attuali.
Dunque gli Heaven’s Guardian, con una line-up attuale composta da ben sette musicisti, tornano con questo nuovo lavoro che, pur con tutti i migliori propositi, non riesce ad uscire dall’anonimato.
Anche Signs infatti rimane imprigionato nel novero degli album discreti ma nulla più, scontati nelle soluzioni orchestrali ormai abusate da centinaia di band , poco incisivo e ripetitivo nelle ritmica e con un songwriting che non decolla.
I duetti tra le due voci non alzano l’ appeal dei brani che non vanno più in la del compitino, anche se almeno il suono esce pulito e qualche assolo riesce a rompere un po’ la monotonia del disco.
Peccato, e anche l’appoggio della Pure Steel non so quanto giovamento porterà al gruppo brasiliano: a mio parere l’album a tratti non risulta né carne né pesce, troppo spostato sui mid tempo per piacere ai fans del power, ma anche eccessivamente metallico per chi assaporava qualche spunto symphonic gothic in più ed invece deve attendere invano fin quasi allo scoccare dell’ora di durata.
Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

TRACKLIST
1. Religion
2. Time
3. Strength
4. Journey
5. Fantasy
6. Dream
7. Change
8. Passage
9. War
10. Silence

LINE-UP
Olivia Bayer – vocals (female)
Flávio Mendez – vocals
Luiz Maurício – guitars
Ericsson Marin – guitars
Everton Marin – keyboards
Murilo Ramos – bass
Arthur Albuquerque – drums

HEAVEN’S GUARDIAN – Facebook

Stamina – System Of Power

System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

Tornano i Royal Hunt Italiani, i campani Stamina, con un nuovo ottimo lavoro sempre incentrato su un power prog metal che si rifà ai maestri danesi, anche se non manca sicuramente al gruppo la personalità per trovare una propria dimensione.

D’altronde System Of Power è ormai il quarto full length , successore del bellissimo Perseverance uscito tre anni fa, e che vede un cantante in pianta stabile nella persona di Alessandro Granato, un nuovo bassista, Mario Urcioli, ed un session per la batteria, Andrea Stipa, tutti a girare intorno al duo storico formato dal chitarrista Luca Sellitto e dal tastierista Andrea Barone.
La band si presenta così con un album più aggressivo rispetto al passato, certo i cori alla Royal Hunt e le fughe tastieristiche fanno parte del sound ormai consolidato del gruppo che elegantemente disegna arabeschi di musica elegantemente progressiva, con la sei corde che spinge sulla parte neoclassica in molti frangenti dell’ album, accompagnando i tasti d’avorio in ghirigori barocchi, ma colpendo d’incanto l’ascoltatore con ritmiche ruvide e dai rimandi thrash.
Il tutto lascia sempre quell’alone di nobiltà insito nella musica della band, che gioca con l’AOR ed il power a suo piacimento tra le note magniloquenti di un lotto di brani entusiasmanti.
La prova del nuovo vocalist è da applausi, così come per tutti i protagonisti, ma per una volta (anche se il genere lo impone) lasciamo che sia la musica magnificamente regale del gruppo campano a parlare, con i suoi quarantacinque minuti di fughe tastieristiche e cori dal talento melodico neanche troppo distante dalle fonti di ispirazione del gruppo, così come il songwriting che fa risplendere perle musicali come Must Be Blind, One In A Million, Love Was Never Meant To Be e l’irresistibile Why, brano Royal Hunt fino al midollo, ma stupendo esempio dell’eleganza e raffinatezza del metal suonato dagli Stamina.
System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

TRACKLIST
1.Holding On
2.Must Be Blind
3.One In A Million
4.Undergo (Black Moon Pt.2)
5.Love Was Never Meant To Be
6.System Of Power
7.Why
8.Portrait Of Beauty

LINE-UP
Alessandro Granato – vocals
Luca Sellitto – guitars
Andrea Barone – keyboards
Mario “Uryo” Urciuoli – bass

Andrea Stipa – drums
Jacopo Di Domenico – backing vocals
Donata Greco – flute
Giulia Silveri – cello

STAMINA – Facebook

Sanctuary – Inception

Inception potrà a molti sembrare un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.

Come ogni leggenda che si rispetti, anche la storia dei Sanctuary di Warrel Dane e Lenny Rutledge si avvolge di mistero ed un pizzico di magia.

E l’ultimo capitolo della storia di questa storica band statunitense vede il chitarrista ripulire il proprio magazzino e, tra cianfrusaglie e vecchi ricordi, trovare quello che è il sacro Graal della band e di una buona fetta dell’US power metal, i nastri su cui l’allora giovane gruppo incise quello che in gran parte andò a formare il primo entusiasmante album dei Sanctuary, Refuge Denied.
Quello che poi la storia vide scritto fu un secondo album altrettanto fondamentale (Into The Mirror Black, 1990) ed un lungo silenzio fino al 2014 con il ritorno con un album di inediti intitolato The Year the Sun Died.
Ma torniamo a questa monumentale raccolta ed alla sua storia che porta i Sanctuary, dopo il ritrovamento, ad affidare i preziosi nastri al produttore Chris “Zeus” Harris (Queensryche, Hatebreed), il quale trasforma la musica di cui si compongono in canzoni prodotte perfettamente, in linea con il metal del nuovo millennio, così da poter godere in toto della bravura di questa straordinaria band.
Accompagnato dalla copertina di Ed Repka, che richiama senza mezzi termini quella del primo album del gruppo, Inception potrà sembrare a molti un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.
Detto del gran lavoro fatto da Harris, in modo che il tutto non appaia la classica demo che fa a pugni con le nostre orecchie abituate alle produzioni moderne, l’album ci presenta la band al massimo della forma, magari leggermente acerba, ma con un Dane sugli scudi, teatrale e nervoso, sospinto da una carica selvaggia indomabile, ed una serie di brani che sono storia del metal statunitense alla pari con i primi lavori di Queensryche e Metal Church.
Le due tracce inedite sono all’altezza di quelle conosciute e finite su Refuge Denied: teatrali, drammatiche ed oscure, in perfetta linea con il metal suonato negli anni ottanta e diventato una tradizione classica dell’ America hard & heavy.
Curato in ogni dettaglio, Inception è accompagnato da un libretto con foto e notizie sulla scena metal di Seattle, prima che camicioni di flanella e jeans strappati arrivassero a mettere nell’ombra giubbotti di pelle e polsini borchiati.

TRACKLIST
1. Dream Of The Incubus
2. Die For My Sins
3. Soldiers Of Steel
4. Death Rider / Third War
5. White Rabbit (Jefferson Airplane cover)
6. Ascension To Destiny
7. Battle Angels
8. I Am Insane
9. Veil Of Disguise

LINE-UP
Lenny Rutledge – Guitars
Warrel Dane – Vocals
Dave Budbill – Drums
George Hernandez – Bass
Nick Cordle – Guitars (live)

VOTO
8.50

URL Facebook
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Fraser Edwards – I Am God

La bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek , danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

Fraser Edwards è un chitarrista, compositore e produttore britannico, protagonista con la sua sei corde nei power metallers Ascension e co-autore nella rock band per bambini Sharky Sharky.

I Am God è il suo primo lavoro solista dove non mancano alcune gradite sorprese, in un buon lavoro dove l’happy power metal incontra l’elettronica, lo shred ed un pizzico di piglio progressivo che non manca di rendere l’album un originale esempio di musica metal pop molto interessante.
Accompagnato da ottimi musicisti, Edwards ha trovato modo di imprimere all’album una marcia in più con il bravissimo cantate norvegese Pellek, che chi segue la nostra webzine ricorderà dietro al microfono dei due dischi degli Active Heed, creatura progressiva del compositore nostrano Umberto Pagnini.
E I Am God non tradisce con la sua quarantina di minuti tra veloci cavalcate power metal, vorticose scale su e giù per il manico della sei corde, un’impronta melodica accentuata dall’ottima voce del vocalist, e tanto happy metal, dai chiari rimandi alle zucche di Amburgo, con qualche accenno velocissimo e al limite del legale insito nel sound dei Dragonforce.
L’album riesce a mantenere un appeal molto alto pur lasciando al leader il suo spazio per incantare con la sei corde e I Am God (il brano che da il titolo all’album è uno stupendo esempio di power metal neoclassico) soddisferà pure gli amanti dei guitar heroes (Malmsteen) .
Ovviamente quando il gruppo spara cannonate power il livello si alza non poco, l’opener Alone, Everdream e Geography Of Time, con la già citata title track, mettono a ferro e fuoco lo spartito, mentre Mentalist Brigade e 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden, sono le tracce più originale e progressive, tra elettronica, cambi di tempo e marcette che, se ad un primo ascolto destabilizzano (specialmente gli appassionati più duri e puri) non si smetterà di battere inconsapevolmente il piedino ipnotizzati dalle melodie create dal compositore di Aberdeen.
Al sottoscritto I Am God è piaciuto parecchio, la bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

TRACKLIST
1.Alone
2. Custom Built
3. Mentalist Brigade
4. 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden
5. So Many People
6. Everdream
7. I Am God
8. Geography Of Time
9. God Complex
10. Dawn Of The Shred (Bonus)

LINE-UP
Fraser Edwards – Guitars
Pellek – Vocals
Andrew Scott – Drums
Stuart Docherty – Live Keyboards
Nick Blake – Live Bass

FRASER EDWARDS – Facebook

Four Star Revival – The Underdog EP

I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.

Tornano con un nuovo ep di cinque brani i Four Star Revival, gruppo statunitense composto da vecchie volpi dell’hard rock ed heavy metal del nuovo continente.

Ed Girard (ex Common Social Phenomenon) al basso, Benny Bodine (ex Warminister) alla sei corde, il batterista Paul Strausburg ed il singer Jack Emrick, ex Live After Death e con un presente negli storici Armored Saint, formano questa sorta di super gruppo, che fece parlare di sé un paio di anni fa con il debutto sulla lunga distanza intitolato Knights of the Revival.
In attesa di un nuovo full length la band licenzia The Underdog ep che funge da parentesi tra il primo lavoro ed il prossimo.
Il sound del quartetto americano si compone di un’ottima amalgama di sonorità della tradizione metallica statunitense che vanno dall’hard rock all’heavy power, sorrette da potentissime bordate ritmiche, suoni chitarristici forgiati nell’U.S. metal ed una prestazione sontuosa del cantante, classico esempio della scuola d’ oltreoceano, dall’ugola maschia d’impostazione hard rock e molto interpretativa.
I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.
The Underdog spara subito due cannonate come la title track e Liar, heavy power song con groove a manetta e solos tonanti, mentre il vocalist dimostra subito che, dietro al microfono degli Armored Saint non ci si finisce per caso.
Rumors Of War è un mid tempo leggermente più scontato , mentre con Broken si vola sulle ali di una semi ballad in crescendo e The Garden Of Good And Evil chiude alla grande questo ep con fuochi d’ artificio di scuola primi Savatage e i già citati Armored Saint.
Un ottimo mini che conferma la bontà del gruppo dell’Ohio e ci consegna un’altra band da seguire nel suo cammino metallico, sperando che i tempi di attesa per il prossimo album non siano troppo dilatati.

TRACKLIST
1.The Underdog
2.Liar
3.Rumors Of War
4.Broken
5.The Garden Of Good And Evil

LINE-UP
Jack Emrick – vocals
Benny Bodine – guitar
Ed Girard – bass
Paul Strausburg – drums

http://www.facebook.com/FourStarRevival

Firewind – Immortals

Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog.

Più che recensirlo (termine alquanto antipatico e che sinceramente non rappresenta il mio spirito di semplice narratore della musica che vado ad ascoltare) l’ennesimo album di una band importante come i Firewind di Gus G. va appunto descritto, o meglio raccontato, tanto lo sappiamo tutti che al suo interno troveremo nobile metallo epico, tra power e prog, drammatico, intenso, suonato e prodotto in modo impeccabile.

Apollo Papathanasio è uscito dal gruppo, il suo microfono è stato messo nelle mani del bravissimo Henning Basse che il suo mestiere lo sa fare alla grande, specialmente quando l’atmosfera si fa infuocata e, senza mezzi termini, si fa power heavy metal con gli attributi all’ennesima potenza, d’altronde si parla del tipo che fece fuoco e fiamme sugli album dei Brainstorm e Metalium.
I Firewind per questo lavoro hanno scelto di affrontare l’avventura monotematica del concept album per la prima volta in carriera, ed ovviamente la scelta non poteva che cadere sulla storia del loro paese, culla culturale del Mediterraneo e ricca, nella sua millenaria storia, di battaglie epiche e leggendarie come in questo caso quelle delle Termopili e di Salamina, durante la seconda invasione persiana del 480 a.C.
Immortals è poi stato messo nelle mani di Dennis Ward, che ha produtto, mixato e masterizzato l’abum (prima volta che il gruppo collabora con un produttore esterno), aiutando pure Gus G. nella sua stesura.
Insomma, Immortals per il gruppo assomiglia tanto ad un nuovo inizio, anche se le avvisaglie di un spostamento del sound verso un più diretto power metal dai rimandi tedeschi si era già intravisto nel precedente lavoro (Few Against Many), qui accentuato dall’epicità del concept, dal notevole lavoro di una sezione ritmica devastante e da un Gus G. che, se i fans me lo permettono, descriverei più diretto nelle sue scorribande chitarristiche da guitar hero (e se attualmente è l’uomo di fiducia di Ozzy, un motivo ci sarà).
Poi su tutti e tutto emerge l’enorme talento del singer tedesco che, senza fare inutili paragoni con il suo storico (per la band ed i suoi fan) predecessore conquista, annienta, stravolge e mette l’ombrellino su questo cocktail da consumare con parsimonia, altrimenti si rischia di uscirne ubriacati dalla pienezza della musica dei Firewind.
Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog, tragico ed oscuro come gli attimi più estremi della musica di Michael Romeo ed i suoi Symphony X.
Fin dall’opener Hands Of Time verrete travolti dalla potenza delle battaglie: sangue, orgoglio, epicità, coraggio che la sei corde di Gus G. riesce a rendere reali, mentre Basse sfiora la perfezione, con una prova rabbiosa e colma di fierezza su spettacolari episodi veloci come il vento caldo che spazza i territori dell’antica Grecia, teatro di queste leggendarie imprese.
Ode To Leonidas, la successiva Back To The Throne, il mid tempo di Live And Die Bye The Sword sono il cuore pulsante, tenuto in mano e alzato al cielo dal guerriero Basse, di questo notevole lavoro, anche se troverete di che godere per tutta la sua intera durata.
Inutile dire che Immortals è uno dei primi top album di questo inizio 2017, obbligatorio per chiunque ami il genere e in senso lato per chi ama la musica metal in una delle sue più nobili forme.

TRACKLIST
01. Hands Of Time
02. We Defy
03. Ode To Leonidas
04. Back On The Throne
05. Live And Die By The Sword
06. Wars Of Ages
07. Lady Of 1000 Sorrows
08. Immortals
09. Warriors And Saints
10. Rise From The Ashes

LINE-UP
Gus G. – Guitars
Petros Christo – Bass
Bob Katsionis – Keyboards
Johan Nunez – Drums
Henning Basse – Vocals

FIREWIND – Facebook

Perc3ption – Once And For All

Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro.

Aldilà dell’oceano non si vive di solo mainstream e la tradizione metallica classica è ben consolidata nelle terre del nuovo continente, se poi si guarda verso sud, tra le nazioni in cui il metal è ben radicato non manca certo il Brasile.

A San Paolo, per esempio, nascono nel 2007 i Perc3ption, quintetto dedito ad un power prog metal che alterna con sagacia ritmiche potenti e aggressività heavy metal supportata da una marcata vena progressiva.
Once And For All è il secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep ed un full length uscito nel 2013 (Reason and Faith), un lavoro ambizioso, un’ora di metal progressivo prodotto e suonato molto bene.
Sezione ritmica ben presente, dita che danzano sui manici delle chitarre ed un cantante sontuoso mettono a dura prova i nostri padiglioni auricolari, martoriati da un sound drammatico, orchestrato a dovere e dove finalmente spicca l’heavy metal, duro e puro.
E qui sta il bello, Once And For All è un album pregno di durezza metallica, in cui le melodie (bellissime) ricamano una serie di brani dall’aura tragica, mentre il gruppo senza degenerare sfoggia tecnica sopraffina.
Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro, ovviamente non mancano parti più atmosferiche, dove la band concede armonie che fungono da quiete prima della tempesta di suoni che investono l’ascoltatore, tuoni e fulmini metallici, prima che la pioggia di note scenda copiosa e si trasformi in una inondazione power metal.
Accompagnato da una suggestiva copertina alla Savatage, con un maestro di pianoforte che suona il suo strumento nel mezzo di un paesaggio ghiacciato, l’album vive di un feeling drammatico ed emozionale altissimo, con la splendida ed orchestrale Welcome To The End quale picco di un opera da far vostra senza riserve.

TRACKLIST
1.Persistence Makes the Difference
2.Oblivion’s Gate
3.Rise
4.Immortality
5.Braving the Beast
6.Magnitude 666
7.Welcome to the End
8.Extinction Level Event
9.Through the Invisible Horizons

LINE-UP
Glauco Barros – Guitars, Vocals (backing)
Rick Leite – Guitars, Vocals (backing)
Wellington Consoli – Bass
Peferson Mendes – Drums
Dan Figueiredo – Vocals

PERC3PTION – Facebook

PERC3PTION – Web Page

Red Cain – Red Cain

Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo.

Grazie all’ottimo lavoro di promozione dell’attivo Jon Asher, ci viene offerta ultimamente la possibilità di ascoltare molta buona musica proveniente dal Canada, nazione che, sovente, viene oscurata da quanto prodotto più a sud negli Stases, ma che è terra natia di diverse band che hanno fatto a loro modo la storia (Rush, Annihilator, Voivod, ma ho citato le prime tre che mi sono venute in mente, dimenticandone sicuramente altre).

I Red Cain devono ancora mangiarne di polvere prima di arrivare a quei livelli, ma il loro ep omonimo è il viatico migliore per iniziare questo impervio percorso: i cinque ragazzi provenienti dall’olimpica Calgary si sono cimentati in un’operazione non priva di rischi ma perfettamente riuscita , con il loro tentativo di fondere il power/prog metal con sonorità dark.
Era da tempo, infatti, che non mi capitava di ascoltare qualcosa di così fresco e dirompente in campo heavy metal: i Red Cain sono delle vere e proprie spugne che, dopo aver assorbito tutto quanto di buono è stato prodotto negli ultimi vent’anni, ne hanno filtrato il meglio salvandone sfumature che, se maneggiate con poca cura, avrebbero rischiato di rivelarsi antitetiche.
La voce dell’eccellente Evgeniy Zayarny è il valore aggiunto decisivo, grazie ad una timbrica profonda ma dalla notevole estensione, capace di rendere al meglio i passaggi più oscuri così come quelli più ariosi, ma non è affatto trascurabile il lavoro d’insieme di una band giovane e dall’enorme talento, che non perde mai la bussola di fronte ai frequenti cambi di scenario e, conseguentemente, di umore e di ritmica.
Il sound dei Red Cain guarda indubbiamente verso est, a quell’Europa che alle stesse latitudini è stata culla del power metal più melodico e del gothic più romantico, ma la forte radice americana non viene meno, specie nei momenti maggiormente robusti in cui si stagliano sullo sfondo i migliori Iced Earth e Nevermore.
Guillotine è un autentico gioello, disturbato ad arte da screziature elettroniche, un brano trascinante come non se ne sentivano da tempo nel genere, ma non è che le altre canzoni siano da meno, facendo eccezione, paradossalmente, per il singolo prescelto Hiraeth, forse perché viene privilegiata la melodia a discapito dell’impatto drammatico che accomuna il resto della tracklist.
Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo: sarà il primo full length in uscita nel 2017 a dirimere gli eventuali dubbi residui sul valore effettivo di questi promettentissimi Red Cain.

Tracklist:
1.Guillotine (feat. Wolf of Transylvania)
2.Dead Aeon Requiem
3.Hiraeth
4.Unborn

Line-up:
Evgeniy Zayarny – vocals
Brendan Doll – guitar
Allan Chuley – guitar
Rogan McAndrews – bass
Samuel Royce – drums

https://www.facebook.com/redcainofficial/?fref=ts

Ancestral – Master Of Fate

Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.

Una mazzata tremenda di power speed metal è in arrivo via Iron Shields, nuova label degli Ancestral, band proveniente da Trapani di ritorno sul mercato dopo un silenzio lungo dieci anni.

Il gruppo infatti, attivo dall’alba del nuovo millennio, dopo due demo aveva esordito con il full length The Ancient Curse nel 2007, per poi sparire e tornare più forte di prima con il nuovo Master Of Fate.
Dieci anni di silenzio e grosse novità nelle line up, con i fratelli Mendolia a formare la devastante sezione ritmica, Alessandro Olivo alla sei corde e poi i due nuovi innesti, l’axeman Carmelo Scozzari (al posto di Giovan Battista Ferrantello) e Jo Lombardo che prende il posto di Mirko Olivo dietro al microfono.
Master Of Fate sarà sicuramente una grossa sorpresa per gli amanti del power metal classicamente tedesco, senza ghirigori orchestrali tanto di moda negli ultimi tempi, con l’ acceleratore sempre premuto a tavoletta, una prova di sezione ritmica e chitarre convincente e con un Lombardo sontuoso al microfono; l’album a tratti risulta travolgente, una botta di vita power/speed come non se ne sentono poi così tante in giro, neanche dalla germanica terra natia.
La band non fa sconti e parte alal meglio, Back To Life è subito grande metal classico, ritmiche serrate, grandi chorus, sei corde che si rincorrono tra ritmiche veloci come il vento e mid tempo rocciosi, un’apoteosi di suoni metallici impreziositi dalla prova incandescente del singer e di un songwriting che fino alla conclusiva cover degli Helloween (Savage) non lascia respiro.
Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.
Il power metal tedesco è la base del lavoro, poi si rinviene qualche accenno all’heavy classico, tanta epica melodia e sfuriate ritmiche che sfiorano il thrash, con chitarre  le sei corde che sputano lingue di fuoco come i molti vulcani della Sicilia: Master Of Fate è questo, con due o tre brani entusiasmanti (la title track, lo strumentale Refuge Of Souls ed il massacro intitolato On The Route Of Death) che trainano una tracklist priva di cedimenti di sorta.
Un pezzo di granito power speed consigliato a tutti i true defenders, del resto gli Ancestral non potevano rientrare sulle scene in modo migliore.

TRACKLIST
1. Back To Life
2. Wind Of Egadi
3. Seven Months Of Siege
4. Master Of Fate
5. Refuge Of Souls (instr.)
6. Lust For Supremacy
7. No More Regrets
8. On The Route Of Death
9. From Beyond
10. Savage (Helloween cover)

LINE-UP
Jo Lombardo – Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Alessandro Olivo – Guitars
Massimiliano Mendolia – Drums
Domiziano Mendolia – Bass

ANCESTRAL – Facebook

Skiltron – Legacy of Blood

Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità

Folk metal d’assalto, potenziato da aggressive ritmiche power, brani che trascinano in highlands dove scorre il sangue come torrenti dal color rosso porpora, mentre la cornamusa guida l’assalto dei fratelli in armi sulle pianure spazzate dal vento.

Benvenuti all’interno del nuovo lavoro degli argentini Skiltron, folk power metal band, conosciuta anche dalle nostre parti per via degli ottimi quattro lavori usciti tra il 2006 ed il 2013.
Sudamericana, ma devoti musicalmente e concettualmente alla tradizione scozzese, la band di Buenos Aires ci consegna un altro ottimo lavoro che segue fedelmente la strada intrapresa da ormai una decina d’anni.
Si entra così nel mondo epico e guerresco del folk metal, il gruppo mantiene però intatta la sua verve metallica e ne escono nove tracce robuste, con la cornamusa sempre in primo piano a dettare i tempi della battaglia.
Il genere è questo, prendere o lasciare, nessuna novità ma tanta buona musica per una quarantina di minuti fuori dal tempo: le atmosfere create dal gruppo, i chorus epici e le ottime cavalcate metalliche formano una raccolta di brani dal buon appeal e non si fatica a memorizzare le melodie tradizionali create dallo storico strumento a fiato, vero protagonista di brani che sprizzano orgoglio e fierezza come l’opener Highland Blood, il mid tempo Commited To The Call e l’epica The Taste Of Victory.
Un album che, pur nella sua semplice lettura, troverà sicuramente estimatori sia nei fans del folk metal che in quelli del power, perché non si rilevano forzature o cedimenti e la band riesce a mantenere interessante ed affascinate l’ascolto per tutta la sua durata.
Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Highland Blood
2. Hate Of My Life
3. Committed To The Call
4. Sailing Under False Flags
5. The Taste Of Victory
6. Rise From Any Grave
7. Sawney Bean Clan
8. All Men Die
9. I’m Coming Home (Bonus-Song)

LINE-UP
Martin McManus – Vocals
Emilio Souto – Guitars, Mandolin, Bouzouki, Vocals
Ignacio López- Bass
Matías Pena – Drums
Pereg Ar Bagol – Bagpipes, Tin whistle

SKILTRON – Facebook

Skullwinx – The Relic

Un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere di brani dall’alto tasso epico.

Tornano con un nuovo lavoro i giovani Skullwinx, band tedesca attiva da tre soli anni, ma già sul mercato con due full length e i primi due mini cd usciti tra il 2013 ed il 2014.

Il quintetto bavarese, con questo nuovo album, The Relic, non mancherà di far breccia nei cuori dei defenders, con il suo speed metal che al power metal di scuola Blind Guardian aggiunge elementi provenienti dalla NWOBHM e di epico metallo ottantiano.
Senza orchestrazioni, siamo lontani dai lavori di genere a cui ci hanno abituato i gruppi odierni, The Relic parte all’attacco con ritmiche che alternano fughe power speed e mid tempo epici, con chorus ben piantati nella tradizione del metal classico di scuola tedesca e solos che sanno tanto di Iron Maiden e taglienti rasoiate alla maniera dei più devastanti Judas Priest.
Ne esce un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere guerriere di brani dall’alto tasso epico/storico come Sigfried e Attila The Hun, partenza al fulmicotone dell’album come nella migliore tradizione power/speed.
Col passare dei minuti le atmosfere si fanno sempre più epiche fino alla conclusiva e monumentale Relic Of The Angel, dieci minuti di -incedere tra Warlord, Iron Maiden, Manilla Road e Blind Guardian, l’ascolto ideale per un defender incallito.

TRACKLIST
1.Siegfried
2.Attila the Hun
3.A Tale of Unity (Arminius)
4.Carolus Magnus (Pater Europae)
5.For Heorot (Beowulf)
6.Carved in Stone (Princes in the Tower)
7.Tryst of Destiny
8.The Relic of an Angel

LINE-UP
Kilian Osenstätter- -Drums
Lennart Hammerer – Guitars (lead)
Severin Steger – Guitars (rhythm)
Konstantin Kárpáty – Bass
Johannes Haller – Vocals

SKULLWINX – Facebook

Art X – The Redemption Of Cain

The Redemption Of Cain è un’opera bellissima e coinvolgente, a conferma del livello altissimo raggiunto dalla scena italiana che ci regala un altro lavoro di cui andare fieri.

Un’opera mastodontica quella che andiamo a presentarvi e che si può definire, a buon diritto, di proporzioni bibliche.

Infatti, in The Redemption Of Cain, è sulla vicenda di Caino e Abele che si sviluppa questa ennesima metal opera, creata in tutto e per tutto dal nostro Gabriele Bernasconi, singer degli heavy metallers Clairvoyants, un passato da tribute band degli Iron Maiden, e negli ultimi anni protagonista di un paio di ottimi album, prima dello scioglimento.
Il singer comasco non si è perso d’animo e, con l’aiuto di un nugolo di eccellenze del panorama hard & heavy mondiale, ha creato questo bellissimo lavoro che richiama chiaramente le opere degli Avantasia, ma vive di un songwriting eccelso, impreziosito da un numero impressionante di ospiti da lasciare a bocca aperta i maestri Sammet e Lucassen, e scrivendo un’altra sontuosa pagina di musica nobilmente metallica.
Andrè Matos, Roberto Tiranti, Amanda Sommerville, Zachary Stevens, Blaze Bayley, Steve Di Giorgio,Tim Aymar e Giuseppe Orlando, insieme a molti altri musicisti, fanno parte del cast di The Redemption Of Cain, sontuoso anche nell’artwork, ad opera di Eliran Kantor (Sodom, Testament, Iced Earth).
I sensi di colpa e la redenzione di Caino dopo l’omicidio perpetuato ai danni del fratello Abele, fanno da sfondo a questa opera epica, teatrale e tragica, splendidamente metallica nel suo incedere, contornata da un’aura di leggendaria epicità e che apprezzerete nel suo insieme, come nelle migliori opere musicali, pur non mancando di esaltare nei momenti più aggressivi.
Oltre alle varie interpretazioni, che vedono Tiranti nel ruolo di Abele, Matos nell’Aangelo di Dio, lo stesso Bernasconi in quello di Caino e poi la Sommerville in quella di Lilith, è Tim Aymar a strappare applausi nella velenosa Lucifer, confermando l’impegno che i vari artisti hanno messo per rendere The Redemption Of Cain qualcosa di unico.
Il sound alterna spettacolari e rocciose heavy power song ad atmosfere da rock opera, intrise di epica orchestralità in un susseguirsi di colpi di scena ed attimi dove si rasenta la perfezione interpretativa e creativa.
The First & The Second Sacrifice, con Matos e Tiranti sugli scudi, la già citata Lucifer, The Keeper Of Eden con l’ugola di Zachary Stevens a regalare brividi e la conclusiva e magnifica Eden, Finally…., dieci minuti di pura arte metallica, sono i brani che suggellano un’opera bellissima e coinvolgente, confermando il livello altissimo raggiunto dalla scena italiana e regalando un altro capolavoro di cui andare fieri.

TRACKLIST
1. Memoriae
2. Knowledge & Death
3. The First Sacrifice
4. The Second Sacrifice
5. Crime, Pain and Penance
6. Lilith
7. Lucifer
8. A Wife’s Love
9. The Keeper
10.Eden, Finally…

LINE-UP
Gabriele Bernasconi: music & lyrics, voice of Cain
Luca Princiotta: lead, rhythm and acoustic guitars
Oliver Palotai: keyboards, orchestral arrangements and FX
Steve Di Giorgio: bass
Giuseppe Orlando: drums

The Vocalists:
Blaze Bailey as Adam
Selina Lusich as Eve
Roberto Tiranti as Abel
André Matos as The Angel of God
Amanda Sommerville as Lilith
Tim Aymar as Lucifer
Lucia Emmanueli as Cain’s Wife
Zachary Stevens as The Keeper of Eden

ART X – Facebook

Hammer King – King Is Rising

Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo.

Tornano gli epici power metallers Hammer King con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore del debutto Kingdom of the Hammer King, uscito lo scorso anno.

Il quartetto continua la sua guerra a colpi di heavy power metal, tedesco fino al midollo anche se non mancano riferimenti all’heavy metal classico di Iron Maiden e Judas Priest.
L’album, registrato allo Studio Greywolf di Charles Greywolf (Powerwolf), non lascia scampo e la title track apre le ostilità a colpi di power metal epico dai chorus battaglieri, riff rocciosi ed una fierezza metallica commovente.
Ci metterei anche gli Hammerfall tra le influenze del combo, non solo per la voce di Titan Fox V, simile a Joacim Cans ed il monicker usato: il sound, pur nel suo essere teutonico di nascita, guarda anche alla famosa band svedese e porta il gruppo vicino le realtà uscite alla metà degli anni novanta più a nord, appunto Hammerfall ed in parte Nocturnal Rites.
King Is Rising continua la sua gloriosa battaglia, con le rocciose For God And The King, Battle Gorse e The Hammer Is The King, brani trascinati per il collo da ritmiche power, solos classici dalle melodie che nel genere non esiterei a definire ruffiane e chorus che, come da tradizione. portano alla mente concerti infuocati dove l’ugola si perde in urla ed orgoglio metallico, magari un po’ alticci per l’ennesimo litro di bionda.
Un album onesto, diretto e senza fronzoli, un tuffo nel metallo vecchia scuola, di madre tedesca ma con parentele rinvenibili tra la new wave of british heavy metal e il power scandinavo, consigliato ai truci true defenders tutti metallo, guerrieri e battaglie eroiche in nome del re.

TRACKLIST
1. King Is Rising
2. Last Hellriders
3. For God And The King
4. Warrior’s Reign
5. Reichshammer
6. Kingbrother
7. Battle Gorse
8. Kill The Messenger
9. The Hammer Is The King
10. Viva ‘La King
11. Battalions Of War
12. Eternal Tower Of Woe
13. Our Fathers’ Fathers (CD BONUS TRACK)

LINE-UP
Titan Fox – vocals , guitars
Gino Wilde – guitar
K.K. Basement – bass
Dolph A. Macallan – drums

HAMMER KING – Facebook