Lonely Robot – Under Stars

Under Stars è il perfetto epilogo del lungo viaggio intrapreso dall’astronauta John Mitchell, un album piacevole per chi dai suoni progressivi pretende eleganza e songwriting raffinato.

Ed eccoci arrivati al capitolo finale della trilogia dei Lonely Robot, creatura del polistrumentista John Mitchell (Kino, Frost*, Arena, It Bites), che racconta il viaggio fantastico e surreale di un’astronauta nel tempo e nello spazio.

Si tratta di tre album di progressive rock che viaggiano, come il personaggio della saga, nella storia del genere, dal primo capitolo licenziato nel 2015 (Please Come Home), passando per il precedente album uscito un paio di anni fa (The Big Dream), ed arrivando a questa nuova fatica intitolata Under Stars che vede, oltre al musicista e songwriter inglese (voce, chitarra, tastiere e basso), i fidi Craig Blundell (batteria) e Steve Vantsis (basso).
Under Stars, anche a livello musicale, non si discosta molto dai suoi predecessori, i Lonely Robot suonano progressive rock ispirato al passato ma con molta attenzione per i suoni odierni, passando ovviamente per il new prog inglese.
Terminal Earth introduce l’ascoltatore nel mondo esplorato dal protagonista, mentre Ancient Ascendant entra nel vivo dell’opera che, se non registra novità nel sound, riesce a convincere per la buona qualità dei brani proposti.
La voce di Mitchell è sempre elegante e la musica l’accompagna in brani in cui gli spunti d’interesse non mancano, tra richiami atmosferici ed elettronici, progressioni mai intricate e moderne sfumature post rock.
La title track, Icarus, la spaziale The Signal, When Gravity Falls si specchiano nel variegato mondo progressivo che ha ispirato Mitchell, tra Pink Floyd, Tangerine Dream, Arena, Genesis e i nuovi eroi che percorrono le strade del genere nel nuovo millennio.
Under Stars è il perfetto epilogo del lungo viaggio intrapreso dall’astronauta John Mitchell, un album piacevole per chi dai suoni progressivi pretende eleganza e songwriting raffinato.

Tracklist
1. Terminal Earth
2. Ancient Ascendant
3. Icarus
4. Under Stars
5. Authorship Of Our Lives
6. The Signal
7. The Only Time I Don’t Belong Is Now
8. When Gravity Fails
9. How Bright Is The Sun?
10. Inside This Machine
11. An Ending

Line-up
John Mitchell – vocals, guitar, keyboards, bass
Craig Blundell – drums
Steve Vantsis – bass

LONELY ROBOT – Facebook

Paice Ashton Lord – Malice in Wonderland (Reissue)

La presenza delle otto tracce inedite non può che arricchire di grande musica blues/soul questa preziosa riedizione, valorizzando ulteriormente un’opera imperdibile per i fans dei musicisti coinvolti e di tutti gli amanti del rock a 360°.

Questo bellissimo e rarissimo lavoro intitolato Malice In Wonderland a firma Paice Ashton Lord uscì originariamente nel 1977, quando il decennio d’oro dell’hard rock e del progressive si stava avviando verso un tramonto che avrebbe portato ad un’alba di rivoluzione musicale, con il successo del punk e la nascita dell’heavy metal, mentre i suoi protagonisti, ancora affamati di note davano vita ad progetti più o meno famosi ma dal comune denominatore della qualità.

Ian Paice e Jon Lord, dopo aver lasciato i Deep Purple nel 1976, chiamarono il cantante e tastierista Tony Ashton (Ashton, Gardner and Dyke e Family) e formarono i Paice Ashton Lord, raggiunti per le registrazioni da Bernie Marsden, in seguito chitarrista e compagno dei due nei primi Whitesnake, e Paul Martinez, negli anni ottanta fido bassista di Robert Plant.
La riedizione di Malice In Wonderland, curata dalla earMUSIC prevede, oltre all’intero album del 1977 comprende gli otto brani che avrebbero dovuto comporre la track list del secondo lavoro mai uscito, trasformando questa riedizione in una vera chicca per gli appassionati, anche grazie all’introvabilità della versione originale.
Chiariamo subito che qui di suoni purpleiani non ce ne sono, perché i musicisti invece optarono per un’alchimia di generi che lasciavano fuori dai solchi delle varie Ghost Story, Arabella (Oh Tell Me), Sneaky Private Lee, o dal blues di I’m Gonna Stop Drinking Again, l’hard rock tipico di quegli anni per ammantarli di note southern, funky, soul e blues rock.
La perizia tecnica di questa manciata di maestri delle sette note contribuisce alla riuscita di un lavoro che riporta alle origini del rock, con brani eleganti e sanguigni, magari lontano dai cliché hard rock di quei tempi e più vicino al sound di fine anni 60′.
La presenza delle otto tracce inedite non può che arricchire di grande musica blues/soul questa preziosa riedizione già dalla prima splendida Steamroller Blues, mantenendo un legame inossidabile con i brani precedenti e regalando ancora grande musica con Nasty Clavinet, Dance Coming e la conclusiva Ballad Of Mr.Giver, a valorizzare ulteriormente un’opera imperdibile per i fans dei musicisti coinvolti e di tutti gli amanti del rock a 360°.

Tracklist
1. Ghost Story
2. Remember the Good Times
3. Arabella (Oh Tell Me)
4. Silas & Jerome
5. Dance with Me Baby
6. On the Road Again, Again
7. Sneaky Private Lee
8. I’m Gonna Stop Drinking Again
9. Malice in Wonderland

Bonus tracks
10. Steamroller Blues
11. Nasty Clavinet
12. Black and White
13. Moonburn
14. Dance Coming
15. Goodbye Hello LA
16. Untitled Two
17. Ballad of Mr. Giver

Line-up
Tony Ashton – Vocals, Keyboards
Bernie Marsden – Guitars
Jon Lord – Keyboards, Synth
Paul Martinez – Bass
Ian Paice – Drums

Sandness – Untamed

I Sandness piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.

Al terzo album in undici anni i Sandness fanno centro con Untamed, nuovo spumeggiante lavoro che aggiusta il tiro, mira al cuore dei melodic rockers e non fa prigionieri.

Rispetto al precedente Higher & Higher, uscito tre anni fa, il sound del trio risulta infatti più diretto e melodico, animato da tonnellate di attitudine sleazy, chorus che entrano in testa al primo colpo e riff che, se come da tradizione rimangono legati all’heavy metal classico, sono benedetti da un songwriting ispirato.
Mark Denkley (basso e voce), Metyou ToMeatyou (batteria e cori) e Robby Luckets (chitarra, voce e cori) piazzano undici irresistibili hit che faranno la gioia dei fans del metal anni ottanta, in un contesto assolutamente moderno, facendo sì che Untamed nella sua natura old school risulti comunque un’opera targata 2019.
D’altronde il genere, tornato a far parlare di sé in questi ultimi tempi dopo il successo di The Dirt, versione cinematografica della biografia dei Mötley Crüe, nell’underground non ha mai smesso di far divertire i propri fans. con il nostro paese a dare il proprio contributo di gruppi e album di spessore.
Con Untamed i Sandness piantano radici sul podio di queste sonorità, grazie ad una raccolta di brani freschi, melodici e con l’anima rock’n’roll che esce prepotentemente dai solchi del singolo Tyger Bite, London, Never Givin’Up, l’irresistibile Tell Me Tell Me e tutte le altre lascive ed irriverenti tracce rivestite di spandex attillatissimi e animate da una sola parola d’ordine: divertimento.
Passi da gigante dunque per il trio nostrano con questo nuovo lavoro, consigliato senza riserve a tutti gli amanti dell’hard & heavy e delle sonorità sleazy.

Tracklist
01. Life’s a Thrill
02. Tyger Bite
03. London
04. Never Givin’ Up
05. Easy
06. Pyro
07. Radio Show
08. Tell Me Tell Me
09. Only The Youth
10. The Deepest Side Of Me
11. Until It’s Over

Line-up
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Guitars, lead and backing vocals

SANDNESS – Facebook

Syrence – Freedom In Fire

Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive, e un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.

Originari di Stoccarda ed attivi da oltre dieci anni, arrivano al debutto i rockers Syrence, quintetto avaro di informazioni e dedito ad un hard & heavy melodico, assolutamente vecchia scuola ed alquanto scolastico.

Licenziato dalla Fastball Music, Freedom In Fire è composto da una dozzina di brani che alternano mid tempo heavy, hard rock di matrice tedesca e qualche graffiante puntata metallica.
Il problema di Freedom In Fire è l’assoluta mancanza di appeal: i brani non esplodono, causa una produzione che segue le coordinate old school dell’album, e il cantante Johnny Vox, dal tono altamente melodico, risulta troppo monocorde e poco adatto ai brani più heavy metal oriented come Fozzy’s Song, un crescendo epico che (come già accennato) fatica ad imporsi mancando di quella scintilla che trasforma il compitino in un buon brano.
Qualche valido spunto a livello strumentale, specialmente nei brani in cui le chitarre si impongono con ritmiche incisive (Living On The Run, From Ashes To The Sky), un look ed un’attitudine alla Judas Priest sono ciò che resta di un lavoro che rimarrà confinato nell’underground confuso tra la montagna di uscite che ogni mese affolla il mercato dell’hard & heavy.

Tracklist
1. Freedom In Fire
2. Living On The Run
3. Your War
4. Fozzy´s Song
5. Addicted
6. Symphony
7. From Ashes To The Sky
8. Evil Force
9. Red Gold
10. Wild Time
11. Kings Of Speed
12. Seven Oaks

Line-up
Johnny Vox – Lead Vocals
Fritz Jolas – Bass
Oliver Schlosser – Guitar
Julian Barkholz – Guitar
Arndt Streich – Drums

SYRENCE – Facebook

Axel Rudi Pell – XXX Anniversary Live

Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow o almeno della loro anima più metal.

Per i fans dell’hard & heavy classico i trent’anni di carriera di un personaggio come Axel Rudi Pell sono una ricorrenza sicuramente da festeggiare, per l’enorme contributo che lo storico chitarrista tedesco ha dato al genere fatto di una discografia immensa, assolutamente coerente con un sound diventato iconico.

E allora ecco servito il live, l’ennesima prova dal vivo di un gruppo che, sotto il nome del chitarrista, vede oggi un gruppo di musicisti dalle qualità altissime come il cantante Johnny Gioeli, una delle voci più belle e sottovalutate della scena classica, Ferdy Doernberg alle tastiere, Volker Krawczak al basso e quella piovra di Bobby Rondinelli dietro le pelli.
Registrato a Bochum e Budapest di recente, XXX Anniversary Live risulta il miglior modo per festeggiare un grande interprete dell’hard & heavy e la sua band, erede dei Rainbow, o almeno della loro anima più metal.
Ovviamente attraversiamo gran parte della carriera di Axel Rudi Pell, travolti da brani immortali, atmosfere epiche ed evocative, grandi melodie e come sempre una prestazione sontuosa del singer, mattatore tanto quanto la chitarra del leader.
Licenziato in doppio cd, l’album è assolutamente dedicato ai fans del gruppo, deliziati da una serie di brani storici presi da altrettanti album come Between The Walls, Black Moon Pyramid, Oceans Of Time, The Masquerade Ball e Mystica, tanto per citarne alcuni.
Poco altro da aggiungere se non che Axel Rudi Pell rimane ancora uno dei maggiori interpreti di queste storiche sonorità, pronto per il prossimo anno ad uscire con un nuovo lavoro, il diciannovesimo in carriera….e scusate se è poco.

Tracklist
CD1
01. The Medieval Overture (Intro)
02. The Wild And The Young
03. Wildest Dreams
04. Fool Fool
05. Oceans Of Time
06. Only The Strong Will Survive
07. Mystica (incl. Drum Solo)
08. Long Live Rock
CD2
01. Game Of Sins / Tower Of Babylon (incl. Keyboard Solo)
02. The Line
03. Warrior
04. Edge Of The World (incl. Band Introduction)
05. Truth And Lies
06. Carousel
07. The Masquerade Ball / Casbah
08. Rock The Nation

Line-up
Johnny Gioeli – Vocals
Axel Rudi Pell – Guitars
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Kvinna – This is Türborock

Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze.

Dalla Germania arriva un disco che si aspettava da anni, il cui spirito è perfettamente racchiuso nel titolo: This Is Turborock.

Il suono è dalle parti degli Zeke, dei Glucifer e degli Hellacopters, anche se il tutto è rielaborato in maniera molto personale. Il debutto dei tedeschi Kvinna è un qualcosa che mancava da tempo, ovvero un bel disco di rock contaminato dal punk, veloce e con venature stoner, e c’è anche una bella dose di affascinante pop. I Kvinna non sono un gruppo comune e lo dimostrano fin dalle prime note. Il loro suono non è un attacco sonoro alla Zeke, anche se riprende qualcosa del gruppo americano, così come estrae elementi dal suono degli Hellacopters senza però attenersi fedelmente. Il trio è molto ben bilanciato e il disco è una continua scoperta, suona al contempo molto americano ma anche europeo, con melodie inusuali e molto piacevoli. I Kvinna sono una di quelle band che sa stupire sempre, con la fondamentale caratteristica di non essere mai ovvia né scontata. Tutto l’album si fa ascoltare molto volentieri e anzi, si preme nuovamente play molto volentieri per rivivere il tutto. La chitarra compie un gran lavoro, la voce è molto particolare ed esce dai canoni di questo genere ibrido, mentre la sezione ritmica è assolutamente adeguata. Ascoltando i Kvinna non si compie una mera operazione nostalgica, ma si entra nel suono molto caldo di un gruppo che fa vedere come si può fare ottimo rock punk veloce e dalle diverse influenze. Il trio ha assorbito i molti e disparati ascolti e ne ha saputo trarre un buon disco, piacevole e con un certa profondità, senza essere fuori tempo massimo: anzi, può rivitalizzare un sottogenere molto piacevole, ma che negli ultimi anni ha mostrato un certo fiato corto. Non alzate il piede dall’acceleratore.

Tracklist
1.Desert Wytch
2.War Machine
3.Nitefighter
4.Flat Tyre
5.Space Vampyres
6.She-Wolves on Fyre
7.The Angry 45
8.Demon Road
9.Gammal Kvinna
10.Full Moon Ryders

Line-up
Thünderwolf
Grïzzly
Spÿder

KVINNA – Facebook

X-PLICIT – Like A Snake

Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.

Nel panorama underground rock/metal tricolore i suoni hard rock di matrice street/sleaze hanno sempre regalato ottimi lavori ed altrettante band, supportate da varie etichette tra cui ultimamente la coppia Sneakout Records e Burning Minds Music Group, facenti parte della famiglia Atomic Stuff.

Sempre attente alle nuove proposte riguardanti il genere che più di tutti ha marchiato a fuoco gli anni ottanta, e tornato alla ribalta con l’uscita di The Dirt, il biopic sui Motley Crüe, queste label si prendono cura degli hard rockers X-PLICIT, quartetto fondato dal chitarrista Andrea Lanza, già agli onori della cronaca rock con il progetto Skill In Veins, raggiunto da Sa Talarico (Aeternal Seprium) al basso, Giorgio Annoni (Longobardeath, Homerun) alla batteria e dal cantante Simone Zuccarini (Generation On Dope, Razzle Dazzle, Norimberga, Torque, The Wetdogs).
Like A Snake è composto da una decina di esplosioni sleazy/street rock metal che vi faranno saltare come grilli, un rock’n’roll che viaggia spedito sul Sunset Boulevard illuminato come ai bei tempi: trascinante, melodico e sfacciato, insomma, una vera goduria per i tanti fans di queste sonorità.
I musicisti coinvolti, tutti dal background vario, fanno squadra e compatti come un bolide rock’n’roll ci martellano con una potenza di fuoco niente male, e bisogna arrivare ad Angel, brano numero otto, per tirare il fiato con una ballad di matrice Extreme.
Il resto del disco è una cascata di travolgente hard rock, con tutti i crismi per non sfigurare sul palco di qualche locale nella città degli angeli: fin dalle prime battute Lanza risulta una macchina spara riff micidiale, supportato da un sound che, rimanendo ad alta tensione non lesina melodie irresistibili, tra il party scatenato delle varie Hell Is Open, The Great Show, Shake Up You Life e Free.
Parlare di influenze è superfluo, basti sapere che premendo il tasto play come d’incanto si riaccenderanno le luci del Sunset e dei suoi selvaggi party notturni.

Tracklist
01. Hell Is Open
02. The Great Show
03. You Don’t Have To Be Afraid
04. Shake Up Your Life
05. Deep Of My Soul
06. I’m Original
07. Free
08. Angel
09. Don’t Close This Bar Tonight
10. Like A Snake

Line-up
Simone Zuccarini – Vocals
Andrea Lanza – Guitars
Sa Talarico – Bass
Giorgio Annoni – Drums

X-PLICIT – Facebook

Sidechain – Sidechain

In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.

Altro nome di cui risentiremo parlare in futuro è quello dei marchigiani Sidechain.

La band, dopo gli iniziali aggiustamenti nella line up, trova l’assetto definitivo nel quartetto composto da Simone Tedeschi alla voce, Matteo Nardinocchi alla chitarra, Mario Bianchini al basso e Danilo Innocenti alla batteria.
L’ep omonimo licenziato tramite la Volcano Records presenta cinque brani molto interessanti, poco inclini a facili melodie ed incentrati sulla parte più metallica e progressiva del rock alternativo degli anni novanta.
Chi si aspetta una manciata di canzoni dal ritornello carino, magari dal taglio post grunge ed in linea con il sound radiofonico alla Nickelback, verrà invece travolto da un sound potente, che non manca di pesanti note stoner e valorizzato da un grande lavoro ritmico dai rimandi progressivi.
In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che il rock ha regalato a cavallo dei due secoli, che il gruppo marchigiano fa suo e con sagacia lo amalgama in una ricetta musicale vincente e matura.
Si parte dal metal al moderno rock progressivo, attraverso l’alternative rock tra lo spartito dell’opener My Master, di Horrible Tentacle e soprattutto della conclusiva Flame, brano simbolo del sound Sidechain, tra Tool, Alice In Chains ed Alter Bridge.
Cinque ottimi brani (l’ep si completa con Wars Today e Last Redemption Of My Soul) che ci presentano una band avviata a dire la sua nella scena underground rock odierna.

Tracklist
1. My Master
2. Horrible Tentacle
3. Wars Today
4. Last Redemption of My Soul
5. Flame

Line-up
Simone Tedeschi – Vocals
Matteo Nardinocchi – Drums
Mauro Bianchini – Bass
Danilo Innocenti – Drums

SIDECHAIN – Facebook

Brutofuzz – Every Drop

A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare.

Un trio di ragazzi come noi non più giovanissimi, che fanno un ottimo noise rock distorto e dalla notevole creatività, con ogni canzone che racchiude elementi notevoli.

Questo ep porta con sé una storia particolare, dato che originariamente era nato come lavoro strumentale a nome Sun@9 e intitolato Italian Breakfast, e che un’etichetta americana di nome M.W.A.I.A. voleva pubblicare a nome Brutofuzz. Ciò diede l’occasione al gruppo di riarrangiare i pezzi per metterci la voce, e bisogna dire che il risultato è molto buono, e pure che gli americani ci avevano visto lungo. Il gruppo era rimasto inattivo dal 2014 al 2017 per gravi problemi di salute di uno dei ragazzi, problema fortunatamente risolto, e torna con questo ep che gli garantisce un bel posto al sole. Ci sono tante cose qui dentro, dal noise allo stoner, a partenze alla Rage Against The Machine quando meno te lo aspetti e tanto altro, ma soprattutto una maniera di fare musica mai ovvia e scontata. Si sente molto chiaro lo spirito di Les Claypool, ovvero tecnica musicale, lavoro in saletta e suonare senza escludere un labor limae successivo. Every Drop è un flusso di coscienza musicale, un correre e saltare senza mai fermarsi, rinnovando una tradizione italiana del tutto particolare, che si potrebbe riassumere con free rock molto rumoroso. A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare. Purtroppo sono stati tre anni fuori dai giochi, ma questo ep servirà a riportarli nella mischia perché tirano colpi non da poco. Prima della loro pausa forzata (che denota anche dei valori perché piuttosto si ferma tutto se un membro della famiglia ha dei problemi) si stavano creando il loro meritato e giusto spazio sia su disco che dal vivo, ma ora sono tornati meglio di prima.

Tracklist
1. Toy Man
2. Celebrate
3. Orgasmic Cosmo
4. Mask Of Hate
5. Burning On My Skin

Line-up
Luca “barbadrum” Stocco – batteria
Federico “brutobass” Leo – basso
Federico “fuzzfaith” Lorigiola – chitarra

BRUTOFUZZ – Facebook

Bad Religion – Age Of Unreason

Ciò che rimane dipende da voi, sicuramente Age Of Unreason è un buon disco e alla fine questa è la cosa più importante.

Tornano i Bad Religion, gruppo capostipite del punk rock americano che non conosce congedo permanente.

Questo loro nuovo lavoro è il numero diciassette e loro non hanno intenzione di fermarsi. Il disco è molto ben prodotto e mostra quell’incontro tra aggressività e melodia che ha sempre contraddistinto il gruppo californiano. I Bad Religion con Age Of Unreason dimostrano di poter dare ancora tantissimo, ma pongono anche un problema non da poco, anzi una serie di problemi. Ci sono tante domande che vengono a galla durante l’ascolto di questo buon disco, una delle quali è: come mai non esiste un gruppo punk rock successivo ai Bad Religion che abbia lo stesso carisma ed un impatto pressoché simile? Fare punk a cinquanta anni ha senso? Dopo di loro il nulla?
In tutte queste domande è sottintesa la più grande, ovvero cosa sia il punk rock o melodic hardcore. Un genere nato per scalciare che è presto diventato una zona di comfort per molta gente che cerca una ribellione molto semplice e sonora. Forse Age Of Unreason è un disco che diventerà un classico per ragazzi di quarant’anni invidiosi di quando andavano in skate fumando bong. L’album è buono e funziona molto bene, ma se lo prendiamo per quello che è non se ne vede il contorno, che è molto importante. Pochi gruppi attuali suonano come i Bad Religion, che hanno talento e naturalezza, ma che forse possiedono ancora ciò che manca a tanta gente che suona il loro stesso genere: l’incazzatura. Ai Bad Religion rode ancora il culo, Trump o non Trump, perché spiace dirlo ma il presidente americano è un toccasana per molti gruppi e solisti bolliti che lo tirano in mezzo per vendere di più, in quanto fa figo e ci si ritrova dalla parte giusta se lo si insulta. Invece il problema è il capitalismo e lo stato stesso, ma questa è un’altra storia. Ciò che rimane dipende da voi, sicuramente Age Of Unreason è un buon disco e alla fine questa è la cosa più importante.

Tracklist
1. Chaos from Within
2. My Sanity
3. Do the Paranoid Style
4. The Approach
5. Lose Your Head
6. End of History
7. Age of Unreason
8. Candidate
9. Faces of Grief
10. Old Regime
11. Big Black Dog
12. Downfall
13. Since Now
14. What Tomorrow Brings

Line-up
Greg Graffin – vocals
Brett Gurewitz – guitar, background vocals
Jay Bentley – bass, background vocals
Brian Baker – guitar
Jamie Miller – drums
Mike Dimkich – guitar

BAD RELIGION – Facebook

Helligators – Hell III

Hell III conferma gli Helligators come una delle migliori realtà in un genere che è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.

Quattro anni dopo lo spesso e potente Road Roller Machine, tornano i rockers romani Helligators con il loro terzo album intitolato Hell III, sempre sotto l’ala della Sliptrick Records, un altro muro sonoro di groove, hard rock, southern metal pesante come un macigno, grasso di watt e devastate come l’impatto di un asteroide sulla terra.

In questi ultimi quattro anni la band non si è certo fermata, tra singoli, video, tributi, ed un ep, licenziato due anni (Back To Life) in cui venivano presentati due brani inediti (Nomad e Servant No More), ed intanto si andavano a formare i nuovi brani che compongono la tracklist di questo nuovo assalto sonoro marchiato Helligators.
Hell III conferma il gruppo come una delle migliori realtà in un genere che, come affermano i protagonisti, è rock’n’roll duro e puro, magari potenziato solo un poco da tonnellate di riff dal groove fenomenale ed attraversato da un’attitudine southern/blues metal da far impallidire una buona fetta di realtà d’oltreoceano.
Con queste premesse Hell III non può che entrare tra gli ascolti abituali come un treno impazzito in una stazione ferroviaria nel periodo vacanziero, una valanga di rock’n’roll che dall’opener Rebellion non lascia tracce di resti al suo passaggio.
Le prime tre tracce, la già citata Rebellion, Here To Stay e Bleeding rappresentano un inizio formidabile per impatto e appeal; la semi ballad Where I Belong, che tanto sa di Black Label Society, concede pochi minuti per riprendere le forze prima che l’album riparta ancora più deciso e possente con le due parti di Confession, Until I Feel No More e la conclusiva Pedal To The Metal.
Con l’ingresso nel raggio d’azione di Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Down e Pantera, le linee guida del sound degli Helligators si sono leggermente spostate, abbandonando quel poco di doom classico che aveva caratterizzato qualche momento del precedente lavoro, ma Hell III rimane decisamente un gran bel sentire.

Tracklist
01. Rebellion
02. Here To Stay
03. Bleeding
04. Where I Belong
05. Born Again
06. The Prison (Confession pt.1)
07. Gone (Confession pt.2)
08. Until I Feel No More
09. Bassthard Session III
10. Even From The Grave
11. Pedal To The Metal

Line-up
Simone “Dude” – Lead Vocals
Mik “El Santo” – Guitar & Backing Vocals
Alex – Drums
Kamo – Lead Guitar & Backing Vocals
Pinna “Yeti” – Bas

HELLIGATORS – Facebook

Clouds Taste Satanic – Evil Eye

Evil Eye è molto vicino ad essere una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione, per un risultato al di fuori del comune.

I Clouds Taste Satanic sono uno dei migliori gruppi stoner psych in giro, non hanno mai sbagliato una canzone e con questo disco sanciscono la loro netta superiorità musicale.

Riff oceanici di sangue infetto travolgono comitive di non morti che partono per una crociata con direzione l’inferno. Questi newyorchesi hanno un suono unico che si sviluppa nei meandri di canzoni lunghe alle quali non si può resistere. Per questo ultimo lavoro, che sarà come annunciato il primo dei due loro dischi che usciranno nel 2019, hanno confezionato due canzoni di venti minuti circa l’una, una per ogni lato del vinile, per una magia nera che non lascerà scampo. Ogni riff ha una vita a sé stante, ed il gruppo trova sempre una soluzione sonora, uno svolgimento di un passaggio altresì difficile con naturalezza e gran classe. Scrivere di musica non è facile, e se si trattano i Clouds Taste Satanic è ancora più difficile, perché su Evil Eye ci si potrebbe scrivere un libro. Questo è un disco che contiene dolore, morte, estasi e tanti viaggi, ha un suo peso corporeo e fisico ma al contempo fa volare lontano, facendo dimenticare tutto ciò che ci sta intorno. Musicalmente è qualcosa vicino ad una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione per un risultato al di fuori del comune. Non è difficile capire perché i Clouds Taste Satanic godano di una grandissima reputazione underground, sono uno di quei gruppi che compiono un’evoluzione continua e di alta qualità proponendo un qualcosa di unico ed originale. Fare due pezzi di oltre venti minuti con dentro mille mondi, tenendo sempre alta la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore può riuscire a pochi, e si tratta di musica pura, senza parole. Già dai primi riff di Evil Eye veniamo portati in una dimensione molto diversa dalla nostra, dove possiamo aspettarci di tutto, cosa che infatti accade. Evil Eye è uscito il 30 aprile, la notte di Valpurga, data di inizio dell’estate esoterica e cara ai satanisti. E non ci potrebbe essere colonna sonora migliore di questa. Il prossimo disco sarà fuori per Halloween 2019.

Tracklist
1.Evil Eye
2.Pagan Worship

Line-up
Steve Scavuzzo
Sean Bay
Greg Acampora
Brian Bauhs

CLOUDS TASTE SATANIC – Facebook

Good Moaning – The Roost

La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro.

Album di esordio per i baresi Good Moaning che fanno un bellissimo dream pop a tinte psichedeliche, molto intimo e delicato.

The Roost è un disco che non lascia indifferenti, innanzitutto per la capacità di entrare dentro al nostro cuore e di non lasciarlo più, con il suo incedere trasognato e comunque disilluso: ci sono i sogni ma bisogna fare bilanci e stare attenti, molto attenti. Si guarda alla grande tradizione americana, che è certamente la prima fonte di ispirazione, ma ci sono molte cose fluttuanti in questo album. Il gruppo barese è pressoché inedito a queste latitudini perché fa un dream pop che in Italia non siamo molto capaci a proporre, mentre a loro riesce benissimo aggiungendoci anzi molto di loro, ad esempio con una psichedelia latente che esplode quando meno te lo aspetti ad arricchire il tutto. Ascoltando The Roost si capisce che questi ragazzi hanno una conoscenza molto ferrata della materia, ma sono al contempo dei notevoli creatori di musica e il loro disco di esordio funziona come un film, in cui si procede sceneggiatura per sceneggiatura e non ci si riesce a staccare molto facilmente. La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro. Ogni canzone ha più di un motivo di interesse, e tutto il disco è ben al di sopra della media, proprio perché nella media non ci rientra, è ostinatamente altro, anche nell’uso di qualche elemento di elettronica. C’è una canzone quasi alla fine del disco, Curtain, che è uno dei migliori esempi di come si possa creare un’atmosfera raccontando in poco più di tre minuti di come giocavamo a calcio sotto la pioggia, e di come ora nidifichiamo in angoli che cerchiamo di tenere al riparo dall’acqua che monta, ma non è facile. Ecco, The Roost è una raccolta di momenti così, che ognuno interpreterà come vuole, perché questa in fondo è musica evocativa. E non è poco.

Tracklist
1. mother-door
2. suitcase
3. incubus
4. the roost
5. cornwall
6. scarecrow
7. curtain
8. yousuck

Line-up
Edoardo Partipilo – vocals / guitar
Lorenzo Gentile – guitar
Marco Menchise – bass
Davide Fumai – drums / keyboards

GOOD MOANING – Facebook

Rustless – Awakening

Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Stefano Tessarin, Lio Mascheroni e Ruggero Zanolini sono tre quinti dei leggendari Vanadium, negli anni ottanta la più popolare ed importante band heavy metal nata sul suolo italico.

A metà degli anni novanta, dopo la pubblicazione dell’album Nel Cuore Del Caos (1995) la storia dei Vanadium si conclude e dopo qualche anno inizia quella dei Rustless, con il debutto licenziato nel 2008 ed intitolato Start From The Past, seguito da altri due lavori (Silent Scream e Guardian Angel) rilasciati rispettivamente nel 2010 e nel 2014.
Oggi la formazione dei Rustless, oltre ai tre storici musicisti, si completa con Roberto Zari alla voce ed il giovane bassista (allievo di Steve Tessarin) Andrea Puttero: Awakening è il titolo del nuovo album, che si colloca perfettamente nell’hard rock suonato negli anni settanta ed arrivato in perfetta forma nel decennio successivo, ricco di ispirazioni progressive e con la carta d’identità anglo/italiana (si sentono nei brani del disco suoni appartenenti tanto alla scena hard prog del Regno Unito che a quella hard & heavy tricolore).
I musicisti di provata esperienza e dieci brani di ottima musica heavy, raffinata e dalle di grandi melodie, che passano agevolmente dai Deep Purple agli Yes, dai Rainbow ai Rush, ed una raccolta di canzoni sopra la media, fanno di Awakening un album imperdibile per chi ama ascoltare chitarre graffianti, grandi melodie e passaggi progressivi in cui ritmiche e tastiere producono brividi a non finire.
La partenza è di quelle che tolgono il fiato, la title track risulta un brano purpleiano, dove il suono dei tasti d’avorio ispirati al Lord di Perfect Strangers segna indelebilmente tutto l’album, che continua la sua corsa verso il cuore dei fans del genere con altre perle come; Message To God, Invisible, il pomp rock di Light To Pain e i due capolavori rilasciati per il gran finale, la più ruvida Ride With The Wind e la progressiva Take The Sun.
Tirando le somme, Awakening non delude le aspettative dei fans del gruppo e degli amanti del genere, rivelandosi un lavoro emozionante, ricco di passaggi strumentali di altissimo livello e di ottime canzoni.

Tracklist
1.Awakening
2.Message to God
3.Heart’s on Fire
4.Invisible
5.Light into Pain
6.I Wanna Rock You
7.What Kind of Love
8.Tell Me
9.Ride with the Wind
10.Take the Sun

Line-up
Stefano Steve Tessarin – guitars & vocals
Ruggero Ruggy Zanolini – keyboards
Lio Mascheroni – drums
Roberto Zari – muscles & vocals
Andrea Puttero – Bass

RUSTLESS – Facebook

Duel – Valley Of Shadows

I Duel ci portano in un territorio che non è di questo mondo, trattando della tradizione esoterica, con una musica molto coinvolgente e sempre in bilico fra doom, heavy metal ed hard rock, catturando il nostro cervello ed il nostro cuore.

Torna il combo texano chiamato Duel, con il suo splendido occul doom rock dal groove speciale e senza eguali.

Chi già li conosce sa che la loro musica ha il potere di farti varcare le porte del tempo per approdare in quella particolare stagione del rock dove tutto sembrava possibile, dove lo scopo era superare le proprie percezioni per andare oltre. La loro musica gronda di riferimenti esoterici, e ha la forma di un doom psych rock da banda di motociclisti, e questa è una delle loro peculiarità più importanti. Questa illuminata fusione di doom e hard rock è una miscela speciale che solo loro sanno fare, e ogni disco è una continua evoluzione, e questo ultimo Valley Of Shadows ne è il punto più alto. Ogni riff è studiato e ricopre un compito ben preciso, ogni movimento del gruppo concorre a formare un groove particolare ed ipnotico, fatto di potenza e di una forte influenza di hard rock ed heavy metal nella sua accezione maggiormente ritmica. Se si va ad ascoltare la discografia passata del gruppo si può sentire che fin dall’inizio questo gruppo aveva qualcosa in più, un quid che li accompagna tuttora e che in questo ultimo lavoro ha raggiunto il suo apice. I Duel sono un gruppo importante nel panorama della musica pesante e questo disco è la loro definitiva consacrazione. Il titolo Valley Of Shadows, con una copertina molto simile ai quadri surrealisti, rappresenta bene di cosa tratti questo lavoro, ovvero della valle delle ombre, che può essere interpretata in molti modi. Una delle letture possibili è che la valle delle ombre possa essere il nostro mondo, dove quella che ci appare come ineluttabile realtà non lo sia, e anzi sia un qualcosa che non possiamo comprendere. O la valle delle ombre è dove riposano i morti, o potrebbe essere altre mille cose. I Duel ci portano in un territorio che non è di questo mondo, trattando della tradizione esoterica, con una musica molto coinvolgente e sempre in bilico fra doom, heavy metal ed hard rock, catturando il nostro cervello ed il nostro cuore. Un’altra grande uscita targata Heavy Psych Sounds.

Tracklist
1. Black Magic Summer
2. Red Moon Forming
3. Drifting Alone
4. Strike And Disappear
5. Broken Mirror
6. Tyrant On The Throne
7. I Feel No Pain
8. The Bleeding Heart

Line-up
Tom Frank – guitar,vocals
Shaun Avants – bass, vocals
Justin Collins – drums
Jeff Henson – guitar

https://www.facebook.com/DUELTEXAS/

Lazy Bonez – Kiss Of The Night

Kiss Of The Night è composto da undici brani più due bonus track di heavy metal scandinavo melodico, a tratti graffiante e tagliente, e dalle trame tastieristiche dall’appeal irresistibile.

Arrivano al terzo lavoro i metal rockers finlandesi Lazy Bones, nati nel 2012 da una costola dei Tarot, band famosa per la presenza di Marco Hietala, bassista e cantante dei Nightwish.

Dopo il primo album di rodaggiom intitolato semplicemente Vol.1, uscito nel 2013, ed il seguente Alive licenziato due anni dopo, arriva sul mercato questo ottimo Kiss Of The Night, composto da undici brani più due bonus track di heavy metal scandinavo melodico, a tratti graffiante e tagliente, e dalle trame tastieristiche dall’appeal irresistibile.
I gruppi scandinavi che suonano hard & heavy hanno un talento per le melodie fuori dal comune e questa verità viene confermata da questa raccolta di brani, che non lascia prigionieri sul campo, ma risulta micidiale tra brani heavy ed altri in cui l’anima aor esce in tutta la sua splendente luce, ricamando tracce ispirate come la title track, la spumeggiante Slaves Of The Dark e le splendide War Of The Roses e Fire.
I Brother Firetribe sono il gruppo al quale più si avvicinano con il loro questi sette cavalieri finnici del rock melodico, quindi, se siete amanti delle melodie di scuola scandinava Kiss Of The Night risulta un lavoro imperdibile.

Tracklist
1.Everlasting
2.Run
3.Kiss of the Night (feat. Antti Railio)
4.Calling the Wild
5.Slaves of the Dark
6.Tears of Gold
7.War of the Roses
8.Fire
9.Smile
10.Psych Ward (Under the New Management)
11.Forever Young
12.Poseidon
13.Follow Me

Line-up
Tommi Salmela – vocals
Markku Mähöne – Guitar & backing vocals
Mikko Niiranen – Guitar & backing vocals
Jaakko Kauppinen – bass & backing vocals
Topi Kosonen – drums
Heikki Polvinen – synth
Janne Tolsa – synth

https://www.facebook.com/LazyBonezOfficial/

Battle Beast – No More Hollywood Endings

No More Hollywood Endings è un album che piacerà sicuramente ai fans dell’hard rock melodico e farà storcere il naso ai true defenders, ma indubbiamente non lascia scampo in quanto ad appeal, richiamando più volte i conterranei Brother Firetribe e Nightwish sotto la bandiera del pop anni ottanta.

Se spulciate il profilo Facebook dei Battle Beast, nello spazio riservato alle informazioni troverete tra gli artisti ispiratori del gruppo gli Abba e non è caso, visto quello che ci riserva il quinto full length del gruppo finlandese intitolato No More Hollywood Endings.

La band, attiva dal 2006, trova nel pop rock e nell’aor una nuova marcia per il proprio sound, lasciando onori e gloria alle tastiere di Janne Björkroth e alla notevole prova della cantante Noora Louhimo.
L’album è un’apoteosi di melodie ruffiane, a tratti sinfoniche ma in gran parte arrangiate ispirandosi allo storico gruppo pop svedese e all’hard rock melodico anni ottanta.
Se sia un pregio o un difetto dipende dai gusti personali, certo è che di heavy metal in questo nuovo lavoro ce n’è veramente poco, soffocato da una valanga di melodie e chorus che entrano in testa come lame nel burro.
Il suono esce pieno e cristallino, le chitarre fanno da contorno all’atmosfera aor che si respira a pieni polmoni dalle trame ruffiane di brani come la title track, Endless Summer, I Wish e The Golden Horde.
No More Hollywood Endings è un album che piacerà sicuramente ai fans dell’hard rock melodico e farà storcere il naso ai true defenders, ma indubbiamente non lascia scampo in quanto ad appeal, richiamando più volte i conterranei Brother Firetribe e Nightwish sotto la bandiera del pop anni ottanta.

Tracklist
1. Unbroken
2. No More Hollywood Endings
3. Eden 3:59 4. Unfairy Tales
5. Endless Summer
6. The Hero
7. Piece Of Me
8. I Wish
9. Raise Your Fists
10. The Golden Horde
11. World On Fire

Line-up
Noora Louhimo – Vocals
Joona Björkroth – Guitars
Juuso Soinio – Guitars
Eero Sipilä Bass
Janne Björkroth – Keyboards
Pyry Vikky – Drums

BATTLE BEAST – Facebook

Fungus Family – The Key Of The Garden

The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

La storia dei Fungus Family, band genovese che, non solo a mio parere, meriterebbe ben altra fama rispetto a quella ristretta agli appassionati più puri e duri del progressive, si arricchisce di un nuovo capitolo discografico, The Key Of The Garden, che va a chiudere la trilogia iniziata con Better Than Jesus (2010), seguito da The Face Of Evil (2014).

Il percorso del gruppo, che i più conoscono e continuano a chiamare semplicemente Fungus, è stata funestata dalla prematura scomparsa del fondatore e principale compositore AJ Blissett nel 2015, per cui non deve stupire se sono stati necessari cinque anni per dare un seguito al bellissimo precedente album.
AJ continua giustamente ad essere accreditato nelle note di presentazione come membro effettivo in qualità di compositore, e questo non deve apparire un semplice omaggio o un artificio retorico, perché appare evidente dall’ascolto di The Key Of The Garden come sia stata data grande continuità al suo impulso creativo sfruttando, probabilmente, molta della musica mai pubblicata che egli stesso ha lasciato in eredità, integrandola al meglio con un lavoro di squadra (ecco il senso di “Family” appunto) non così scontato in ambito progressive.
Del resto il sound dei Fungus incarna al meglio ciò che si intende per progressivo nell’accezione più pura del termine: i brani sono spesso in costante divenire, sorta di jam psichedeliche che lasciano spazio anche a evoluzioni strumentali che non scadono mai in onanistici virtuosismi, ma ciò non preclude la presenza di passaggi dall’enorme impatto melodico ed emotivo che rendono più facilmente assimilabile di quanto possa apparire un lavoro pur così sfaccettato.
Con l’imprimatur di un mito come Nik Turner, che suona il flauto in Eternal Mind (brano a dir poco meraviglioso, peraltro) ed il sax in Becoming to Be, Dorian Deminstrel e soci tra i gruppi contemporanei possono trovare un possibile, quanto puramente indicativo, termine di paragone nei folli e altrettanto psichedelici Bigelf, mentre loro stessi ci suggeriscono quali siano le loro band di riferimento coverizzando i Pink Floyd (See Emily Play) e i Family (The Weaver’s Answer), a cui possiamo aggiungere, volendo pescare nel mazzo, i Van Der Graaf Generator e gli imprescindibili King Crimson sessantiani, ma da sonorità talmente caleidoscopiche ed imprevedibili ognuno può rinvenire altri molteplici richiami.
Ciò che conta è che The Key Of The Garden si rivela un viaggio a ritroso nel tempo che non appare affatto nostalgico, in quanto sonorità che traggono linfa dagli anni d’oro del progressive vengono rielaborate con una freschezza ed una personalità che tengono alla larga quell’autoreferenzialità che spesso affligge diversi musicisti dell’epoca allorché si ripropongono ai giorni nostri.
Le lunghe Suite n. 5 (part 1) e 1q84 si rivelano ampiamente esaustive riguardo al talento e alle doti dei Fungus, i quali offrono un’ora circa di musica che non è per nulla facile da descrivere, per cui mi limito a dire che questi suoni appagano l’udito e l’anima, ma non solo; infatti, avendo avuto la possibilità di assistere alla presentazione dal vivo dell’album circa due mesi fa, la sensazione è stata che sul palco l’offerta della band acquisti, se possibile, ulteriore forza e profondità, grazie alla personalità del frontman e alla tecnica impeccabile dei suoi compagni d’avventura.
In definitiva, The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

Tracklist:
1 Suite n. 5 (part 1)
2 Eternal Mind
3 Demo-crazy
4 1q84
5 Becoming to Be
6 Suite n. 5 (part 2)
7 See Emily Play (Pink Floyd Cover)
8 Holy Picture
9 The Weaver’s Answer (Family Cover)

Line-up:
Alejandro J. Blissett: Composer
Dorian Deminstrel: Lead & Backing Vocals, Acoustic Guitar
Carlo “ZeroTheHero” Barreca: Bass & Noises
Alessio “Fuzz” Caorsi: Electric Guitar
Claudio Ferreri: Organ, Piano & Keyboards
Cajo: Drums

featuring:
Nik Turner: Space Saxophone (Becoming to Be) & Magic Flute (Eternal Mind)
Daniele Barreca: Percussions (The Weaver’s Answer)

FUNGUS FAMILY – Facebook

Mr.Woland – Kerigma

La band è alle prese con un sound carico di potenza live ma perfettamente in grado di alzare la temperatura fino a raggiungere temperature infernali anche su disco.

Mr.Woland (uno dei tanti nomi dati al Diavolo) non poteva che usare il rock’n’roll per diffondere il suo messaggio e in quel di Padova ha convocato cinque rockers dando loro il potere di creare rock’n’roll irresistibile, irriverente, diretto e sfrontato, un concentrato di energia che, liberata, cattura e fornisce anime al signore oscuro.

La band è alle prese con un sound carico di potenza live ma perfettamente in grado di alzare la temperatura fino a raggiungere temperature infernali anche su disco.
La Jetglow Recordings licenzia questa mezz’ora abbondante di musica intitolata Kerigma, una mitragliatrice che falcia senza pietà a colpi di hard rock e punk rock, il tutto mixato in un cocktail mortale a base di Turbonegro, Motorhead, Danko Jones ed altri tre quarti della scena scandinava a cavallo dei due secoli, dando vita ad una jam all’insegna di un power rock’n’roll che diverte, esalta, ipnotizza fino a che il signor Woland non si porterà via la nostra anima.
I due singoli fin qui estratti (Margarita e A Breakthrough) danno fin troppo bene l’idea di quello che si può trovare in questo adrenalinico debutto, anche se il consiglio è quello di ascoltarlo per intero lasciandosi catturare dal diavolo in persona.

Tracklist
1.Stay Tun (a)
2.The Ides of March
3.Mexico
4.Margarita
5.A Breakthrough
6.Not on Sale
7.Hatred
8.Flaming Roads
9.Sex O.S.
10.Rainproof
11.Father Pyo
12.Walk On

Line-up
Simov – Vocals
Il Pupilla – Guitars
GG Rock – Guitars
Millo – Bass
Tiz – Drums

MR.WOLAND – Facebook

Leash Eye – Blues, Brawls & Beverages

Potenza e melodia, tanto groove, un pizzico di sfumature blues e desertiche fanno di Blues, Brawls & Beverages un lavoro riuscito, con le oggettive differenze rispetto al precedente album, ma con ancora le carte in regola per soddisfare gli amanti del rock a stelle e strisce.

Dopo sei anni dall’ultima fatica (Hard Truckin’ Rock) torna sulle strade, che dalla Polonia portano alle highway americane, il tir dei rockers Leash Eye.

Il gruppo della capitale mette l’acceleratore a tavoletta e travolge tutto, prima di fermarsi per una meritata sosta e farsi scappare una jam che vede le proprie influenze scatenarsi in undici potenti bordate southern rock dai rimadi grunge e groove metal.
Blues, Brawls & Beverages conferma l’ottima reputazione della band, attiva addirittura dal 1996, come una realtà tutta da scoprire del panorama rock del suo paese, più conosciuto negli ambienti musicali per le gesta estreme di Behemoth e compagnia che per una scena di stampo rock.
Qualche cambio di line up ed un sound che si sposta sempre più verso coordinate southern, fanno di questo nuovo lavoro una manna per gli amanti del genere, ovviamente dall’impatto che rimane alimentato da una forte componente groove e che vede i Leash Eye percorrere le highway che hanno visto viaggiare a suo tempo, Corrosion Of Conformity, Kyuss, primi Soundgarde e i sempre attuali e leggendari Lynyrd Skynyrd.
Il nuovo singer (Lukasz Podgórski), dall’ugola molto più melodica e meno bruciata del precedente cantante, si destreggia con mestiere tra le trame dei vari brani che hanno come comune denominatore un’atmosfera sudista che ne valorizza l’aspetto “americano” del sound.
Potenza e melodia dunque, tanto groove, un pizzico di sfumature blues e desertiche fanno di Blues, Brawls & Beverages un lavoro riuscito, con le oggettive differenze rispetto al precedente album, ma con ancora le carte in regola per soddisfare gli amanti del rock a stelle e strisce.

Tracklist
1.Bones
2.Moonshine Pioneers
3.On Fire
4.Lady Destiny
5.The Disorder
6.Planet Terror
7.Twardowsky, J.
8.Furry Tale
9.Jackie Chevrolet
10.One Last Time
11.Well Oiled Blues

Line-up
Marecki – Bass
Opath – Guitars
Piotr Sikora – Keyboards
Lukasz Podgórski – Vocals
Bigos – Drums

LEASH EYE – Facebook