Elmo Karjalainen – Age Of Heroes

Quarto album solista per Elmo Karjalainen, ex chitarrista dei melodic rocker finlandesi Deathlike Silence, che con Age Of Heroes è protagonista di un buon lavoro di metal strumentale, leggermente prolisso ma consigliato agli amanti dei guitar heroes.

Quarto lavoro strumentale per l’ex chitarrista del Deathlike Silence, gruppo hard rock melodico pregno di atmosfere horror e gotiche, che nel 2009 licenziò il bellissimo ed ultimo album Saturday Night Evil.

Del sestetto di Turku abbiamo purtroppo perso le tracce, mentre il suo axeman dal 2012 ha intrapreso la carriera solista con una serie di lavori strumentali di ottima fattura.
Poco conosciuto fuori dal territorio nazionale, Elmo Karjalainen giunge al quarto album, interamente scritto da lui, una lunga jam strumentale di settanta minuti (forse troppi) dove il metal e l’hard rock incontrano varie soluzioni stilistiche, sognanti atmosfere pinkfloydiane tra musica dura e progressiva.
Le influenze del musicista finlandese sono da attribuire ai maghi delle sei corde che tanto hanno fatto parlare in passato gli addetti ai lavori (Paul Gilbert, Joe Satriani e Yngwie J. Malmsteen), quindi l’opera è adatta ai palati metallici, anche se in così tanti minuti troverete riferimenti a più di un’ icona del rock /metal mondiale.
Age Of Heroes ha nella sua eccessiva durata il punto debole, anche se la musica suonata da Karjalainen non si avvolge su se stessa come quella di molti suoi colleghi.
How Can Less Be More, The Grassy Gnoll, la doppietta composta dalla title track e dalla speed metal song A Meeting Of The Gods (And This Guy), sono i momenti più interessanti di un album che rischia di passare inosservato come i suoi predecessori, mentre meriterebbe più di attenzione da parte degli amanti del genere, anche se come detto il minutaggio non gioca a favore della fruibilità, importantissima in lavori come Age Of Heroes.

Tracklist
1. Warm Welcome
2. How Can Less Be More
3. The Colour of Greed
4. Chikken Noodul
5. A Fertile Discussion
6. The Grassy Gnoll
7. Blue Eyes
8. Party Political Speech
9. Age of Heroes
10. A Meeting of the Gods (And This Guy)
11. Sunset
12. Return of the Silly English Person
13. Falling for Falafels
14. Lost In a Foreign Scale
15. Three Days of Peace
16. Limiting Rationality
17. Breathe

Line-up
Derek Sherinian – Keyboards on “The Colour of Greed”
Mattias IA Eklundh – Gutiar solos on “A Fertile Discussion” and “Falling for Falafels”
Janne Nieminen and Emil Pohjalainen – Guitar solos on “A Meeting of the Gods (And This Guy)”
Vesa Kolu – Drums on “A Fertile Discussion”, “Blue Eyes”, “Falling for Falafels”, “Three Days of Peace”, and “Limiting Rationality”
Christer Karjalainen – Drums on “Chikken Noodul” and “Sunset”
Elmo Karjalainen – everything else

ELMO KARJALAINEN – Facebook

The Watchers – Sabbath Highway

I The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.

Torniamo indietro fino alla metà degli anni novanta, il decennio più importante della storia del metal/rock dopo gli anni settanta, facciamoci ancora del male con i primi lavori di Zakk Wilde e dei suoi Black Label Society, aggiungiamoci i Soundgarden di Louder Than Love e i Corrosion Of Conformity nella versione più stonerizzata (Wiseblood/America’s Volume Dealer) ed avremo ottenuto una ricetta musicale da veri Masterchef del rock, oppure saremo molto vicini alla proposta di questi clamorosi rockers statunitensi, i The Watchers.

Sabbath Highway, ep uscito qualche tempo fa, ci consegna un gruppo davvero interessante, pronto per licenziare il primo lavoro sulla lunga distanza che si preannuncia come una bomba sonora, almeno per chi apprezza queste sonorità.
Niente di nuovo, chiariamolo subito, ma senz’altro convincente, con i Sabbath che compaiono nel titolo e fanno da padrini al quartetto composto da Tim Narducci alla voce, Jeremy Von Eppic alla chitarra, Cornbread al basso e Carter Kennedy (Orchid) alla batteria.
Esaltanti ed irresistibili, i The Watchers sono come un tornado in mezzo al deserto, un vortice di sonorità hard & heavy che si abbattono sulla campagna americana, un twister selvaggio dal titolo Sabbath Highway.
E selvagge sono le note che escono a tratti violente dalla title track o dalla monumentale Call The Priest, spettacolare brano tra Soundgarden e Black Sabbath, dove Narducci fa il Cornell d’annata.
I nostri picchiano duro anche in Today, veloce come una Harley lanciata all’impazzata e nella conclusiva Just A Needle, mid tempo potente e cadenzato, un carro armato hard rock con la scritta B.L.S. sulla fiancata.
Ripple Music è l’etichetta responsabile dei danni inferti ai padiglioni auricolari degli amanti del genere da parte del gruppo, in attesa di un full length che si preannuncia dinamitardo.

Tracklist
1.Sabbath Highway
2.Requiem Intro
3.Call The Priest
4.Today
5.Just A Needle

Line-up
Carter Kennedy – Drums
Cornbread – Bass
Jeremy Von Eppic – Guitars
Tim Narducci – Vocals

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Regardless Of Me – The Covenant

The Covenant è un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere.

La Sleaszy Rider è una delle label che ultimamente hanno contribuito in maniera importante allo sviluppo del metal underground nella vecchia Europa, con uno sguardo sempre attento alla scena italiana, fucina di ottime realtà dal metal classico a quello estremo.

I lombardi Regardless Of Me, freschi di firma con l’etichetta greca, sono un quartetto attivo da una decina d’anni, con due full length alle spalle (The World Within del 2009 e Pleasures And Fear uscito sei anni fa) e hanno calcato i palchi assieme a nomi importanti del panorama metal mondiale come Meshuggah, Fear Factory, Children Of Bodom e molti altri, prima di arrivare all’importante contratto ed all’uscita di The Covenant.
La band nostrana ha un suo particolare approccio al dark/gothic metal, infatti il sound di The Covenant è in generale moderno e cool, ma non risparmia puntate estreme, un uso sagace della componente alternative, sconfinando in atmosfere trip hop, ed una buona dose di elettronica, che a tratti si nobilita di tappeti liquidi e sfumature dai richiami ai Lacuna Coil.
La bravura strumentale, che aiuta la band nelle parti più vicine al death metal progressivo, è la ciliegina sulla torta di un album originale e ben strutturato, vario nel suo mantenere la componente dark/gothic cercando di non soffermarsi troppo su soluzioni abusate e cercando sempre un proprio tocco personale.
Anche l’uso della doppia voce è perfetto, con la voce femminile di Arys Noir che si scambia o si accompagna con il growl di Mr.Dark, che non disdegna passaggi rap style, in un’atmosfera drammatica ed oscura che pervade le tracce di The Covenant.
Il singolo Losing You, Nothing Can Last Forever, la splendida ed estrema Amore Nero, l’alternative dark/rock violentato da dosi massicce di metal di This Broken World, con il gran lavoro chitarristico sotto forma di assoli di ispirazione heavy/prog, fanno di The Covenant un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere
La data di uscita suggerita dall’etichetta è il 31 ottobre, un ottimo modo per accompagnare musicalmente la notte di Halloween …

Tracklist
1.The Covenant
2.We Are
3.Losing You
4.Nothing Can Last Forever
5.Neurotic Trains
6.A Different Way
7.Amore Nero
8.This Night
9.This Broken World
10.Weightless
11.Blue Apocalypse

Line-up
Arys Noir – Vocals
Mr Dark (Emiliano Sicilia) – Rap, Growls and Screams, Vocals,11 Strings Guitar, Programming
The Grand Duke (Niccolò Parrini) – Fretless Bass Guitar, 7 Strings Bass guitar, effects, piano and keyboards
Simon “Bullet” Whites – Drums, Percussions, Effects

REGARDLESS OF ME – Facebook

Noturnall – 9

9, ultimo lavoro dei Noturnall, conferma la tradizione brasiliana per i suoni heavy power metal ed è consigliato ai fans di Angra ed Almah.

Brasile: terra di calcio, samba ed heavy metal.

Tramite la Rockshots Records arriva in questo infuocato autunno il nuovo album degli heavy/prog metallers Noturnall, band che vede all’opera gli ex Shaman Thiago Bianchi (voce), Fernando Quesada (basso), Léo Mancini (chitarra), con il supporto di Juninho Carelli alle tastiere e l’ex Angra Aquiles Priester alla batteria.
Continua la tradizione brasiliana nei suoni classici e progressivi, 9 è il terzo full length del gruppo, attivo dal 2013, quindi molto attivo nelle uscite discografiche che si completano con un live ed un singolo.
Il sound del gruppo di San Paolo risulta molto più heavy che prog, a dire il vero, anzi le cavalcate power sono il punto di forza di un metal tagliente e duro come l’acciaio, dove le chitarre ricamano solos classici, le tastiere orchestrano il tutto e la voce di Bianchi segue le orme dei vari Andrè Matos ed Edu Falaschi, mostrandosi melodica e varia nell’approccio, brillando a livello emozionale.
Si diceva delle ritmiche power, prevalenti in molti dei brani che si rivelano diretti ed a tratti esaltanti e qui il plauso va tutto a Priester e Quesada, coppia d’assi ritmica al servizio della riuscita di 9.
L’opener Hey!, la violentissima Change, Moving On che sa tanto di ultimi Angra, l’heavy power metal di cui è splendidamente rivestita What You Waiting For, colorano di grigio acciaio l’atmosfera di un album sempre in bilico tra potenza (tanta) e melodia.
Se parliamo di influenze o ispirazioni il sound vive delle sfumature insite negli album degli Angra (quelli con Falaschi) e Almah, con un occhio in terra tedesca e la sua tradizione metallica, con gli Edguy in testa.
Un ottimo lavoro, sicuramente consigliato ai fans dei gruppi citati e riprova di quanto bene si suoni il genere in Brasile, nazione guida del metal sudamericano.

Tracklist
1.Hey!
2.Change
3.Wake Up
4.Moving On
5.Mysterious
6.Hearts As One
7.What You Waiting For
8.Shadows
9.Pain

Line-up
Fernando Quesada – Bass
Aquiles Priester – Drums
Léo Mancini – Guitars
Junior “Juninho” Carelli – Keyboards
Thiago Bianchi – Vocals

NOTURNALL – Facebook

NYN – Entropy: Of Chaos And Salt

Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Ci risiamo, ecco un altro lavoro dove la tecnica spropositata dei musicisti travalica forma canzone e un minimo di musicalità per lasciare tutto in mano ad un tecnico “caos organizzato”.

La band si chiama NYN, è stata fondata negli States dal polistrumentista Noyan Tokgozoglu ormai dieci anni fa, e arriva quest’anno al secondo full length dopo aver inciso un ep, una manciata di singoli ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Eventuality tre anni fa.
Raggiunto da Tom “Fountainhead” Geldschlager (ex Obscura) alla sei corde e da Jimmy Pitts alle tastiere, Tokgozoglu licenzia un monumento alla fredda tecnica dal titolo Entropy: Of Chaos And Salt, un’ ora di scale a velocità assurda, blast beat devastanti, urla belluine, qualche attimo di quiete prima che (appunto) il caos torni signore e padrone del sound.
Se gli ultimi album dei Rings Of Saturn e Next To None (tanto per fare degli esempi) vi sono apparsi un tantino esagerati, sappiate che i NYN vanno anche oltre, non lasciando un briciolo di spazio alla melodia e aggredendo con solos vomitati uno dietro l’altro, una batteria programmata che non aiuta di certo a scaldare l’ambiente che rimane asettico e freddo come una distesa di ghiaccio.
Difficile nominare un brano più o meno riuscito, il fragore sonoro regna e trionfa mentre la tecnica dei protagonisti è l’unica nota positiva che emerge dall’ascolto di Entropy: Of Chaos And Salt.
Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Tracklist
1. The Mind Inverted
2. The Apory of Existence
2. Omnipotence Paradox
4. Dissimulating Apologia
5. Rebirth: Rebuild, Advance, Redo
6. Embrace Entropy
7. The Hallway
8. Maelstrom
9.Taken Away By The Tides

Line-up
Noyan Tokgozoglu – Vocals, guitars, Bass, Programming
Tom “Fountainhead” Geldschlager – Guitars
Jimmy Pitts – Keyboards

NYN – Facebook

Fireforce – Annihilate The Evil

Annihilate The Evil non è un brutto lavoro, ma soffre di una staticità di fondo che alla lunga disperde energie e concentrazione in chi ascolta e per questo non va oltre una semplice sufficienza.

Power metal battagliero ed epico il giusto per tornare a sfoderare le spade e buttarsi a capofitto sul campo di battaglia, cercando di tagliuzzare più nemici possibili sotto la bandiera dei Fireforce, giovane combo belga attivo dal 2008 e con altri due full length alle spalle (March On e Deathbringer, rispettivamente usciti nel 2011 e tre anni fa).

Nazionalità belga ma cittadinanza tedesca, almeno per quanto riguarda la propria proposta incentrata su un heavy power che, senza infamia e senza lode, segue le caratteristiche peculiari della tradizione teutonica.
Annihilate The Evil è composto da una dozzina di brani che affrontano la materia senza orpelli e fronzoli, una ventata di power metal nella sua forma più pura, veloce e semplice, con un songwriting che spinge sulla potenza delle ritmiche, cercando di trovare le giuste melodie e concentrandosi su un approccio per cui vale la frase “palla lunga e pedalare”.
Parte bene l’album, l’opener The Boys From Down Under è il classico brano su cui mille altre bands del genere hanno costruito le loro fortune, diretto, pesante e melodico, e i Fireforce ci hanno tratto giustamente un video, seguito da Revenge In Flames, altro muro metallico su cui i belgi combattono la loro battaglia.
I problemi arrivano dalla terza traccia, che non cambia di una virgola il mood dei primi due brani, seguendo perfettamente la struttura già evidenziata, partenza più o meno potente, strofa, ritornello, solo e via verso la conclusione.
Il power metal è un genere meno facile di quello che si possa credere, il già sentito è dietro l’angolo e finire nell’indifferenza è un attimo se non si hanno le idee necessarie per valorizzare un sound che, altrimenti, è destinato ristagnare nei soliti cliché.
Annihilate The Evil non è un brutto lavoro, ma soffre di una staticità di fondo che alla lunga disperde energie e concentrazione in chi ascolta e per questo non va oltre una semplice sufficienza.

Tracklist
01. The Boys From Down Under
02. Revenge In Flames
03. Fake Hero
04. Dog Soldiers
05. Oxi Day
06. Thyra’s Wall
07. Defector
08. The Iron Brigade
09. White Lily (Okhotnik)
10. Iron, Steel, Concrete, Granite
11. Herkus Mantas
12. Gimme Shelter (CD only Bonustrack)

Line-up
Filip “Flype” Lemmens – vocals
Serge Bastaens – bass
Thierry Van der Zanden – guitar
Erwin Suetens – guitar
Jonas Sanders – drums

FIREFORCE –
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File Not Found – Firewall

Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Thrash ed alternative rock, potenti iniezioni di hard rock moderno su una struttura che rimane fortemente legata al metal tradizionale.

Potremmo anche archiviare Firewall, secondo lavoro dei romani File Not Found, con queste righe, ma la band ed la sua nuova opera meritano sicuramente di essere conosciute più a fondo; l’album è uscito da qualche mese e il gruppo ha già cambiato diverse volte il chitarrista e mentre dietro alla sei corde oggi troviamo Andrei Tanasa, sul disco il gran lavoro eseguito alla chitarra è di Christian Di Bartolomeo.
Firewall è un disco moderno, il metal di cui è composto si accompagna con i suoni rock del nuovo millennio e ne esce valorizzato, e l’alternanza tra thrash, alternative e rock contribuisce a rendere l’ascolto vario ed interessantissimo, seguendo le evoluzioni stilistiche del quartetto che non si accontenta di strofa-ritornello-strofa; con la personalità da band navigata i File Not Found sanno come trovare quel tocco originale per cui i brani sarebbero tutti da menzionare, dalla bomba thrash Legacy a Foreign Edge, alternative rock che avvicina il gruppo romano agli Alter Bridge.
Firewall continua a sciorinare ottimi brani, il groove lascia tracce di Black Label Society in qualche passaggio (Leave The Hit Behind) e i quaranta minuti abbondanti del disco passano veloci tra rock duro, solos metallici e brani dal forte appeal.
I sorprendenti File Not Found (monicker dedicato al mondo del web) picchiano sugli strumenti da par loro; The Song Of Concrete Leaves Tree si rivela una bordata di moderno thrash metal da capocciate contro il muro, Crisis è una drammatica ballad in crescendo, atmosfericamente perfetta e sempre in bilico tra modernità e tradizione, mentre la conclusiva Born ritorna su territori più consoni all’alternative rock.
Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Tracklist
1- Switch On
2- Legacy
3- My Agony
4- Words Bite
5- Foreign Edge
6- Leave The Shit Behind
7- The Song Of Concrete Leaves Tree
8- Crisis
9- Insomnia
10- Born

Line-up
Leonardo Meko – vocals/rhythm guitar
Andrei Tanasa – lead guitar
Claudio Buricchi – bass
Marco Cinti – drums/vocals

FILE NOT FOUND – Facebook

Tony Mills – Streets Of Chance

Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Cantante di livello assoluto e protagonista fin dal lontano 1983 nella scena hard & heavy internazionale Tony Mills torna con un nuovo lavoro, il quinto della sua carriera solista iniziata all’alba del nuovo millennio con l’album Cruiser.

Parlare della vita artistica di Tony Mills vuol dire ripercorrere almeno una trentina d’anni di hard rock di altissima qualità, prima con gli Shy, poi con i TNT e con altre realtà più o meno importanti della scena come China Blue e Serpentine.
Il suo nuovo album intitolato Streets Of Chance è stato prodotto e mixato da Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock) e masterizzato da Harry Hess.
Ma il bello di questo splendido lavoro sono gli ospiti che sono stai invitati e si sono seduti alla tavola rotonda di questo vecchio cavaliere britannico dell’ hard rock, formando una line up che, nel genere. è difficilmente eguagliabile.
Al microfono, insieme a Tony, troviamo Pete Newdeck (Tainted Nation, Blood Red Saints, The Shock), anche dietro ai tamburi, mentre a dispensare note melodiche prodotte da magiche sei corde si alternano chitarristi del calibro di Joel Hoekstra (Whitesnake, Night Ranger), Tommy Denander (Radioactive, Alice Cooper, Paul Stanley), Robby Boebel (Frontline, Evidence One, State of Rock), Neil Frazer (Rage of Angels, Ten), Tommy Denander, Robby Boebel e Pete Fry (FarCry).
La lista dei bassisti si ferma a Toine Vanderlinden (Martyr, Rebelstar Rock) e Linda Mills (Dolls of Disaster) e quella dei tastieristi a Eric Ragno (The Babys, Joe Lynne Turner, China Blue),Tommy Denander and Robby Boebel.
Con una line up del genere mancava solo un songwriting degno di questo ritrovo di talenti e gli amanti del rock melodico sono stati accontentati, con un lotto di brani davvero belli che mettono in risalto la splendida voce di Mills, a suo agio tra brani raffinati ed altri più graffianti, mentre gli strumenti valorizzano il talento del leone britannico senza risultare invadenti.
Ma d’altronde si parla di hard rock melodico, da sempre ricco di emozioni e su Streets Of Chance i brividi non si fanno attendere già dall’opener Scars, mentre la seguente When The Lights Go Down accende le luci intense di un’arena rock in balia di splendidi chorus direttamente dagli anni ottanta.
Legacy accentua le ritmiche mentre il refrain ci conquista al primo passaggio e l’album continua a dispensare grande musica mentre i toni si attenuano con Battleground e Dream On.
C’è ancora tempo per tornare su livelli altissimi con le ultime due tracce (Storm Warning, Seventh Wonder), fulgidi esempi di hard rock grintoso ma elegante e raffinato, con un Mills sugli scudi malgrado il tempo che avanza inesorabile.
Un ottimo album, intenso, raffinato ed elegantemente melodico, suonato e cantato da un nugolo di musicisti che fanno parte della crema del genere, e soprattutto composto da belle canzoni.

Tracklist
1. Scars
2. When The Lights Go Down
3. Legacy
4. Battleground
5. Dream On
6. Weighing Me Down
7. When We Were Young
8. The Art Of Letting Go
9. Storm Warning
10. Seventh Wonder

Line-up
Tony Mills – Vocals

Pete Newdeck – Vocals, Drums
Joel Hoekstra – Lead Guitars
Tommy Denander – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Robby Boebel – Lead Guitars, Rhythm Guitars, Keyboards
Neil Frazer – Lead Guitars
Pete Fry – Rhythm Guitars
Toine Vanderlinden – Bass
Linda Mills – Bass
Eric Ragno – Keyboards

TONY MILLS – Facebook

Lostair – Ad Jubilaeum

Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

La Revalve Records licenzia il secondo full length dei thrashers vicentini Lostair, band attiva dal 2004, condizionata da un continuo via vai di musicisti per quasi tutta la sua carriera che ha rallentato ma non fermato il gruppo veneto.

Dunque un ep e l’album di debutto uscito ormai cinque anni fa (Anguane) e tanta esperienza live, acquisita di supporto a band storiche del metal, tricolore e non, hanno rappresentato fin qui la carriera del gruppo in questi tredici anni: ora, dopo la firma con l’ottima label nostrana, ecco l’uscita di Ad Jubilaeum, concept album incentrato sull’immenso potere acquisito nei secoli dalla cristianità al di là dell’aspetto puramente spirituale, come ben raffigurato dall’artwork.
Religione e thrash metal, due mondi lontani ma che vengono ben rappresentati dalla musica dei Lostair, potente e pesante, veloce ed attraversata da mid tempo epici , oscuri e tragici.
Molte atmosfere di Ad Jubilaeum mi hanno ricordato gli Iced Earth ed il loro bellissimo Something Wicked This Way Comes, specialmente quando sfumature solenni rivestono di sacralità le devastanti cavalcate metalliche che la band concede senza tregua, nobilitandole con un lavoro tecnico che mette in risalto le performance di Andrea Girardello e Teo Lost (anche al microfono) alle chitarre e quella della sezione ritmica, composta da Gorgi al basso e Stizza alla batteria.
Un violento pugno nello stomaco, potente e diretto, drammatico ed oscuro come le tante guerre e le atrocità che si sono consumate ed ancora si consumano a causa della religione, curato nei minimi dettagli, a tratti molto diretto e valorizzato da parti in cui la melodia è padrona, a partire dal bombardamento sonoro intitolato At the Hands of Black Inquisition, preceduto dall’intro Exodus, dove lupi e corvi banchettano sui cadaveri lasciati dalla furente battaglia in Terra Santa.
Non c’è tregua, Rise e Where The Angels Die sono esplosioni di violento thrash metal americano e solo i cori liturgici di Vaticanum fermano il massacro solo per poco, prima che l’atmosfera sacrale si trasformi in un’altra bordata metallica.
E’ notevole anche l’atmosfera orientaleggiante di Trinity, uno dei picchi del lavoro, così come i cori operistici della conclusiva Finis Dierum, brano dal flavour orchestrale che ribadisce l’ottima vena compositiva dei Lostair.
Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

Tracklist
1.Exodus
2.At the Hands of Black Inquisition
3.Rise
4.Where the Angels Die
5.Vaticanum
6.The Bible Code
7.Trinity
8.The Fall of Any Gods
9.Finis Dierum

Line-up
Teo Lost – Guitars, Vocals
Stizza – Drums
Gorgi – Bass
Andrea “Spin” Girardello – Guitars

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TarantisT – Not A Crime

Not A Crime è destinato a divenire a suo modo un cult così come i TarantisT, una band da seguire fregandosene del fatto che pochi ne capiranno la genialità.

Quella dei TarantisT, band dai natali fuori dai consueti circuiti rock (Teheran) ma trasferitasi in seguito a Los Angeles, è una proposta musicale che definire fuori dagli schemi è un eufemismo.

Attivo da ormai diciassette anni e arrivato al quarto album, il gruppo iraniano stravolge a modo suo il metal/rock alternativo, lo violenta con influenze industriali alla Rammstein e ce lo serve condito da ispirazioni che travalicano i consueti generi (almeno quelli in uso ad una band industrial), per trovare strade mai solcate o quasi.
Not A Crime risulta così un lavoro talmente originale da diventare di difficile catalogazione e ancora di più da recensire e questo è un bene, il male è che diventa ostico se non si appartiene a quella categoria di ascoltatori aperti a qualsiasi esperienza pur mantenendo i propri gusti.
Il carico da undici (come si dice dalle mie parti) il gruppo lo cala con la lingua madre, usata su un tappeto elettronico, dai rimandi metal industriali, valorizzati da sfumature musicali tra tradizione popolare e rock d’avanguardia, in un caleidoscopio di variopinte note estreme.
Unico problema di questo lavoro è la mancanza di un singolo, un brano che traini i deliri del gruppo iraniano, mentre un’anima psichedelica ci sfiora tra industrial e musica alternativa.
Not A Crime è destinato a divenire a suo modo un cult così come i TarantisT, una band da seguire fregandosene del fatto che pochi ne capiranno la genialità.

Tracklist
1.Silence Before Storm (Intro)
2.HeyYou
3.Not a Crime
4.Your Dance
5.Disappointment
6.Summer
7.I Become God
8.Reflection
9.Rain, Pour Down
10.Burnt City
11.You Were Not
12.Pills
13.Vaay Az to (Drunk Version)
14.Soldiers

Line-up
Arash – Bass, Vocals
Reza – Drums
Arsalan – Guitars
Bahman – Guitars

TARANTIST – Facebook

Appice – Sinister

Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto e giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

E fu così che anche i fratelli Appice, signori della batteria, si ritrovarono a scrivere un album assieme dopo tanti anni di musica heavy rock alle spalle, con Vanilla Fudge, Cactus e Ozzy Osbourne (Carmine) e Dio, Black Sabbath e Heaven And Hell (Vinny), tanto per nominare i nomi più importanti di due carriere invidiabili che, a distanza di una decina d’anni (Vinny è più giovane di undici anni), hanno dato lustro ad un cognome da paisà facendogli calcare i palchi di mezzo mondo.

Sinister è il risultato di questo album scritto in famiglia e suonato dai numerosi ospiti che hanno tributato i due martelli americani con le loro performance, e il risultato non può che essere buono, specialmente per chi ama l’hard & heavy di stampo ottantiano.
Prodotto benissimo, Sinister vive di questi notevoli contributi che vedono alternarsi tra gli altri Paul Shortino (Quiet Riot) e Chas West (Linch Mob) al microfono, Joel Hoekstra (Whitesnake), Craig Goldy (Dio, Giuffria) ed Eric Turner (warrant) alla sei corde, Tony Franklin (Blue Murder, The Firm), Phil Soussan (Ozzy) e Johnny Rod (Wasp, King Cobra) al basso.
E la musica se ne giova di conseguenza, grazie ad un songwriting che mette in evidenza l’esperienza dei musicisti in azione, calati nell’opera e a disposizione dei fratelli Appice per far risplendere di grintoso hard & heavy molti dei brani dell’album.
Rock duro di origine controllata, in alcuni casi riuscito alla grande, in pochi altri sui generis, ma suonato ed interpretato come meglio non si può: in Sinister, troviamo richiami ai migliori Whitesnake e Black Sabbath a comporre un quadro completo della carriera dei due batteristi nella loro versione metallica, con lo spirito di Dio che sorride ai tanti tributi offertigli.
L’album si sviluppa in più di un’ora ma ha il pregio di non annoiare, anche se i brani migliori come Monsters And Heroes, con Shortino alla voce, Killing Floor, lasciata tra le corde vocali di un Chas West debordante, e il mid tempo sporcato di blues di Suddenly sono tutti nella prima metà del cd, che si conclude con un mix di brani storici dei Black Sabbath intitolato Sabbath Mash.
Sinister si può certamente considerare un buon lavoro, dedicato a chi con i due fratelli americani di origine italiana è cresciuto, nonché giusto tributo ad una carriera nel mondo del rock e del metal di altissimo livello.

Tracklist
01. Sinister
02. Monsters And Heroes
03. Killing Floor
04. Danger
05. Drum Wars
06. Riot
07. Suddenly
08. In The Night
09. Future Past
10. You Got Me Running
11. Bros In Drums
12. War Cry
13. Sabbath Mash

Line-up
Carmine Appice – drums & vocals
Vinny Appice – drums

Jim Crean – vocals
Paul Shortino – vocals
Robin McAuley – vocals
Chas West – vocals
Scotty Bruce – vocals
Craig Goldy – guitar
Bumblefoot – guitar
Joel Hoekstra – guitar
Mike Sweda – guitar
Erik Turner – guitar
David Michael Phillips – guitar
Tony Franklin – bass
Phil Soussan – bass
Johnny Rod – bass
Jorgen Carlson – bass
Erik Norlander – keyboards

Savage Messiah – Hands Of Fate

I Savage Messiah ci ricordano che per fare un buon album metal, in fondo, basta la classica regola di riff portante, strofa, assoli e chorus dal buon appeal, ovviamente supportati da un buon lavoro in fase di produzione, e Hands Of Fate rispecchia queste caratteristiche.

I thrashers inglesi Savage Messiah si accasano alla Century Media ed escono con il loro lavoro migliore, Hands Of Fate, successore del pur buono The Fateful Dark e di altri due full length in dieci anni di attività.

La band londinese, capitanata dal chitarrista e cantante David Silver, non risparmia cascate di melodie all’inteno di un power thrash potente e dall’approccio heavy, rispettoso della tradizione, ma assolutamente in grado di giocarsela alla pari con i gruppi più moderni grazie ad arrangiamenti e produzione al passo coi tempi.
Ma il bello dell’album sono appunto le melodie, incastonate in brani metallici, fatti di quel thrash statunitense che ricorda non poco i Testament dei primi album e, a tratti, i The Almighty di Ricky Warwick.
Gran bella voce, soluzioni ritmiche mai banali per il genere ed un lavoro accurato sul songwriting fanno di Hands Of Fate un album ispirato dove tutto è nel posto giusto, dai ritornelli da cantare a gran voce, ai solos che dall’heavy metal prendono le caratteristiche peculiari.
I Savage Messiah ci ricordano che per fare un buon album metal, in fondo, basta la classica regola di riff portante, strofa, assoli e chorus dal buon appeal, ovviamente supportati da un buon lavoro in fase di produzione, e Hands Of Fate rispecchia queste caratteristiche.
La title track apre l’album e veniamo travolti da questa tempesta di potenza e melodia: Silver si dimostra un vocalist dalla personalità debordante, le asce tagliano spartiti come tronchi di quercia con solos ispirati e la sezione ritmica fa il suo sporco lavoro, travolgendo con potenti mid tempo su cui il gruppo piazza melodie su melodie (Wing And Prayer, Solar Corona).
Un album che si fa ascoltare, con una manciata di altri brani notevoli, tra tutti Last Confession, e si piazza come outsider tra le migliori opere del genere.

Tracklist
1. Hands of Fate
2. Wing And A Prayer
3. Blood Red Road
4. Lay Down Your Arms
5. Solar Corona
6. Eat your Heart Out
7. Fearless
8. The Last Confession
9. The Crucible
10. Out Of Time

Line-up
David Silver – Lead Guitar, Vocals
Sam S Junior – Lead Guitar, Backing Vocals
Mira Slama – Bass Guitar
Andrea Gorio – Drums

SAVAGE MESSIAH – Facebook

Dancing Scrap – This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk

Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Cambio di monicker (da Dancing Crap a Dancing Scrap), qualche aggiustamento ulteriore nella line up e Ronnie Abeille torna con la sua band ì, con una S in più ma non solo.

Avevamo lasciato la band nostrana all’indomani dell’uscita di Cut It Out, debutto sulla lunga distanza licenziato un paio di anni fa, ed è già tempo di nuova musica, mentre il sound ha subito qualche leggero cambiamento sterzando verso atmosfere più moderne e, come suggerisce il titolo, alternative.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk risulta infatti meno pervaso dallo spirito rock ‘n’ roll che aveva contraddistinto il suo predecessore, le sfumature elettroniche e funky contribuiscono a rendere l’album in sintonia con il rock americano più mainstream, facendo sì che le parti campionate e alternative, già comunque presenti in Cut It Out, diventino preponderanti nell’economia dell’album.
Se tutto questo è un bene dipende molto dai gusti di chi presterà ascolto a questa nuova raccolta di brani, sicuramente il gruppo (con la supervisione di Gianmarco Bellumori, che si è occupato del mix e della masterizzazione dell’album) ha fatto un buon lavoro, cercando di non soffermarsi troppo su un genere ma allargando i suoi orizzonti così da presentarsi come una realtà di non facile catalogazione.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk vive di alternative metal come di rock ‘n’ roll, sguazza in soluzioni elettropop e ci sbatte in faccia quell’irriverenza punk che continua ad essere l’arma in più del sound, con Abeille che a tratti ricorda non poco il Johnny Rotten post Sex Pistols.
Mezzora di musica dritta sul muso dei rockers, dallo stivale al Regno Unito, che Acid presenta al pubblico con un riff appunto acido e i ritmi che si mantengono su di un mid tempo rock, per poi trasformarsi in un irresistibile alternative funky alla Red Hot Chili Peppers in Big Fuckin’ Deal.
Il singolo I Like It, uscito qualche mese fa, segue le linee di ciò che poi si svilupperà lungo l’intero lavoro, con un rock sporcato di elettronica e punk che gioca a nascondino tra montagne di campionamenti.
I brani si susseguono con dei picchi di originalità (SWC e la conclusiva Bitch… And You Know It) che valorizzano il lavoro svolto dal gruppo, che continua imperterrito ad alternare i generi descritti non lasciando mai una traccia sicura per seguire l’andamento e riuscendo nell’impresa di non far perdere attenzione all’ascoltatore, ora sorpreso, ora divertito dai vari scenari musicali presentati su This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk.
Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Tracklist
1.Acid
2.Big Fuckin’ Deal
3.I Like It
4.Renegades
5.SWC
6.Ready for the Show
7.The Rocker You’re Not
8.My Goddess
9.Yet to Come
10.Watered Down Drink
11.Bitch… and You Know It (The Drunken Bass Song)

Line-up
Ronnie Abeille – Vox
Sal Ariano – Guitar
Eugenio “The Joker” Pavolini – Guitar
Bobby Gaz – Bass
Danilo “Wolf” Camerlengo – Drums

DANCING SCRAP – Facebook

Acephalix – Decreation

Un album brutale e pesantissimo, oscuro e maligno, niente di nuovo o che non si sia già sentito centinaia di volte, ma la forza che sprigionano brani dall’impatto feroce non passerà senza fare danni ai padiglioni auricolari degli amanti del genere.

San Francisco, Bay Area: il virus, che all’alba degli anni novanta ha tramutato molti giovani in orde di musicisti assetati di sangue e devoti al death metal, ha rallentato il suo dipanarsi ma ancora oggi infetta umani, trasformati in enormi orchi con strumenti in mano a caccia di un pasto.

Dieci anni di militanza nella storica scena e terzo full length per questo pezzo di granito estremo chiamato Acephalix, quartetto che nel suo sound immette, senza nessun riguardo, dosi abbondanti di death metal old school pescando dalla tradizione del suo paese, ma con non pochi riferimenti anche alla scena nord europea.
Decreation infatti risulta un macigno pesantissimo, diviso tra mid tempo, lente frenate e ripartenze devastanti, con il growl uscito dall’ugola di un essere per metà uomo e per metà mostro; sette brani medio lunghi per quasi quaranta minuti in caduta libera nel più profondo abisso, tra neanche troppo velate ispirazioni a Cannibal Corpse e Morbid Angel e guardando alla Scandinavia, Entombed e Dismember.
Ne esce un album brutale e pesantissimo, oscuro e maligno, niente di nuovo o che non si sia già sentito centinaia di volte, ma la forza che sprigionano brani dall’impatto feroce come Upon This Altar, Excremental Offerings o la title track non passerà senza fare danni ai padiglioni auricolari degli amanti del genere.
La copertina di Adam Burke ricorda quelle dei primi devastanti massacri degli eroi del death metal scandinavo, l’album ha un impatto notevole e gira senza grossi intoppi, risultando un ascolto in grado di soddisfare gli amanti del death metal vecchia scuola.

Tracklist
1. Upon This Altar
2. Suffer (Life In Fragments)
3. Mnemonic Death
4. God Is Laughing
5. Excremental Offerings
6. Egoic Skin
7. Decreation

Line-up
Luca – Bass
Dave Benson – Drums
Kyle House – Guitars
Daniel Butler – Vocals

ACEPHALIX – Facebook

Coburg – The Enchantress

Un album piacevole e senz’altro riuscito, una sorpresa per gli amanti del genere che sapranno cogliere la bellezza dei brani che compongono The Enchantress a prescindere dalla splendida dea al microfono.

Se oltre alla musica anche i vostri occhi vogliono la loro parte, allora senza ulteriori indugi vi presento i Coburg, monicker che deriva dal cognome della splendida cantante e modella Anastasia, alla guida di questa symphonic rock band londinese.

The Enchantress è il loro debutto, licenziato dalla Evolve Or Die Records, un lavoro che sa tanto di rock, moderno e gotico, che non punta solo sull’aspetto della sua musa ma si avvale di una raccolta di brani melodici ed accattivanti, sinfonici il giusto per attirare gli amanti del gothic/dark da club.
La Coburg oltre a cantare suona chitarra e tastiere, segno che non siamo di fronte alla sola bellezza ma ad un’artista e musicista che sa il fatto suo, ed interpreta le moderne trame dark rock di The Enchantress con la giusta dose di fatale teatralità.
Quasi un’ora di musica nel corso della quale raffinata eleganza gotica, dark rock e mai invadenti sinfonie fanno da colonna sonora alla voce della singer, ottima interprete di brani a tratti suadenti, altri pregni di un’urgenza elettrica, altri che si muovono tra le note sinfoniche ed orchestrazioni che ricamano melodie melanconiche in brani come Echoes In The Night, The Hall Of Ghosts, la splendida Requiem, dalle accentuate ispirazioni new wave, o Till The Bitter End, dall”oscura atmosfera romantica.
Un album piacevole e senz’altro riuscito, una sorpresa per gli amanti del genere che sapranno cogliere la bellezza dei brani che compongono The Enchantress a prescindere dalla splendida dea al microfono.
Quando la bellezza va di pari passo con la bravura: il debutto dei Coburg ne è un esempio lampante.

Tracklist
1.A Cold Day In Hell
2.Echoes In The Night
3.The Hall Of Ghosts
4.Into The Darkness
5.Requiem
6.The Enchantress
7.Thy Dagger
8.Till The Bitter End
9.Warrior’s Blood
10.Rise

Line-up
Anastasia Coburg – Lead Vocals, Lead Guitar & Synths
Dean Baker – Synths & Backing Vocals
Mark Spencer – Bass Guitar & Backing Vocals
Sarah Sanford – Rhythm Guitar & Backing Vocals
Pietro Coburg – Drums & Backing Vocals

COBURG – Facebook

Town Tundra – Misanthropy Never Fails

Il gruppo russo ci travolge con Misanthropy Never Fails, album composto da dieci brani che con sagacia riesce a far convivere modern metal e melodic death , con un piede negli Stati Uniti e l’altro in Svezia.

Quando nella prima metà degli anni novanta le storiche band scandinave uscirono con i primi lavori che portavano un fresco sentore melodico in un genere estremo come il death metal, il mondo metal fu attraversato da un’euforia meritata per questi pionieri che, coraggiosamente, sfidavano i fans duri e puri inserendo parti classiche, progressive e melodiche, partendo dall’uso della voce pulita che andava ad affiancare il brutale scream/growl in uso nel genere.

Come tutti i generi anche il melodic death metal, dopo un periodo florido, finì con il tornare nell’underground estremo, a parte quella manciata di band che ancora oggi fanno parlare, alcune con ancora molte cose da dire, altre ormai perse nel loro cercare il successo a tutti i costi mascherandolo per processo evolutivo (chi ha detto In Flames?).
Ovviamente come la storia musicale insegna, scavando nel sottobosco musicale senza fermarsi ai soliti nomi, ci si può ancora imbattere in ottimi lavori come il nuovo dei Town Tundra, gruppo proveniente dalla madre Russia, al secondo full length (il primo, Telegonia è targato 2014) e con un terzetto di ep a completare la discografia incentrata su un death metal melodico, dalle sfumature moderne, ma con uno sguardo alla tradizione nord europea.
Freschi di firma con la nostrana Wormholedeath, che di ottime realtà nel metal estremo se ne intende, il gruppo russo ci travolge con Misanthropy Never Fails, album composto da dieci brani che con sagacia riesce a far convivere modern metal e melodic death , con un piede negli Stati Uniti e l’altro in Svezia, paesi lontanissimi sul mappamondo ma non se si parla di musica.
E di musica i Town Tundra ne fanno uscire tanta dagli altoparlanti, furiosa, devastante e melodica, ottimamente prodotta e dal grande appeal, ispirata dai Soilwork (la band storica da cui i musicisti russi hanno attinto di più) e dai gruppi più cool che si spintonano per un posto al sole dall’altra parte dell’oceano.
Chiaramente. se si parla di sound americanizzato non si può non nominare gli In Flames, che fanno capolino quando le note di Senseless And Merciless, Jack Of Spades o della splendida Hell Bleeds With Oil si fanno ipermelodiche e i chorus in clean guardano più al metalcore da classifica che al death metal.
Non fraintendetemi però, perché l’album spacca che è un piacere, e la furia estrema è presente tra le trame di episodi come la title track o The Last Rome, mentre i giochi si fanno duri e l’alternanza tra melodia e violenza si fa ancora più accentuata.
In conclusione si può certamente affermare che Misanthropy Never Fails sia un lavoro riuscito, rappresentando una gradita sorpresa per gli amanti del genere, intrattenuti non dai soliti nomi ma da anche ottimi outsider.

Tracklist
01. Anti-Psalm .21
02. Senseless and Merciless
03. Wit From Woe
04. Jack Of Spades (Fuck & Chic)
05. Misanthropy Never Fails
06. Ill Itch (Sick Of Revolutions)
07. Wolves Of Shame
08. The Last Rome
09. Hell Bleeds With Oil
10. Humiliating And Insulting

Line-up
Vladimir Alekseenko (Warren Crow) – vocals
Aleksei Lavrentev (J.G.K.) – guitars
Ilya Dyuzhin (William) – drums
Anton Bagrov (Anthony Crimson) – bass
Aleksei Firsov (Alexis Fiersen) – guitars

TOWN TUNDRA – Facebook

Infest – Addicted To Flesh

Il genere è questo, prendere o lasciare, e gli Infest lo suonano con un attitudine ed un impatto che rende loro merito.

Si torna sul campo di battaglia a respirare l’odore di morte e putrefazione lasciato dai cadaveri, pupazzi senza vita travolti da Vandal, Tyrant, Zombie, e dal nuovo arrivato Warlust, componenti di un’arma metallica micidiale proveniente dalla Serbia, chiamata Infest.

Avevamo avuto a che fare con il quartetto in occasione del precedente lavoro, il devastante Cold Blood War licenziato dal gruppo di Jagodina tre anni fa, e Addicted To Flesh, quinto mostruoso attacco sul fronte del death/thrash tra Vader e classico Slayer Sound, continua il massacro con la sua mezz’ora che spazza via qualsiasi cosa sulle note estreme cariche di odio di Hail The Mother War, Deathrash Legion 666 e l’allucinante Stigmatized, un bombardamento a tappeto che Zombie alle pelli enfatizza senza soluzione di continuità.
Un trio di ospiti rallegra la compagnia (Adrie dei Sinister, Honza degli Avenger e Thebon dei Keep Of Kalessin), mentre i corvi fanno la loro comparsa sul campo di battaglia, nelle strade ed i mezzo ai resti delle case sventrate dalla micidiale forza d’urto creata da Addicted To Flesh.
Il genere è questo, prendere o lasciare, e gli Infest lo suonano con un attitudine ed un impatto che rende loro merito.

Tracklist
1. Intro
2. Hail The Mother War
3. Deathrash Legion 666
4. Addicted To Flesh
5. I Bring You War
6. Nailed To Your Spine
7. Stigmatized
8. The Blind One Leads The Way
9. The Awakening Failed

Line-up

Vandal – rhythm guitars and vocals
Zombie – drums
Vrag – bass)
Tyrrant – lead guitars

INFEST – Facebook

Howls of Ebb / Khthoniik Cerviiks – With Gangrene Edges ​/​ Voiidwarp

Musica che risulta estrema anche per chi non disdegna abitualmente l’ascolto di generi come il death o il black metal: cacofonica, difficile, blasfema, violenta ma affascinante.

Uno split album che ci presenta due mostruose realtà: il duo statunitense Howls Of Ebb e i death/black metallers tedeschi Khthoniik Cerviiks, alle prese rispettivamente con tre e cinque brani.

With Gangrene Edges e Voiidwarp, così si intitolano le due sezioni dell’opera, insieme formano un occulto e cacofonico inno al male oscuro e senza compromessi, con il duo statunitense che invita ad un rito estremo, un morboso e allucinante esempio di musica malvagia.
Attivi dal 2012, gli  Howls Of Ebb hanno consegnato ai loro seguaci due full length ed un ep, prima di questa alleanza blasfema con la band tedesca, tornando con queste tre visioni di morte e demoni, mostri creati da visionari sacerdoti che racchiudono il tutto in un sound claustrofobico e fuori dagli schemi.
Più in linea con il black/thrash dai rimandi al death metal primigenio è, invece, la proposta dei Khthoniik Cerviiks, una spirale di morte e dolore imprigionata in un sound feroce, violento e diabolico.
Puro male in musica che ha il suo epicentro nei tredici minuti della destabilizzante Spiiral Spiire Stiigmata, suite infernale che racchiude Mercury Deluge e con l’altra lunga Come To The Subeth forma il fulcro malefico della proposta dell’ apocalittico trio.
Musica che risulta estrema anche per chi non disdegna abitualmente l’ascolto di generi come il death o il black metal: cacofonica, difficile, blasfema, violenta ma affascinante.

Tracklist
HOWLS OF EBB – With Gangrene Edges
1. Babel’s Catechism
2. With Gangrene Edges…
3. Bellowed

KHTHONIIK CERVIIKS – Voiidwarp
4. Ketoniik Katechesiis (KC Exhalement 3.0)
5. Spiiral Spiire Stiigmata (including Mercury Deluge)
6. Traumantra
7. Come to the Subeth
8. Paralaxiis (KC Inhalement 3.0)

Line-up
HOWLS OF EBB
RoTn’kbLisK – Drums
zELeVthaND – Vocals, Guitars

KHTHONIIK CERVIIKS
Okkhulus Siirs – Bass, Vocals
Ohourobohortiik Ssphäross – Drums
Khraâl Vri*ïl – Guitars, Vocals

KHTHONIIK CERVIIKS – Facebook

Descrizione Breve

5 Star Grave – The Red Room

The Red Room è assolutamente da non perdere: travolgente, personale ed irriverente risulterà una vera bomba per chi ama i generi che vanno a creare questa miscela pericolosamente esplosiva.

A tratti irresistibile, il nuovo album dei 5 Star Grave lascia le sicure strade del thrash per inseguire quelle meno ovvie di una riuscita commistione tra thrash, rock ‘n’ roll e punk rock e che, viste le tematiche, potremmo definire horror metal/rock ‘n’ roll.

Licenziato dalla Sliptrick Records, The Red Room è il terzo lavoro di una band che nel 2018 compie dieci anni di attività con l’attuale monicker (precedentemente Ground Zero), avendo all’attivo due full length (Corpse Breed Syndrome e Drugstore Hell) e potendo contare sulla presenza nel ruolo di vocalist di Claudio Ravinale, conosciuto per la sua militanza negli ottimi Disarmonia Mundi.
The Red Room non lascia tregua, è tutto un susseguirsi di riff travolgenti che sanno di hard rock, si trasformano in veloci cavalcate thrash ma non perdono assolutamente quell’irriverenza punk rock (o rock ‘n’ roll se preferite) che ne determinano la riuscita ed il travolgente appeal.
Non c’è scampo, le natiche cominciano a vibrare, la testa a prendere di mira il muro per poi rompersi tra la polvere dell’intonaco, mentre l’opener Hic Sunt The Motherfuckers risveglia dal lungo letargo mostri, vampiri e zombie e l’unica nostra alternativa è scappare per non finire in mano alle truppe della notte.
Once Upon A Time fa venire voglia di dimenarsi sopra una tomba mentre Alice esce dalla cripta e ci invita alla danza sfrenata guardando negli occhi del mostro.
Hell On Heels sembra mollare leggermente il tiro con il suo acustico ricamo, ma è un attimo perché il brano si trasforma in un mid tempo che richiama, in un unico brano, The Cult, Misfits e AC/DC.
For Better Or Worse è una deflagrazione thrash/punk e There Is No Heaven, con la sua atmosfera dark, rompe l’incantesimo ed invita tutti a tornare nelle proprie cripte, catacombe e casse brulicanti di vermi.
The Red Room è assolutamente da non perdere: travolgente, personale ed irriverente risulterà una vera bomba per chi ama i generi che vanno a creare questa miscela pericolosamente esplosiva.

Tracklist
1.Hic Sunt The Motherfuckers
2.Eat You Alive
3.Once Upon A Time
4.The Ballad Of The Vampire
5.Alice
6.Through The Eyes Of The Monster
7.He Never Died
8.Hell On Heels
9.For Better Or Worse
10.There Is No Heaven

Line-up
Claudio Ravinale – vocals
Andrea Minolfi – bass, vocals
Thierry Bertone – guitars
Alessandro Blengino – guitars
Hervè De Zulian – synth
Domenico Fazzar – drums

URL Facebook
https://www.facebook.com/5SGOfficial

Suicidal Causticity – The Human Touch

La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Ecco un’altra band italiana che nel metal estremo dice la sua alla grande, tanto che il suo secondo album intitolato The Human Touch prende a calci nel deretano molte produzioni estere anche più blasonate.

Nati più o meno sei anni fa, e con all’attivo il debutto The Spiritual Decline uscito nel 2013, i Suicidal Causticity, dopo varie vicissitudini e cambi in corsa nella formazione, ma anche tanti palchi solcati in compagnia di realtà nazionali e straniere, riesce a trovare un minimo di stabilità, rifinita dall’entrata in formazione di Edoardo Scali, ultimo importante tassello prima che The Human Touch veda la luce sotto l’ala dell’ Amputated Vein Records a metà di questo anno.
E l’album risulta una terribile mazzata brutal death, debitrice nei confronti della scena statunitense, ma in grado di trasmettere personalità e convinzione da gruppo di peso.
Prodotto benissimo, The Human Touch, pur nella sua inumana violenza, tipica del death metal più brutale e nel suo schema predefinito (l’alternanza di furiosi blast beat e veloci ripartenze con mid tempo pesantissimi) appare scorrevole e perfettamente in grado di intrattenere senza tirare la corda: i brani si riconoscono uno dall’altro e nel genere ciò risulta segno di maturità artistica ben consolidata, oltre a non scendere mai sotto un livello di violenza esecutiva che mantiene l’album nella parte più estrema del genere.
Una raccolta di brani che non lascia scampo (Estuary Abomination, Affluent of Woe, The Rates-Dead River Call), porta l’album verso un giudizio più che buono e la consapevolezza di avere di fronte un gruppo di alto livello.
La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Tracklist
1. Diamond Grinder Spring
2. Estuary Abomination
3. Affluent of Woe
4. The Choral Brooke
5. The Rates – Full River Cry
6. The Rates – Dead River Call
7. Cascade of Mutilations
8. Chimaera Canal
9. Lynn

Line-up
Nikolas Gorgo Bruni – Vocals
Elia Murgia – Guitars
Edoardo Scali – Guitars
Dario Lastrucci – Bass guitars
Thomas Passanisi – Drums

SUICIDAL CAUSTICITY