Wisdom Of Shadows – Sciah Vosieni

Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità, che forse potrebbero aumentare numericamente se la proposta venisse leggermente differenziata

Il duo bielorusso Wisdom Of Shadows si è affacciato sulla scena con una certa decisione all’inizio del 2015, praticamente con un’uscita al mese fino a maggio: Sciah Vosieni è, tra queste, la seconda su lunga distanza, almeno nominalmente vista la durata di entrambe di poco superiore alla mezz’ora.

Detto questo, l’atmospheric black proposto da questa coppia di musicisti è tutt’altro che trascurabile: belle orchestrazioni, un sound a tratti epico, a volte maestoso, ma sempre con una punta di algida malinconia; Sciah Vosieni non rappresenta qualcosa di nuovo ma neppure di così troppo scontato, e per di più viene eseguito con una buona proprietà e sufficiente personalità.
L’album, anche se tecnicamente non lo sarebbe, di fatto possiede un impronta prevalentemente strumentale, visto che le vocals di Deni Dark restano troppo in sottofondo, rivelandosi un minaccioso rantolo in lontananza che integra senza disturbare l’incedere delle belle melodie prodotte da Erebor.
D’altra parte, la lunghezza più appropriata a quella di un ep si traduce in un vantaggio, stante un pizzico di ripetitività dei temi portanti, che si traduce in un peccato solo veniale grazie alla loro efficacia ed evocatività.
Personalmente questa è una soluzione che apprezzo molto, catalogabile come una forma meno introspettiva della musica ambient, con la quale ha in comune una sua collocazione ideale in sottofondo, alla luce di sonorità suadenti ma non banali, pur se memorizzabili.
Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità che, forse, potrebbero incrementarsi se la proposta venisse leggermente differenziata e gli Wisdom Of Shaodws la rendessero meno dispersiva, raggruppando il materiale composto in poche e mirate uscite.

Tracklist:
1. U Abdymkach Sonca (Intro) (In Embrace of Sun)
2. Sciah Vosieni (Flag Of Fall)
3. Razvitannie z Zimoj (Farewell to Winter)
4. Piesnia Viatrou (Song Of Winds)
5. Pa-Za…(Outro) (Outside)

Line-up:
Erebor
Deni Dark

WISDOM OF SHADOWS – recensione

Cult of Lilith – Arkanum

I musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi così da rendere facile assimilare il loro violento death metal tecnico.

Islanda e Italia, mai così vicine se si parla di questa nuova band, con base sull’isola più a nord d’Europa, una piccola terra in mezzo al freddo mare del nord, ma molto attiva in ambito musicale, specialmente quando volgiamo lo sguardo e l’udito ai suoni metallici.

Infatti il gruppo di Reykjavík, attivo da appena un anno, è di fatto un duo, con Daniel Thor Hannesson (chitarra) e Jon Haukur Petursson (voce), aiutati dal batterista nostrano Alessandro Vagnoni, in forza ai Dark Lunacy, e Manuele Pesaresi, a cui è stato affidato il mixaggio del disco ai Dyne Engine Studio.
Pur essendo alla prima esperienza i musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica, al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi, così da non rendere faticosa l’assimilazione del loro violento death metal tecnico.
Gran lavoro del nostro Vagnoni, valore aggiunto alle pelli, ed ottima la produzione, abbastanza cristallina per far risaltare il sound proposto, un death metal che abbonda di groove, violento, ipertecnico e dall’ottimo impatto.
Growl vario, ritmiche serrate e funamboliche, sfumature tastieristiche perfettamente incastonate in un sound che prende per mano l’attitudine old school e l’accompagna verso l’inizio di una storia musicale che promette scintille estreme.
Le tracce hanno una durata medio corta, non stancando nel loro svolgimento, tutte con un’anima diversa abbastanza per renderle riconoscibili dopo pochi ascolti, ora tempestate dal veloce vento del nord, ora pesanti come macigni dove la sei corde impazza con solos intricati, ma dal buon appeal.
Con influenze che stanno tutte nella storia del genere (Spawn Of Possession, Death), Arkanum è una buona partenza per i Cult Of Lilith: un prodotto altamente professionale, ma per le band che arrivano da quei paesi non è certo una novità.

TRACKLIST
1. Abaddon
2. Tomb of Sa’ir
3. Arkanum
4. Detested Empress
5. Night Hag

LINE-UP
Daniel Thor Hannesson – Guitars
Jon Haukur Petursson – Vocals

Alessandro Vagnoni – Drums

CULT OF LILITH – Facebook

Virulency – The Anthropodermic Manuscript of Retribution

Un armageddon di brutal death metal è quest’ultima fatica degli spagnoli Virulency, che spalancano le porte dell’inferno con un selvaggio esempio di death estremo ed, appunto, virulento.

Un armageddon di brutal death metal è quest’ultima fatica degli spagnoli Virulency, che spalancano le porte dell’inferno con un selvaggio esempio di death estremo ed, appunto, virulento.

Il gruppo, per gli amanti dei suoni estremi che ancora non conoscessero la band, si forma nei Paesi Baschi nel 2011, anno in cui licenzia su demo i primi due devastanti brani.
L’anno dopo torna in pista con l’ep Unbearable Martyrdom Landscapes, ancora un demo nel 2013 (Virulent Promo) fino ad arrivare a questo esordio sulla lunga distanza, accompagnato da una bellissima copertina dai tratti horror/gore e da otto brani per un massacro senza pietà.
Il quartetto trasforma lo spartito in una sequela di orrendi e terribili torture ai padiglioni auricolari, con una serie di marce partenze in blast beat, buoni cambi di ritmo ed assoluta padronanza della materia.
Il growl disumano non ammette flessioni, ammantando il sound di una spessa coltre di violenza tout court, una bestia ferita che aggredisce chiunque si avvicini troppo, una famelica fiera, serva del male scatenata da un olocausto sonoro senza soluzione di continuità, alimentato dalle due parti di Myriapod Constructology, Immeasurable Gigantomastic Phenomenology e Mephistophelian Æsthetic Eroticism.
Siamo nel più puro brutal death, le songs si susseguono una più violenta dell’altra, lasciando che le influenze si aggirino come lupi intorno alla preda, prima dell’attacco che porterà allo smembramento e al delirio di sangue e carne.
Buona prova della sezione ritmica, composta dai distruttori, Fabio “Dr. Grinder” Ramirez alle pelli ( ex tra gli altri di Disembowel e Internal Suffering) e DisJorge, basso e chitarra, così come alla sei corde troviamo Asier, anche lui ex Internal Suffering.
La bestia al microfono si chiama J, un licantropo demoniaco e disturbante, che valorizza non poco la carneficina prodotta dal gruppo.
In definitiva un buon dischetto, consigliato ai fans dell’estremo sentire, che fa promuovere i Virulency nel loro primo parto sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1. Myriapod Constructology – Part I – The Inception
2. Myriapod Constructology – Part II – Absolute Zenith
3. Immeasurable Gigantomastic Phenomenology
4. Concupiscent Succubus Disturbance
5. …from Putrescible to Perpetual
6. Mephistophelian Æsthetic Eroticism
7. Beyond the Ablated Clitoral Organs
8. Sculptured Didelphic Uterus

LINE-UP
DisJorge – Fretless Bass, Guitars
J – Vocals
Asier Guitars
Fabio “Dr. Grinder” Ramirez Drums

VIRULENCY – Facebook

Camel Of Doom – Terrestrial

Gli inglesi Camel of Doom sono una band attiva ormai dagli inizi del nuovo millennio e Terrestrial è la loro quarta prova su lunga distanza.

Come da ragione sociale, il genere trattato è ovviamente il doom, ma questo viene maneggiato con sperimentale padronanza ed un’aura cosmica che in certi momenti avvicina il suono a quello dei Monolithe.
La proposta dei britannici è, però, molto più inquieta, sfuggendo più di una volta all’orbita del genere per poi rientrarvi repentinamente con rallentamenti mortiferi.
Terrestrial , con queste premesse, non può essere quindi un album di agevole fruizione ma è decisamente un’opera di grande spessore; qui il sentimento prevalente che scaturisce è l’inquietudine piuttosto che il dolore o la commozione e, a differenza di questi ultimi due stati d’animo, tende a stabilizzarsi senza trovare alcuno sfogo.
Una sorta di implosione che si protrae per oltre un’ora senza provocare stanchezza, grazie a un livello di tensione costantemente alta e ad un sempre eccellente lavoro del leader Kris Clayton (con un passato negli Imindain e, come chitarrista dal vivo, negli Esoteric), il quale si occupa di tutti gli aspetti ad esclusione della base ritmica. A livello vocale, Clayton opta per uno screaming/growl di matrice sludge, mentre gli altri strumenti vengono utilizzati per un risultato d’insieme che è antitetico a protagonismi di matrice solista.
Anche se soggiace ad una suddivisione per brani, di fatto Terrestrial va inteso come un flusso sonoro continuo, in cui la malinconia lascia spazio ad uno sgomento ora rabbioso, ora rassegnato: i Camel Of Doom non mollano mai la presa, un malessere cosmico aleggia in ogni passaggio rendendo persino difficile una catalogazione certa del sound proposto; dovendo scegliere un momento dell’album, direi che Pyroclastic Flow svetta grazie anche al terrificante contributo del basso di Simon Whittle e al misurato gusto elettronico conferito alla traccia dalle tastiere di Clayton.
Un grande disco che mi lascia in eredità un senso di straniamento che, solo di rado, la musica mi provoca (per esempio con gli album più sperimentali dei Blut Aus Nord, anche se potrebbe sembrare una accostamento ardito vista la diversità dei generi trattati): dannatamente pericoloso ed altrettanto efficace.

Tracklist:
1. Cycles (The Anguish of Anger)
2. A Circle Has No End
3. Pyroclastic Flow
4. Singularity
5. Nine Eternities
6. Euphoric Slumber
7. Sleeper Must Awaken
8. Extending Life, Expanding Consciousness

Line-up:
Simon Whittle – Bass
Ben Nield – Drums
Kris Clayton – Guitars, Vocals, Keyboards

CAMEL OF DOOM – Facebook

<iframe style=”border: 0; width: 100%; height: 42px;” src=”https://bandcamp.com/EmbeddedPlayer/album=1043186723/size=small/bgcol=ffffff/linkcol=0687f5/transparent=true/” seamless><a href=”http://camelofdoom.bandcamp.com/album/terrestrial”>Terrestrial by Camel of Doom</a></iframe>

Abyssus – Once Entombed …

Once Entombed è un buon modo per avere in mano praticamente il meglio inciso in questi anni dalla band.

Tornano, a distanza di pochi mesi gli Abyssus di Kostas Analytis, trio ellenico di cui vi avevamo parlato a suo tempo per l’uscita del primo full length, Into The Abyss.

Once Entombed è una compilation che pesca da tutti il lavori fin qui usciti sotto il moncker Abyssus, pescando dai primi ep e split della band, con l’aggiunta di una manciata di cover.
Per chi non conoscesse il gruppo, la sua proposta segue le coordinate del death metal old school, con chiari riferimenti alla scena statunitense (primi Obituary), con qualche sconfinamento nel thrash dei maestri Slayer.
Come vi avevamo riferito nel precedente articolo, il trio che vede Analytis sbraitare nel microfono nefandezze, su morte, guerra e horror di serie B, Panos Gkourmpaliotis accompagnare il leader con riffoni di putrido death/thrash e Costas Ragiadakos seguire il passo dei due compari con le quattro corde, risulta il classico gruppo, palla lunga e pedalare, tra velocità, classici rallentamenti e fulminee ripartenze in quarta marcia.
Un sound che si avvale di un impatto ed un’attitudine old school, confinando i nostri tra le band esclusiva dei soli fans più incalliti.
Questo nuovo lavoro è interessante soprattutto per le cover, che sguazzano tra il thrash crucco dei Sodom (Outbreak of Evil), il punk degli Exploited (Chaos Is My Life), il death/doom degli immensi Asphyx (Deathhammer) e i tributi a gruppi intoccabili del metal estremo come Death (Sacred Serenity) e Slayer (Postmortem).
Il resto non si discosta da quanto offerto nel primo full length, la produzione rimane old school seguendo pari passo il sound, così come il disegno di copertina con un cimitero in bella mostra, molto fumettistico e senza pretese.
Per gli amanti del genere, gli Abyssus possono riservare poche sorprese, ma tanta attitudine, virtù che nell’underground è ben gradita: a chi è piaciuto Into The Abyss, Once Entombed si rivelerà un buon modo per avere in mano il meglio inciso in questi anni dalla band.

TRACKLIST
1. Phobos
2. Chaos Is My Life (The Exploited cover)
3. Morbid Inheritance
4. Summon the Dead
5. Sacrifice
6. Remnants of War
7. Outbreak of Evil (Sodom cover)
8. Days of Wrath
9. Remnants of War
10. Left to Suffer
11. Unleash the Storm
12. Deathhammer (Asphyx cover)
13. Servants to Hypocrisy
14. Reprisal
15. Left to Suffer
16. Compromised
17. No Tolerance
18. Sacred Serenity (Death cover)
19. Postmortem (Slayer cover)

LINE-UP
Kostas Analytis – Vocals
Panos Gkourmpaliotis – Guitars
Costas Ragiadakos – Bass

ABYSSUS – Facebook

Jacob Lizotte – For the Fallen Ones

Jacob Lizotte possiede un talento potenzialmente ancora da esprimere in toto e, anche per questo, va seguito con curiosità e rispetto.

Jacob Lizotte è un giovanissimo musicista del Maine, con una nutrita discografia che lo accompagna ed un amore per il metal a 360° che lo ha portato a confrontarsi con vari generi della nostra musica preferita.

La sua avventura rigorosamente solista (il ragazzo suona tutti gli strumenti) è iniziata solo due anni fa, ma nel giro di pochi mesi, ha rilasciato ben sei lavori di cui tre sulla lunga distanza (Means to an End, Empowering the Weak, This Is War) alternando il sound proposto, che va dal metal moderno all’heavy metal old school dai richiami thrash, come nel caso di questo nuovo ep dal titolo For The Fallen Ones.
Jacob si è costruito il suo personale studio ed è autodidatta: dotato di una creatività fuori dal comune, che lo ha portato ad incidere più di cento brani in pochi anni, riversa in questo ennesimo lavoro tutta la sua voglia di metal classico.
Un lavoro che, questa volta, affonda le proprie radici nel metal old school, pregno, come detto di richiami al thrash statunitense e concettualmente molto shred.
La sei corde brucia note in scale da guitar hero, le ritmiche potenti e ben strutturate fanno da tappeto alle urla delle corde violentate dal talento del giovane musicista, che non se la cava male neppure dietro al microfono.
Tra i brani, ottime la title track e la thrash metal Mayhem, tributo al genere ed influenzato dai lavori delle band storiche a cavallo tra il decennio ottantiano e gli alternativi anni novanta.
Molta importanza ai solos, sempre debordanti, stilisticamente siamo nel puro old school, la produzione, con la voce lontana, accentua la sensazione di essere al cospetto di un album uscito originariamente in quei gloriosi anni, mentre le note di Voices Of The Dead ci portano nella tana dell’U.S. Metal di origine controllata.
Certamente non mancano i difetti, la proposta è migliorabile nella produzione, forse un po’ troppo fai da te, mentre i richiami alle band icona è leggermente accentuata, rimane il fatto che Jacob Lizotte possiede un talento potenzialmente ancora da esprimere in toto e, anche per questo, va seguito con curiosità e rispetto.

TRACKLIST
1. Fight or Flight
2. For the Fallen Ones
3. Metal Mayhem
4. Voices of the Dead
5. Save Us from Ourselves

LINE-UP
Jacob Lizotte- Everything

JACOB LIZOTTE – Facebook

Mourning Sun – Último Exhalario

Último Exhalario è un disco che travalica i generi e lascia inermi al cospetto delle sua bellezza, facendo apparire inadeguato od enfatico ogni aggettivo usato per descriverlo.

Sfolgorante esordio su lunga distanza dei cileni Mourning Sun, i quali hanno il merito di riportarci con la mente alla metà degli anni ’90, quando il  doom melodico con voce femminile era in realtà una mera trasposizione della poesia in musica, resa unica da interpreti divine quali Kari Rueslåtten e Anneke Van Giersbergen.

Ana Carolina, la talentuosa ragazza che presta la propria voce alla riuscita dell’album della band di Santiago, ne è degna e legittima erede, con la sua voce eterea, cristallina, tanto da apparire talvolta acerba, tale è la purezza che riesce ad emanare in ogni passaggio.
Último Exhalario è un lavoro di una bellezza straniante: qui l’enfasi metallica si manifesta in quantità omeopatica ed il doom costituisce solo un approdo spirituale, nel quale i Mourning Sun vengono collocati più per affinità elettive che non per stile musicale vero e proprio.
Allo spegnersi dell’ultima nota di Anguish vi ritroverete a volerne ancora, di questa musica che nutre l’anima prima che il corpo, e trentacinque minuti rischiano di non essere del tutto sufficienti a saziarvi, specie dopo averne assaporato i sublimi aromi.
Vena Cava è una canzone dal fascino quasi insostenibile, con la chitarra a mantenere un tono costantemente minaccioso quanto soffuso, prima di aprirsi in un finale che avrebbe avuto ampio diritto di cittadinanza in quel capolavoro intitolato Mandylion.
Spirals Unseen regala i principali passaggi contraddistinti da quella robustezza assimilabile ad un gothic doom più canonico, ma il sax che entra in scena attorno al quarto minuto spariglia definitivamente le carte, e non vanno certo ignorati altri due gioielli come la title track, rarefatta inizialmente per poi farsi drammatica nella sua parte conclusiva, e Cabo De Hornos, dove la sirena Ana attira a sé, senza alcuna possibilità di resistere al suo canto, i marinai alle prese con una dei tratti di mare più perigliosi del pianeta.
Sebastián Castillo ed Eduardo Poblete si rivelano musicisti eccellenti: il primo con la sua chitarra accompagna senza mai prevaricare la carezzevole voce di Ana, mentre il secondo lega il suono con rara raffinatezza ed altrettanta sobrietà tastieristica.
Último Exhalario è un disco che, semplicemente, travalica i generi e lascia inermi al cospetto delle sua bellezza, facendo apparire inadeguato od enfatico ogni aggettivo usato per descriverlo.
Resta solo da aggiungere una cosa, molto banale: ascoltatelo, più e più volte, senza farvi distrarre da qualche passaggio apparentemente interlocutorio, che è in realtà propedeutico agli abbacinanti lampi emotivi regalati da questa stupenda band.

Tracklist:
1. Último exhalario
2. Vena Cava
3. Hoowin (Mythic Ancestors)
4. Spirals Unseen
5. Cabo de hornos (Cape Horn)
6. Anguish (Prelusion)

Line-up:
Claudio Hernández – Drums
Sebastián Castillo – Guitars
Eduardo Poblete – Keyboards
Ana Carolina – Vocals, Lyrics

MOURNING SUN – Facebook

Asphodelus – Dying Beauty & The Silent Sky

Le tre tracce più l’intro sono un esordio notevole, per un gruppo che si sta evolvendo nella tensione di fare sempre meglio, riuscendo in pieno nell’intento.

I finlandesi Cemetery Fog passano da duo a trio, cambiano nome diventando Asphodelus ed esordiscono su Iron Bonehead con questo dodici pollici.

L’evoluzione musicale dal precedente periodo è evidente, dato che si passa dal doom death puro a qualcosa di ora più vicino alla scena inglese dei primi anni novanta, che è un po’ la colonna del genere. C’è molto classicismo goticheggiante nelle loro canzoni, che sono ben composte e di ampio respiro, drammatiche ed immanenti. Le tre tracce più l’intro sono un esordio notevole, per un gruppo che si sta evolvendo nella tensione di fare sempre meglio, riuscendo in pieno nell’intento.In questo disco ci sono molti echi, soprattutto di una cultura metallara estesa e competente, che si sublima in questa splendida musica triste.

TRACKLIST
1.Intro
2.Illusion Of Life
3.Dying Beauty And The Silent Sky
4.Nemo Ante Mortem Beatus

LINE-UP
J. Filppu – Guitar, Vocals.
J. Väyrynen – Guitar.
V. Kettunen – Drums.

ASPHODELUS – Facebook

Goatsodomizer – The Curse Rings True

Una botta di adrenalina, ruvida e sporca: The Curse Rings True nulla toglie e nulla aggiunge ad un genere che più underground di così non si può

Si sono presi tutto il tempo necessario, forse anche troppo, gli svedesi Goatsodomizer per dare alle stampe il loro primo full length licenziato dalla Iron Shield.

Infatti la band risulta attiva fin dal 1995 e fino ad ora aveva immesso sul mercato solo due demo all’alba del nuovo millennio, This Mean War e Rapin’ My Graveyard, rispettivamente datati 2000 e 2002.
Dopo quattordici lunghi anni, finalmente The Curse Rings True vede la luce, nel frattempo il gruppo di Stoccolma è rimasto un trio, con Per Lindström impegnato al basso ed alla sei corde, Johan Norén alle pelli e Gustaf Browall ad urlare nefandezze dentro al microfono.
Attitudine satanista ed ignorantissima, per una raccolta di brani che si rifanno alla tradizione thrash old school con una buona dose di rock’n’roll a tramutare il tutto in un armageddon metallico d’assalto.
Poco più di mezz’ora, sparata a velocità sostenuta, un impatto live da prendere o lasciare, senza mai uscire da una qualità accettabile ma non trascendentale, questo in poche parole risulta l’esordio del gruppo, influenzato, come tutti quelli del genere, dai Motorhead e dal thrash vecchia scuola.
Tra le songs spiccano le buone ritmiche delle rock’n’roll Sidewalk Sinner e la conclusiva Going To Brazil, per il resto è il thrash metal che comanda il sound dei Goatsodomizer che, per la musica trattata e la produzione volutamente sporca, finisce per essere rivolto ai fans delle sonorità old school.
Una botta di adrenalina, ruvida e sporca: The Curse Rings True nulla toglie e nulla aggiunge ad un genere che più underground di così non si può; l’ottimo lavoro della sezione ritmica e qualche assolo mitragliato aggiungono verve ad un lotto di brani che si assomigliano un po’ troppo, risultando il più grande difetto del sound del gruppo svedese.

TRACKLIST
1. Graveyard Bitch
2. Iron Casket
3. Sidewalk Sinner
4. U.V.G.S.
5. Tombstone Riot
6. Scum of the Underworld
7. Into the Crypt
8. Gore Galore
9. Raping My Graveyard
10. Sodomized til Death
11. Die Screaming
12. Going to Brazil

LINE-UP
Per Lindström – Bass, guitars
Johan Norén – Drums
Gustaf Browall – Vocals

GOATSODOMIZER – Facebook

The Temple – Forevermourn

Forevermourn è un album affascinante, con le sue sonorità senza tempo volte e perpetuare la tradizione di un genere che continua a sfornare band e dischi di ottimo livello, in barba al suo poco o nullo appeal commerciale.

I greci The Temple, dopo una lunghissima pausa successiva alla loro nascita risalente al 2005, arrivano al full length d’esordio con il loro doom dai tratti epici, come si conviene a chi proviene dalla terra ellenica, intrisa di storia come forse nessun’altra.

La matrice mediterranea dei musicisti si rifà quindi alla tradizione del genere così come viene suonato sulle sponde del Mare Nostrum (vedi gli italiani Doomsword e i maltesi Forsaken, anche se con sfumature differenti) pur mantenendo ben salde le proprie radici che affondano in band seminali come Solstice e Candlemass.
L’album così si snoda in maniera molto essenziale ma non di meno efficace: da ogni sua nota trasuda sincerità ed autentica passione per un genere che, del resto, solo un visionario potrebbe pensare di suonare oggi per un mero interesse economico (tanto più se lo si fa a Salonicco, ma non è che a New York o a Londra le cose cambino poi molto).
Dopo un inizio piuttosto convenzionale, con la discreta The Blessing, Forevermourn cresce gradualmente e già la successiva Qualms In Regret si segnala come uno dei picchi del lavoro, grazie a melodie lineari, forse già sentite, ma ugualmente coinvolgenti. Attenzione, però, semplicità non è sinonimo di banalità: i The Temple sono buoni musicisti e non disdegnano passaggi più elaborati e fraseggi riflessivi, come avviene nell’ottima Death The Only Mourner, ma è evidente che il meglio arriva quando il pathos si compenetra in maniera naturale con la struttura metallica.
In tal senso si rivela esemplare la monumentale Until Grief Reaps Us Apart, brano di oltre dieci minuti posto in chiusura, che fonde in maniera mirabile il mood epico e malinconico con la pesantezza di un sound che regala riff pachidermici più ancora che nel resto del lavoro.
Forevermourn è un album affascinante, con le sue sonorità senza tempo (che forse qualcuno definirà anacronistiche, ma non è un problema nostro) volte e perpetuare la tradizione di un sottogenere che continua a sfornare band e dischi di ottimo livello, in barba al suo pressochè inesistente appeal commerciale.

Tracklist:
1. The Blessing
2. Qualms in Regret
3. Remnants
4. Death the Only Mourner
5. Mirror of Souls
6. Beyond the Stars
7. Until Grief Reaps Us Apart

Line-up:
Father Alex – Bass, Lyrics, Songwriting, Vocals
Paul – Drums
Stefanos – Guitars
Phelipe – Guitars

THE TEMPLE – Facebook

Exekuter – The Obscene Ones

The Obscene Ones si fa apprezzare con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti (il genere è questo, prendere o lasciare).

Si torna a parlare di thrash metal old school con i greci Exekuter, quartetto di Larissa fondato nel 2008 da Tolis Mekras e Antoine Mallidis, rispettivamente voce e basso e batteria, raggiunti dai due axeman, Michalios Sismanis e Thodoris Grigoriou.

La storia discografica del gruppo ha inizio, come tante altre band con l’uscita di un demo (Mind Exekution) nel 2009, a cui si aggiunge il primo full length autoprodotto, licenziato un paio di anni dopo, dal titolo Given To The Altar.
Siamo nel 2016 ed il gruppo, tramite la EBM records, immette sul mercato il secondo album, The Obscene Ones,  suonato bene, veloce e senza compromessi.
Le influenze riscontrabili sono tutte nel genere aldilà dell’oceano, sconfinando nello speed metal ottantiano e a tratti ben strutturato su un gran lavoro delle sei corde, precise, veloci e molto affiatate.
Tanta grinta ed impatto sono le carte vincenti dei thrashers greci, chiaramente il genere non offre molti spunti originali e la mezz’ora abbondante che ci riservano i nostri, scorre correndo all’impazzata su e giù per lo spartito, come vuole il buon vecchio thrash metal.
Qualche solos più ragionato e melodico, conduce il songwriting del gruppo verso lidi metallici più classicheggianti, ma in definitiva The Obscenes Ones rimane in tutto e per tutto un album perfetto per far scapocciare i kids con i jeans stretti ed il chiodo d’ordinanza.
Tra le songs si distinguono l’inossidabile Secrets of a Divine, le devastante Obsessed e quella che, a mio parere risulta la traccia cardine dell’album, Purified by Fire, puro metallo veloce, travolgente ed ottimo esempio di come si suona il thrash metal old school.
Insomma, The Obscene Ones si fa apprezzare con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti (il genere è questo, prendere o lasciare), ed è consigliato agli amanti dei suoni old school.

TRACKLIST
1. No Morals
2. Secrets of a Divine
3. D.T.G.
4. Demonic Lust
5. Purified by Fire
6. Obsessed
7. Pandemic
8. Sacrificial Death

LINE-UP
Tony Mallidis – Drums
Tolis Mekras – Vocals, Bass
Mixalios Sismanis – Guitars
Thodoris Grigoriou – Guitars

EXEKUTER – Facebook

Destructor – Back In Bondage

Il ritorno dei Destructor si profila come uno dei primi appuntamenti da non perdere per i true metallers legati alla tradizione old school

Tornano gli storici Destructor, band attiva dalla metà degli anni ottanta, ed esempio del buon lavoro della Pure Steel nel riportare all’attenzione dei fans realtà storiche del panorama metal mondiale.

La band dell’Ohio aggiunge un’altra tacca alla cintura della sua numerosa discografia, il nuovo album è il quarto full length, ma la band annovera una marea di demo, ep e live, che accompagnano i primi tre lavori in studio, Maximum Destruction, esordio di metà ottanta, Sonic Bullet del 2003 ed il precedente Forever in Leather, ultimo parto in casa Destructor del 2007.
Heavy metal old school, ipervitaminizzato da velocità ed aggressività speed/thrash, è la carattersitica del sound del quartetto capitanato da Dave Overkill (voce e chitarra) e Nick Annihilator (chitarra), a cui si aggiunge la sezione ritmica dei distruttori, Tim Hammer (basso) e Matt Flammable alle pelli.
Overkill e Annihilator, pseudomini che la dicono lunga sulla musica del gruppo americano, improntata su un aggressivo U.S. metal che si avvicina non poco al thrash, il tutto sotto l’ala di un sound che più old school non si può, valorizzato da tanta esperienza, ed un’ottima preparazione che tecnica, così da far esplodere in un girone di infernale heavy metal senza compromessi i brani qui contenuti.
Veloci e violente fughe al limite della velocità, si alternano ad ottime ed oscure parti cadenzate, solos ed ottime parti strumentali, riecheggiano nella struttura dei brani, dove non mancano cambi di tempo, pur mantenendo un’aurea oscura e rabbiosa.
La produzione mantiene fede all’impronta old school del disco, così che veniamo trasportati nel suono americano, trascinati per i piedi da una raccolta di songs dure come l’acciaio, oscure come impone la tradizione e violente il giusto per fare di Back In Bondage un album consigliato agli amanti del genere, che si troveranno al cospetto di una band travolgente e a songs cattive come Final Solution, G-Force, la maideniana Pompeii, ed il piccolo capolavoro The Shedding of Blood and Tears, una semiballad in crescendo tra Metal Church ed Iron Maiden e picco qualitativo di questo ottimo lavoro.
Il ritorno dei Destructor si profila come uno dei primi appuntamenti da non perdere per i true metallers legati alla tradizione old school, ma può essere un buon modo per avvicinarsi al genere per i giovani che del metal tradizionale conoscono solo i primi album dei gruppi più famosi.

TRACKLIST
1. Fight
2. Final Solution
3. G-Force
4. N.B.K.
5. Pompeii
6. Powerslave
7. The Shedding Of Blood And Tears
8. Tornado
9. Triangle

LINE-UP
Dave Overkill – vocals, guitars
Nick Annihilator – guitars
Tim Hammer – bass
Matt Flammable – drums

DESTRUCTOR – Facebook

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
https://soundcloud.com/puresteelrecords/destructor-fight

Septem – Septem

Qui c’è il metal, ma quello vero, semplice eppur composito, trascinante ed adrenalinico

Da La Spezia arriva questo disco che è una bomba, e si pone un spanna sopra le cose che ho ascoltato negli ultimi tempi.

L’impianto è heavy metal, ma dentro c’è un po’ tutto il metal. Sinceramente il disco sfugge ad ogni tentativo di classificazione, come ogni disco eccellente. I Septem si formano a La Spezia nel 2003 dalla fusione di 2 gruppi. Nel 2006 si affidano ad una realtà dell’underground spezzino per pubblicare un disco, ma si rivela una truffa e il progetto finisce lì. Arrivati alla Nadir Music, un certo Tommy Talamanca li prende sotto la sua ala protettiva e produce, mixa e masterizza il disco ai Nadir Music Studios. Il risultato è stupefacente. Qui c’è il metal, ma quello vero, semplice eppur composito, trascinante ed adrenalinico. Stacchi imponenti, composizioni azzecate e canzoni scritte impeccabilmente. Non una nota noiosa, nessun orpello, tanta sostanza e un disco entusiasmante. Durante l’ascolto mi sono trovato più volte a bocca spalancata: A different day è un inno metal, la strumentale Septima è un pezzo che tanti big del metal vorrebbero incidere. Non riesco a staccarmi da questo cd, poiché dischi come questo mi hanno fatto diventare la testa di metallo che sono. Resiste anche a ripetuti e continuati ascolti. Davvero bello. Dovremmo farlo ascoltare a chi non capisce perchè essere metallaro è una grande fortuna, perchè puoi godere di dischi così.

SEPTEM – Facebook

Comatose – The Ultimate Revenge

Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

Nei molti vulcani che si trovano sul territorio delle Filippine nascono demoniache realtà che, nell’inferno della lava che scorre nel sottosuolo, si nutrono e crescono per raggiungere la superficie e dispensare metal estremo, forgiato a temperature inumane nelle cavità delle naturali ed enormi bocche di fuoco.

Non sono poche infatti le band nell’arcipelago dedite ai generi più estremi della musica metallica, specialmente se si parla di death metal ed i suoi derivati.
Liriche improntate su guerra, satanismo, religione e naturalmente morte, un sound che si avvicina pericolosamente al brutal e non solo per il growl animalesco e profondo, ma sopratutto per l’immane impatto, sono le caratteristiche di questi quattro figli del vulcano, sputati fuori da una devastante eruzione in quel di Cebu City nell’ormai lontano 2003 e con un lavico fiume di uscite tra demo, compilation ed ep, ora finalmente giunti al primo lavoro sulla lunga distanza.
Loro sono i Comatose, quartetto che dispensa death metal brutale come caramelle davanti ad una scuola, ed il loro The Ultimate Revenge risulta un lavoro devastante, suonato bene, anche se qualche difetto qua e là, lo rendono più che sufficiente ma nulla più.
Sicuramente piacevole per le anime brutali che si aggirano tra gli umani, The Ultimate Revenge è il classico album di genere, anche se la band si districa bene tra le numerose ed intricate parti dal buon tasso tecnico, peccando nel songwriting, a tratti leggermente monocorde.
Blast beat, tempeste di note che si aggrovigliano in trombe d’aria metalliche, un growl assatanato e cavernoso, chitarre che urlano dolore, bruciate dalla lava infernale e sezione ritmica posseduta da demoni con lingue di fuoco, compongono i nove gradini che scendono e si avvicinano al centro della terra, nove brani di furioso ed oscuro brutal death con le devastanti Army of Darkness, Plague Bearer e Hypochristianity a fare da colonna sonora alla discesa verso gli inferi.
Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

TRACKLIST
1. Intro
2. The Ultimate Revenge
3. Army of Darkness
4. The Sickening Ways
5. Plague Bearer
6. Prophets Dream
7. Carnage in the Promise Land
8. Hypochristianity
9. Rivals of the Throne

LINE-UP
LD “Bellz” Lee – Guitars, Vocals (backing), Songwriting, Lyrics
Moloy Ordinal – Vocals
Rex Padron – Guitars, Bass, Vocals (backing)
Franco “Coco” Acha – Drums

COMATOSE – Facebook

Prong – X – No Absolutes

Il nuovo lavoro non lascia dubbi sul talentodi Victor che, accompagnato da Jason Christopher al basso e Art Cruz alla batteria, sfodera una prova che riconcilia con il genere

Ci sono gruppi che, grazie alla padronanza del genere suonato, a distanza di anni, dopo glorie e cadute, gioie e dolori, arrivano ad incidere album straordinari proprio come nel momento di massimo splendore e successo.

Tommy Victor ed i suoi Prong sono una di queste: grandi interpreti del metal moderno, con un talento unico  per le ritmiche industrial, magari non estremi come nei primi anni novanta (con i seminali Beg To Differ e Prove You Wrong) ma ugualmente spettacolari come nel capolavoro Cleansing, album che portò il gruppo di New York City alla notorietà.
Quasi trent’anni sono passati dal primo album e Tommy Victor non molla, circondato da una marea di musicisti che hanno gravitato nel gruppo e che, di album in album, hanno contribuito a fare della band del chitarrista americano, un punto di riferimento per chiunque si voglia confrontare con il thrash industriale.
Il nuovo lavoro non lascia dubbi sul talento di questo musicista che, accompagnato da Jason Christopher al basso e Art Cruz alla batteria, sfodera una prova che riconcilia con il genere: duro, marziale, molto thrash oriented ma ricamato da chorus catchy da fare tremare le gambe, metal moderno che molte delle giovani band di grido in questi tempi dovrebbero studiare in ogni dettaglio e venerare, prima di rientrare in sala d’incisione.
E X-No Absolutes non delude i fans dello storico gruppo, in stato di grazia in quanto a qualità del songwriting, già ampiamente dimostrato dal ritorno sulle scene con Carved In Stone, album del 2012 che ha dato il via ad una ritrovata enfasi nello scrivere musica da parte del genio newyorkese, con altri due lavori a distanza di pochi anni: Ruining Lives (2014) e Songs from the Black Hole dello scorso anno.
Il nuovo album è melodicissimo, arrembante, colmo di potenziali hits, veloce e thrashy fino al midollo, la chitarra di Victor si destreggia tra i famosi ritmi marziali e sfuriate metalliche da far impallidire mezza Bay Area, la voce del leader negli anni è migliorata, tanto da raggiungere un appeal che solo pochi anni fa era impensabile (la semiballad Belief System), mentre raggiungere la fine è un attimo, esaltati dallo strapotere delle varie Sense Of Ease, il metallone classico di Worth Pursuing, la thrashy Cut And Dry o l’arrembate metal industriale di Soul Sickness.
Rimane un lotto di tracce dall’impatto melodico esagerato, senza perdere un grammo dell’impatto groove/industrial metal di cui il gruppo è portatore sano, contaminando il nostro sangue con scorie di moderno sound esplosivo e devastante come un’atomica.
I Prong, come per esempio gli Anthrax, non si accontentano di riproporre lo stesso materiale, ma cercano di donare ai loro fans nuovi modi per assaporarne la musica e, di fatto, hanno trovato un ottimo compromesso tra la devastante marzialità dei primi lavori e l’aspetto più melodico del metal moderno: il tempo per loro non è passato invano…

TRACKLIST
1. Ultimate Authority
2. Sense of Ease
3. Without Words
4. Cut and Dry
5. No Absolutes
6. Do Nothing
7. Belief System
8. Soul Sickness
9. In Spite of Hindrances
10. Ice Runs Through My Veins
11. Worth Pursuing
12. With Dignity
13. Universal Law

LINE-UP
Tommy Victor Vocals, Guitar
Jason Christopher Bass
Arturo “Art” Cruz Drums

PRONG – Facebook

Brünndl – Brünndl

L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento

I Brünndl si fanno portavoce, musicalmente parlando, della minoranza linguistica cimbra, la cui presenza sul territorio nazionale è costituita da alcuni nuclei disseminati in diverse vallate del Veneto: l’idioma parlato è di ceppo germanico e la band lo utilizza in più passaggi del suo primo full length.

Al di là di queste curiosità storico-geografiche, il terzetto propone a tratti un black dai forti influssi pagan-folk, esibiti in particolare nella traccia d’apertura La Via della Valsugana, mentre in altri momenti prevale l’impronta più canonica del genere, con un occhio rivolto alla feconda scena teutonica.
L’album nel suo complesso non è affatto male e i Brünndl (ovvero il fiume Brenta in tedesco antico) interpretano la loro parte con convinzione e buoni spunti, specie quando sono proprio gli elementi folk ed epici a prendere il sopravvento, vanificati però parzialmente da una voce pulita che viene utilizzata in alternativa allo screaming in maniera un po’ approssimativa, mentre le cose funzionano decisamente meglio allorché l’approccio si fa più corale.
Come detto, Brünndl è un disco che si fa apprezzare ma, forse, per far quadrare definitivamente  il cerchio, ai Brünndl manca ancora qualcosa per riuscire ad omogeneizzare al meglio le diverse componenti del loro sound: un obiettivo che, con il contributo di alcune limature a livello di scelte vocali e di produzione, appare ampiamente alla portata dell’interessante band bassanese.

Tracklist
1- La via della Valsugana
2- Marckwisenkhalt
3- Freyjoch
4- Magaan
5- Sonno e Verena
6- Il portale del Tramonto

Line-up:
Stephan – Bass
Myrk – Drums
Markus – Guitars, Vocals

Abaddon – Son Of Hell

Con un po’ più di attenzione in fase di produzione e migliorando la prova vocale, la band indiana potrebbe fare un salto di qualità importante, anche se la proposta è circoscritta ai fans del genere.

Si torna a parlare di metal proveniente dall’India, con il debutto di questo quartetto proveniente da Bangalore, che di nome fa Abaddon e suona heavy metal old school irrobustito da iniezioni di adrenalina thrash.

Cinque brani, una mezz’ora scarsa di musica fieramente metallica, influenzata dai maestri heavy/thrash che hanno scritto la storia della nostra musica preferita, alternando brani in linea con la new wave of british heavy metal, ad altri dove i ritmi si fanno più serrati e la velocità aumenta pericolosamente.
Terror In The Eyes Of God è un brano maideniano, la voce fuori campo lascia spazio ad un riff che ripercorre in toto il sound della vergine di ferro, metal old school, magari non prodotto benissimo, ma assolutamente trascinante, così come l’ottima Rise Of The Undead.
In Violent Sage esce l’anima thrash del gruppo, uno strumentale che porta alla devastante Destruction Completes Creation, sezione ritmica compatta (Samarth Hegde alle pelli e Jehosh Gershom al basso) e chitarre che trascinano in un vortice di note ottantiane (Akash Ponanna e Naag Bharath) per il brano più riuscito del disco.
Un po’ monocorde, la voce del bassista, sicuramente migliorabile, rende poco giustizia al sound del quartetto, che non ha paura di mettere in mostra le proprie influenze e gioca con il metal old school pescando in egual misura da Iron Maiden, Judas Priest, Testament e Megadeth.
Con sufficiente piglio gli Abaddon ci propongono un dischetto tutto sommato piacevole, derivativo certo, ma anche ben costruito su questa alternanza tra l’heavy metal tradizionale ed il più violento thrash, mettendo a nudo pregi e difetti che per una band all’esordio sono sicuramente perdonabili.
Con un po’ più di attenzione in fase di produzione e migliorando la prova vocale, la band indiana potrebbe fare un salto di qualità importante, anche se la proposta è circoscritta ai fans del genere.

TRACKLIST
1. Terror In the Eyes of God
2. Rise of the Undead
3. Violent Sage
4. Destruction Completes Creation
5. Bullet Eye

LINE-UP
Naag Bharath – Guitars (rhythm)
Jehosh Gershom – Vocals (lead), Bass
Akash Ponanna – Guitars (lead)
Samarth Hegde – Drums

ABADDON – Facebook

Ad Vitam – Stratosfear

Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

Un’altra band notevole si affaccia con convinzione ed ottima tecnica sulla scena italica, un altro colpo della Revalve Records, un altro bellissimo lavoro che a mio parere farà proseliti tra gli amanti dei suoni estremi, dalle mille sfumature.

Loro vengono dalla Sardegna, si chiamano Ad Vitam ed irrompono sul mercato con questo gioiellino, Stratosfear, un ottimo esempio di progressive death metal oscuro, maturo ed assolutamente devastante nelle molte sfuriate estreme, tra potenza death e cattiveria black, valorizzate da armonie che vanno dall’atmosferico, all’orchestrale e da cavalcate su e giù per il manico delle sei corde di stampo classico, per un tuffo nella parte più elegante del signore e padrone dei generi estremi, il death.
I brani sono tutti di notevole impatto, non c’è un attimo di tregua, la band ci investe con vortici di note che si intrecciano a velocità sostenute, mantenendo un’attenzione maniacale per il songwriting.
Gli Ad Vitam hanno una virtù che, a molti gruppi presi dallo sfoderare bravura tecnica, ma freddi e poco attenti ad elaborare brani convincenti, manca: le loro songs si nutrono di emozioni, crescono dentro di noi, perfettamente bilanciate da tecnica e gusto, sempre con l’oscurità, tipica del genere, drammatica, un fiume in piena che travolge, facendoci vorticare tra le acque agitate, nere ed impazzite, sotto la forza dell’uragano.
Prodotto perfettamente (l’album è stato registrato e mixato presso Hangar 18 Recording Studio e masterizzato presso i Conen Mastering Studio), Stratosfear ha ben in evidenza le influenze del gruppo, ma le propone con una forza espressiva impressionante, non scendendo dal livello di eccellenza per tutta la sua durata, con picchi di esaltante e matura musica estrema che escono prepotentemente dai solchi di There Was Blood Everywhere, Spektrum Walz, Six Feet Under My Sins ed Inception, tanto per citare una manciata di esempi, facendo convivere con assoluta disinvoltura Dimmu Borgir, Symphony X e Opeth.
Grande band ed ulteriore esempio di come nel nostro paese si possa suonare metal ai massimi livelli: non fate gli esterofili e fate vostro questo eccellente lavoro.

TRACKLIST
1. Exosfear
2. There Was Blood Everywhere
3. Bite Me Immortal
4. Join Me in Farewell (There Will Be Blood Everywhere)
5. Chronosfear
6. Six Feet Under My Sins
7. Under a Cypress Root
8. Plagues of Nothing
9. Mesosfear
10. Spektrum Walz
11. Inception
12. Stratosfear
13. Fall of Collective Consciousness

LINE-UP
Mattia “Vigor” Amadori – Voce
Daniel Matta – Batteria
Roberto Schirru – Chitarra ritmica
Federico Raspa – Basso
Lorenzo Mariani – Chitarra Solista

AD VITAM – Facebook

Horror Necros – The Bite Of A Hornet

The Bite Of A Hornet è un esordio che raggiunge la sufficienza e nulla più, il sound è quello giusto ma una maggiore varietà renderebbe l’ascolto sicuramente più intrigante

Death metal brutale, con un tocco di modernità, è quello che ci offrono gli Horror Necros, band russa formata da soli due musicisti, Dmitriy Kuznetsov e Maxim Smeliy.

The Bite Of The Hornet è il primo lavoro di questi deathsters dell’est europeo, che affrontano la materia forti di un sound dal buon impatto ma sinceramente dalle poche idee.
Groove apocalittico e modernista fa da tappeto sonoro al vocione brutal, accompagnato da chitarre squassanti e qualche solos melodico, concentrati in un monolitico muro di note compresse.
Senza lesinare watt, gli Horror Necros mostrano un sound ancora da perfezionare, troppa potenza monocorde sprigionano brani che rischiano di essere dimenticati, tanto è il senso di ascoltare un’unica devastante song.
Le tracce si susseguono senza guizzi qualitativi, in parte cantate in lingua madre, la produzione rende il sound sferragliante mentre il duo imperterrito sprigiona violenza metallica che ricorda dei Cannibal Corpse dal mood industriale.
Per la cronaca le due cover, poste in chiusura (I’m in Hate degli Ektomorf e Roots Bloody Roots dei Sepultura), risultano i brani più riusciti.
The Bite Of A Hornet è un esordio che raggiunge la sufficienza e nulla più, il sound è quello giusto ma una maggiore varietà renderebbe l’ascolto sicuramente più intrigante, aspettiamo il prossimo passo sperando di constatare ulteriori passi avanti.

TRACKLIST
1. Death сад
2. The Bite of a Hornet
3. Color Blindness
4. Дробь в свиной голове
5. Экзорцист
6. My Reflection
7. Jumanji
8. Тема зла
9. I’m in Hate (Ektomorf cover)
10. Roots Bloody Roots (Sepultura cover)

LINE-UP
Dmitriy Kuznetsov – Guitars, Vocals
Maxim Smeliy – Guitars