PÄNZER – The Fatal Command

The Fatal Command non è un album qualsiasi, è la bibbia dell’hard & heavy tradotta nella lingua di Schmier, ovvero heavy thrash metal tripallico fornito da una band autrice di un a prova d’insieme da bucare montagne con la sola potenza degli strumenti.

Prendi una manciata di musicisti storici della scena heavy/thrash, mettili in una saletta con strumenti, carta e penna, e il disco è servito: potente, veloce, epico e melodico, tagliente come una katana ed assolutamente metallico come nella migliore tradizione del genere.

Pura goduria per le orecchie di un vecchietto cresciuto a pane e metal (ma non solo) e che quando si ritrova al cospetto di queste sonorità sgrana gli occhi, comincia a dimenarsi e la pelle accenna un colore verdognolo come un famoso super eroe della Marvel.
A proposito di super, con i Panzer siamo nella lunga lista dei super gruppi ed i protagonisti sono: Schmier (basso e voce) dei Destruction, Pontus Norgren (chitarra) in forza agli svedesi Hammerfall, Stefan Schwarzmann (batteria) ex di Accept, Helloween e Running Wild e V.O. Pulver (chitarra).
The Fatal Command non è un album qualsiasi, è la bibbia dell’hard & heavy tradotta nella lingua di Schmier, ovvero heavy thrash metal tripallico fornito da una band autrice di un a prova d’insieme da bucare montagne con la sola potenza degli strumenti.
Non un assolo che non si accompagni davanti allo specchio in un esaltante momento di ignoranza metallica alla massima potenza, non un brano che non abbia un riff, una ritmica o un chorus incalzante, questo è The Fatal Command e la sua track list che fin dall’opener Satan’s Hollow vi terrà inchiodati davanti allo specchio a scimmiottare pose da guitar heroes o ad urlare chorus, con pugno chiuso e fierezza che esplode da tutti i pori.
We Can Not Be Silenced, Afflicted, il mid tempo potentissimo di Skullbreaker, Mistaken ma dovrei nominare tutta la track list ben evidenziata sotto l’articolo: The Fatal Command è vietato ai deboli di cuore, tutti gli altri sono invitati alla battaglia metallica, parola di MetalEyes.

Tracklist
1. Satan’s Hollow
2. Fatal Command
3. We Can Not Be Silenced
4. I’ll Bring You The Night
5. Scorn And Hate
6. Afflicted
7. Skullbreaker
8. Bleeding Allies
9. The Decline (And The Downfall)
10. Mistaken
11. Promised Land

Line-up
Stefan Schwarzmann – Drums
Schmier – Bass, Vocals
Pontus Norgren – Guitars
V.O. Pulver – Guitars

PANZER – Facebook

Sons Of Apollo – Psychotic Symphony

I Sons Of Apollo hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.

Un intro orientaleggiante, fusa tra le trame dell’opener God Of The Sun, ci invita all’ascolto di questo bellissimo lavoro intitolato Psychotic Symphony, debutto del supergruppo Sons Of Apollo di cui fanno parte autentici mostri del pentagramma progressivo e metallico mondiale come Mike Portnoy alle pelli, Derek Sherinian alle tastiere, Billy Sheehan al basso, Ron “Bumblefoot” Thal alla chitarra ed Jeff Scott Soto dietro al microfono.

Non sappiamo attualmente se i Sons Of Apollo rimarranno un progetto estemporaneo o si trasformeranno in una band vera, ma alla luce di questa raccolta di brani si fa spazio in noi la speranza che questo inumano sodalizio artistico possa avere un seguito.
Psychotic Symphony è un lavoro straordinario per intensità, sagacia compositiva e la perfetta coesione tra l’elemento tecnico (qui ai massimi livelli) e quello emozionale.
I figli del dio greco, infatti, hanno dato vita ad un album duro come l’acciaio, forgiato nell’olimpo e ricevuto dai noi mortali come dono dagli dei, drammatico, tragico, intenso ed oscuro come i nuvoloni che coprono in cielo la reggia dalla quale Zeus decide della sorte degli uomini.
Un Soto stratosferico fa il fenomeno (e mette i brividi) su brani nati per stupire, ma lasciati nelle mani dell’emotività, dunque non mero esercizio di stile, ma spettacolare dispiegamento di mezzi per regalare musica metal fuori categoria.
Molto più vicina ai Symphony X che ai Dream Theater (tanto per fare due nomi scomodi), la musica dei Sons Of Apollo si può certo chiamare prog metal, dove metal sta per una forza dirompente, una tempesta di suoni nella quale i fulmini sono prodotti dalla chitarra di Thal, la pioggia ritmica incessante dalla coppia Portnoy/Sheehan, le trombe d’aria dagli intrecci tastieristici di Sherinian ed i tuoni da un Soto novello Zeus.
E allora perdetevi negli undici minuti della già citata God Of The Sun, monumentale brano d’apertura che ci scaraventa nella lotta intestina tra gli dei, mentre la diretta Coming Home conferma l’atmosfera battagliera dell’opera.
Labyrinth, la semi ballad Alive, la conclusiva, mastodontica e strumentale Opus Maximus (dall’inizio epic/doom) traccia che con l’opener risulta la coppia d’assi di Psychotic Symphony, ribadiscono il valore di un lavoro da non perdere assolutamente se siete amanti del metal progressivo.

Tracklist
1 God of The Sun
2 Coming Home
3 Signs of The Time
4 Labyrinth
5 Alive
6 Lost In Oblivion
7 Figaro’s Whore
8 Divine Addiction
9 Opus Maximus

Line-up
Mike Portnoy – drums and vocals
Derek Sherinian – keyboards
Billy Sheehan – bass
Ron “Bumblefoot” Thal – guitar and vocals
Jeff Scott Soto – vocals

SONS OF APOLLO – Facebook

Jac Dalton – Powderkeg

Powderkeg è un buon lavoro, la voce del leader è sanguigna il giusto e le melodie sono perfettamente inserite in un contesto rock che non fa mancare una buona dose di grinta.

Jac Dalton è un singer americano trapiantato in Australia, Powderkeg è il suo terzo album uscito originariamente nel 2015 ma arrivato da noi solo quest’anno e ristampato in autoproduzione.

L’album segue di ben cinque anni, nella prima versione, il precedente Icarus album che aveva fatto conoscere Dalton agli amanti dell’ hard rock melodico.
Accompagnato da una band di tutto rispetto, Dalton è tornato ripresentando Powderkeg, opera scritta a quattro mani con il chitarrista e leader dei rockers Ice Tiger Graham Greene, anche se ad oggi la line up risulta rivoluzionata rispetto a quella protagonista sull’album.
Powderkeg risulta comunque un buon album di hard rock ottantiano, grintoso, melodico e composto da un lotto di buone canzoni tra Whitesnake era cotonata e il primo Bon Jovi.
Greene sembra abbia scritto più della metà dei brani e il sound mostra una vena improntata sulla sei corde tra hard rock melodico, ottime atmosfere nate nella polverosa frontiera (i Bon Jovi di Blaze Of Glory) e quel tocco di blues in un classic rock che rimanda al serpente bianco, quello che mordeva pulzelle tra le vie di Los Angeles.
Blow Me Away con un hard rock pregno di watt, l’irresistibile arena rock di Can’t Unrock Me, l’aor di Just Enough To Believe, primo pezzo da novanta di Powderkeg, così come la title track, che sembra scritta dal Coverdale in stato di grazia del best seller 1987 e One Heart/One Land, ballad dal sapore southern tra Bon Jovi ed i Poison di Every rose has its thorn.
Insomma cari amanti dell’ hard rock melodico ottantiano, Powderkeg è un buon lavoro, la voce del leader è sanguigna il giusto e le melodie sono perfettamente inserite in un contesto rock che non fa mancare una buona dose di grinta.

Tracklist
01. PowderKeg
02. Blow Me Away
03. Roll With The Punches
04. Sweet Emotion
05. Just Enough To Believe
06. HardCore SuperStar
07. Can’t UnRock Me
08. Let It Go
09. One Heart/One Land
10. When I’m Alone With You

Line Up
Jac Dalton – Vocals
Graham Greene – Guitars, B.vocals
Annemieke Heijne – Guitars, B.Vocals
Jim Awram – Bass
Troy Brazier – Drums
Jason Dohrmann – Keyboards, Bass, B.vocals
Donna Greene – Percussions, B.vocals

JAC DALTON – Facebook

Darkfall – At The End Of Times

I Darkfall offrono furia metallica, estrema ed oscura, un lavoro chitarristico di buona presa e ritmiche che affondano gli artigli tanto nel thrash metal quanto nel più frenato ma potentissimo death.

Dalla splendida cittadina di Graz arrivano i Darkfall, entità estrema che si aggira per il territorio austriaco da metà anni novanta.

Pur con così tanti anni di attività il gruppo ha licenziato una manciata di lavori minori e un solo album sulla lunga distanza, quel Road To Redemption uscito quattro anni fa e che ora trova il suo degno successore con At The End Of Times, album composto da dieci bombe sonore sempre in bilico tra thrash metal e melodic death.
Il risultato non può che essere buono anche per via di un’ottima produzione ed un songwriting che non abbassa la guardia pur svolgendo il suo compito lungo cinquantadue minuti, non pochi per un lavoro del genere.
I Darkfall offrono furia metallica, estrema ed oscura, un lavoro chitarristico di buona presa e ritmiche che affondano gli artigli tanto nel thrash metal quanto nel più frenato ma potentissimo death, così da offrire un lavoro per tutti i gusti, anche se a mio parere più vicino ai palati dei fans del death melodico.
Soilwork ed At The Gates, oscurati da passaggi evil e veloci fraseggi thrash, questo è il riferimento proposto da brani come l’opener Ride Through The SkyThe Way Of Victory che, come suggerisce il titolo, porta con se un’atmosfera epica che ricorda gli Amon Amarth.
La lunga Ashes To The Gods, l’intro sinfonico e maligno di Welcome The Day You Die, sono più che fulgidi esempi della musica prodotta dal gruppo austriaco con questo At The End Of Time, album che si colloca tra le migliori uscite offerte dall’underground metal in questi ultimi mesi dell’anno, per quanto riguarda il genere.

Tracklist
01. Ride Through The Sky
02. The Breed Of Death
03. The Way Of Victory
04. Deathcult Debauchery
05. Ashes Of Dead Gods
06. Your God Is Dead
07. Blutgott
08. Welcome The Day You Die
09. Ash Nazg – One Ring
10. Land Of No Return MMXVII

Line-up
Thomas Spiwak – Vocals
Sascha Ulm – Guitars, Vocals
Stephan Stockreiter – Guitars
Markus Seethaler – Bass, Guitars
Thomas Kern – Drums

DARKFALL – Facebook

Suffer In Silence – Beautiful Lies

Un album intenso e coinvolgente nella suo essere estremo, suonato e cantato ottimamente da un Patrick Amati notevole dietro al microfono ed autore di un lavoro chitarristico di grande spessore.

La Sliptrick Records ci regala un altro ottimo lavoro tutto italiano, confermando l’ottimo fiuto in un po’ tutti i generi della grande famiglia metallica.

Con i Suffer In Silence si parla di devastante death metal con un uso perfetto delle melodie che non inficiano la resa brutale dell’opera.
Beautiful Lies è il terzo album di questa one man band capitanata dal polistrumentista Patrick Amati, aiutato alla batteria dal fido Filippo Cicoria ed in fase di produzione da Neil Grotti e Mat Lehmann degli storici Electrocution.
Un album intenso e coinvolgente nella suo essere estremo, suonato e cantato ottimamente da un Patrick Amati notevole dietro al microfono ed autore di un lavoro chitarristico di grande spessore.
Solos classici, chitarre acustiche spagnoleggianti, furia tempestosa in stile blackened death metal scandinavo, riff schiacciasassi ed un lavoro alle pelli da piovra, fanno di Beautiful Lies un lavoro sorprendente, con le canzoni che  passano una dietro l’altra senza il minimo intoppo, mentre la voglia di premere di nuovo il testo play a fine corsa è più che legittima.
Bellissime le parti acustiche che compaiono come spiriti malinconici tra il caos ragionato che Amati ha creato in brani, a tratti devastanti, come l’ opener Nostalgia, la splendida Eternal Slaves, solcata da una parte atmosferica creata dalle chitarre acustiche, mentre Lost è uno strumentale da brividi e la cover di The Four Horsemen chiude le ostilità e ci congeda da questo ottimo musicista e dal suo splendido lavoro.
Dark Tranquillity e Dissection sono stati sicuramente due dei maggiori ascolti nel passato di Patrick Amati, ma il sound di Beautiful Lies è molto di più di un riferimento a questi grandi nomi.

Tracklist
1.Nostalgia
2.Forced To Hate
3.Eternal Slaves
4.Live With No Tomorrow
5.S.I.S.
6.Lost
7.Zero Respect
8.Dreams Of Glory
9.The Four Horsemen

Line-up
Patrick Amati – Vocals, Guitars, Bass, Synth / Album Guest:
Filippo ‘Ciko’ Cicoria – Drums

SUFFER IN SILENCE – Facebook

Hourswill – Harm Full Embrace

In questi anni che hanno visto il prog metal allargare i suoi orizzonti facendovi confluire gruppi dal sound vario e moderno, gli Hourswill confermano il loro valore potendo sicuramente essere considerate tra le band, per così dire, tradizionali, pur aderendo ad di un tipo di musica aperto ad ogni tipo di approccio ed influenza.

Fortunatamente non si sono persi nei meandri dell’underground europeo i portoghesi Hourswill, usciti tre anni fa sotto l’ala della Ethereal Sound Works con Inevitable, debutto sulla lunga distanza in cui la band proponeva un prog metal debitore dei soliti mostri sacri del genere, ma comunque piacevole e ben suonato.

Tornano quindi con il nuovo album, qualche aggiustamento nella formazione ed un sound che si è fatto più personale, ed estremo, guardando alla scena statunitense con le influenze che spaziano dai Nevermore ai Dream Theater e a quella scandinava di Morgana Lefay e Tad Morose: Harm Full Embrace ci presentatra l’altro il nuovo vocalist Leonel Silva, grintoso e molto interpretativo, sulla scia di Warrel Dane. .
Quello che gli Hourswill  perdono in potenza lo ritrovano nelle melodie progressive, confermando la loro padronanza della materia, esibita con una tecnica sufficiente per ricamare buoni cambi di tempo e solos e nel saper tenere ben salde le briglie di un genere che può portare ad esagerare, smarrendo facilmente la forma canzone.
Gli Hourswill non le mandano certo a dire ed anche questo secondo lavoro mantiene un approccio molto heavy:  brani come l’opener Children Of The Void, Liberty Theory e la notevole Everyday Sage mostrano un buon feeling con il genere e una serie di intuizioni che ne fanno un tris di tracce coinvolgenti, oscure e tragicamente teatrali.
In questi anni che hanno visto il prog metal allargare i suoi orizzonti facendovi confluire gruppi dal sound vario e moderno, gli Hourswill confermano il loro valore potendo sicuramente essere considerate tra le band, per così dire, tradizionali, pur aderendo ad di un tipo di musica aperto ad ogni tipo di approccio ed influenza.

Tracklist
1.Children of the Void
2.Blinding Light
3.Mass Insanity
4.Liberty Theory
5.Everyday Sage
6.Social Disease
7.At Harms Embrace
8.Abyss Syndrome

Line-up
Rodrigo Louraço – Guitars
Leonel Silva – Vocals
Pedro Costa – Bass
Nuno Peixoto – Drums
José Bonito – Guitars

HOURSWILL

Night – Raft Of The World

Raft Of The World è un album godibile specialmente se gli ‘anta li avete passati da un pezzo, essendo composto da un lotto di brani che è una specie di passeggiata tra la fine degli anni settanta e l’entrata nel decennio d’oro per la nostra musica preferita.

Attivi dal 2011 arrivano al terzo full length i Night, band svedese della quale vi avevamo già parlato sulle pagine metalliche di InYourEyes.

Sei anni e tre lavori, non male di questi tempi, con il nuovo Raft Of The World che sposta leggermente il sound del gruppo verso un hard & heavy vecchia scuola: del sound dei Night rimane dunque la forte impronta tradizionale a rimarcare la voglia di classico delle nuove generazioni metalliche, di cui questi svedesi fanno sicuramente parte.
Non più o non solo heavy metal maideniano è quello che troviamo nelle trame dei brani di questo nuovo lavoro, ma un’ispirazione più concentrata sul finire degli anni settanta e su band classic hard rock come Thin Lizzy e UFO.
Nel frattempo il cambio di etichetta ed il numero dei componenti portato a quattro sono le altre novità che Raft Of The World regala a coloro ai quali non sono sfuggiti i precedenti album, vintage e classici come impone la tendenza di questo periodo.
Così, lasciata indietro l’influenza new wave of british heavy metal per un hard & heavy classico e molto melodico, i Night si ripresentano in buona forma, complice un buon songwriting e tanta melodia in brani di rock duro e maturo, dove la band più che ricercare il chorus vincente si concentra sulle ritmiche e su un lavoro chitarristico di scuola UFO, molto ben congegnato.
Raft Of The World è un album godibile, specialmente se gli anta li avete passati da un pezzo, composto da un lotto di brani che, dall’opener Fire Across The Sky in poi, è una specie di passeggiata tra la fine degli anni settanta e l’entrata nel decennio d’oro per la nostra musica preferita.

Tracklist
1.Fire Across the Sky
2.Surrender
3.Under the Gallows
4.Omberg
5.Time
6.Strike of Lightning
7.Winds
8.Coin in a Fountain
9.Where Silence Awaits

Line-up
Highway Filip – Bass, Guitars
Burning Fire – Vocals, Guitars
Joseph Max – Bass
Dennis Skoglund – Drums

URL Facebook
https://www.facebook.com/nightbandofficial/

Demon Eye – Prophecies And Lies

Le tracce che compongono l’album non sono mai troppo doom o troppo psichedeliche, la potenza è bilanciata e l’hard rock vintage comanda le operazioni così da mantenere una linea per tutta la durata, senza picchi clamorosi ma pure senza cadute ragguardevoli.

Si palesano sonorità heavy doom che, come una pioggia nera, creano un’alluvione di atmosfere vintage: il mercato in questi ultimi anni, non ha smesso un attimo di proporre agli amanti dell’ hard rock sabbathiano nuove opere ed altrettante band, molte autentiche sorprese, altre più ordinarie ma comunque in grado di risvegliare maghi, streghe e folletti in giro per il mondo.

I Demon Eye sono un quartetto del North Carolina attivo da cinque anni, il loro nome è ispirato dal famoso brano dei Deep Purple ed arrivano al terzo full length dopo l’esordio Leave The Light licenziato nel 2014 ed il precedente Tempora Infernalia uscito un paio di anni fa.
Anche il sound di Prophecies And Lies si stabilizza su un hard rock settantiano che, a braccetto con il doom, balla intorno al fuoco intonando canti e riti psichedelici, sicuramente non originale ma indubbiamente piacevole.
Le tracce che compongono l’album, infatti, non sono mai troppo doom o troppo psichedeliche, la potenza è bilanciata e l’ hard rock vintage comanda le operazioni così da mantenere una linea per tutta la durata, senza picchi clamorosi ma pure senza cadute ragguardevoli.
Prophecies And Lies scivola via e si consuma come un falò che alle prime luci dell’alba si spegne inesorabilmente, lasciando un gradevole odore di legna e i partecipanti al rituale si allontanano, con ancora nelle orecchie le note di In The Spyder’s Eye, Dying For It e la conclusiva Morning’s Son, parentesi zeppeliniana dell’album.
Per il resto si viaggia su tempi dettati da Pentagram, Sabbath e compagnia di sacerdoti metallici, mentre la luce del giorno nasconde gli incantesimi e le magiche pozioni preparate tra il buio e le ombre che le fiamme creano, alimentate dal sound dei Demon Eye.

Tracklist
1. The Waters and the Wild
2. In the Spider’s Eye
3. The Redeemer
4. Kismet
5. Infinite Regress
6. Dying For It
7. Politic Devine
8. Power of One
9. Vagabond
10. Prophecies and Lies
11. Morning’s Son

Line-up
Erik Sugg – Vocals,Guitars
Larry Burlison – Guitars
Paul Walz – Bass
Bill Eagen – Drums, Vocals

DEMON EYE – Facebook

Athlantis – Metalmorphosis

Una raccolta di brani che mantiene un approccio tra il power metal raffinato e tradizionalmente italiano e l’hard rock, rivelandosi più diretta rispetto alle atmosfere del precedente lavoro ma comunque in grado di non perdere un grammo di quell’eleganza compositiva che contraddistingue nel genere la nostra scena.

A dieci anni esatti dalla prima volta, Steve Vawamas è tornato ai Nadir Music Studio per finire quello che aveva lasciato in sospeso e che, tradotto, significa ri-registrare per intero Metalmorphosis, album che di fatto sarebbe stata la seconda opera del suo progetto Athlantis, con qualche nuovo ospite in line up, un ritrovato entusiasmo dopo l’ottimo Chapter IV uscito qualche mese fa, e la consapevolezza di essere in uno stato di grazia tale da valorizzare tutte le uscite che in questi ultimi tempi lo hanno visto protagonista (Odyssea, Ruxt, Bellathrix e Mastercastle).

Che il power circle genovese (se mi passate l’appellativo) sia uno dei più floridi scenari metallici dello stivale lo dimostrano le ottime e continue uscite di valore che questo nugolo di musicisti ci regala, collaborando forse come non avevano mai fatto in passato e contribuendo a rendere convincente una scena metal nazionale assolutamente in grado di competere con le realtà d’oltreconfine.
La Diamonds Prod. licenzia, dunque, questo bellissimo lavoro che si fregia di nuove diavolerie tecniche, quindi al passo con i tempi in fase di registrazione tanto da poter tranquillamente considerare questi nove brani come se fossero nuovi di zecca (del resto in quest’epoca dieci anni, sotto l’aspetto prettamente tecnico, equivalgono quasi ad una vita).
Steve, oltre ai musicisti che collaborarono in passato, ha raccolto ancora una volta una buona fetta della crema metallica ligure e tricolore, con la line up ufficiale che si completa con Tommy Talamanca dei Sadist alla chitarra, il bravissimo Alessio Calandriello alla voce (Lucid Dream, La Coscienza di Zeno), già protagonista sul lavoro precedente, e Alessandro Bissa alle pelli (A Perfect Day, Ex-Labyrinth, ex-Vision Divine).
Ma le sorprese non finiscono qui ed allora tenetevi forte, perché sulle atmosfere estreme di Nightmare riconoscerete lo scream/growl di Trevor (Sadist), la splendida voce di Roberto Tiranti nella cover di Tragedy dei Bee Gees e la chitarra di Stefano Galleano dei Ruxt.
Bene ha fatto il bassista genovese a proporre questa raccolta di brani che mantiene un approccio tra il power metal raffinato e tradizionalmente italiano e l’hard rock, più diretto rispetto alle atmosfere del precedente lavoro ma comunque in grado di non perdere un grammo di quell’eleganza compositiva che contraddistingue la nostra scena power metal, sempre legata da un filo sottile con l’anima progressiva di cui siamo storici maestri.
Calandriello ad ogni album a cui presta la sua voce risulta sempre più bravo, Vawamas, Talamanca e gli altri musicisti imprimono il loro talentuoso marchio su una serie di brani trascinati, nobilitati da un songwriting vario e che alterna cavalcate power ad esplosioni hard rock, da notevoli parti atmosferiche valorizzate da un singer che strappa applausi e da melodie progressivamente metalliche.
L’opener Delian’s Fool, l’hard & heavy ottantiano con cui esplode Battle Of Mind, le atmosfere oscure di Nightmare, con Calandriello che duetta con l’orco Trevor, la ballad Angel Of Desire con un solo che bagna di lacrime la chitarra di Tommy Talamanca, sono i momenti più suggestivi di un album da godere dall’inizio alla fine: fatelo vostro e rendete omaggio a questi inesauribili talenti.

Tracklist
1 – Delian’s Fool
2 – Battle of Mind
3 – Wasted Love
4 – Nightmare
5 – Devil’s Temptation
6 – Angel of Desire
7 – No Fear to Die
8 – Resurrection
9 – Tragedy (Bee Gees cover).

Line-up
Steve Vawamas – Bass
Alessio Calandriello – Vocals
Tommy Talamanca – Guitars
Alessandro Bissa – Drums

Guests:
Trevor – Vocals
Roberto Tiranti – Vocals
Stafano Galleano – Guitars

ATHLANTIS – Facebook

Necrotted – Worldwide Warfare

Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoro estremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario.

Una bomba atomica estrema questo nuovo lavoro dei deathsters tedeschi Necrotted, fautori di un death metal moderno, colmo di blast beat e mid tempo dal groove pesante come un carro armato, mentre mitragliate thrash metal portano il livello di violenza al massimo consentito per il genere.

Un macello dunque, perpetuato da questi sei guerrieri che affroantno la materia con piglio e senza compromessi, mettendo sul piatto un impatto clamoroso.
Le lodi si fermano qui, mentre una leggera stanchezza si fa spazio in chi ascolta, provato da questo devastante sound che lascia qualcosa indietro per quanto riguarda la varietà risultando solo un macigno estremo.
Una lunga traccia di trentasei minuti, questo è di fatto Worldwide Warfare, una montagna che crolla, un vulcano che erutta senza soluzione di continuità mentre noi ci perdiamo tra mid tempo che avanzano come un gigante d’acciaio che tutto travolge.
Siamo al terzo album e niente è cambiato, death metal moderno che travolge senza pietà, una serie di brani che formano un unico pezzo di granito death/thrash/core che violenta i padiglioni auricolari, forte di esplosioni estreme come l’opener Worldwide, la tritaossa Hunt Down The Crown e la devastante Our Dominion.
Se la band voleva farci male, ci è senz’altro riuscita con un lavoroestremo, violento e senza la minima apertura melodica, ma decisamente poco vario … In Worldwide Warfare c’è solo distruzione e, infine, la morte.

Tracklist
1. Worldwide
2. No War But Class War
3. Hunt Down The Crown
4. Vile Vermin
5. The Lost Ones
6. My Foray, Your Decay
7. Unity Front
8. Our Dominion
9. Babylon
10. Forlorn Planet

Line-up
Fabian Fink – Vocals
Pavlos Chatzistavridis – Vocals
Philipp Fink – Guitar
Johannes Wolf – Guitar
Koray Saglam – Bass
Markus Braun – Drums

NECROTTED – Facebook

Deaf Havana – All These Countless Nights

L’album alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.

Si torna a parlare di rock dalle ispirazioni mainstream con il nuovo album dei Deaf Havana, gruppo inglese arrivato al quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009.

Storia colma di mille problemi quella del quintetto di Norfolk, con un passato da gruppo alternativo e dal sound che passava da post hardcore all’emo, per poi arrivare dopo alcuni cambi di line up ed un periodo buio lastricato di ostacoli di ogni genere, all’uscita di All These Countless Nights, nuovo inizio all’insegna di un rock moderno e pregno di una disperata ricerca della giusta forza per ricominciare.
Album perfetto sotto l’aspetto melodico, molto melanconico ed intenso, anche se siamo nel mondo del rock alternativo tra indie e pop, All These Countless Nights vive di queste atmosfere, ma riesce a non stancare, grazie ad un lotto di brani che gravitano tra le sensazioni descritte, ora più elettriche ora più apertamente leggere, sottolineate dall’ottima interpretazione di James Veck-Gilodi.
L’album così alterna canzoni più incisive ad altre che risultano pennellate rock, un contorno di musica che riesce ad emozionare coinvolgendo l’ascoltatore in questo risorgere dalle proprie dalle ceneri di una band ripartita per donarsi una nuova chance.
L.O.V.E., il contrasto tra le intense ballate come Seattle ed il rock dalle sei corde che lanciano note dalle ispirazioni dal sapore noise di Sing, sono il motivo conduttore di un lavoro che si assesta su livelli buoni per tutta la sua durata.
Non resta che fare gli auguri alla band per un cammino più sereno nel mondo del rock e consigliare l’ascolto di All These Countless Nights a chi si nutre di queste sonorità.

Tracklist
01.Ashes, Ashes
02.Trigger
03.L.O.V.E
04.Happiness
05.Fever
06.Like a Ghost
07.Pretty Low
08.England
09.Seattle
10.St. Paul’s
11.Sing
12.Pensacola

Line-up
James Veck-Gilodi – Vocals, Guitars
Matthew Veck-Gilodi – Guitars
Lee Wilson – Bass
Tom Ogden – Drums, Percussions
Max Britton – Piano, Keyboards

DEAF HAVANA – Facebook

Eshtadur – Mother Gray

Un lavoro davvero bello, un’autentica sorpresa in arrivo da un paese non certo famoso per i suoi trascorsi metallici, a tratti entusiasmante nel suo cambiare atmosfere estreme con una facilità disarmante.

E’ in Colombia che cresce e si sviluppa questo mostro metallico chiamato Eshtadur, un quintetto di deathsters che, senza guardare troppo a questa o quella scena, ci travolge con un sound potentissimo, mastodontico come un’onda che si avvicina alla costa con il suo muro d’acqua scuro come il cielo prima dell’apocalisse.

Mother Gray è il terzo full length, numero perfetto come lo è questo lotto di brani estremi, melodici, ma assolutamente devastanti, resi ancora più magniloquenti da poche ma importantissime parti orchestrali, incastonati come diamanti grezzi nella struttura di canzoni straordinarie come Cornered At The Earth.
Sono diciasette anni che il gruppo licenzia bombe sonore, non pochi, più che sufficienti per maturare ed arrivare a questo lavoro, estremo, melodico e progressivo, anche nei momenti più estremi, in cui Jorg August ingoia tutto il male del mondo e lo risputa fuori tramite un growl che ha pochi eguali: efferato, rabbioso, pura disperazione urlata al mondo tramite la stupenda Desolation.
Ma il lento ed apocalittico incedere del brano lascia spazio alla furia di Time Hole To Paris, melodic death metal tripallico dove chitarre, basso e batteria si alleano per una battaglia all’ultimo sangue.
Fine del brano, ci si aspetta un altra partenza a razzo ed invece la band ci riporta a camminare tra la lava del vulcano, con March Of The Fallen, brano doom/death d’antologia, che in un crescendo apocalittico prima ci regala un assolo heavy e poi torna, sovrastato dal magma nel più buio antro dell’inferno.
C’è ancora tempo per la clamorosa cover di Burning Heart, tributo a Jimi Jamison dei rockers americani Survivor suonata con una manciata di ospiti tra cui Bjorn Strid (Soilwork) e Per Nilsson (Scar Simmetry).
Un lavoro davvero bello, un ‘autentica sorpresa in arrivo da un paese non certo famoso per i suoi trascorsi metallici, eppure a tratti entusiasmante nel suo cambiare atmosfere estreme con una facilità disarmante: death metal melodico  di un’altra categoria.

Tracklist
2.Plaguemaker
3.Cornered at the Earth
4.Desolation
5.Time Hole to Paris
6.March of the Fallen
7.The Day After I Die
8.Heavns to the Ground
9.Last Day of the Condor
10.Burning Heart

Line-up
Jorg August – Vocals
Juan Ortiz – Guitars
Mauro Marin – Drums
Sebas Patiño – Guitars
Victor Valencia – Bass

ESHTADUR – Facebook

Royal Guard – Lights & Dreams

Non è affatto vero che di questi tempi non escono lavori di hard rock classico per i quali valga la pena rompere il salvadanaio: il dirompente debutto di questi cinque rockers ne è la prova.

Il mondo del rock è fatto di luci e sogni, quelli che hanno portato gli italianissimi Royal Guard al debutto, licenziato dalla Sliptrick Records, arrivando direttamente alle corde degli amanti del rock duro.

Poche informazioni sulla nascita del gruppo, ma tanta buona musica, almeno per chi non smette di sognare tra le luci del Sunset Boulevard e le strade che portano verso i cancelli di uno stadio dove si consuma il rito al dio del rock.
Esplosivo, senza sbavature, pregno di chitarre taglienti, ritmiche da canguro australiano in trip per Black In Black, o da giovane metallers chiodato tra Skid Row e le giovani leve che negli ultimi tempi hanno acceso le notti scandinave, Lights & Dreams risulta una botta di vita hard and heavy niente male.
Non un filler, non un accenno a sedersi un attimo e prendere respiro, i Royal Guard spingono dall’inizio alla fine, ci attaccano al muro con tonnellate di watts e ci salutano con la ballad posta in chiusura, i classici titoli di coda di una battaglia a suon di schiaffi hard rock che il singer Dave e compagnia ci hanno riservato per questo primo adrenalinico lavoro.
Fin da The Cage, opener che ci invita alla festa con un riff che taglierebbe la corazzata di un carro armato, Lights & Dreams è un susseguirsi di hit che in un mondo migliore sarebbero in rotazione su ogni radio rock che si rispetti, dal singolo No Regrets a Change Direction, dagli inni Live Forever a Rise Up And Fight, per arrivare all’elettrizzante My Way.
Non è affatto vero che di questi tempi non escono lavori di hard rock classico per i quali valga la pena rompere il salvadanaio: il dirompente debutto di questi cinque rockers ne è la prova.

Tracklist
01. The Cage
02. Shiver
03. No Regrets
04. Midnight Kiss
05. Change Direction
06. Live Forever
07. Breaking Floor
08. Rise Up And Fight
09. My Way
10. No God

Line-up
Mad Matt – Bass
Taba – Guitar & Vocals
Simo – Drums
Dave – Vocals
Cinghia – Guitar

ROYAL GUARD – Facebook

Brume – Rooster

Album di nicchia per un genere già di per sé ad uso e consumo di pochi fans, ma consigliato se siete amanti delle trame pesanti di Revelation, Sleep e St. Vitus.

Doom metal pesante come una pioggia di incudini in caduta libera sulle nostre teste, o una colata lavica che inesorabilmente travolge e liquefa ogni cosa al suo passaggio.

Una liturgia musicale che fa dell’ esasperante lentezza l’ arma per colpire e diffondere il suo messaggio stordente e che non lascia speranza di vedere la luce fuori dal tunnel in cui ci relegano i doomsters statunitensi Brume.
Il trio originario di San Francisco, composto dalla sacerdotessa Susie Mcmullan (voce e basso), Jordan Perkins-Lewis (batteria) e Jamie McCathie(chitarra), è il creatore di Rooster, debutto sulla lunga distanza dopo l’ep Donkey uscito due anni fa, monolite metallico che non può non scandire il tempo agli amanti del genere, un rituale in cui la singer intona canti su pachidermici riff, doom/psichedelici e, a tratti, dal retrogusto fok/blues.
Sei brani per cinquanta minuti di musica agonizzante, minutaggi altissimi ed incedere inesorabile con l’opener Grit And Pearls, Call The Serpent’s Bluff e la conclusiva Tradewind a creare incantesimi dai quali si viene sopraffatti.
Album di nicchia per un genere già di per sé ad uso e consumo di pochi fans, ma consigliato se siete amanti delle trame pesanti di Revelation, Sleep e St. Vitus.

Tracklist
1. Grit and Pearls
2. Harold
3. Reckon
4. Call the Serpent’s Bluff
5. Welter
6. Tradewind

Line-up
Susie McMullan -Bass, Vocals
Jordan Perkins-Lewis – Drums
Jamie McCathie – Guitars

BRUME – Facebook

Sound Storm – Vertigo

Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto.

La scena metal nazionale non smette di regalare sorprese e dopo gli ottimi album arrivati in redazione negli ultimi mesi e che coprono praticamente tutto il mondo metallico con le sue tante sfaccettature, arriva dalla Rockshots il terzo lavoro dei piemontesi Sound Storm, un’opera metal totale, la colonna sonora di quello che di fatto è una serie dalle tematiche steampunk ideate dal gruppo e diretta da Taiyo Yamanouchi.

In questo nuovo lavoro la band ingloba nuovi membri che vanno a comporre una line up che vede, oltre alla coppia storica formata da Valerio Sbriglione (chitarra) e Massimiliano Flak (basso), Alessandro Bissa (batteria), Rocco Mirarchi (chitarra), Elena Crolle (tastiere) ed il bravissimo Fabio Privitera (voce).
Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto, magniloquente e pregno di evocativa epicità come nella migliore tradizione classica.
Ovviamente non stiamo parlando di originalità ed altre chimere, il power metal e le sinfonie orchestrali non sono certo la prima volta che si incontrano, ma in Vertigo sono portate ad un livello talmente alto da guardare le migliori opere passate direttamente negli occhi.
Eviterò di descrivervi la tecnica sopraffina di cui i musicisti sono dotati, in questo lavoro è il songwriting, accompagnato da un talento per le atmosfere magniloquenti, che fa la differenza, lasciando che le ispirazioni del gruppo si riflettano positivamente su una splendida opera.
La storia riguarda un compositore che, fallite le sue aspettative musicali, si diletta con la scienza, scivolando sempre più in un baratro di pazzia: la musica è drammatica, tragica ed epica, intimista in molti passaggi pianistici che ricordano i Savatage o la Trans Siberian Orchestra, mentre le parti orchestrali unite al power raccolgono gli insegnamenti del nostro Luca Turilli, maestro indiscusso di queste sonorità.
Abbiate cura di questo lavoro e fatevi cullare dalle emozionanti sfumature che i ricami tastieristici della Crolle rendono eleganti e raffinati, senza dimenticare gli assoli che a tratti ci investono con il loro gusto neoclassico, le cavalcate metalliche, gli esaltanti crescendo orchestrali e l’interpretazione fuori categoria di Privitera, che mette l’accento su questo enorme lavoro.
The Dragonfly, Original Sin, la devastante Gemini sono episodi da segnalare, ma se riscrivessi l’articolo nominerei magari altre tra le tracce che compongono questa bellissima opera, tanto per rendere l’idea dello spessore qualiativo di tutta la tracklist.

Tracklist
1. Vertigo
2. The Dragonfly
3. Metamorphosis
4. Forsaken
5. Original Sin
6. The Ocean
7. Spiral
8. Gemini
9. Alice
10. The Last Breath

Line-up
Fabio Privitera – Vocals
Valerio Sbriglione – Guitars
Rocco Mirarchi – Guitars
Elena Crolle – Keyboards
Massimiliano Flak – Bass
Alessandro Bissa – Drums

SOUND STORM – Facebook

Necrovorous – Plains Of Decay

Il secondo devastante lavoro sulla lunga distanza per i deathsters greci Necovorous possiede tutti i crismi per essere consigliato agli amanti del death metal old school.

Un macigno death metal niente male Plains Of Decay, nuovo lavoro dei Necrovorous, attivi in Grecia da una dozzina d’anni, protagonisti di molti lavori minori, ma arrivati con questo maligno e devastante album al secondo sulla lunga distanza.

Kostas K. non le manda certo a dire e con il suo brutale vocione ci spinge nel vorticoso rifferama composto dal gruppo, che si avvale di altri due energumeni come Marios P. (chitarra e basso) e Vangelis F.(batteria).
Molto presente nella scena estrema underground e con una buona esperienza in sede live, il gruppo proveniente dalla capitale conferma l’ottima tradizione ellenica nel metal estremo, magari per le belligeranze black ma altrettanto meritevole d’attenzione se si parla di death metal classico.
The Sun Has Risen in a Land I No Longer See apre le ostilità, seguita dal massacro Cherish The Sepulture: l’odore di marcio si fa prepotente e fastidioso nelle narici, i piedi avanzano nella melma e i sei minuti abbondanti di Eternal Soulmates ci costringono ad accelerare il passo, prima che le frenate doom alla Asphyx di Psychedelic Tribe of Doom ci facciano cadere in un oscuro e terrorizzante abisso.
Le influenze del gruppo greco sono da attribuire alla tradizione classica del death metal più torbido (Death, Massacre, Necrophagia), mentre la letale Misery Loves Death Company e l’andamento funereo della conclusiva The Noose Tightens, death doom metal song intensa e apice dell’album, mettono il sigillo su questo scrigno di morte targato Necrovorous.

Tracklist
1. The Sun Has Risen in a Land I No Longer See
2. Cherish The Sepulture
3. Eternal Soulmates
4. Plains of Decay
5. Psychedelic Tribe of Doom
6. Faces of Addiction
7. Red Moon Rabies
8. Misery Lovers Dead Company
9. Lost in a Burning Charnel Ground
10. The Noose Tightens

Line-up
Kostas K. – Vocals
Marios P. – Guitars, Bass
Vangelis F. – Drums

NECROVOROUS – Facebook

The Danger – The Danger

Hard & heavy senza compromessi, e si parte per le lunghe strade della riviera romagnola tra tra Motorhead e piadine, lambrusco e whisky.

Torna con il monicker leggermente cambiato la band nata sulle coste dell’adriatico (Bellaria) e conosciuta come The Danger Zone, con al microfono lo storico ex singer dei Vanexa, Marco Spinelli.

Attiva dal 1998 e con tre album all’attivo con il vecchio monicker, la band torna quindi sotto il nome The Danger ed un nuovo lavoro omonimo.
L’album è licenziato dalla band in doppia versione, la prima cantata come da tradizione in italiano e una seconda in inglese per avvicinarsi al mercato estero.
The Danger è un buon album di rock’n’roll ipervitaminizzato o se preferite di hard & heavy sfrontato, dal taglio punk e dai testi irrisori ma che si allontanano dalle tematiche porno del precedente lavoro uscito nel 2011.
Come si diceva, hard & heavy senza compromessi, un’attitudine da rockers navigati, come d’altronde sono, e si parte per le lunghe strade della riviera romagnola tra birra, ragazze e tanta musica rock, tra Motorhead e piadine, lambrusco e whisky.
L’album è composto da undici inni dedicati alla vita on the road ed al lyfe style da rockers duri e puri, mentre i testi scanzonati e ironici sono accompagnati dalla tecnica invidiabile della quale si possono vantare questi cinque ragazzacci del rock’n’roll che, oltre al citato vocalist, portano i nomi di Giorgio Crociati (chitarra), Denis Bedetti (chitarra), Stefano Vasini (batteria) e Nicola Sbrighi (basso).
Un album di rock duro, piacevole e godibile dall’inizio alla fine con due o tre canzoni che formano il cuore pulsante di canzoni come il super inno Metallari, L’amore No e la punkeggiante Cattivo Esempio.
Ho trovato che la proposta di una versione in inglese dell’album sia stata buona idea, trattandosi come è di un idioma molto più adatto alla musica suonata, fornendo un’ulteriore spinta a brani esplosivi ed esaltando anche la prestazione di Spinelli.
Questione di gusti, ovviamente, ma visto che vi troverete al cospetto delle due versioni , a voi la scelta e buon ascolto.

Tracklist
1.The Danger
2.Metallari
3.Scemo
4.Il Libeccio (il mio bar)
5.Rock ‘n’ Roll
6.L’Amore No
7.Bla Bla Bla
8.Alpornononsicomanda
9.California
10.Cattivo Esempio
11.Adrenalina (strumentale)

Line-up
Marco Spinelli (Spino) – Vocals
Denis Bedetti (Asiai) – Guitars
Giorgio Crociati (Jail) – Guitars
Nicola Sbrighi (Sbergi) – Bass
Stefano Vasini (Pelo) – Drums

THE DANGER – Facebook

D.O.G. Disciples Of God – Unleashed

Un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare la miracolo, ma funziona.

Ancora ottimo metal in arrivo dagli Stati Uniti tramite l’attivissima Roxx Records, label specializzata in metal a sfondo cristiano.

Sempre poco conosciuto, il christian metal abbraccia non solo l’heavy metal tradizionale ed il power, ma sconfina molte volte in altri sottogeneri, l’importante è essere cristiani convinti e seguire la parola di Dio, il resto va da sé.
Questa scelta non inficia il valore dei prodotti, molto spesso di buon livello e noi, che per prima cosa siamo interessati alla musica, non possiamo che rallegrarcene avendo la possibilità di potervene parlare.
I D.O.G. (Disciples Of God) sono la nuova proposta della label statunitense, un super gruppo composto da vecchie volpi della scena come Terry Russell (Holy Soldier), Larry Farkas (Vengeance Rising) e Scott Strickland (Neon Cross): il bello viene quando, premendo il tasto play del vostro lettore, vi ritroverete al cospetto di un gruppo dal sound diretto, sporco, dal buon groove ma anche da ottime sferzate thrash metal vecchia scuola.
Motorhead vs primi Metallica, ci raccontano i tipi della Roxx, e non ci vanno poi molto distanti, specialmente riguardo ai quattro cavalieri di Frisco, quelli giovani, arrabbiati e senza compromessi.
Unleashed è un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare al miracolo, ma funziona: l’album così ci ricorda, per mezzo di bombe come No One Rides For Free, Seeking Your Face e l’irresistibile Armageddon, di come anche al Signore piace l’heavy metal, e di come suoi paladini armati di fede e strumenti sappiano suonarlo con ottimo feeling ed impatto.
Un’altra band da annoverare tra le migliori novità del rooster della Roxx Records, senza dubbio meritevole di un ascolto.

Tracklist
1. No One Rides For Free
2. Seeking Your Face
3. Pay The Piper
4. Into Thin Air
5. Aliens and Strangers
6. Armageddon
7. Life or Death
8. Hey You

Line-up
Terry Russell
Larry Farkas
Scott Strickland

D.O.G. – Facebook

Magia Nera – L’Ultima Danza Di Ophelia

L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui la nostra penisola è ammantata da nord a sud.

Letteratura, cinema, pittura e soprattutto musica: gran parte dell’arte italiana porta inevitabilmente a parlare di leggende mistiche ed occulte e non è la prima volta che, per raccontarvi la storia di una band o di un album, partiamo dalla propensione per questi oscuri argomenti che da sempre contraddistingue la nostra penisola.

Magia Nera, un monicker che, dopo tutta la musica passata negli ultimi quarant’anni. porta a pensare ad un gruppo estremo: invece lo storico quintetto proveniente dalla provincia spezzina suona hard rock, a tratti psichedelico, ma vicino al sound dei maggiori gruppi britannici a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, primi fra tutti gli Uriah Heep ai quali viene dedicata la cover dell’immortale Gypsy, opener del debutto Very ‘Eavy Very ‘Umble.
Una storia praticamente finita prima di iniziare quella dei Magia Nera, spentasi prima di incidere l’album d’esordio e partire in tour con i New Trolls, e ora tornata a risplendere grazie alla reunion del gruppo al completo, con il solo ingresso del tastierista Andrea Foce e la registrazione di questo disco, rimasto in attesa d’essere terminato per lunghi decenni.
L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui, come detto, la nostra penisola è ammantata da nord a sud, e la colonna delle sonora delle poesie dark  raccontate dal cantastorie Emilio Farro non può non essere rock duro dal taglio dark progressive, con grintose sfumature che, appunto, riportano alla storica band britannica: un sound che ritrova nuova linfa anche grazie alla chitarra di Bruno Cencetti, ai tasti d’avorio di Andrea Foce, al basso di Lello Accardo e alle pelli percosse da Pino Fontana.
Nell’oscurità di un maniero, tra le colline che dividono la Liguria dalla Toscana, si celebra questo vecchio rito sabbatico con l’inizio dedicato ad Ophelia, seguita dal riff della splendida ed oscura Il Passo Del Lupo, La Strega Del Lago (in quota Uriah Heep) ed il canto di LaTredicesima Luna.
Il cuore del disco è lasciato a Dieci movimenti in cinque tracce, suite che porta alla conclusiva cover di Gypsy, chiusura di quest’opera d’altri tempi, affascinante ed imperdibile per tutti gli amanti del genere.
L’Ultima Danza di Ophelia non poteva rimanere nell’oscuro limbo al quale sembrava ormai destinata, e bene hanno fatto gli storici musicisti liguri a dargli finalmente una vita discografica.

Tracklist
1.Ophelia
2.Il passo del lupo
3.La strega del lago
4.La tredicesima luna
5.Suite: Dieci movimenti in cinque tracce
– Traccia uno: Movimento uno
– Traccia due: Movimenti due, tre, quattro
– Traccia tre: Movimenti cinque, sei
– Traccia quattro: Movimenti sette, otto
– Traccia cinque: Movimenti nove, dieci
6.Gypsy (Huriah Heep) bonus track

Line-up
Emilio Farro: Vocals
Pino Fontana: Drums
Lello Accardo: Bass
Andrea Foce: Keyboards
Bruno Cencetti: Electric Guitar

Klogr – Keystone

Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.

Torna sul mercato il gruppo alternative metal/rock nazionale che meglio ha fatto in questi ultimi anni.

Sono passati ormai due anni da quando la band di Gabriele “Rusty” Rustichelli licenziava l’ep Make Your Stand, con incluso un dvd che immortalava il gruppo sul palco del Live Club Di Trezzo nel 2014 e confermava, specialmente a chi aveva solo sentito parlare dei Klogr, l’enorme potenziale che il quartetto si portava appresso.
Vero è che la band ha continuato a solcare palchi in giro per il mondo accompagnando nomi storici come i Prong di Tommy Victor, trovando comunque il tempo di registrare la chiave di volta, il viaggio musicale che il gruppo nostrano ci invita ad intraprendere per giungere alla comprensione di ciò che tiene insieme l’equilibrio del mondo.
Keystone si nobilita di questo difficile e serioso concept per espanderlo su un alternative metal altamente melodico, ma che non manca di una componente thrash e con la voce del leader ad alternare sapientemente un cantato dal piglio melodico e un altro più rabbioso ed in linea con l’anima metallica del gruppo.
Come ormai da tradizione i Klogr non risparmiano ritornelli accattivanti, molte volte in contrasto con la forza espressiva della musica che raggiunge lidi di potenza ben oltre le classiche ripartenze dei gruppi alternative, amalgamando thrash metal classico e moderno e inserendolo in un contesto che spinge la musica verso gli Alter Bridge.
Ecco in due parole la chiave di volta per comprendere la musica dei Klogr, che si rivelano degli Alter Bridge induriti e trasformati in una macchina metal da iniezioni metalliche e da qualche passaggio alla Prong.
Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia (Dark Tides), prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.
Prison Of Light, la devastante Technocracy, Pride Before The Fall, l’inizio a tutta velocità thrash di Enigmatic Smile sono i momenti più intensi di Keystone, album riuscito che rappresenta une ottimo ritorno per i Klogr.

Tracklist
1.Sleeping Through The Seasons
2.Prison Of Light
3.Technocracy
4.The Echoes Of Sin
5.Pride Before The Fall
6.Something’s In The Air
7.Drag You Back
8.Sirens’ Song
9.Dark Tides
10.Silent Witness
11.Enigmatic Smile
12.The Wall Of Illusion

Line-up
Gabriele “Rusty” Rustichelli – Vocals, Guitar
Pietro Quilichini – Guitars
Maicol Morgotti – Drums
Roberto Galli – Bass

KLOGR – Facebook