Hirax – Born In The Street 1983-1984

Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

La FOAD ristampa in vinile i primi demo degli Hirax, band dello storico cantante Katon De Pena, unico membro originale del gruppo rimasto in formazione dal lontano 1984.

Facente parte della scena di San Francisco, covo di fiere metalliche come Testament, Megadeth, Exodus e Metallica, la band ancora in attività (l’ultimo album si intitola Immortal Legacy ed è uscito nel 2014) ed è una delle più amate realtà della prima ondata thrash metal che invase il mondo musicale, anche se in termini commerciali rimasero un passo indietro rispetto alle band citate.
I demo di cui si compone Born In The Streets 1983/1984 sono Hirax, omonimo lavoro del 1984, e La Kaos, licenziato un anno prima, integrati da una manciata di brani inediti che fanno della compilation una chicca per gli amanti della band di Katon De Pena.
Influenzato dalla New Wave Of British Heavy Metal, il gruppo americano sfoggiava una rabbiosa grinta heavy speed, con la voce del cantante a valorizzare le fughe velocissime dei suoi compari e dimostrandosi come uno dei migliori interpreti della scena.
I brani inediti hanno la pecca del suono deficitario e da garage e rimangono essenzialmente delle testimonianze storiche interessanti per i fans e nulla più, mentre il demo omonimo dimostra di cosa fossero capaci gli Hirax quando decidevano di spingere a tavoletta.
La Kaos ci riserva il lato rock’n’roll della band con almeno due perle di hard & heavy come My Baby e She’s Man Killer, che tanto sanno di Thin Lizzy.
Born In The Streets è un buon pretesto per tuffarsi nel clima metallico dei primi anni ottanta in compagnia di Katon De Pena e compagni, ottimi outsider della scena thrash metal statunitense.

Tracklist
Side A
1.Born in the Streets
2.Battle Cry
3.Stand and Be Counted
4.Believe in the King
5.To Be Free
6.The Saviour
7.War Hero

Side B
8.Intro / Life Goes On
9.She’s Man Killer
10.My Baby
11.Y.B.D.
12.Runnin’

Line-up
Katon W. De Pena – Vocals
Steve Harrison – Bass
Lance Harrison – Guitars
Mike Vega – Drums

HIRAX – Facebook

Sathanas – Necrohymns

I Sathanas sparano mezz’ora di musica che attenta pesantemente all’integrità della nostra cervicale, e pazienza se non c’è alcun profumo di novità: tutto sommato ci sono molti che a tali fragranze, spesso effimere, preferiscono l’alone di sudore lasciato da chi si lancia con un’integrità ed una competenza fuori discussione nella riproposizione di questo sound.

Una band chiamata Sathanas potrebbe risultare fin da subito invisa a qualche metallaro dall’indole intellettualoide e che ritiene tutti i riferimenti al maligno un giochino trito e ritrito, incapace di spaventare ancora qualcuno.

Nel caso del trio della Pennsylvania diciamo che l’utilizzo di tale monicker appare quanto mai legittimo, visto che parliamo di musicisti che si sbattono all’interno della scena estrema della East Coast da circa trent’anni, peraltro agendo in una cerchia stilistica e temporale vicina a quella degli Acheron di Vincent Crowley (dai quali proviene il batterista James Strauss ), per cui, almeno da questo punto di vista, le chiacchiere stanno a zero.
Per quanto riguarda l’aspetto musicale, Necrohymns rappresenta il decimo feroce rituale su lunga distanza per la band fondata nel 1988 dal chitarrista e vocalist Paul Tucker, affiancato qualche anno dopo dal bassista Bill Davidson e nel 2005 dal già citato Strauss; viste le premesse, a questi figuri si richiede essenzialmente di suonare un black/death/thrash diretto, sporco, blasfemo e carico di groove, e tutto ciò puntualmente avviene ma con una freschezza ancora sorprendente, alla luce della lunga carriera dei nostri.
I Sathanas sparano mezz’ora di musica che attenta pesantemente all’integrità della nostra cervicale, e pazienza se non c’è alcun profumo di novità: tutto sommato ci sono molti che a tali fragranze, spesso effimere, preferiscono l’alone di sudore lasciato da chi si lancia con un’integrità ed una competenza fuori discussione nella riproposizione di un sound che conosciamo a memoria ma che, quando viene offerto con tale convinzione, non risulta mai né superfluo nè tantomeno sgradito.
Fin dalle prime note di At the Left Hand of Satan i Sathanas buttano senza tregua il pallone nella metà campo avversaria, e da lì in poi sarà un piacevole rincorrersi, tra calci, sputi, gomitate e colpi di testa; come detto, chi ricerca novità si tenga alla larga da Necrohymns (e soprattutto non ne parli impropriamente, il nostro amico cornuto è molto permaloso), per tutti gli altri, invece, un ascolto regolare e mirato dell’ultimo album targato Sathanas potrebbe avere effetti molto positivi sull’umore, vale la pena provarci.

Tracklist:
1. At the Left Hand of Satan
2. Of Wrath and Hellfire
3. Throne of Satan
4. Harbinger of Death
5. Raise the Flag of Hell
6. Upon the Wings of Desecration
7. Sacramentum
8. Witchcult

Line-up:
Paul Tucker – Guitar, Vocals
Bill Davidson – Bass
James Strauss – Drums

SATHANAS – Facebook

Nocturnal Breed – The Whiskey Tapes Germany

The Whiskey Tapes Germany è una compilation con inediti e cover dei black/thrashers Nocturnal Breed, dedicata ovviamemte solo ai fans più accaniti del gruppo.

I norvegesi Nocturnal Breed sono uno dei gruppi più famosi della scena black/thrash europea, essendo attivi dalla metà degli anni novanta con una serie di album che glorificano il black metal old school.

Ovviamente per black metal vecchia scuola si intende quello dei pionieri nati negli anni ottanta e divenuti famosi per opere estreme che al thrash metal univano un’attitudine luciferina e cattiveria come se piovesse.
Venom, Slayer e primissimi Bathory sono stati i nomi più importanti di questo genere che, negli ann,i ha unito al thrash e al black metal un’attitudine rock’n’roll, facendone un sottogenere seguitissimo nel sottobosco estremo.
I Nocturnal Breed si sono sempre imposti per la loro neanche troppo velata natura black, d’altronde il paese di origine parla chiaro e così anche i loro cinque full length (più un buon numero di lavori minori).
The Whiskey Tapes Germany è una compilation di brani rimasterizzati e di molti inediti per i fans tedeschi, con la chicca Evil Dead,  tributo a Chuck Schuldiner licenziato nel 2011, e la bellissima e devastante versione di Under The Blade dei Twisted Sister.
Le curiosità finiscono qui perché il resto è formato dabrani che non aggiungono nulla a quanto già edito dal gruppo, poco curato nei suoni e quindi da portare all’attenzione dei soli fans del genere ed in particolare della band scandinava.
Questa raccolta non è malvagia, ma come detto non va oltre il piacere di chi i Nocturnal Breed già li conosce e li apprezza, mentre gli altri a mio avviso troveranno pochi spunti interessanti.

Tracklist
1. Intro – Splinter-Day (Video Intro – Fields of Rot)
2. Metal Church (Prev. Unreleased)
3. I’m Alive (Org Keyboard Version) Prev. Unreleased 1997
4. Miss Misery (Prev. Unreleased)
5. Evil Dead (R.I.P. Evil Chuck Edit 2011)
6. Under The Blade (Alternate Mix)
7. Ballcusher (Raw Mix)
8. Metal Thrashing Mad (Experimental Mix)
9. Dead Dominions (The Hour of Death Is At Hand – Short Edit)
10. Killernecro (Ubernecro Version)
11. Barbed Wire Death (Demo 1998) (Prev. Unreleased)
12. No Retreat… No Surrender (Speed Metal Legions Version)
13. Rape The Angels (Reh. Sept.1997)
14. Maggot Master (Experimental Studio Demo)
15. The Artillery Command (Alt Mix)
16. Alcoholic Rites (Experimental Studio Raw Mix)

Line-up
S. A. Destroyer – Bass, Vocals
Axeman I. Maztor – Guitars
Tex Terror – Drums, Vocals
V. Fineideath – Guitars

NOCTURNAL BREED – Facebook

Walkyrya – The Invisible Guest

Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya.

I Walkyrya, band in arrivo dalla provincia di Potenza, firmano per Time To Kill Records dopo tre album autoprodotti (il debutto omonimo licenziato nel 2002, The Banished Story uscito nel 2005, ed il precedente End Line datato 2015) e rilasciano il quarto lavoro di una carriera nata sul finire degli anni novanta e caratterizzata da un sound che ad ogni album ha cambiato pelle, arrivando a quello massiccio e pregno di groove di The Invisible Guest.

I “nuovi” Walkyrya suonano un thrash metal che alterna influenze classiche ed ispirazioni moderne, con un growl che a tratti si avvicina per impatto a quello usato nel death, per poi virare su fronti più melodici che non lasciano dubbi sull’impatto e la potenza di questa nuova raccolta di brani ricchi di refrain e chorus dal piglio classico ed attitudine live.
I Walkyrya affrontano il genere di petto, brani come l’opener Black Hills o All The Time ci presentano un quartetto che, senza andare troppo per il sottile, ci travolge con un muro di note dal groove micidiale, non mancando di velocizzare quel tanto che basta le ritmiche per omaggiare il thrash tradizionale.
Evil Clown ed Out Of Brain, altre due bombe lanciate sulle nostre teste dal gruppo, evidenziano le molte influenze che fatte proprie per dare vita a The Invisible Guest, partendo da Testament e Metallica per passare a Black Label Society e Pantera.
Thrash metal e groove ancora una volta alleati per dare vita ad un sound potente, incisivo e massiccio: questo risulta in breve quello che troverete in questo quarto lavoro firmato Walkyrya; non perdete tempo e fatelo vostro, soprattutto se siete amanti delle band che hanno ispirato la band lucana.

Tracklist
1. Black Hills
2. Open Grave
3. All The Time
4. Drive Angry
5. Evil Clown
6. Venom Tears
7. Out Of Brain
8. March Or Die

Line-up
Vince Santopietro – vocals
Federico Caggiano – Guitar, chorus
Arcangelo Larocca – Bass
Tiziano Casale – Drums

WALKYRYA – Facebook

Druknroll – Unbalanced

Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.

Vi avevamo parlato dei Druknroll lo scorso anno, in occasione dell’uscita dell’ep Bad Math, mini album di tre brani che seguiva un cospicua discografia composta da una manciata di full length ed altrettanti lavori minori sparsi in una dozzina d’anni.

Il progetto, nato come one man band del musicista russo che gli dà il nome, licenzia tramite Metal Scrap Unbalanced, album che conferma le notevoli potenzialità di quella che ad oggi risulta una band a tutti gli effetti con Drunknroll ad occuparsi di chitarra, basso tastiere e batteria, il singer Horror, Knip alle prese con chitarra, batterie e diavolerie elettroniche e Denys Malyuga alla chitarra solista.
Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.
Ne esce un album sicuramente originale e progressivo, composto da dieci brani, compresi i tre che formavano il precedente ep in cui thrash metal moderno di scuola Strapping Young Lad, Voivod, industrial (Ministry) e melodic death metal (Soilwork) si uniscono per travolgere l’ascoltatore con una cascata di note a formare brani fuori dai soliti schemi, con l’arma in più chiamata Horror alla voce (perfetto in ogni passaggio e vario nella sua interpretazione così come il sound) ed un songwriting ispirato.
Non ci si riposa, il gruppo tiene l’ascoltatore in tensione passando da un genere all’altro o riuscendo ad amalgamare influenze ed ispirazioni in un solo sound per formare brani devastanti, potentissimi e pregni di cambi di tempo e varianti progressive.
Oltre al trio di canzoni presenti in Bad Math (Bad Math, On The Hook e The Heroes of the War), la title track, Philosophy Of Life e Mirror vi lasceranno senza fiato, originali ed estreme composizioni all’interno di un lavoro straordinario.
I Druknroll meriterebbero sicuramente più attenzione, la loro proposta risulta personalissima, amalgamando generi ed influenze all’apparenza lontane ma perfettamente unite nel puzzle musicale di Unbalanced.

Tracklist
1. Hundred
2. Unbalanced
3. Bad Math
4. It’s Not My Way
5. Philosophy of Life
6. On the Hook
7. Eternal Confrontation
8. Mirror
9. The Heroes of the War
10. Dark Matter

Line-up
Druknroll – guitars, bass, keys, drums
Horror – vocal
Knip – guitar, sound effects,drums
Denys Malyuga – solo-guitar

DRUKNROLL – Facebook

Overkill – Live In Overhausen

Gli Overkill propongono il fantastico show alla Turbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope.

Che gli Overkill siano ancora una perfetta macchina da guerra lo dimostra l’ultimo lavoro, quel The Grinding Wheel licenziato dalla band lo scorso anno e che ci proponeva infatti il duo Bobby “Blitz” Ellsworth e D.D Verni ancora in splendida forma.

Con Live In Overhausen, gli Overkill tornano indietro di un paio d’anni, proponendo il fantastico show allaTurbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope, uscito nel 1991 e che, prima dell’esplosione dei suoni alternativi e la crisi del thrash metal, divenne il lavoro più famoso della band.
Ovviamente Live In Overhausen è un tripudio, con gli Overkill che, specialmente dal vivo, non fanno prigionieri ed una scaletta ad incendiare i thrashers tedeschi, prima con i brani di Horrorscope e di seguito con la track list del primo lavoro.
Sono passati solo un paio d’anni, quindi immaginiamo che “Blitz” e compagni non abbiano perso la carica che li contraddistingue in questo live, quasi due ore di fila a suonare thrash metal con l’energia di un gruppo di giovincelli e l’esperienza di chi il genere lo mastica da una vita, con una coerenza che ne fa uno dei nomi più rispettati della scena mondiale.
Da Coma, brano d’apertura di Horrorscope, questo live è un viaggio a ritroso nel mondo Overkill, grazie a due degli album più rappresentativi e i fans accorsi sentono l’atmosfera dell’evento, interagendo alle tante sollecitazioni del gruppo, impegnato in una performance tellurica e nel pieno rispetto della loro fama.
Molti i brani che la band non suonava più da anni, anche per assecondare una discografia ragguardevole (Live Young Die Free, Second Son, Blood And Iron e Kill At Command) e che d’incanto tornano ad infiammare i presenti, come se gli anni non fossero mai passati e il chiodo sulle spalle dei fans odorasse ancora di pelle nuova.
L’opera viene licenziata dalla Nuclear Blast nelle versioni Blu Ray e doppio cd, DVd e doppio cd ed in vinile; il live nella versione visiva è inframezzato da immagini storiche dei protagonisti, ed interventi di chi all’epoca recensì i due lavori, in una sorta di live/documentario.
Un’uscita che dimostra come gli Overkill siano ancora una garanzia, anche e soprattutto su un palco, la fotografia di un evento che per i thrashers è davvero imperdibile.

Tracklist
1.Coma
2.Infectious
3.Blood Money
4.Thanx For Nothin’
5.Bare Bones
6. Horrorscope
7.New Machine
8.Frankenstein
9.Live Young Die Free
10.Nice Day – for a Funeral
11.Soulitude
12 Raise The Dead
13.Rotten To The Core
14.There’s No Tomorrow
15.Second Son
16.Hammerhead
17.Feel The Fire
18.Blood and Iron
19.Kill at Command
20.Overkill
21.Fuck You

Line-up
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
D.D. Verni – Bass
Dave Linsk – Lead Guitar
Derek Tailer – Rhythm Guitar
Jason Bittner – Drums

OVERKILL – Facebook

Nerobove – Monuments to Our Failure

I musicisti siciliani cambiano monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.

Ci eravamo occupati dei See You Leather tre anni fa sulle pagine metalliche di IYE per parlarvi del loro ep Back To Aleph, composto da quattro brani di metal estremo, un ottimo mix di thrash/death e progressive doom.

I ragazzi sono cresciuti e si sono trasformati nei Nerobove, un’entità estrema che continua a produrre metal estremo di qualità e con ancora più impatto e convinzione.
Francesco Ciccio Paladino (batteria), Luca Longo (voce e chitarra), Salvatore Leonardi (voce e chitarra) e Liliana Teobaldi (basso) hanno deciso di cambiare monicker alla loro creatura ma non l’impeto con cui elaborano, scandagliano e riflettono sui tempi in cui viviamo, sulla mancanza di una misura pacata nell’approccio ai problemi e l’oscillazione tra apatia ed assurda violenza.
Sul fronte prettamente musicale la band, mantenendo, le coordinate stilistiche del precedente ep, consolida la sua prerogativa di band fuori dagli schemi prestabiliti dei sottogeneri che formano il mondo del metal estremo, così da lasciare chi il thrash metal progressivo su cui si basa la loro proposta venga contaminato da virus letali di death metal classico e soffocanti sfumature doom.
Sette brani medio lunghi formano Monuments To Our Failure, album dallo svolgimento impervio, una scalata difficile ed impegnativa verso la cima di un sound che non lascia nulla alla semplicità ma che la band tiene imbrigliato a suo piacimento tra lo spartito, passando con una disinvoltura sorprendente da sfuriate estreme a cavalcate progressive e crescendo arabeggianti (Of Mud And Bones), come e meglio che in passato.
La tecnica strumentale permette ai Nerobove di districarsi nelle ragnatele musicali create con una personalità che lascia senza fiato.
Entrate nel mondo letterario delle opere da cui prendono spunto i temi di brani possenti e progressivi come l’opener Nekyomanteia , La Bête Humaine o la conclusiva Gloomy Sunday, e lasciatevi travolgere dalla forza espressiva dei Nerobove, un’esperienza uditiva assolutamente da non perdere.

Tracklist
1. Nekyomanteia
2. Not Waving But Drowning
3. Diluvio
4. Of Mud And Bones
5. La Bête Humaine
6. Anamnemesis
7. Gloomy Sunday

Line-up
Luca Longo – guitar, vocals
Salvatore Leonardi – guitar, vocals
Liliana Teobaldi – bass
Francesco Paladino – drums

NEROBOVE – Facebook

Eversin – Armageddon Genesi

Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Parlare solo di scena tricolore per quanto riguarda gli Eversin appare riduttivo: la band siciliana, infatti, ha dimostrato nel corso degli anni di avere sempre più un taglio internazionale, sia per quanto riguarda il curriculum live sia per quello discografico, dall’alto livello qualitativo in un genere per niente facile come il thrash metal.

Armageddon Genesi segue di tre anni il bellissimo Trinity: The Annihilation, album che aveva portato una tempesta di suoni slayerani sulla scena estrema, marchiata a fuoco dal gruppo con il proprio sound devastante ed a suo modo originale nel saper fondere al meglio il thrash metal classico e quello moderno.
Il nuovo album vede un ulteriore passo verso un approccio unico e personale al genere: la band, con ancora in sella tutti e quattro i cavalieri dell’apocalisse (Ignazio Nicastro/Guerra, Giangabriele Lo Pilato/Pestilenza, Angelo Ferrante/Carestia, Danilo Ficicchia/Morte) lascia quasi definitivamente i suoni dai rimandi old school per un impatto moderno, creando un suono particolare, che se ha molte affinità con i Kreator più sperimentali (Ferrante su questo lavoro appare come un Mille Petrozza indemoniato) alza un muro metallico mostruoso ed invalicabile.
Dalle prime note di Legions si capisce che armageddon e apocalissi si abbatteranno su di noi con una violenza che non lascia scampo, con il basso di Nicastro che forma con il drumming di Ficicchia un maremoto ritmico sul quale le dissonanze chitarristiche di Lo Pilato e le urla petrozziane di Ferrante ingigantiscono a dismisura il clima da fine del mondo, in questo ennesimo monumentale macigno estremo targato Eversin.
Con la partecipazione di Ralph Santolla (purtroppo proprio ieri è giunta la tragica notizia del suo decesso) sulla cadenzata e a suo modo marziale Soulgrinder, e di Lee Wollenschlaeger dei Malevolent Creation sulla title track, l’album imprime una marcia in più al sound del gruppo, che si fa moderno, ritmicamente inarrestabile e devastato da una chitarra i cui assoli sono strumenti di tortura metallica.
Se Havoc Supreme può ricordare Winter Martyrium( da Renewal dei Kreator), le atmosfere apocalittiche delle varie Where Angels Die, Seven Heads e della conclusiva To The Gates Of The Abyss, sono sunto di tutto quello che la band ha fagocitato in questi anni e rigettato sotto forma di metallo dall’indiscussa potenza espressiva.
Armageddon Genesi conferma la reputazione che gli Eversin si sono costruiti con fatica ed attitudine, album dopo album, in un moto evolutivo ben lungi dall’essersi esaurito.

Tracklist
01. A Dying God Walks The Earth
02. Legions
03. Jornada Del Muerto
04. Soulgrinder (feat. Ralph Santolla)
05. Havoc Supreme
06. Where Angels Die
07. Seven Heads
08. Armageddon Genesi (feat. Lee Wollenschlaeger)
09. To The Gates Of The Abyss

Line-up
Ignazio Nicastro – Bass
Angelo Ferrante – Vocals
Giangabriele Lo Pilato – Guitars
Danilo Ficicchia – Drums

EVERSIN – Facebook

Crushing The Deceiver – Crushing The Deceiver

Il primo omonimo album del quartetto di matrice cristiana non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola.

La Roxx records, label statunitense attiva nel proporre band di ogni genere che abbiano quale comune denominatore la religione cristiana, dopo i Californiani Deliverance ci presentano i Crushing The Deceiver, quartetto di Clovis, con il loro thrash metal possente e che sfiora in molte occasioni il death.

Il primo omonimo album del quartetto non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola: Grant Mohler. che si occupa della parte vocale, Johnny Rios alle chitarre, con Ryan Morrow al basso e Trent Allen alla batteria, sono partiti per una missione non facile, quella di avvicinare più persone possibili a Dio attraverso il metal estremo.
Se ci riusciranno lo vedremo più avanti, l’importante è la musica e allora iniziamo col dire che Crushing The Deceiver è un album riuscito, almeno per chi è avvezzo a queste sonorità.
La band, aiutata da una manciata di musicisti della scena cristiana come Michael Phillips (Join The Dead, Deliverance), Greg Minier (The Crucified, Applehead) e Shawn Beaty (Dogwood) non le manda certo a dire e rifila una serie di diretti in pieno volto, per una mezzora di thrash metal tripallico e duro come l’acciaio.
La voce, che a tratti sfiora  un growl di stampo death, tende a risultare leggermente forzata, ma è un dettaglio perchè la macchina gira a dovere e la band rende grazia al signore con devastanti bombe metalliche come The Light Inside Me, In God’s Hand e Forever Free.
La furia si placa con la conclusiva Gabriel’s Song, brano acustico che accende la luce divina su questo primo omonimo lavoro dei Crushing The Deceiver.

Tracklist
1. An Angels Armor
2. The Light Inside Me
3. Guide The Way To You
4. In God’s Hands
5. Pushing Back Hell
6. Crushing The Deceiver
7. Born Again
8. Forever Free
9. Gabriel’s Song

Line-up
Grant Mohler – Vocals
Johnny Rios – Guitars
Ryan Morrow – Bass
Trent Allen – Drums

CRUSHING THE DECEIVER – Facebook

My Haven My Cage – Sweet Black Path

Sweet Black Path è il nuovo album della one man band italiana chiamata My Haven My Cage, un ottimo esempio di thrash/death vecchia scuola contaminato dalla musica popolare spagnola e normanna, creando interessanti e particolari atmosfere tra irruenza ed epici momenti folk.

Uscito lo scorso anno ed arrivato a MetalEyes solo oggi, Sweet Black Path è il secondo album della one man band siciliana My Haven My Cage.

Il musicista Mauro Cardillo ha dato vita alla sua creatura qualche anno fa, con il primo lavoro intitolato The Woods Are Burning del 2016, che viene dunque seguito da queste nuove otto tracce che, se lasciano ancora per strada qualcosa per quanto riguarda la produzione, offrono non poco a livello artistico, il sound infatti si basa su di un thrash/death con affascinanti inserti di musica folk normanna e spagnola.
Ovviamente il mastermind sa il fatto suo, sia tecnicamente che a livello compositivo, e già dall’opener Abyss I Am l’impressione di essere al cospetto di un album interessante e a suo modo originale è forte.
Immigrant Song e Delirium mostrano che la strada compositiva intrapresa dai My Haven My Cage è quella giusta: passaggi heavy/thrash vengono impreziositi da lunghe parti strumentali in cui atmosfere folk ricamano momenti di musica totale, la voce cartavetrata ed in linea con il genere viene accompagnata da linee corali dal flavour epico, mentre Hope viene introdotta da una suggestiva atmosfera semiacustica prima che la furia estrema riprenda il sopravvento.
Lamb Of God (Aleppo) è un brano che segue strade progressive, così come la folk/thrash/prog/death Werther Dies, traccia che lascia spazio alla conclusiva title track, che suggella un lavoro molto intenso.
Da migliorare sicuramente la produzione che rimane a mio avviso il tallone d’Achille di questo nuovo lavoro firmato My Haven My Cage, gradita sorpresa ed ulteriore gioiellino dall’underground tricolore.

Tracklist
1.Abyss I am
2.Immigrant Song
3.Delirium
4.Hope
5.Peaceful
6.Lamb of God (Aleppo)
7.Werther Dies
8.Sweet Black Path

Line-up
Mauro Cardillo – All Instruments

MY HAVEN MY CAGE – Facebook

Blood Tsunami – Grave Condition

Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.

Tornano i thrashers norvegesi Blood Tsunami, quartetto originario di Oslo in giro a far danni da ormai quattordici anni.

Grave Condition è il quarto full length per la band di Peter Michael Kolstad Vegem e soci, un’altra scorribanda metallica all’insegna della velocità e del metal anni ottanta rivisto in chiave Blood Tsunami.
Una produzione che mette in evidenza tutti gli strumenti, un ottimo songwriting, impatto ed attitudine a livelli esponenziali, sono le caratteristiche principali di una band e di un lavoro che nel genere si può sicuramente considerare un piccolo gioiello.
Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.
Le canzoni ci sono e Grave Condition non perde un grammo della sua ferocia, mentre la mezz’ora di durata risulta perfetta e scivola via tra chorus e ripartenze devastanti, dall’opener e singolo Poison Tongue, passando per The Collapse e In The Dungeon Of The Rats e la conclusiva Steel Meets Steel, violentissima thrash black song e degna conclusione dell’album.
I riferimenti sono i primi Slayer e Kreator in un contesto ben piantato nel nuovo millennio: il genere, suonato a questi livelli, ha ancora molto da dire.

Tracklist
1. Poison Tongue
2. The Allegory Of The Cave
3. The Collapse
2. The Allegory Of The Cave
5. The Acid King
6. The Cruel Leading The Fool
7. In The Dungeon Of The Rats
8. For Faen i Hælvete!
9. Steel Meets Steel

Line-up
Peter Michael Kolstad Vegem – Guitar and vocals
Carl Thomas Morales Janfalk – Bass
Bård G. Eithun – Drums
Kristoffer “Dor” Sørensen – Guitar

BLOOD TSUNAMI – Facebook

Coroner – R.I.P.

R.I.P. è il primo dei full length ristampati dalla Century Media utili a ricordare chi fossero i Coroner, una band di fondamentale importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

La Century Media ha rimesso meritoriamente in circolazione i primi tre dei cinque full length pubblicati dai Coroner, una band che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, vista la sua importanza nello sviluppo di un certo tipo di trash metal tanto d’impatto quanto tecnico ed innovativo.

Presupponendo che queste righe vengano lette da qualcuno che non abbia mai sentito parlare del gruppo svizzero, si può tranquillamente affermare che con R.I.P., album d’esordio uscito nel 1987, veniva decisamente alzata l’asticella qualitativa in un genere che, poco più a nord, era da qualche anno letteralmente esploso sotto i colpi inferti dalla triade formata da Kreator, Sodom e Destruction.
Ciò che sorprende in un lavoro come R.I.P. è il suo non essere a rischio di obsolescenza: infatti, nonostante una produzione che per forza di cose trent’anni fa non poteva essere paragonabile a quelle odierne, questi tre magnifici musicisti dimostravano una creatività ed una padronanza strumentale non comune, che brani come Suicide Commando e Coma esibivano in maniera eloquente.
Dopo lo scioglimento avvenuto nei primi anni novanta, successivamente al’uscita di Grin, il solo vocalist e bassista Ron Royce non è più stato coinvolto con altre band all’interno della scena, mentre Marquis Marky è stato impegnato con gli Apollyon Sun di Tom G.Warrior e Tommy T.Baron ha svolto un ruolo da protagonista nei due album più sperimentali (non a caso) dei Kreator, Outcast ed Endorama.
Oggi la band risulta in teoria ancora attiva, ma dopo il tour effettuato all’inizio del decennio e l’annuncio di un possibile nuovo disco qualche anno fa, di fatto non si hanno più notizie che confermino questa possibilità: sperare non costa nulla, perché personaggi di questa levatura potrebbero avere ancora moltissimo da dire.

Tracklist:
1. Intro
2. Reborn Through Hate
3. When Angels Die
4. Intro (Nosferatu)
5. Nosferatu
6. Suicide Command
7. Spiral Dream
8. R.I.P.
9. Coma
10. Fried Alive
11. Intro (Totentanz)
12. Totentanz
13. Outro

Line-up:
Tommy T. Baron – Guitars, Vocals (backing)
Marquis Marky – Vocals (backing), Drums
Ron Royce – Vocals, Bass

CORONER – Facebook

Basement Critters – Hurt Me With The Truth

Un gruppo thrash metal che non ha paura di mostrare il lato più moderno del proprio sound e ne fa un’arma per conquistare, un sound che si avvicina alle cose già scritte da Devin Townsend, suonato da una band che ci mette tanto del suo per apparire personale, riuscendoci perfettamente.

Il quartetto belga dei Basement Critters è una delle ultime scoperte in casa Wormholedeath.

La band è attiva dal 2015, anno d’uscita del primo ep, e di questi tempi, dopo la firma sul contratto per la distribuzione con l’importante label nostrana, torna con un nuovo mini cd composto da cinque brani di thrash metal moderno, d’impatto e dall’anima crossover.
Hurt Me With The Truth ci presenta una band ispirata ed a suo modo originale, assolutamente metal nell’impatto ma aperta a soluzioni diverse che creano un sound alternativo al solito thrash veloce e devastante ma che alla lunga fatica a lasciare qualcosa di duraturo nell’ascoltatore, a meno che non sia suonato da una top band.
I Basement Critters invece prendono la materia e la plasmano a loro piacimento unendo, come in Brain Bleach o Storm, il metal di stampo thrash con soluzioni hardcore e moderne reminiscenze nu/crossover, a tratti estremizzando il sound oppure lasciandolo dondolare sopra i generi.
Ottimo ed originale l’uso della voce, assolutamente fuori dal contesto metallico e più orientata verso il rock, prima di urlare rabbia attraverso il growl, arma estrema del gruppo belga.
Un gruppo thrash metal che non ha paura di mostrare il lato più moderno del proprio sound e ne fa un’arma per conquistare, un sound che si avvicina alle cose già scritte da Devin Townsend, suonato da una band che ci mette tanto del suo per apparire personale, riuscendoci perfettamente.
Nel frattempo pare che i Basement Critters che siano al lavoro con Carlo Bellotti e Jonathan Mazzeo sui brani che andranno a comporre il primo lavoro sulla lunga distanza, state in campana.

Tracklist
1.Brain Bleach
2.Storm
3.Nature Strikes Back
4.Book
5.39:16

Line-up
Glenn Labie – Guitars
Sven Caes – Guitars
Frederik Vanwymelbeke – Drums
Thomas Marijsse – Vocals
Frederik Declerq – Bass

BASEMENT CRITTERS – Facebook

Angelus Apatrida – Cabaret De La Guillotine

Uno dei migliori dischi thrash metal usciti nell’anno solare si intitola Cabaret De La Guillotine, ultimo lavoro di questa macchina da guerra chiamata Angelus Apatrida, band che ha passato i dieci anni d’attività già da un po’ e che, in un crescendo di opere sempre più convincenti, arriva a pubblicare questo piccolo capolavoro di thrash metal che di questi tempi viene frettolosamente chiamato old school, ma che non è altro che heavy metal sparato da un cannone.

Uno dei migliori dischi thrash metal usciti nell’anno solare si intitola Cabaret De La Guillotine, ultimo lavoro di questa macchina da guerra chiamata Angelus Apatrida, band che ha passato i dieci anni d’attività già da un po’ e che, in un crescendo di opere sempre più convincenti, arriva a pubblicare questo piccolo capolavoro di thrash metal che di questi tempi viene frettolosamente chiamato old school, ma che non è altro che heavy metal sparato da un cannone: veloce melodico e tremendamente esaltante.

Siamo giunti al sesto album nell’arco di una dozzina d’anni, una discografia consistente di questi tempi, segno che il gruppo di musica in testa ne ha eccome, assolutamente metallica nel senso più puro del termine, il che tradotto vuol dire cavalcate in crescendo, accelerazioni fulminanti, chorus e refrain melodici, massima potenza e talento smisurato nel non perdere mai la bussola, mantenendo l’approccio e l’impatto senza perdere nulla in appeal.
Il quartetto iberico punta su un vocalist che riassume nella sua prestazione il concetto di cantante di genere come Guillermo Izquierdo, ruvido, melodico ed interpretativo, anche ottimo chitarrista, pezzo di un muro tirato su a mattoni metallici insieme a José J. Izquierdo al basso, Víctor Valera alle pelli e David G. Álvarez altro demonio alla chitarra.
Cabaret De La Guillotine non inventa nulla, è più semplicemente un gran bel disco di thrash metal dove ci si rincorre tra le strade battute da Testament, Death Angel e Overkill, ci si perde in vie dove si incontrano Iron Maiden e Megadeth, in un’apocalisse di spettacolari sali e scendi sull’ottovolante del genere.
Non mancano accenni più moderni, solo per chiarire che siamo nel nuovo millennio e che di teste la ghigliottina ne ha tagliate tante, ma sono attimi, perché il sound corre veloce verso la gloria in tutta la sua natura classica, sostenuta da brani spettacolari come Betrayed, The Hum, One Of Us, The Die Is Cast (che nel chorus ricorda i migliori Rage) e la conclusiva Martyrs Of Chicago.
In poche parole Cabaret De La Guillotine è un album eccezionale, picco qualitativo degli Angelus Apatrida e pretendente al trono di disco dell’anno per quanto riguarda il thrash metal classico.

Tracklist
01. Sharpen The Guillotine
02. Betrayed
03. Ministry Of God
04. The Hum
05. Downfall Of The Nation
06. One Of Us
07. The Die Is Cast
08. Witching Hour
09. Farewell
10. Martyrs Of Chicago

Line-up
Guillermo Izquierdo –Vocals & Lead/Rhythm Guitars
David G. Álvarez – Lead & Rhythm Guitars
José J. Izquierdo – Bass Guitar
Víctor Valera – Drums

ANGELUS APATRIDA – Facebook

Sense Of Fear – As the Ages Passing By…

As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Oscurità e potenza, una forza sprigionata da un’onda d’urto power/thrash di notevole impatto in pieno rispetto della tradizione metallica, tra scuola europea e statunitense.

Questo in poche parole risulta As the Ages Passing By…, debutto su lunga distanza dei Sense Of Fear, quintetto attivo da anni come Holy Prophecy e dal 2013 a procurar battaglia con il nuovo monicker.
Un solo ep omonimo a precedere questa lunga mazzata che, se riesce a tratti ad esaltare con duetti chitarristici di scuola maideniana, ritmiche power ed atmosfere alla Iced Earth, lascia qualcosina a causa della prolissità, ma sono dettagli perché l’album come detto non manca di inorgoglire i defenders cresciuti a pane e heavy/power metal.
Album old school ma dalla produzione moderna (l’album è stato registrato ai Valve Studio da Stratos “Strutter” Karagiannidis in Grecia, per poi essere mixato e masterizzato in Germania da R.D. Liapakis e C. Schmid), As the Ages Passing By… è un mastodontico pezzo di granito metallico, i brani sono strutturati su potentissime ritmiche ed atmosfere oscure e drammatiche care alla band di Jon Schaffer, le chitarre svolgono un lavoro di coppia assai riuscito e la voce teatrale e drammatica ricorda quella dei vocalist di scuola americana, potenti e molto interpretativi.
Bellissima Slaughter Of Innocence, la traccia che più riassume il credo musicale del gruppo greco, seguita dall’inno metallico Agent Of Steel e dalla super ballatona The Song Of A Nightingale.
La title track chiude il lavoro con i suoi nove minuti di cavalcata in crescendo, confermando la buona vena del gruppo, anche se qualche brano verso il finale non brilla come nel corso dell’inizio pirotecnico dell’album.
As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Tracklist
1.Molten Core
2.Slaughter of Innocence
3.Black Hole
4.Angel of Steel
5.The Song of a Nightingale
6.Torture Of Mind
7.Lord Of The World
8.Unbreached Walls
9.Sense Of Fear
10.As the Ages Passing By, Time Still Runs Against Us

Line-up
Ilias Kytidis – Vocals
Giannis Kikis – Guitar
Themis Iakovidis – Guitar
Dimitris Gkatziaris – Bass
Markos Kikis – Drums

SENSE OF FEAR – Facebook

+Mrome+ – Noetic Collision On The Roof Of Hell

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.

Benchè sia il loro full length d’esordio, si capisce fin dalla prima nota di questo Noetic Collision On The Roof Of Hell che gli +Mrome+ sono musicisti in possesso di solide basi che provengono da un attività iniziata addirittura alla fine del secolo corso (infatti, l’unica uscita precedente con questo monicker raccoglie tracce demo edite tra il ’97 ed il ’99).

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.
Death, thrash, black, a tratti anche sludge, vanno a confluire in una tracklist che convince proprio perché, nonostante la sensibile differenza di fondo che si può riscontrare tra un brano e l’altro, utilizza un collante formidabile come la capacità di scrittura e una tecnica solida e al servizio di una forma canzone sempre ben delineata.
Infatti, Noetic Collision On The Roof Of Hell non è il classico lavoro sperimentale con il quale musicisti estrosi saltabeccano senza preavviso da una genere all’altro spiazzando anche l’ascoltatore più scafato: le varie pulsioni stilistiche confluiscono normalmente all’interno dei singoli brani senza che questo vada a frammentare il risultato d’insieme, così le sfuriate thrash hardcore di Locust Follows Words hanno lo stesso diritto di cittadinanza dello sludge di Piss & Laugh o del death di Colors, e convivono al meglio con la cover di How the Gods Kill di Danzig.
Ecco, una delle cartine di tornasole della creatività di una band è il metodo utilizzato per coverizzare brani altrui: la maggior parte esegue una versione piuttosto aderente all’originale accelerandola o rallentandola, indurendola o conferendo comunque un qualcosa attinente allo stile musicale praticato; i +Mrome+, invece, stravolgono una delle brani simbolo del nerboruto statunitense facendolo diventare una traccia completamente nuova e differente, mantenendo di fatto il solo testo e, sia pure sufficientemente deviato, il riff che segue il chorus.
Credo che tutto questo basti per incuriosire il giusto chi ha voglia di scoprire nuovi nomi, e il passo successivo è quello di fare una capatina sulla pagina bandcamp dei +Mrome+ per farsi un’idea della loro proposta, che risulta sufficientemente originale pur senza ricorrere a sperimentalismi cervellotici.

Tracklist:
1.Colors
2.Crush the Moon
3.Migration Cult
4.How the Gods Kill (Danzig cover)
5.Trust
6.Generation Anthem
7.Piss & Laugh
8.Locust Follows Word
9.Magister Figurae Morte
10.The Arsonist

Line-up:
Key V – vocals, guitars
P – drums

Jester Beast – The Lost Tapes of… Poetical Freakscream

Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Viene riproposto in una nuova veste e migliorato in modo sensibile nella produzione un album storico della scena thrash metal tricolore: si tratta di Poetical Freakscream dei piemontesi Jester Beast, gruppo che all’epoca dell’uscita (1991) formava insieme a Broken Glazz, Gow e Negazione la punta dell’iceberg della scena metallica piemontese, allora una delle più attive nello stivale.

Nati addirittura nella prima metà degli anni ottanta, i Jester Beast purtroppo, dopo il primo demo Destroy After Use, licenziato nel 1988 e questo unico full lenght, si fermò fino al 2012, anno di uscita dell’ep The Infinite Jest.
La F.O.A.D. Records si prende carico di pubblicare questa nuova edizione dello storico lavoro, una mastodontica opera che vede, oltre a Poetical Freakscream nella più potente versione pre-mix, an che The Lost Tapes of… Poetical Freakscream, che riserva un bonus cd con il demo Destroy After Use ed una manciata di brani live risalenti al 1988.
Capitanati dal chitarrista C.C. Muz, i Jester Beast mostrarono a tutti d’essere un gruppo dall’impatto unico e dotato di un’ottima tecnica, ma penalizzato da un mixaggio approssimativo e incompleto che fece di Poetical Freakscream un’opera riuscita a metà, per fortuna oggi ascoltabile in una veste più consona alla qualità della musica proposta.
Il sound poggiava le sue basi sul thrash furioso degli Slayer (specialmente nel primo demo) e su quello più elaborato dei Voivod (tanto che Michael “Away” Langevin, batterista della formazione canadese, curò in seguito artwork e logo sull’ep The Infinite Jest) ma attraversato da un’attitudine hardcore: il tutto rese i Jester Beast una delle realtà più importanti dell’allora scena underground.
Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Tracklist
1.Freak Channel 9
2.Illogical Theocracy
3.Jester Day
4.Claustrophobic Autogamic
5.Swan Ain’t Die
6.Poetical Freakscream
7.Mother
8.D.A.U.
9.Unidentified Body

“Destroy Ater Use” – Demo 1988
10.Mother
11.Destroy After Use
12.Hypnotized
13.Clustrophobic Autogamic
14.Outro

Live in Treviso, 16/04/1988
15.Hypnotized
16.Psychopathic
17.Dream Over Dream
18.Labyrinth
19.Suck My Powerful Dick
20.Still Born

Line-up
STEO ZAPP – Vocals
CC MUZ – Guitar
ROBY VITARI – Drums
PIETRO “DURACELL” GRASSILLI – Bass

JESTER BEAST – Facebook

Synaptik – Justify & Reason

Tecnicamente bravissima, ma con ancora qualcosa in termini di personalità da perfezionare, la band inglese è una realtà metallica da seguire con attenzione cercando di non perderne le tracce, perché l’opera sopra le righe potrebbe arrivare da un momento all’altro.

I Synaptik sono una band inglese attiva dal 2012 ma poco conosciuta dalle nostre parti.

Suonano progressive thrash metal e Justify & Reason è il loro secondo album che segue di tre anni il debutto The Mechanisms of Consequence, riprodotto nel secondo cd che completa l’opera.
Meriterebbero molta più attenzione di quella che gli è stato attribuito fino ad ora i thrashers britannici, perché il sound prodotto su queste due fatiche risulta un devastante, tecnicissimo e melodico esempio di thrash metal progressivo accostabile alle opere di Sanctuary e Nevermore, così come Fates Warning e Watchtower, con il vocalist Alan Tecchio (anche con gli Hades) in veste di ospite su Your Cold Dead Trace, brano tratto dal primo lavoro.
Grande tecnica al servizio di brani trascinati e dalle atmosfere drammatiche, un cantante (John Knight) che segue le orme del compianto Warrel Dane e per i Synaptik il gioco è fatto, semplice a dire molto più difficile da elaborare.
Il sound del gruppo, a tratti, si specchia un po troppo nelle intricate trame del metal progressivo, affacciandosi sullo spartito in mano ai Dream Theater, mentre si rivelano un portento quando attaccano al muro con ritmi incalzanti e sfumature nevermoriane.
Justify & Reason va giudicato per quello che è, un ottimo lavoro supportato da un songwriting di buon livello e dall’ottima tecnica dei suoi protagonisti: brani come The Incredible Machine o Esc Ctrl hanno il solo difetto di seguire trame già scritte a suo tempo dai gruppi citati, un peccato veniale che non inficia la buona qualità generale della loro musica.
Tecnicamente bravissima, ma con ancora qualcosa in termini di personalità da perfezionare, la band inglese è una realtà metallica da seguire con attenzione cercando di non perderne le tracce, perché l’opera sopra le righe potrebbe arrivare da un momento all’altro

Tracklist
Disc 1
1.The Incredible Machine
2.Human / Inhuman
3.Conscience
4.White Circles
5.Esc Ctrl

Disc 2
1.Truths That Wake
2.A Man Dies
3.I Am The Ghost
4.Your Cold Dead Trace (feat. Alan Tecchio)
5.Irresistable Shade
6.Vacancy Of Mind
7.As I Am, As I Was
8.Utopia In Our Eyes
9.All Lies
10.Allies
11.Your Cold Dead Trace [Tecchio Mix]

Line-up
John Knight – Vocals
Ian knight – Guitars
Kev Jackson – Bass
Jack Murton – Guitars
Pete Loades – Drums

Hexx – Quest For Sanity & Watery Gates

Power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo: il sound del gruppo era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.

Tra il 1988 e il 1990 prima che il full length Morbid Reality (uscito nel 1991) concludesse la prima fase della loro carriera, ripresa una quindicina d’anni dopo, i thrashers americani Hexx licenziarono questi due ep, Quest For Sanity (1988) e Watery Graves (1990).

La Vic Records ristampa in un unico formato i due storici lavori, così che il gruppo californiano, dopo il buon ritorno sulla lunga distanza dello scorso anno (Wrath Of The Reaper) ,torna a far parlare di sè dopo una lunga sosta ai box.
Band di culto nel panorama power/thrash statunitense, gli Hexx sono tornati in pista con una formazione rinnovata rispetto all’epoca dell’uscita di questi brani: d’altronde sono passati trent’anni, il metal classico ha vissuto il periodo buio dei primi anni novanta e dell’inizio del nuovo millennio, non ha mai mollato è sopravvissuto nell’underground e continua la sua missione tra alti e bassi.
Ai tempi era tutta un’altra cosa, ed una band come gli Hexx era venerata dai fans, fresca del capolavoro Under The Spell uscito nel 1986.
Il sound del gruppo, un power/thrash statunitense, selvaggio e feroce, ruvido e glorificato dal dio metallo, era quanto di più amato dai kids sfuggiti ai lustrini del Sunset Boulevard, figlio del metal classico potenziato da iniezioni letali di speed/thrash.
La band all’epoca era un quartetto, con il chitarrista Dan Watson ed il batterista Jon Shafer, unici superstiti nella formazione che ha registrato l’ultimo album.
Una produzione in linea con le uscite dell’epoca ed una grinta invidiabile da parte del gruppo, fanno di questa operazione un buon modo per rituffarsi nel metal di fine anni ottanta.

Tracklist
1.Racial Slaughter
2.Sardonicus
3.Fields Of Death & Mirror Of The Past
4.Twice As Bright
6.Watery Graves
7.Edge Of death
8.Under The Spell

Line-up
Bill Peterson – Bass
John Shafer – Drums
Dan Watson – Guitars
Clint Bower – Guitars, Vocals

Current Line Up:
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

URL Facebook
https://www.facebook.com/officialhexx

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)
[Not answered]

Descrizione Breve

Filii Nigrantium Infernalium – Hostia

Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Anche se per continuare ad avere un minimo di vita sociale fingiamo, spesso con buoni risultati d’essere persone assolutamente normali, noi che ascoltiamo metal siamo a tutti gli effetti dei disadattati, almeno se prendiamo quale parametro la normalità imposta dalla convenzione del vivere civile.

A ricordarci tutto questo ci pensano band come i Filii Nigrantium Infernalium, entità portoghese che riesce nella mirabile impresa di vellicare in nostri peggiori e nascosti istinti con il proprio bastardo frullato di black, thrash ed heavy metal, reso ancor più letale da una vena blasfema portata alle estreme conseguenze.
Hostia, terzo full length dei lusitani dopo Fellatrix Discordia Pantokrator (riregristato con il titolo Fellatrix e in uscita anch’esso in questi giorni) e Pornokrates: Deo Gratias (pure oggetto di riproposizione con nuova veste grafica, sempre da parte della Osmose), è l’album adatto da mettere nell’autoradio per testare quale sia il proprio livello di gradimento da parte del resto dell’umanità, o ancor più probabilmente per ripulire la propria vita da conoscenze superflue e sepolcri imbiancati, ma già è difficile che qualcuno non apra le portiere per fuggire al primo semaforo dopo l’ascolto dell’intro Prece.
Ma, al di là delle facezie, questo lavoro del trio portoghese è la riprova di quanto all’inerno del metal ci sia bisogno di chi faccia delicati ricami o cerchi nuove vie espressive quanto di chi faccia nel miglior modo possibile il cosiddetto sporco lavoro.
Attenzione però, perché questi figuri provenienti dalla splendida Lisbona non sono solo dei beceri manovali metallici: in realtà siamo al cospetto di musicisti di vaglia, operanti nella scena da oltre un ventennio e quindi in possesso dell’esperienza necessaria per maneggiare con cura una materia che, messa in mano a dei neofiti, rischierebbe seriamente d’assumere sembianze grottesche.
Il sound dei Filii Nigrantium Infernalium è il frutto immondo dell’unione contronatura perpetrata nel corso di un’orgia tra Darktrhrone, Motorhead, Venom, Judas Priest e qualche occasionale passante …
I dieci brani più intro di Hostia sono bombe che deflagrano fin dalla prima nota senza fare prigionieri, inducendo ad un headbanging convinto ed incessante: Pó, Virtudes da Prostação e la title track sono solo alcuni degli episodi rimarchevoli all’interno di una tracklist che prosciuga ogni resistenza per ritmo ed intensità, con il valore aggiunto del cantato in lingua madre che conferisce al tutto una sua peculiarità.
Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Tracklist:
1. Prece
2. Pó
3. Lactância Pentecostal
4. Virtudes da Prostação
5. Santa Misericórdia
6. Smrt
7. Autos de Fé
8. A Morte é Real e Para Já
9. Hóstia
10. Cadela Cristã
11. Raze The Dead of Death

Line-up:
Maalm: Drums
Belathauzer: Guitars, Vocals
Helregni: Bass, Vocals

FILII NIGRANTIUM INFERNALIUM – Facebook