Tyrant’s Kall – Gla’aki

Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora

Ispirati dai racconti di H.P. Lovecraft, tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza i Tyrant’s Kall, gruppo belga che unisce death metal scandinavo, pesantezza doom e sfuriate thrash per un risultato estremo che, lungi da reminiscenze moderne, crea atmosfere horrorifiche ed epico/fantasy.

La band, che dietro al microfono si avvale di una miss dall’ugola di un orco che parte da Minas Morgul in assetto di guerra (Esmee Tabasco), nasce nel 2007 e l’esordio sulla lunga distanza ( Dagon) viene rilasciato nel 2012.
Come detto i Tyrant’s Kall uniscono in modo sagace il death metal scandinavo dei primi anni novanta, con il doom epico, la Tabasco passa così dal growl alla voce pulita, grintosa ed in alcuni casi declamatoria, mentre i suoi compagni alternano veloci cavalcate estreme, a rallentamenti doom metal classici, rendendo la loro proposta varia e dal piacevole ascolto.
Pesantezza a tratti monolitica, tipica del doom/death ed ottime parti dove le sonorità classiche la fanno da padrone, riempono l’aria di atmosfere horror e sfumature guerresche, l’album ha nel gran lavoro della parte ritmica il suo punto di forza, esaltante quando corre via (Miskatonic Witch), pesantissima nello scorrere lento e inesorabile della musica del destino (Evil Eye) mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore, con l’indubbia bravura nel saper variare il sound al momento giusto.
Tra i solchi di Gla’aKi non vi sarà difficile scoprire le numerose influenze che il gruppo ingloba nel proprio sound, senza lasciare un retrogusto di già sentito, perché non sono poche le band storiche, famose e non che vengono tirate in ballo dal gruppo belga.
Dismember ed Entombed, Candlemass, Solitude Aeturnus e gli Year Zero tanto per fare dei nomi, si danno il cambio nelle varie tracce, fino alla conclusiva Elixir Of Immortality, il perfetto riassunto del sound del gruppo, partenza doom, intermezzo atmosferico e declamatorio e partenza a razzo per raggiungere il metal più estremo, fino al ritorno a sonorità monolitiche che ci accompagnano alla fine dell’album.
Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora: per gli amanti dei generi sopracitati un album davvero riuscito.

TRACKLIST
01. The Kraken
02. Medusa
03. Gla’aki
04. Evil Eye
05. Michel Mauvais
06. Miskatonic Witch
07. Fearsome Dreams In The Deep
08. The One That Slumbers
09. Elixir Of Immortality

LINE-UP
Vocals: Esmee Tabasco
Lead Guitar: Ronny Razor
Guitar: H.M. Doom
Bass: UxJx
Drums: M.

TYRANT’S KALL – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yfjL7Wq1yNM

Masacre – Brutal Aggre666ion

Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di altri gruppi più conosciuti e blasonati

Il metal estremo in Sudamerica è un’istituzione nell’underground, specialmente nel vecchio death metal dove non mancano gruppi storici e nuove realtà che, attraversando l’Atlantico, giungono a noi in tutta la loro spietata violenza.

I colombiani Masacre fanno parte dei gruppi più longevi della scena death e arrivano anche in Europa con il loro nuovo lavoro tramite la sempre attenta etichetta spagnola Xtreem.
Attivo addirittura dal 1988 il gruppo di Medellin ha una discografia farcita di un bel numero di lavori, anche se Brutal Aggre666ion viene licenziato dopo una decina d’anni dall’ultimo Total Death, ma la band non è stata certo con le mani in mano in quseta decina d’anni immettendo sul mercato tre compilation ed un mini cd.
Uscito qualche tempo fa, ma arrivato solo ora nel vecchio continente l’album, registrato e mixato da Erik Rutan, travolge come sempre l’ascoltatore, forte di un death metal assassino, come da tradizione per le band sudamericane, senza compromessi e violentissimo.
Il gruppo dall’alto della sua lunga esperienza sa come far male, ritmiche da mitragliatore impazzito, una buona alternanza tra massacro iconoclasta e potente metal estremo cadenzato e growl belluino sono gli ingredienti che la band mette sul piatto, non cedendo di una virgola e scatenando l’inferno sulla terra.
Morbid Angel, e tanto death metal old school, fanno di Brutal Aggre666ion un buon album per i fans del genere, compatto e devastante una prova di forza che, se non ha niente di clamoroso sotto l’aspetto puramente creativo, non lascia dubbi sull’attitudine enorme e l’impatto di queste nove mazzate inferte dai deathsters colombiani sulle nostre teste.
L’opener La Guerra risulta una dichiarazione di intenti ed il bombardamento ha inizio, una distruzione totale con la sola strumentale The Calm Before The Storm che ci fa tirare il fiato prima della conclusiva e tremenda Valle De La Muerte.
Chiaramente con così tanti anni alle spalle i musicisti, sono capaci di prove ottime con i propri strumenti, con l’accento sul demolitore di pelli Mauricio Londoño, un martello di inesauribile potenza.
Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di band più conosciute e blasonate, per gli amanti del genere un gradito e blasfemo ascolto.

TRACKLIST
1. La Guerra
2. Mutilated
3. Bullets
4. War In Hell
5. Donde Habital El Mal
6. Satanic Peace Agreement
7. Reality Death
8. The Calm Before The Storm
9. Valle De La Muerte

LINE-UP
Alex Okendo – Vocals
Jorge Londoño – Lead Guitar
Juan C. Gomez – Rhythm Guitar
Álvaro Álvarez – Bass
Mauricio Londoño – Drums

MASACRE – Facebook

Lola Stonecracker – Doomsday Breakdown

Non fatevi mancare l’ascolto di Doomsday Breakdown, regalatevi un po’ di divertimento, ogni tanto ….

Eccoci al cospetto di un’altra band made in Italy dalle potenzialità enormi, una macchina rock’n’roll senza freni che, pescando dall’hard rock degli ultimi trent’anni, rifila una serie di hit esagerati e confezionando un album divertente, passionale, stradaiolo e dannatamente cool.

Nati come cover band dei Guns’n’Roses, i Lola Stonecracker hanno debuttato nel 2011 con un Ep omonimo e da allora incendiano i palchi europei e nostrani in compagnia di nomi altisonanti del rock’n’roll più energico come Faster Pussycat, Reckless Love, la band di Steven Adler (ex drummer dei migliori gunners) e le maestà John Corabi e Gilby Clarke.
Doomsday Breakdown regala un’ora abbondante di street, hard rock a tratti grungizzato da ritmiche grasse, un viaggio saltando dagli eightees al decennio successivo, tra brani di trascinante rock che non dimentica la melodia e neanche i suoni del nuovo millennio.
Quindici brani sono tanti ma l’adrenalina scorre a fiumi in questa raccolta di canzoni che bombardano l’ascoltatore, elettrizzato e sconvolto dal proprio corpo che si dimena suo malgrado, sotto l’effetto dell’opener Jigsaw, Witchy Lady e Generation On Surface, tre brani che scaraventano al tappeto e dai quali in parte ci si rialza con Secret Of The Universe, semi ballad che mi ha ricordato non poco i Candlebox.
Si riparte sull’ottovolante Lola, per altri quattro brani da infarto su cui la title track spicca alla grande, ed è già tempo di riposarci con un’altra incantevole semiballad, All This Time.
Space Cowboys invita al rodeo forte di un riff in slide e c’è ancora tempo, tra le altre, per la cover di Relax, storico hit degli anni ottanta ad opera dei Frankie Goes To Hollywood e Shine, una classica ballad in Bon Jovi style, tanto per ribadire la varietà dei nostri nel miscelare così tante influenze sotto la bandiera dell’hard rock.
Forti di un vocalist (Alex Fabbri) personale e bravissimo nell’interpretare le varie sfumature di un lavoro che definire vario è un eufemismo, i Lola Stonecracker stupiscono, spaziano, si divertono e fanno divertire miscelando le varie influenze e risultando a loro modo originali.
Nel frattempo la band ha fIrmato un accordo con la Atomic Stuff, punto di riferimento per l’hard rock tricolore, che si occuperà della promozione dell’album dando vita ad una partnhership che promette scintille.
Non fatevi mancare l’ascolto di Doomsday Breakdown, regalatevi un po’ di divertimento, ogni tanto ….

Tracklist:
01. Jigsaw
02. Witchy Lady
03. Generation On Surface
04. Secret For A Universe
05. Perils For A Man From The Past
06. Jekyll & Hyde
07. Doomsday Breakdown
08. Mc Kenny’s Place
09. All This Time
10. Space Cowboys
11. Psycho Speed Parade
12. Mistery Soul Maverick
13. Relax
14. Shine
15. Using My Tricks

Line-up:
Alex Fabbri – Vocals
Lorenzo Zagni – Guitars
Giovanni Taddia – Guitars
Diego Quarantotto – Bass
Christian Cesari – Drums

LOLA STONECRACKER – Facebook

Starblind – Dying Son

Gli Starblind sono sicuramente un surrogato utile per non soffrire di nostalgia tra un lavoro e l’altro della più popolare vergine del mondo metallico

Il conte Dracula, personaggio nato dalla mente di Bram Stoker è uno dei miti che più hanno ispirato le bands metal, dal classico all’estremo, ma il temuto e affascinante vampiro, nella realtà era un nobile rumeno conosciuto come Vlad l’impalatore, crudele e terribile sovrano che per difendere i propri confini, non esitò ad impalare i prigionieri, come monito per le orde di nemici che minacciavano l’invasione del suo regno, come raffigurato sulla copertina del secondo lavoro degli svedesi Starblind.

La giovane band di Stoccolma, nata appena due anni fa e che vede al microfono l’ex batterista degli Steel Attack Mike Stark (molto bravo anche dietro al microfono), va a rimpolpare le truppe che formano l’esercito metallico colpevoli del ritorno in auge dei suoni classici ottantiani e della new wave of british heavy metal.
Successore del debutto Darkest Horrors, uscito lo scorso anno per la Soulspell Records, la band fresca di firma con la Pure Steel, continua sulla falsa riga del primo lavoro, un sound che trae ispirazione dalla vergine di ferro, tanto che alcuni passaggi sembrano uscire dagli strumenti di Steve Harris e soci, su cui il gruppo svedese aggiunge qualche parte più power oriented, quel che basta per rendere il suono leggermente in linea con il metal classico moderno.
Vero è che gli Iron Maiden fanno il bello e cattivo tempo nel songwriting del gruppo, forse un po troppo, anche se i brani non sono male e i musicisti del gruppo i loro strumenti li sanno usare alla grande.
Dying Son rimane un buon prodotto, l’heavy metal ottantiano suonato dalla band è quello che ha fatto innamorare miglioni di fans in tutto il mondo, su questo non ci piove e tra i brani almeno un paio sono davvero belli e coinvolgenti ( il crescendo di Firestone e la conclusiva The Land of Seven Rivers Beyond the Sea, undici minuti di delirio metallico epico e maideniano), ma la troppa somiglianza con la band britannica fa perdere qualche punto a questo lavoro, che chiaramente pecca in personalità.
Se siete fans del suono maideniano, gli Starblind sono sicuramente un surrogato utile per non soffrire di nostalgia tra un lavoro e l’altro della più popolare vergine del mondo metallico, altrimenti passate oltre, anche se fatico a credere che ci siano in giro metallers a cui non piace l’Harris sound.
Mai come questa volta vi saluto con un UP THE IRONS !

TRACKLIST
1. A Dying Son
2. Blood Red Skies
3. Firestone
4. The Man Of The Crowd
5. The Lighthouse
6. Sacrifice
7. Room 101
8. The Land Of Seven Rivers Beyond The Sea

LINE-UP
Mike Stark – vocals
Daniel Tillberg – bass
Zakarias Wikner – drums
Björn Rosenblad – lead guitars
Johan Jonasson – lead guitars

STARBLIND – Facebook

Parsec – Sulla Notte

Il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa

A quattro anni dal loro primo ep autoprodotto, i bolognesi Parsec (Federico Cavicchi, Samuele Venturi, Gabriele Tassi, Leopoldo Fantechi) ritornano con Sulla Notte, album composto da dieci brani e pubblicato da Waves For The Masses. Il disco, incrociando The Death Of Anna Karina, Affranti e Massimo Volume, cerca di graffiare con il suo sound, ma raramente riesce a mordere in maniera convincente.

Il piovere di chitarre di Audrey, combinato con un parlato/raccontato che mai inchioda con le sue parole, introduce le regolari note di basso, su cui si sfogano i restanti strumenti, di Luci Al Neon, mentre Per Una Volta, nascondendo, nella sua urgenza, un cuore dai contorni post rock, prova ad avvolgere con malinconiche emozioni.
Non Siamo Mai Stati Moderni, in quarta posizione, prova ad accelerare il ritmo, lasciando che a seguire siano la non così efficace Un’Infanzia Difficile (nel testo viene recitato il banale “alla fine dell’Estate arrivò l’Autunno”) e il pulsare nervoso della più incisiva All’Ultimo Piano.
Il suono carico di malessere de Il Testamento Di Un Uomo, invece, provando a colpire con il suo piglio più pensieroso, si contrappone all’intreccio di basso, batteria e chitarra (decisamente aggressivo nella conclusione), di Emile.
Lo Straniero, infine, più regolare e metodica, cede a Stoccolma e alla sua struttura, a tratti più cerebrale e matematica, il compito di chiudere.

I dieci brani di questo Sulla Notte dovrebbero mordere ed emozionare, ma raramente ci riescono. Si capisce fin da subito, infatti, che il quartetto ha buone intenzioni, ma che non ha ancora l’esperienza per colpire in maniera decisa. Il suono potrebbe essere potente come quello dei The Death Of Anna Karina (o cerebrale come quello dei Ruggine), ma non riesce ad aver dinamica e a colpire con forza, mentre i testi potrebbero essere profondi come quelli dei Massimo Volume (o sofferti come quelli degli Affranti), ma risultano piatti e piuttosto ingenui. Insomma, il potenziale sono convinto che ci sia, ma per risultare convincenti c’è ancora molto lavoro da fare

TRACKLIST
01. Audrey
02. Luci Al Neon
03. Per Una Volta
04. Non Siamo Mai Stati Moderni
05. Un’Infanzia Difficile
06. All’Ultimo Piano
07. Il Testamento Di Un Uomo
08. Emile
09. Lo Straniero
10. Stoccolma

LINE-UP
Federico Cavicchi
Samuele Venturi
Gabriele Tassi
Leopoldo Fantechi

PARSEC – Facebook

After Apocalypse – After Apocalypse

I bresciani After Apocalypse sono una giovane band che cerca di proporre qualcosa di nuovo, partendo da dove tutto è iniziato: i primi anni novanta e la scena olandese, quella dei primissimi The Gathering e Celestial Season.

Difficile dire qualcosa di nuovo in un genere come il metal gotico dalle sfumature sinfoniche, troppe le band che la scena ha da offrire, anche se per un amante di queste sonorità la qualità delle proposte riamane mediamente alta, specialmente se si rivolge l’attenzione dentro i confini nazionali.

I bresciani After Apocalypse sono una giovane band che cerca di proporre qualcosa di nuovo, partendo da dove tutto è iniziato: i primi anni novanta e la scena olandese, quella dei primissimi The Gathering e Celestial Season.
Certo il doom gothic, priorità della scena di un ventennio fa, è addolcito dalla sempre presente componente sinfonica, ma il growl profondo e cavernoso ed il sempre presente clarinetto, rendono il sound del gruppo molto vicino alle atmosfere gotiche del tempo, lasciando le sonorità bombastiche ad altre realtà.
La voce della vocalist, di genere ma molto bella, fa il resto e After Apocalypse risulta cosi un buon lavoro, maturo e personale, anche se scritto da una band al primo passo nel mondo del gothic metal.
Il gruppo dosa bene dolcezza gotica e aggressività death, l’uso del clarinetto dona ai brani eleganza ed un tocco di originalità che non guasta e l’album scorre che è un piacere, tra momenti leggermente più sinfonici ed altri dove le chitarre si fanno sentire, ed escono estreme il giusto per accompagnare l’orco che dall’ombra duetta con la singer.
Ottime le trame ricamate dallo strumento classico in World Of Marzipan e Glorious Way, mentre in One Day le due voci creano l’effetto la bella e la bestia molto suggestivo, con le ritmiche che tengono un passo accelerato per uno dei motivi più interessanti dell’album.
White Page risulta più in linea con il symphonic odierno, anche se il clarinetto continua ad imperversare fino alla metà del brano, dove i ritmi si fanno marziali e pomposi, mentre Mechanical Mask, potente brano gothic, cede il passo alla conclusiva Sentence, brano dall’inizio cinematografico e dall’andamento più marcatamente potente e aggressivo nel suo incedere estremo.
In definitiva un bel debutto: consigliato agli amanti del genere, After Apocalypse è accompagnato da un’ottima produzione affidata al guru dell’Atomic Stuff Oscar Burato, come sempre nei studi dell’etichetta in quel di Isorella e, già di per sè,una garanzia di qualità. Senza dubbio, buona la prima.

TRACKLIST
01. After Apocalypse
02. World Of Marzipan
03. Dark Side
04. Glorious Way
05. Insight
06. Crying Moon
07. One Day
08. White Page
09. Mechanical Mask
10. Sentence

LINE-UP
Elena: Vocals
Seba: Guitar
Zendra: Guitar
Megres: Bass
Varghar: Clarinet, growl vocals
Al: Drums

AFTER APOCALYPSE – Facebook

Affliction Gate – Dying Alone

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Gli Affliction Gate fanno più danni con quattro brani che molti gruppi con una discografia intera e questo ep conferma l’enorme potenziale estremo del gruppo transalpino.

Ho iniziato dalla fine, vero, ma solo per sottolineare e mettere subito in chiaro di che pasta sono fatti gli Affliction Gate, una banda di deathsters con in testa solo ed esclusivamente l’intenzione di farvi male a suon di schiaffoni death metal.
Il gruppo nasce nel 2006 e Dying Alone è il terzo mini cd della loro discografia, a cui si aggiunge il full length Aeon of Nox (From Darkness Comes Liberation) del 2009.
Tornano tramite la Transcending Obscurity dopo quasi quattro anni dall’ultimo ep Shattered Ante Mortem Illusions, purtroppo solo con questi quattro brani, ma la forza e la potenza old school che emanano, bastano e avanzano per farne una delle uscite più rilevanti in ambito death vecchia scuola degli ultimi tempi.
Un uragano sonoro a metà strada tra il death metal scandinavo (Unleashed e Grave) e quello di Asphyx e Bolt Thrower per un risultato devastante.
Animati da un songwriting in stato di grazia, la band spacca che è un piacere e le prime due songs sono un massacro composto da velocità e brutalità, riff e solos spettacolari ed irresistibili ed un growl che è scuola per chiunque voglia mettersi dietro ad un microfono e cantare in una death metal band.
La title track, leggermente più cadenzata non mostra cedimenti e quando gli Affliction Gate decidono di rallentare, il sound diventa un mostro death/doom pesantissimo violentato da solos di lancinante e urlante metallo.
Manicheism Inertia torna a correre al limite della velocità, un bolide impazzito dove alla guida, il vocalist Herostratos, schiva e svernicia un bel po’ di tipacci con la vocazione per il canto brutale, mentre gli addetti a tormentare padiglioni auricolari con i propri strumenti, prendono l’ordine alla lettera e ci investono con una tempesta di fuochi d’artificio death metal.
Due ep in quattro anni sono un po pochini per un gruppo del genere, urge un nuovo full length per sedersi vicino alle band top del genere.

TRACKLIST
1. Negative Lucidity
2. Devising Our Own Chains
3. Dying Alone
4. Manicheism Inertia

LINE-UP
Herostratos vocals
Grief rhythm guitar
Bobby lead guitar
Nico bass
Laurent M. drums

AFFLICTION GATE – Facebook

The Crawling – In Light of Dark Days

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani che farà lacrimare sangue ai deathsters old school

Attivi da un anno nella scena estrema, i nord irlandesi The Crawling licenziano il primo lavoro, questo ottimo ep di tre brani, che farà lacrimare sangue ai deathsters old school, specialmente chi predilige ritmi cadenzati e slow al limite del doom.

Il trio composto da Andy Clarke (chitarra e voce), Stuart Rainey (basso e voce ) e Gary Beattie alle pelli, in una ventina di minuti ci presenta il suo sound, molto coinvolgente e dalle sfumature dark, drammatico ed evocativo, un lento incedere che non disdegna bellissimi intermezzi acustici, monolitiche parti death in un’atmosfera oscura e melanconica molto suggestiva.
L’opener The Right To Crawl entra subito nel vivo della proposta del gruppo, metallo estremo darkeggiante che non disdegna brevi accelerazioni e troncato in due da un bellissimo intermezzo acustico.
Le due voci , un growl cavernoso, ed uno scream abrasivo, ci accompagnano nel paesaggio spettrale disegnato dalla musica del gruppo, mentre End Of The Rope sa tanto di Katatonia, e il freddo inverno ci abbraccia, tra l’incedere elegante dell’inizio semiacustico e la rabbia espressa in attimi di violenta elettricità.
L’ultimo brano è il più vario del terzetto di brani proposti, una lenta marcia funerea scandita dai lenti colpi che Beattie infligge sul drumkit, prima che si torni a metallizzare il tutto con l’entrata in campo della sei corde.
Catatonic è composta da riff monolitici, l’atmosfera si fa funesta e la suggestiva altalena tra momenti intimisti e sfuriate death, imprime al brano un alone tetro reso ancora più oscuro dal sopraggiungere di un temporale.
Katatonia, My Dying Bride e primi Paradise Lost sono le band di riferimento per il sound dei The Crawling che comunque si fa apprezzare per le ottime atmosfere sofferte e la buona personalità, assolutamente da ascoltare se siete amanti di tali sonorità, promossi.

TRACKLIST
1. The Right to Crawl
2. End of the Rope
3. Catatonic

LINE-UP
Andy Clarke – Guitar Vocals
Stuart Rainey – Bass Vocals
Gary Beattie – Drums

THE CRAWLING – Facebook

Ensight – Hybrid

Possono ricordare molte band e nessuna gli Ensight, ma il loro lavoro farà la gioia di chi è attento a quello che ha da offrirci la nostra scena, che si arricchisce di un’altra ottima realtà.

Nel 2011 questa band pisana si fece conoscere nella scena metallica nostrana per un ep omonimo, uscito autoprodotto per rompere il ghiaccio ed avere la possibilità di cominciare a girare per i palchi dello stivale e far conoscere la propria splendida musica.

Arriva finalmente il primo full length ma, questa volta, accompagnato dalla firma per la Revalve, etichetta nostrana tra le più autorevoli quando si parla di metal underground.
Per chi sente nominare il gruppo per la prima volta, è bene ricordare i talenti che sono dietro al progetto, iniziando dai musicisti che questa band l’hanno creata; Gabriele Caselli (Domine e Eldritch) e Raffahell Dridge (Eldritch), con l’aiuto di Alessio Consani (Eldritch), Dimitri Meloni alla sei corde e lo splendido vocalist Antonio Cannoletta.
Eldritch e Domine, praticamente una buona fetta del meglio che la nostra nazione ha saputo offrire in ambito metallico, gruppi storici e di qualità superiore, conosciuti e rispettati sopratutto all’estero, ed il risultato non poteva che essere clamoroso.
Prog metal di altissimo livello, un songwriting che sa quando e come far male, o dove deve frenare, per rendere la propia proposta ad altissima gradazione melodica, costruendo e disfacendo a suo piacimento, volando alto e lasciandosi cadere in picchiata in un mondo, quello del progressive metallico che se non ci si guarda alle spalle, si rischia di essere aggrediti dall’autocompiacimento e dal troppo specchiarsi nella mera tecnica che in Hybrid si trova comunque in abbondanza.
Il gruppo, dall’alto della sua esperienza, ci rifila As The World Falls Down, posta in chiusura, dodici minuti ed un po’ di symphonic/power/prog metal da standing ovation, un bel biglietto da visita e la chiave per entrare, dalla porta principale, nel loro mondo dove aggressività e melodia sono perfettamente amalgamate per donare musica eterna.
Inutile enfatizzare le prove dei musicisti, ma un plauso va al singer davvero bravo nell’assecondare i vari passaggi, atmosfere e cambi di tempo repentini di cui la musica del gruppo è colma.
Picchiano alla grande e lo sanno fare bene gli Ensight, l’adrenalina scorre a fiumi, a tratti epico ed elegante, il metal dei nostri ha una forza che smuove montagne e le songs dall’alta gradazione metallica non fanno che alzare la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore, travolto da cotanto vento tempestoso ( The Pain Society).
Words And Dust, posta a metà album ci da solo il tempo di riprendere le forze, la sua rilassata compostezza da modo di prendere respiro prima che la musica del combo torni ad investirci, una buriana di suoni tecnici ed aggressivi e che con Bloodstained trovano la loro consacrazione.
Possono ricordare molte band e nessuna gli Ensight, ma il loro lavoro farà la gioia di chi è attento a quello che ha da offrirci la nostra scena, che si arricchisce di un’altra ottima realtà.

Alberto Centenari

Si fa largo dirompente nell’ascolto, questa prima fatica discografica dei nostrani Ensight; il sound power/progressive pulito, lirico, massiccio eppure siderale si dipana impreziosito da lyrics futuristiche che compongono un concept fantascientifico uscito diretto dalla bibliografia di Kurt Vonnegut.
Le 9 tracce che compongono questo Hybrid si snodano con un perfetto sentiero logico-musicale, in poco meno di un’ora di metal molto tecnico ma senza mai eccedere negli scomodi meandri dell’autoreferenzialità: chitarre potenti, lucide, chirurgiche ma bilanciate; una sezione sinfonica carica e intrecciata da tastiere ben calibrate che esaltano la voce di Cannoletta.
La storia dei componenti di questo quintetto è chiara e parla di radici ben salde nei classici della scena power/progressive italiana, annoverando al suo interno Gabriele Caselli (Ex-Eldritch, Ex-Domine) e Raffahell Dridge (Eldritch), il che non rappresentando a priori una certezza per la riuscita di un nuovo progetto, in questo caso rivela accenni ad un “savoir-faire”derivato anche grazie all’esperienza di band affermate e capitali per il suond metal nostrano.
Hybrid è un buon disco: massiccio, equilibrato, al cui ascolto non si può non pensare ad influenza storiche quali Dream Theater e Symphony X, ma anche Secret Sphere e, a tratti, a sfuriate thrash in cui le chitarre prendono direzioni musicali inaspettate intrecciandosi con le tastiere, che sperimentano ambienti digitali e disturbanti propri di certi momenti dei Fear Factory.
Bella prova quella degli Ensight, che negli Eden Studio supportati da Alessio Lucatti e Olaf Thorsen hanno registrato francamente un bell’album, sapientemente mixato da un Simone Mularoni il cui lavoro in postproduzione si percepisce chiaramente senza essere invadente.
Gli Ensight segnano una nuova tappa nel loro percorso musicale e proseguono il loro buon lavoro, restiamo in attesa di conoscerne l’evoluzione.

Elio Genzo Balbo

TRACKLIST
1. Downfall
2. Godfreak
3. The Pain Society
4. Hybrid
5. Words and Dust
6. Bloodstained
7. Falling from Above
8. Until the End
9. As the World Falls Down

LINE-UP
Alessio Consani – Bass
Raffahell Dridge – Drums
Dimitri Meloni – Guitars
Gabriele Caselli – Piano, Keyboards
Antonio Cannoletta – Vocals

ENSIGHT – Facebook

Dementia 13 – Ways Of Enclosure

Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

Con i Dementia 13 si torna a parlare di death metal old school, dal portogallo, in arrivo con il loro bagaglio di efferatezze prese dal mondo dell’horror e dalle menti insane dei serial killer.

Il gruppo, attivo dal 2010 è alla prima prova sulla lunga distanza, licenziato tramite l’etichetta spagnola Memento Mori e successore dell’ep Tales for the Carnivorous del 2013.
Il trio formato da membri di varie realtà del panorama undergound estremo della loro terra come Pitch Black, Holocausto Canibal, Biolence, Grunt, The Ominous Circle, è protagonista di un feroce dischetto estremo, oscuro e radicato nella vecchia scuola del nostro caro death metal.
Niente di nuovo quindi, solo un buon modo per tenere le orecchie allenate dall’assalto sonoro del trio, che fa sprizzare sangue a iosa dai solchi dei brani, sacrificati sull’altare dell’horror/gore.
Troverete dunque tutte le virtù di cui il genere si può vantare, aggressione, velocità, brusche discese al rallentatore nelle nefandezze raccontate da un growl brutale e terrificante, in un’orgia di torture e delitti di ogni tipo.
Ze Pedro (basso), Marco Silva e Álvaro Fernandes (chitarre) sono musicisti di esperienza e si sente, anche se manca ancora qualcosa nel songwriting per elevare il disco a più di un discreto commento, ma il sound opprimente e la soffocante atmosfera piacerà agli amanti del metal estremo.
Non c’è nell’album una song che si eleva in qualità delle altre tracce, tutto fila lineare come un treno sui binari, ma la cover del tema portante del film Halloween, posta a metà disco risulta un buon stacco horrorifico strumentale al massacro creato dalla band di Porto.
Un disco di genere, niente di più e niente di meno, che sicuramente non porterà nuovi fans al death metal old school, ma potrà essere apprezzato da chi di queste sonorità non può fare a meno.

TRACKLIST
1. Beyond the Grave
2. Orgy of Bloodshed
3. Room 36
4. They Never Found His Body
5. Only Whores Die Young
6. Halloween
7. Conceived in Violence
8. Nothing in the Dark
9. Dawn of Chaos

LINE-UP
Zé Pedro – Bass
Marco Silva – Guitars (lead)
Álvaro Fernandes – Guitars (rhythm)

DEMENTIA 13 – Facebook

Ēōs – Ēōs

Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.

Seconda prova per gli statunitensi Ēōs, dopo un demo di assaggio uscito l’anno scorso.

La band di Olympia propone un funeral doom piuttosto ortodosso e privo di particolari orpelli ma, rispetto ad uscite trattate di recente l’esito appare più organico e meno minimale, anche perché, per una volta, l’esecuzione non è appannaggio di un solo elemento ma avviene per mano di un gruppo vero e proprio.
Il sound deglj Ēōs prende spunto dalle radici del genere, partendo dai Thergothon e passando per gli act più estremi, nel senso del rallentamento dei ritmi, sulla scia degli Worship; il tutto viene eseguito senza esaltare ma facendo intravedere una buona padronanza della materia ed offrendo due brani ampiamente nella media per la loro capacita di evocare sofferenze assortite.
Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.
Chiaramente, poco più di venti minuti non possono essere esaustivi riguardo alle alle caratteristiche di una band, ma sono sicuramente indicativi di potenzialità non trascurabili.
Gli Ēōs sono quindi da attendere alla riprova su più lunga distanza.

Tracklist:
1. Umwelt
2. Pain Came Before and Will Never End

Line-up:
S. Laughton – Bass
Alex Mody – Drums, Vocals
A. Doherty – Guitars
E. Camp – Guitars
S. Radovsky – Keyboards

Police State – Mind Collapse

Un gran bel compendio di musica violente, in quasi tutte le sue sfumature.

Band da York, Pennsylvania, attiva dal 2013, fautrice di una musica violenta ed incazzata, tra powerviolence, crust ed hardcore.

I pezzi volano via con violenza uno dietro l’altro, intervallati da furiosi stacchi che impreziosiscono il tutto.
Non c’è granché da gioire in questo mondo ed anche l’ottimismo sembra davvero fuori luogo, e quindi fare musica come i Police Rot è quasi un dovere andando contro ciò che noi chiamiamo civiltà. I testi parlano degli orrori che vediamo quotidianamente, dalla violenza poliziesca, alla violenza di genere e tutte le nostre brutture.
Un gran bel compendio di musica violente, in quasi tutte le sue sfumature.

TRACKLIST
1.Life
2.I Only See Hate
3.Burner
4. Beneath Me
5.Distraught Mind
6.Fields of Green
7.God Body
8.Transition
9.Filthy Eyes
10.Fall of Man

LINE-UP
Kasey- Bass/Vox
Cole- Guitar/ Vox
Matt- Drums

Armonight – Who we really are

Come ripartenza non c’è male, i nuovi Armonight vanno a rimpinguare il nutrito numero di band hard rock di spessore del panorama nazionale

Strano il modo del metal/rock, così vario e colmo di strade da intraprendere, tutte non facili sia chiaro, ma stimolanti specialmente per chi sa apprezzare ogni sfumatura che questo meraviglioso mondo riesce a regalare.

Come un cubo di Rubik ogni faccia si interseca perfettamente a quello che dovrebbe per tutti essere lo spirito giusto: fare musica, lasciando da parte disquisizioni superficiali su generi e atmosfere che questa crea per arrivare al cuore della gente ovunque essi siano.
Ecco che una realtà, partita come symphonic gothic band, negli anni si trasforma, cambia pelle, ma il risultato non cambia, buona musica per chi ha orecchie per sentire, più semplice di così!
I vicentini Armonight attivi dal 2007 e con tre album alle spalle, lasciano definitivamente la strada intrapresa ad inizio carriera per rinascere completamente trasformati in una rock’n’roll band.
Per il gruppo è sicuramente un nuovo inizio, per noi ascoltatori dovrebbe essere probabilmente, la scoperta dell’anima finora nascosta degli Armonight, quella più sfacciatamente stradaiola, dove esce tutta la carica e la grinta di cui i musicisti del gruppo sono capaci e a colpi di hard rock ottantiano e americanizzato ci fanno partecipi in questa quarantina di minuti di musica del diavolo a tratti davvero coinvolgente.
Hard rock, blues e tanta attitudine rock’n’roll che sprigiona da questi dodoci brani adrenalinici, dalla voce tremendamente rock della vocalist Sy e dai riff corposi di Fjord e Lara creati dove nasce il Mississipi e sul letto del grande fiume, in viaggio verso il delta si trasformano in incendiarie scale hard rock.
Frens al basso e Hokuto alle tastiere completano la line up e Who We Really Are è pronto per riempire una cinquantina di minuti circa della vostra vita con una raccolta di buone songs, che si rincorrono sulle superstrade americane per un album che trasuda on the road da tutti i pori.
Enorme il riff che introduce Staggering Drunk, ottimo il refrain di The Luck Of Heroes, enorme l’atmosfera blueseggiante della micidiale My Best friend, divertente il rock di Stray Dog Blues e perfetto il solo sul singolo Gypsy Girl, insomma la nuova veste di questa band convince e diverte, lasciando che le ispirazioni per il proprio sound facciano serenamente capolino tra i solchi dei brani( AC/DC, Aerosmith e il dirigibile zeppeliniano sopra a tutti).
Come ripartenza non c’è male, i nuovi Armonight vanno a rimpinguare il nutrito numero di band hard rock di spessore del panorama nazionale, non mi rimane che consigliarvelo e augurare il meglio al gruppo vicentino.

TRACKLIST
1. Boring day
2. Staggering drunk
3. Waiting for tonight
4. The luck of heroes
5. My best friend
6. The stray dog blues
7. Keep out the darkness
8. Gypsy girl
9. So stupid
10. Stay away from me
11. Don’t waste your time
12. Who we really are

LINE-UP
Sy: Vocals
Fjord: Guitar
Lara: Guitar
Frens: Bass
Hokuto: K-board

ARMONIGHT – Facebook

Blackslash – Sinister Lightning

Dal buio della foresta nera,torna a ruggire una creatura nata e forgiata nel sacro fuoco dell’heavy metal

Dal buio della foresta nera, una creatura nata e forgiata nel sacro fuoco dell’heavy metal old school, torna a ruggire con il secondo full length, riuscito esempio del più classico, epico e fiero metallo ottanta style.

I Blackslash sono un gruppo di giovani metallers tedeschi, attivi dal 2007, con un esordio sulla lunga distanza datato 2013 ( Separate but Equal ) e due lavori minori.
Sinister Lightning, accompagnato da un artwork in puro stile fantasy guerresco, possiede tutti i crismi del metal classico ottantiano, rimanda alla new wave of british heavy metal, senza risultare un’operazione nostalgia.
La produzione cristallina e l’ottimo songwriting risvegliano il guerriero che è in noi, signore della guerra, dio dall’armatura d’acciaio, eroe di battaglie con maghi e truppe giunte dai confini del mondo, protagonisti di epici scontri , con lo sferragliare di lame pronte ad affondare le punte nelle carni di soldati dalla forza disumana.
Il sound affonda nel metal più classico, le influenze si sposano tanto con la vergine di ferro, come con gli Warlord e gli Stormwitch, ma quello che salta all’orecchio è la qualità dei brani proposti, che, nella loro ignoranza metallica sono tutti di ottima qualità.
Perché il gruppo rallenti il ritmo bisogna aspettare Made Of Steel, penultima song, per il resto si va alla grande tra crescendo maideniani e ritmiche surriscaldate da una fierezza metallica mai doma e l’album ne giova risultando un susseguirsi di esaltanti brani, dove il buon Clemens Haas sfodera una prestazione tutta grinta al microfono, dotato com’è di un tono pulito ma maschio e di una buona estensione vocale, che gli permette di guidare la sua truppa composta dalle infuocate asce di Christian Haas e Daniel Hölderle, il basso martellante di Alec Trojan e la batteria torturata da David Hofmeier.
Non un chorus che non sia perfetto per urlare all’infuocato cielo sopra il campo di battaglia, Sinister Lightning è un ottimo album da ascoltare e riascoltare, senza stancarsi un attimo delle atmosfere old school di brani che ancora bruciano del fuoco in cui sono stati forgiati e di cui Lucifer’s Reign, la cavalcata maideniana Edge Of The World, la trascinante Rock’N’Roll e la sassone Wild And Free sono le songs che più hanno alimentato la fiamma metallica nel sottoscritto.
Davvero un gran bel disco questo Sinister Lightining, era dai tempi dello storico debutto degli Hammerfall che un album del genere non mi esaltava così … e ho detto tutto!

TRACKLIST
1. Empire Rising
2. Lucifer’s Reign
3. Stellar Master
4. Edge of the World
5. Rock ‘n’ Roll
6. Steel Stallions
7. Wild and Free
8. Made of Steel
9. Don’t Touch Me

LINE-UP
David Hofmeier – Drums
Daniel Hölderle – Guitars
Christian Haas -Guitars (lead)
Clemens Haas – Vocals
Alec Trojan – Bass

BLACKSLASH – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=0rN8lHCe-Mk

Secrets Of The Moon – Sun

In extremis arriva uno dei dischi migliori del 2015, consacrazione di una band che oggi ha raggiunto il punto più alto della propria evoluzione.

Uno dei rari momenti in cui viene accolto in maniera gradita qualcosa che arriva a scombinare i piani è senz’altro quando ci si ritrova alla fine dell’anno a stilare la consueta playlist, comprensiva delle migliori uscite degli ultimi 12 mesi: il fatto stesso di metterla in discussione significa che, in extremis, si è palesato un disco di livello superiore alla media e ciò, ovviamente, non può che fare piacere.

E lo è ancor più, per certi versi, quando tutto questo avviene per mano di una band che si conosce piuttosto bene ma che, nonostante una carriera costellata di buonissimi album, non era ancora riuscita a piazzare un colpo in grado di farle spiccare definitivamente il volo.
I Secrets Of The Moon sono una gruppo tedesco che da quasi un ventennio opera in un ambito stilistico che ha sempre avuto quale matrice di riferimento il black metal, al quale in maniera graduale sono stati aggiunti nel corso degli anni elementi progressivi fino al precedente Seven Bells, ottimo album che manteneva comunque le caratteristiche di album ascrivibile a quel genere, pur se edulcorate in più di un aspetto.
Sun giunge a segnare un distacco deciso da questo cordone ombelicale: se tutto sommato l’opener No More Colours può richiamare in parte un’altra band decisamente anomala nel panorama come i compagni di etichetta A Forest Of Stars, già dalla successiva Dirty Black comincia a manifestarsi in maniera compiuta quell’improbabile (almeno a livello teorico) quanto impressionante mix capace di far convergere nel sound pulsioni che rimandano a nomi come Fields Of The Nephilim, Alice In Chains, David Bowie, Cure, Ihsahn e diversi altri che si manifestano in una forma folgorante e repentina tanto da non poter essere identificati con certezza.
Il tutto produce un risultato esaltante in ogni sua parte, attraverso sette brani meravigliosi, ascoltabili e pure cantabili, ma con una profondità non comune dal punto di vista lirico e compositivo, pervasi da un’ aura cupa e introspettiva, nonostante certe aperture melodiche memorabili.
sG è il cantore e l’artefice di tanta bellezza:il musicista tedesco, pur essendo ancora molto giovane, è l’unico membro della band che ne ha vissuto quasi per intero un cammino costellato di pochi album (6 con questo, a partire da Stronghold of the Inviolables del 2001), un dato sintomatico della necessità di elaborare con la dovuta calma quella progressione compositiva che ha portato i Secrets Of The Moon ad essere oggi una creatura magnificamente cangiante.
Sun vive i suoi momenti topici nella parte centrale rappresentata dal trittico Man Behind The Sun,
Hole e Here Lies The Sun: tre canzoni superbe e differenti tra loro, con la prima, dall’incedere drammatico, nella quale sG si rivela una sorta di “duca bianco” deviato regalando una splendida interpretazione, bissata nel capolavoro Hole, uno dei brani più belli ascoltati quest’anno, nel suo passare in un amen da pulsioni gotiche ad aperture post grunge, con un chitarrismo alla Yates a donare quel tocco di oscurità che si addice a liriche quanto mai calzanti rispetto ai tempi in cui viviamo (church and temple / synagogue / it’s time to speak the truth / there is no hope / just wait and see right through)
A seguire un’altra perla come Here Lies The Sun, brano ancor più “nefiliano” e dall’intensità spasmodica, forse più robusto nel suo incedere, ma dotato come gran parte delle altre tracce di un crescendo finale che culmina in un refrain impossibile da rimuovere dalla memoria.
Il semi grunge di I Took The Sky Away rappresenta forse il momento più ordinario prima che Mark Of Cain giunga a chiudere in maniera aspra e a tratti rabbiosa un disco meraviglioso, che in un mondo normale dovrebbe mettere d’accordo appassionati dal background più svariato.
L’evoluzione stilistica dei Secrets Of The Moon non è stata prevedibile come gran parte di quella delle band provenienti dal black metal, le quali il più delle volte cercano sbocchi diversi lasciandosi irretire da pulsioni avanguardiste che non di rado sfociano in uno sperimentalismo fine a se stesso: il combo teutonico ha convogliato invece tutte le proprie ispirazioni su una forma canzone che non tradisce affatto lo spirito che ne ha animato i primi passi, fornendogli solo una sembianza più fruibile ma non meno avvolta da un manto di oscurità.
Nell’aprile di tre anni fa chiudevo la mia recensione di Seven Bells con la frase “metal estremo senza barriere”: ecco, togliendo la parola estremo il concetto viene esaltato ancor di più da un album che porta i Secrets Of The Moon su un piano non solo differente ma definitivamente superiore, rispetto al proprio passato, certo, ma anche e soprattutto nei confronti di gran parte della concorrenza.

Tracklist:
1. No More Colours
2. Dirty Black
3. Man Behind The Sun
4. Hole
5. Here Lies The Sun
6. I Took The Sky Away
7. Mark Of Cain

Line-up:
sG – Vocals (lead), Bass, Guitars, Keyboards
Ar – Guitars, Vocals (backing)
Naamah Ash – Bass
Erebor – Drums

SECRETS OF THE MOON – Facebook

Jameson Raid – Uninvited Guests

Uninvited Guests è un album d’altri tempi, una buona rivisitazione della NWOBHM da parte di chi l’ha vissuta sulla propria pelle

La Pure Steel è diventata una delle label di riferimento per il metal classico e old school, non mancando un appuntamento con i nuovi lavori di band storiche del panorama metallico internazionale underground, delizia per i vecchi metallers e scuola per chi, ancora giovane, vuole assaporare le atmosfere del vecchio ma più che vivo heavy metal.

Uninvited Guests è il nuovo lavoro dei britannici Jameson Raid, gruppo storico della scena metallica, conosciuta da tutti come new wave of british heavy metal.
Fondati addirittura a metà anni settanta, il gruppo è tornato in pista nel 2010 con una compilation, dopo essere stata ferma per quasi trent’anni, da quel Electric Sun del 1982, demo che di fatto fu l’ultima release della band prima del lungo silenzio.
Il vocalist Terry Dark, unico superstite della formazione originale, ha preso in mano le redini del gruppo e dopo qualche lavoro di rodaggio (il singolo Truth and Heresy e l’ep 9 Reasons usciti lo scorso anno) ha dato al gruppo quella che, di fatto è la prima uscita sulla lunga distanza in così tanti anni di attività.
L’album è un buon esempio di hard & heavy vecchia scuola, composto da un lotto di brani grintosi e melodici, strutturati sui suoni graffianti della chitarra, ritmiche che si rifanno alla musica dura degli anni ottanta, e tanta attitudine old school.
Qualche piccolo passaggio a vuoto, ma almeno una manciata di canzoni sopra la media, fanno di Uninvited Guests un sano tuffo nel mondo dell’hard & heavy britannico, vintage sicuramente, ma ben bilanciato tra aggressività e melodie, interpretato con eleganza dal singer che ha mantenuto intatta la carismatica voce ( vicina a quella di Biff dei Saxon) e ben suonato dai nuovi musicisti che accompagnano lo storico vocalist, Dave Rothan alla sei corde, Peter Green al basso e Lars Wickett alle pelli.
Riff di scuola Saxon e primi Judas Priest e ritmiche secche alla Accept, sono le peculiarità di songs dal dna ottantiano come l’opener Mr. Sunset, la title track, l’inno Metal People, l’oscura semiballad Red Moon e Reasons.
Uninvited Guests è un album d’altri tempi, una buona rivisitazione della NWOBHM da chi l’ha vissuta sulla propria pelle, per i metallers dai gusti old school un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1. Mr. Sunset
2. Uninvited Guests
3. Metal People
4. Breaking Point
5. Red Moon
6. Roll on Tomorrow
7. SS Idol Tearz
8. Maze of Rats
9. Haunted
10. Reasons
11. Truth & Heresy

LINE-UP
Terry Dark – vocals
Dave Rothan – lead guitars
Peter Green – bass
Lars Wickett – drums

JAMESON RAID – Facebook

Fatal Embrace – Slaughter To Survive

Slaughter To Survive arriva a far sbattere capocce ai thrashers più incalliti

Vecchi lupi del thrash metal i teutonici Fatal Embrace tornano con un nuovo album, il quinto di una carriera che li ha visti calcare i palchi dalla prima metà degli anni novanta e completare la propria discografia con un buon numero di mini cd e demo.

Slaughter To Survive arriva a far sbattere capocce ai thrashers più incalliti, cinque anni dopo The Empires of Inhumanity buon lavoro di genere e conferma delle caratteristiche peculiari del gruppo berlinese, feroce e compatto combo di thrash metal old school.
Il nuovo lavoro non cambia di una virgola la proposta dei Fatal Embrace, siamo nell’old school ed il genere o lo si odia o lo si ama alla follia, se puoi è suonato da un gruppo che unisce mestiere, impatto, attitudine e sufficiente tecnica, non può che uscirne un devastante esempio di metallo velocissimo, furioso e senza compromessi, insomma una goduria per gli amanti del vecchio thrash metal.
Scoppiettante, ruvido e stupendamente ignorante il sound del gruppo, si sviluppa su canzoni veloci, dalle ritmiche frenetiche e solos maligni, acidi e taglienti, la voce cattiva e maschia di Dirk Heiland racconta come consuetudine di anticristianesimo, guerra e violenze varie in un tripudio di rallentamenti e accelerazioni, cavalcate metalliche alla velocità della luce, ed ottime songs dove spirano venti di metallo classico ottantiano, nascosti tra la furia di brani come Penetrate The Night, apice del lavoro e brano da applausi.
Il gruppo tedesco con più di vent’anni sul groppone il suo mestiere lo sa fare molto bene, ed infatti, sia quando le canzoni corrono veloci, o mantengono un ritmo potente e cadenzato ( Possession) si ha subito l’impressione di essere al cospetto di un gruppo navigato e questo fa perdere un po’ di freschezza in certe composizioni di Slaughter To Survive.
Un dettaglio, che non inficia sicuramente la qualità di un lavoro che i fans del genere ameranno, truce ed esplosivo metallo old school, da chiodo perenne, jeans stretti e corna levate al cielo con fierezza mai doma, buon ascolto.

TRACKLIST
1. The Upcoming Cruelty (Intro)
2. Revelation
3. Hellhounds
4. Dungeons Of Dread
5. Enslaved And Fallen
6. The Order To Kill
7. Penetrate The Night
8. Stay Hungry
9. Possession 4:40
10.Slaughter To Survive
11.Captured In Spite
12. From The Ashes

LINE-UP
Dirk Heiland – Vocals
Jörg Trabalski – Guitars
Tobias – Guitars
Philip Zeuschner – Drums
Ronald Schulze – Bass

FATAL EMBRACE – Facebook

Plagueprayer – Forgotten Witchery

Un ascolto interessante, che va a costituire un buon corollario a quello che per il musicista transalpino resta comunque il progetto principale per qualità e peculiarità, ovvero Abysmal Growls Of Despair.

Dopo aver parlato dell’ultimo album targato Abysmal Growls Of Despair, facciamo un passo indietro andando ad esaminare un lavoro uscito nella scorsa primavera con il monicker Plagueprayer, altro progetto solista dell’iperattivo Hangsvart.

Rispetto a quella che, personalmente, ritengo essere l’incarnazione migliore del musicista francese, questo Forgotten Witchery mostra tratti più sperimentali, pur conservando quelli catacombali strettamente connessi al genere funeral.
La componente ambient è infatti piuttosto corposa e si manifesta un po’ in tutti i brani, occupando per intero l’intro autointitolata e la ben più lunga Dead Town posta in chiusura del lavoro; nelle altre tracce vengono fatte convivere le due anime, che finiscono per integrarsi piuttosto bene evidenziando nel complesso un sound riconducibile a tratti ai seminali Worship, specie nei due episodi migliori, quali Dark Arcane e Germ Deliverance, dove una tremebonda vena melodica umanizza un sound la cui registrazione lo fi è sintomatica di una vis compositiva claustrofobica e ripiegata su sé stessa.
La scelta di ricorrere allo screaming rispetto al più consueto growl (che Hangsvart presta anche agli ottimi Arrant Saudade) aumenta il senso di straniamento provocato da questa prima uscita a nome Plagueprayer.
Un ascolto interessante, che va a costituire un buon corollario a quello che per il musicista transalpino resta comunque il progetto principale per qualità e peculiarità, ovvero Abysmal Growls Of Despair.

Tracklist:
1.Plagueprayer
2.Dark Arcane
3.Villagers’ Fear
4.Purification
5.Germ Deliverance
6.Contamination
7.Dead Town

Line-up:
Hangsvart – all lyrics, music, voices, concept

PLAGUEPRAYER

CORPORATION OF CONSUMPTION / CxOxSx – Eat My Tail

Split di furioso fastcore, musica violenta per gente pensante.

Split di furioso fastcore, musica violenta per gente pensante. L’incontro tra Corporation of ConsumptionCxOxSx dà vita a questo bel lp split di musica cattiva, thrash death metal geneticamente mutato.

I Corporation Of Consumption sono veneti e suonano un bel grind veloce dal 2009. Il loro suono non è contraddistinto solo dalla velocità ma anche da un suono potente e maturo molto simile agli ultimi Napalm Death. Nella loro discografia c’è un demo del 2012, la partecipazione alla raccolta Italia Violenta a.k.a. Crash Mandolino 2.0 e questo bel split. Il cantato rende ancora più potente il loro suono, di stampo cara vecchia scuola.
Dall’altra parte del vinile troviamo i CxOxSx storica band in attività dal 1995, che partendo dai capisaldi del genere rimasta vecchia scuola e sforna un grind in stile Cripple Bastards con grossi riferimenti al thrash anni ottanta e novanta. Il loro suono e i loro testi sono una radicalizzazione dell’hc, ed hanno ragione quando essi stessi affermano che non amano le classificazioni, ed in effetti alla fine fanno ottima musica violenta.
I due gruppi ci regalano un ottimo split, divertente come musica ma descrivere il nostro mondo non è divertentissimo, anche se il fastcore è un ottimo modo per sdrammatizzare. Questo sottogenere è per fortuna praticamente non commerciabile e rimane fortemente di nicchia, anche se davvero valido e il perchè lo si può ascoltare in questo split.

TRACKLIST
1.C.O.C. – le cose che vedo dall’alto
2.C.O.C. – out of control
3.C.O.C. – frail
4.C.O.C. – nails feed
5.C.O.C. – parhiadise
6.C.O.C – along + tv whore
7.CxOxSx – birdbrains
8.CxOxSx – troppe volte
9.CxOxSx – ???
10.CxOxSx – California fodder’s leader
11.CxOxSx – real lies (realize)
12.CxOxSx – power’ass kickin’violence
13.CxOxSx – who wanna be a star
14.CxOxSx – no chop (monitorati)

LINE-UP
Corporation Of Consumption
Cesare – Guitar
Baietto – Drums
Borni – Vocals
Barney – Guitar

CxOxSx
Il Mugnaio Falloppi – Drums
Albi – Throat
Jabba – Growls
Bari – Bass
Massi – Guitars

CORPORATION OF CONSUMPTION – Facebook

CxOxSx – Facebook

http://hereandnowrecords.bandcamp.com/album/corporation-of-consumption-cxoxsx

Carma – Carma

Album d’esordio per i portoghesi Carma all’insegna di un funeral doom sui generis ma ricco di sfumature interessanti.

Album d’esordio per i portoghesi Carma all’insegna di un funeral doom sui generis ma ricco di sfumature interessanti.

Il gruppo di Coimbra arriva a questo suo primo passo dopo qualche anno di attività e, in effetti, il lavoro non risente dei difetti e delle ingenuità che talvolta affliggono le prime uscite discografiche.
Su uno sviluppo relativamente breve, Carma si estrinseca in sei brani validi e soprattutto vari, che passano da aperture di ambient atmosferica ad accelerazioni che si spingono fino a ritmiche black; detto di una scelta stilistica certo non monocorde, per contro ai lusitani manca il colpo del campione, nella fattispecie il brano capace di inchiodare alla sedia l’ascoltatore schiacciandolo sotto un peso emotivo insostenibile.
In effetti ci andrebbe piuttosto vicino una traccia come Reflexo, i cui spunti, se ben sviluppati, potrebbero consentire in futuro un importante salto di qualità, ma alla fin fine le note dell’album che si imprimono maggiormente nella mente sono quelle della conclusiva Adeus, strumentale semplice nella sua struttura ma indubbiamente dotato di una certa carica evocativa, nel suo andare anche ad attingere dalla pregevole tradizione folk della nazione iberica.
Pur se non indimenticabile l’album rappresenta una prima prova di indubbio interesse e, quindi, foriera di buoni sviluppi futuri.

Tracklist:
1. Sonhos
2. Procissão
3. Feto
4. Reflexo
5. Lamento
6. Adeus

Line-up:
Æminus – Bass, Guitars
Nekruss – Bass, Vocals
Igniferum – Drums

CARMA – Facebook