Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
TWELVE FOOT NINJA
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video di Sick, tratto dall’album Outlier.
Il video del singolo Violent Paranoia.
Il video del singolo Violent Paranoia.
Phoenix, Arizona. Quando ormai ci eravamo arresi alla vittoria sulla scena metallica americana del metalcore, ecco che come cavalieri indomiti del new groove metal, arrivano a mettere tutto ancora una volta in discussione i Murkocet, giovane band che assalta il fortino core con un sound violentissimo, moderno ma dall’attitudine new thrash, un treno in corsa che sbaraglia la concorrenza a colpi di metal estremo di una violenza disumana.
Si può essere brutali anche suonando generi più in voga, la lezione i Murkocet l’hanno imparata dagli Slipknot, con la differenza che gli spunti chiaramente death del gruppo di Des Moines nel sound del quartetto si trasformano in ventate atomiche di thrash/groove metal.
Basta poco più di mezzora e l’inferno è servito da bordate ritmiche supportate da una carica estrema debordante, ottime e finalmente valorizzate soluzioni nu metal, rese penetranti da un songwriting notevole, una produzione adeguata ed un’attitudine brutale che si evince dall’uso vario ed a tratti animalesco della voce da parte del singer Richie Jano.
L’album parte con l’intro The Definition ed il massacro viene perpetrato dal gruppo fino a metà album, diviso in due dall’acustica Tranquil, un minuto e mezzo di accordi che ci preparano alla seconda parte, un’altra overdose di violenza che ha nel new thrash metal di California Smile l’ apice distruttivo, in Repo Man la furia iconoclasta e nella conclusiva The Beginning la potenza devastante del groove.
Nella prima parte ci avevano pensato Strip Club Massacre e Dead World a rendere la vita dei nostri padiglioni auricolari un inferno, confermando l’alta qualità della musica prodotta dai Murkocet, che si confermano una notevole macchina da guerra.
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica: non è poco.
TRACKLIST
1.The Definition
2.Strip Club Massacre
3.Dust Cloud
4.Tombstones
5.Dead World
6.Tranquil
7.California Smile
8.Repo Man
9.Overdose
10.Lights Out
11.The Beginning
LINE-UP
Brandon Raeburn – Bass
Mike Mays – Drums
Nate Garrett – Guitars
Richie Jano – Vocals
VOTO
7.80
URL Facebook
http://www.facebook.com/murkocetmetal/
URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Sarà moderno, neanche troppo originale, ma il sound di Digging Mercy’s Grave è pura violenza in musica, non perdetelo.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.
Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.
Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.
TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening
LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums
Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”
Progressive death metal che si contorna di ritornelli melodici che ricordano a più riprese quelli in uso nell’abusato metalcore, anche se qui non siamo negli Stati Uniti ma in Scandinavia, ed il sound dei Damnation Plan si rivolge ai gusti degli amanti del death metal melodico.
Progressive death metal che si contorna di ritornelli melodici che ricordano a più riprese quelli in uso nell’abusato metalcore, anche se qui non siamo negli Stati Uniti ma in Scandinavia, ed il sound dei Damnation Plan si rivolge ai gusti degli amanti del death metal melodico.
In breve la descrizione di questo lavoro potrebbe concludersi così, ma fortunatamente Reality Illusion non si ferma alle apparenze e risulta nel suo complesso un buon lavoro.
Partiamo dal primo ed importantissimo tassello: il mixing dell’album è stato affidato al sapiente Dan Swanö, una garanzia di qualità per i fans del genere, l’album non si perde in facili ed abusate atmosfere alla Opeth (tanto per levare ogni dubbio) ma è caricato a pallettoni estremi con la scritta At The Gates in bella evidenza sul calcio della mitragliatrice, mentre l’uso metodico della doppia voce (scream e pulita) lascia come detto un sapore amaro di metalcore.
Il sound di brani come Beyond These Walls e Rules Of Truth è un death melodico dalle ritmiche frenetiche, tra At The Gates e Soilwork, le sfumature progressive si fanno largo tra chorus moderni, l’alternanza tra lo scream e le cleans ispira note che arrivano dalle coste statunitensi più che perse nelle nostalgiche valli innevate della Finlandia, creando un sound perennemente in bilico tra le due tradizioni che ispirano la musica del gruppo.
The Empowerment e Maze Of Despair, oltre ad essere il cuore dell’album sono le prime avvisaglie di una sterzata verso il death melodico progressivo e qui i Damnation Plan inseriscono una marcia in più, confermato dall’epico incedere di Iron Curtain Falls, mentre la title track torna a parlare americano e manda Reality Illusion verso la conclusione viaggiando su strade già percorse con le prime tracce.
Per la cronaca Don’t Talk To Strangers, cover dello storico brano di Dio, conclude un album che vive dei contrasti tra le due correnti principali che ispirano il sound del gruppo, se sia pregio o difetto giudicate voi, a mio parere una decisa sterzata verso il death metal progressivo sarebbe più consono alla musica dei Damnation Plan.
TRACKLIST
1. Intro
2. Beyond These Walls
3. Rulers Of Truth
4. Rise Of The Messenger
5. Blinded Faith
6. The Empowerment
7. Maze Of Despair
8. Iron Curtain Falls
9. Reality Illusion
10. A Chapter In Greed
11. The Final Destination
12. Don’t Talk To Strangers (Dio Cover)
LINE-UP
Tommy Tuovinen – Vocals
Asim Searah – Vocals
Kalle Niininen – Guitars
Annti Lauri – Guitars
Jukka Vehkamaa – Bass
Jarkko Lunnas – Drums
Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi.
Il metalcore potrà essere un genere con gruppi con poche idee, o forse in fase calante, ma ascoltando il nuovo disco dei Cry Excess non lo si direbbe proprio.
Questo gruppo di Torino confezione un disco molto potente, ben prodotto e con le cose giuste al posto giusto. Vision possiede un groove possente e marcato, poiché i Cry Excess sanno usare molti mezzi per arrivare allo scopo. Cattiveria, melodia e anche il sapiente uso di inserti elettronici al momento giusto, senza sbracare come altri gruppi. Tutto è molto naturale e si svolge senza forzature, perché il gruppo mette a proprio agio l’ascoltatore che qui troverà ciò che vuole. Questo è il terzo disco dei Cry Excess, che sono un gruppo italiano che gira molto, avendo suonato con Korn, Papa Roach, Walls Of Jericho e molti altri. Ciò lo si comprende bene ascoltandoli, Vision dà la perfetta idea di cosa siano, uno dei gruppi italiani più internazionali soprattutto nella maniera di fare le cose, senza provincialismi, in un genere molto affollato. Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi. Ennesimo gran disco della Bleeding Nose che si conferma etichetta di riferimento per un certo tipo di metal moderno. Non pensate al metalcore, pensate ai Cry Excess che è meglio.
TRACKLIST
Vocals : Jaxon V.
Guitar : Mark Agostini
Guitar : Andrew V.
Drum/vocals : Brian N.
Bass : Angie S.
LINE-UP
Jaxon V. : Vocals
Mark Agostini : Guitar
Andrew V. : Guitar
Brian N. : Drums, Vocals
Angie S. : Bass
E’ perfetto il connubio tra musica e testi di questo lavoro che, fin dal titolo, rievoca l’opera più nota di Sartre, e la caratteristica impronta depressive viene per un verso esasperata mentre, dall’altro, si sublima tramite splendide aperture melodiche di matrice post metal, senza tralasciare quell’aura funesta derivante dalle pulsioni doom.
Se mi chiedessero oggi quale sia il migliore tra tutti i progetti musicali che vedono coinvolto il poliedrico Déhà avrei non poche difficoltà nel rispondere, visto che almeno quattro o cinque di questi esprimono livelli qualitativi spesso irraggiungibili per molti.
Imber Luminis è, tra tutti, anche uno di quelli che riscuotono più attenzione da parte delle label maggiormente intraprendenti: in questo caso è la Naturmacht di Robert Brockmann ad assicurarsi i servizi del geniale musicista belga.
Nausea rappresenta il terzo full length per il marchio Imber Luminis in una discografia che annovera anche diverse uscite dal mjnutaggio ridotto, cime il precedente Veiled, dove Déhà si era avvalso dell’aiuto alla voce del suo storico sodale Daniel Neagoe (Eye Of Solitude, Clouds), mentre qui invece torna ad operare in perfetta solitudine, salvo contributi a livello lirico tra cui quello dello stesso musicista rumeno, di Benjamin Schmälzlein (Todesstoss) e Pim Van Dijk (Façade).
E’ perfetto il connubio tra musica e testi di questo lavoro che, fin dal titolo, rievoca l’opera più nota di Sartre, e la caratteristica impronta depressive viene per un verso esasperata mentre, dall’altro, si sublima tramite splendide aperture melodiche di matrice post metal, senza tralasciare quell’aura funesta derivante dalle pulsioni doom.
Ne scaturisce così l’opera capace di lasciare un segno indelebile, nella quale il male di vivere e il dolore si fanno quasi fisici senza però che i suoni si spingano su derive eccessivamente estreme; in qualche modo, infatti, Nausea è l’opera più accessibile tra quelle uscite a nome Imber Luminis, specialmente nelle sue fasi finali più orientate al post metal (Nothing Matters e ancor più I Resign).
Nausea si apre subito con l’irresitibile crescendo melodico di Starting with the End, il brano che senza mediazioni spalanca le porte che conducono alle voragini esistenziali scavate in un animo dalla sensibilità superiore: una traccia che porta a scuola decenni di depressive black, laddove lo screaming di Déhà è disperato ma non sgraziato, sposandosi alla perfezione con le atmosfere dolenti esaltate da una produzione che ne agevola del tutto l’assimilazione.
Ma il prodigio avviene, forse, proprio perché il genere di fatto viene trasfigurato dallo sterminato background del musicista belga, e chi ne conosce bene l’instancabile operato potrà rinvenire frammenti che riportano a ciascuno dei suoi progetti, il tutto asservito alla creazione di un monumento musicale eretto alla presa di consapevolezza della futilità dell’esistenza.
L’album scorre senza interruzioni, visto che ogni brano risulta legato all’altro e questo aumenta, se possibile, il coinvolgimento dell’ascoltatore, che in questi cinquanta minuti viene realmente immerso nell’ideale trasposizione musicale del pensiero filosofico di Sartre.
Il lavoro è un susseguirsi di momenti in cui il parossismo del black si fonde con linee melodiche struggenti (magnifici i dieci minuti di The Withering/Meningless) che rendono al perfezione il concetto di “melancolia” (non a caso questo era titolo scelto inizialmente da Sartre per il suo romanzo).
Immergersi nell’opera di Déhà è doveroso e necessario per chiunque ascolti generi che sono all’antitesi di tutto quanto venga definito divertente (nella sua accezione più futile): la costante ricerca di note profonde ed emozionanti qui trova il suoi naturale approdo, fornendo il giusto nutrimento alle anime inquiete che si aggirano fameliche tra i meandri dell’underground metal alla ricerca di qualcosa in grado di saziarle.
Del resto, questo è il tipo di musica che può esser apprezzato solo da chi possiede una profondità che, talvolta, rende la vita più difficile, spingendo a porsi quelle domande alle quali spesso non c’è una risposta o che, qualora ci sia, forse sarebbe stato meglio non conoscere.
La Nausea è l’Esistenza che si svela – e non è bella a vedersi, l’Esistenza …
Tracklist:
1. Starting with the End
2. The ‘I’ has faded
3. Introspection
4. Mensch – Stern – Asche
5. We are not Free
6. The Withering and the Wake
7. Meaninglessness
8. Migraine
9. Nothing Matters
10. I Resign
Line-up:
D – All instruments, all vocals