PAIN OF SALVATION + PORT NOIR – 6/4/17 Circolo Magnolia

Il racconto del concerto del 6 aprile al Magnolia.

Cinque anni sono trascorsi da quando vidi per l’ultima volta dal vivo i Pain Of Salvation: quel concerto, tenutosi al Live di Trezzo sull’Adda, mi aveva soddisfatto solo parzialmente perché incentrato fondamentalmente sui due Road Salt, dischi senza dubbio di buon livello, ma a mio avviso inferiori per impatto ed intensità alla produzione precedente .

Dopo le varie vicissitudini, di cui tutti sappiamo, che hanno afflitto per un lungo periodo Daniel Gildenlöw, è arrivato il recente In The Passing Light Of Day a risistemare le cose e, soprattutto, a ricollocare la band svedese al posto che le compete tra le più esaltanti espressioni musicali dell’ultimo ventennio.
Il buon pubblico accorso al Circolo Magnolia di Segrate testimonia l’approvazione dei fans nei confronti dell’ultima svolta stilistica, nonché l’attesa per rivedere all’opera Daniel con una band quasi del tutto rinnovata rispetto a quella che incise l’ultimo album di inediti (fa eccezione solo il batterista francese Leo Margarit).

Ad aprire la serata sono stati chiamati i Port Noir, giovane band svedese che accompagna i più famosi connazionali per l’intero tour europeo, della quale ammetto colpevolmente d’aver sentito parlare per la prima volta in questa occasione. Come spesso accade, quindi, si spera essenzialmente che il tempo a disposizione della band di supporto non sia troppo e che, soprattutto, passi più o meno piacevolmente.
E, invece, avviene l’inaspettato … questi tre ragazzi di Södertälje sono una vera folgorazione: il loro alternative metal, che sicuramente prende diversi spunti dagli altri famosi conterranei Katatonia, ammantandoli di una vena più moderna e meno malinconica, rifulge per intensità e compattezza, grazie ad un affiatamento perfetto tra i vari membri e l’ottimo utilizzo delle voci, con quella del chitarrista Andreas Hollstrand a supportare con continuità quella principale e più suadente di Love Andersson. I Port Noir riescono a rendere magicamente fresco ed avvincente un genere che troppo spesso viene afflitto dal manierismo, anche da parte dei suoi più famosi interpreti: così il loro set scorre via tra l’approvazione di un pubblico per lo più entusiasta e probabilmente sorpreso quanto il sottoscritto e chi lo accompagna .
Tutti sanno quanto sia difficile la vita per le band di supporto, specialmente in Italia e soprattutto quando c’è un’attesa fremente nei confronti degli headliner: ebbene, la possibile insofferenza è stata del tutto cancellata da una totale approvazione, tanto che se i Port Noir fossero rimasti sul palco per proporre altri due o tre brani nessuno avrebbe avuto alcunché da ridire, anzi … Questi ragazzi sono da tenere monitorati con estrema attenzione, perché in un futuro prossimo lo stesso numeroso pubblico che accompagna le tappe di questo tour potrebbe ritrovarsi lì solo per loro.

Dopo questo graditissimo antipasto, è con un piccolo ritardo sull’orario previsto che si presenta in scena il solo Daniel Gildenlöw in abiti ancora “borghesi”, per annunciare che la serata sarà dedicata ad Alberto Granucci, fondatore del fan club italiano dei Pain of Salvation, scomparso tragicamente pochi giorni fa e per la cui sorte non possiamo che unirci al cordoglio di parenti ed amici.
Una breve pausa ed ecco i nostri presentarsi al gran completo mettendo da subito a ferro e fuoco il palco con Full Throttle Tribe, uno degli episodi più duri dell’ultimo album: le bordate metalliche condotte dalle chitarre di Daniel e di Ragnar Zolberg e dal basso di Gustaf Hielm (uno che ha grande familiarità con suoni estremi avendo militato nei Meshuggah e ricoprendo il ruolo di bassista live nei Dark Funeral), sono sferzate di energia per un pubblico che può così testare la bontà dell’impianto sonoro del Magnolia e dell’ottimo lavoro dei fonici.
E’ la volta poi di Reasons e Meaningless, le due canzoni scelte per essere abbinate ad un video, diverse tra loro ma indubbiamente complementari, mentre è poi Linoleum, con il suo chorus killer, a rappresentare il primo passo indietro nella ricca discografia dei Pain Of Salvation.
Il trittico tratto da Remedy Lane eleva ad dismisura il pathos dell’esibizione, perché non si può nascondere che quell’album incarna, assieme al duo predecessore The Perfect Element I, uno dei momenti creativi più elevati della band, almeno fino all’uscita di In The Passing Light Of Day, che ne insidia il valore molto da vicino: A Trace Of Blood, Rope Ends e Beyond The Pale, un po’ come per tutta la restante scaletta, dal vivo si accendono di una luce diversa e ancora più vivida, capace di accentuare sia la robustezza delle basi ritmiche, sia le ampie ed incancellabili aperture melodiche.

Ashes, che segue subito dopopuò essere considerato il classico cavallo di battaglia per i Pain Of Salvation: forse non è il brano più bello che abbiano mai inciso, ma sicuramente il più noto, quello che li ha portati all’attenzione di un pubblico più vasto dopo due dischi magnifici ma passati un po’ sottotraccia; con questa canzone si tocca il punto più datato tra quelli toccati dalla scaletta, ed è un peccato, perché sia dallo stesso The Perfect Element I che da EntropiaOne Hour By The Concret Lake ci sarebbe stato molto da cui attingere.
Finita questa entusiasmante parentesi retrospettiva si ritorna all’ultimo album e, dopo aver sviscerato i momenti più metallici, è la volta dei brani caratterizzati da passaggi intimisti, quelli che fanno svoltare l’audience dall’headbanging alla commozione: la carezza di Silent Gold e la drammaticità di On a Tuesday, dove le violente accelerazioni sono i soprassalti vitali di un organismo che non vuole arrendersi all’ineluttabile, conducono alla parte conclusiva del concerto, che viene affidata a The Physics of Gridlock, traccia emblematica con il suo chorus dai rimandi western di quell’anima alternative rock che era stato il tratto comune di Road Salt Two.
L’uscita dal palco, dopo circa un’ora e tre quarti di concerto, chiama ovviamente un bis che non può essere che la title track dell’ultimo album: The Passing Light of Day è una splendida, sentita e commovente canzone d’amore che Daniel interpreta per buona parte da solo, per poi essere raggiunto dall’intera band nell’ideale chiusura di una serata pressoché perfetta.

Certo, quando ci si trova dinnanzi ad una band che, come i Pain Of Salvation, ha alle spalle una discografia cosi ricca, qualitativa e soprattutto stilisticamente sfaccettata, a seconda di quale sia la fase della loro carriera che si predilige, ognuno può essere più o meno soddisfatto della scelta della scaletta.
Così, chi ha amato la band nei due Road Salt forse avrebbe sperato in qualcosa di diverso, mentre chi invece considera In The Passing Light Of Day un nuovo apice della carriera della band svedese avrà senz’altro approvato, considerando che poi l’altro album più rappresentato, Remedy Lane, è uno di quelli che mette d’accordo tutti.
C’è anche il fan più di vecchia data, come il sottoscritto, che come detto avrebbe apprezzato il recupero di qualche brano dai primi lavori, o chi dall’ultimo nato avrebbe voluto ascoltare dal vivo uno dei suoi momenti più intensi dal punto di vista emotivo, come If This Is The End e chi, infine, pensa che nel complesso tre brani in più ci sarebbero potuti stare, accontentando così tutte queste istanze.
Ma questi sono ovviamente i discorsi che si possono fare solo se si vuole cercare il pelo nell’uovo ad un concerto magnifico, una delle rare occasioni in cui la compenetrazione tra band e pubblico si rivela massimale, e questo è ciò che conta maggiormente, assieme al fatto d’aver ritrovato Daniel Gildenlöw in una forma smagliante, e per questo ognuno di noi deve ringraziare una divinità a sua scelta, o semplicemente il fato, per avercelo riconsegnato intatto in tutto il suo talento artistico ed umano.

Althea – Memories Have No Name

Il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.

I buoni riscontri che Memories Have No Name ha ottenuto qualche mese fa da varie webzine, tra le quali la nostra, ha consentito agli Althea di destare l’interesse di diverse label, tra le quali la più lesta ad accaparrarsene le prestazioni è stata la Sliptrick Records, che ha licenziato la versione fisica dell’album proprio in questi giorni.
Ci sembra opportuno, quindi, rinfrescare la memoria degli ascoltatori riproponendo la nostra recensione risalente allo scorso dicembre.

E’ durissima la vita per chi decide (spronato da una passione infinita per il mondo delle sette note), di dedicare gran parte del suo tempo ad alimentare un webzine come la nostra.

Sempre a rincorrere le tonnellate di materiale che puntualmente (e fortunatamente) arrivano alla base, con poche persone che hanno voglia di mettersi in gioco e dare una mano (anche e soprattutto nell’ambiente) e sempre i soliti che tra famiglia, l’odiato lavoro, gli scazzi di una vita sempre più difficile e gli anni che cominciano ed essere tanti sul groppone, portano inevitabilmente a quei momenti no dove tutto quello che si fa appare inutile e la voglia di mollare fa capolino nella testa.
Poi d’incanto tutto torna ad avere un senso, le dita scorrono sulla tastiera più fluide che mai mentre le note di un bellissimo album che, probabilmente, non sarebbe entrato mai nella propria sfera musicale se non fosse giunta una richiesta di ascolto da parte del gruppo protagonista di cotanta maestria musicale.
E allora pronti e via per questo viaggio in musica sulle note progressive dei nostrani Althea, quintetto lombardo fondato dal chitarrista Dario Bortot e dal bassista Fabrizio Zilio, al primo full length ma con un ep alle spalle (Eleven) risalente ad un paio di anni fa .
Memories Have No Name è un bellissimo concept di un solo brano diviso in sedici capitoli, incentrati sui ricordi e sull’impatto che questi hanno su due diversi personaggi, raccontato con il supporto della musica totale per antonomasia, il progressive.
Il sound di questo lavoro, pur mantenendo un approccio metallico alla musica progressiva, è molto più rock di quello che ad un primo ascolto si può recepire, il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.
Hard rock, AOR, metal prog ed un pizzico di rock moderno sono gli ingredienti principali di Memories Have No Name, album che sotto l’aspetto dell’emozionalità tocca vette sorprendenti.
La bravura dei musicisti coinvolti non si discute, ma sono appunto il calore e le emozioni che sprigionano dai vari capitoli a rendere l’opera un piccolo gioiello progressivo, con Paralyzed che, subito dopo l’intro, mostra la parte più metallica del sound, avvicinando il gruppo alla musica dei Dream Theater.
E allora direte voi?
Basta saper aspettare e la musica degli Althea saprà sorprendervi con un continuo ed entusiasmante cambio di atmosfere, dove i momenti topici sono quelli in cui l’anima intimista e sperimentale prende il comando dello spartito regalando momenti di ottima musica progressiva, con i vari intermezzi che non risultano riempitivi ma fondamentali momenti acustici ed atmosferici (A New Beginning, Drag Me Down e la title track) e tracce capolavoro come Halfway Of Me, Leave It For Tonight (brano progressivo dai rimandi beatlesiani), con la ballad Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E.), dallo smisurato impatto emotivo.
Parlare di influenze è riduttivo, ma il paragone a mio parere più calzante (e con le dovute differenze) è con gli Active Heed di Umberto Pagnini, specialmente nel talento innato per le melodie e per le emozioni che suscita la musica prodotta: Memories Have No Name è un lavoro imperdibile per gli amanti delle sonorità progressive.

TRACKLIST
1.Regression From Regrets
2.Paralyzed
3.A New Beginning
4.Revenge
5.Drag Me Down
6.Halfway Of Me
7.Intermediated pt. 1
8.I Can’t Control My Mind
9.Intermediated pt. 2
10.Leave it for Tonight
11.Memories Have No Name
12.The Game
13.Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E)
14.Take Me As I Am
15.Anything We’ll ever be
16.A Final Reflection

LINE-UP
Dario Bortot – Guitar
Fabrizio Zilio – Bass
Marco Zambardi – Key and Loops
Sergio Sampietro – Drums
Alessio Accardo – Vocal

ALTHEA – Facebook

Methane – The Devil’s Own

Southern metal ad alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

Esordio sulla lunga distanza al fulmicotone per questo gruppo svedese devoto al southern metal e al metallo pulsante in generale.

Devil’s Own è un trionfo di chitarre distorte alla Pantera, incedere metallico e gran divertimento. Non parlo di Black Label Society ma di cose molto più divertenti e coinvolgenti. Nulla è statico in questo disco e tutto gira intorno al suono del diavolo. La voce è abrasiva e ci introduce in un girone infernale di sbronze cattive e sonno discinte che ci portano ancora più in basso nella scala della nostra perdizione. Il metal dei Methane è davvero notevole, con un groove dall’uncino notevole e il disco resiste molto bene ad ascolti ripetuti, anzi più lo si ascolta e maggiore è il piacere. Era da tempo che non usciva un disco così bello e ben prodotto di southern metal. Questo sottogenere del metal è una bestia che è sempre più difficile da gustare selvatica, ci sono alcuni esemplari in cattività ma non valgono nulla. Invece i Methane sono selvatici e vanno ad alta velocità senza risparmiare nulla, e la loro intensità e passione metallica è di gran livello. Gli svedesi riescono a creare un disco potente e mai ripetitivo, giocando molto bene con i codici e gli stilemi del southern metal. Alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

TRACKLIST
1. The Devil’s Own
2. Scars and Bars
3. Blood Sweat and Beer
4. Pray for Death
5. Stone Garden
6. Spit on Your Grave
7. 72
8. Peel Off the Skin
9. Hang Me High

LINE-UP
Tim Scott – Bass, Vocals
Jimi Masterbo – Lead Guitar
Dylan Campbell – Guitar
Andreas Strom – Drums

http://www.facebook.com/methaneband

Roommates – Fake

Il viaggio nella frontiera americana è appena iniziato per i Roommates, partite insieme a loro con Fake

Quelle che sono sempre state le sonorità americane per antonomasia, negli ultimi anni hanno sempre preso più campo sia nell’hard rock che nel metal, tanto che è sempre diventato più facile parlare di southern metal o southern hard rock, riguardo a molte uscite discografiche degli ultimi tempi.

Una moda o qualcosa di più?
Vero è che il post grunge e lo stoner ben si adattano ad essere amalgamati con le note, molte volte malinconiche,  del southern rock puro, mentre nel metal già i Pantera avevano a loro modo giocato con il genere, poi approfondito con i vari progetti che hanno visto coinvolto Phil Anselmo.
Una premessa per presentare questo gruppo ligure, prima trio acustico, poi con l’entrata di Alessio Spallarossa degli storici deathsters genovesi Sadist, trasformatosi in una southern rock band elettrica, ma dal talento innato per le armonie semiacustiche e le atmosfere poetiche di un viaggio sulle highway americane.
L’esordio dei Roommates riesce a toccare vette emotive altissime e, per chi ama il genere e le opere dei maestri americani, risulta un piccolo gioiellino di rock americano perso tra la tradizione sudista ed accenni alle band che del genere hanno preso l’attitudine e quel tocco blues nascosto dall’elettricità del grunge o dello stoner (Kyuss/Pearl Jam), oppure ben evidenziato dalle scorribande di quella che è stata l’ultima grande rock blues band, i Black Crowes.
Così tra bellissime atmosfere di quel rock a stelle e strisce sinonimo di una libertà cercata, trovata e vissuta su strade bruciate dal sole, l’odore di pneumatici consumati in chilometri di deserto, ed una chitarra che lancia le sue note al cielo stellato, Fake trova la sua dimensione brani che non contengono appunto elettricità, ma anche delicata poesia western, come ben evidenziato dalle prime note della splendida Light.
Blow Away torna con il suo umore post grunge (mi ha ricordato non poco il southern hard rock dei napoletani Hangarvain), mentre le delicate armonie di Fakin’ Good Manners portano al rock blues dell’irresistibile Black Man Guardian, con le moto che ruggiscono di primo mattino e l’adrenalina del viaggio che sta per iniziare è alle stelle.
Le ultime tre tracce tornano a riempire la stanza di armonie delicate, con una Empty Love che è una rock ballad da antologia e On Water Wings e I Smile che sembrano dare il benvenuto alla notte e al meritato riposo.
Il viaggio nella frontiera americana è appena iniziato per i Roommates, partite insieme a loro con Fake, vi faranno sognare.

TRACKLIST
1.Light
2.Blow Away
3.Fakin’ Good Manners
4.Black Man Guardian
5.Empty Love
6.On Water Wings
7.I Smile

LINE-UP
Davide Brezzo – Guitar & Voice;
Danilo Bergamo – Guitar & Voice;
Marco Quattrocorde – Bass & Voice;
Alessio Spallarossa – Drum

ROOMMATES – Facebook

VODUN

Il video di Bloodstones, tratto dall’album Possession (Riff Rock Records).

Il video di Bloodstones, tratto dall’album Possession (Riff Rock Records).

Dopo il successo del loro primi mini tour italiano, gli inglesi VODUN tornano in Italia per altri tre imperdibili show nel mese di giugno.

Un mix incredibile di rock, musica tribale, psichedelia, riff potenti e batterie martellanti. Oya, The Marassa e Ogun sono pronti per farvi ascoltare il loro sound primordiale.

La band sarà in Italia pochi giorni dopo l’importante partecipazione all’Hellfest, tra i maggiori metal festival mondiali; più precisamente dal 20 al 22 giugno per tre show incredibili. Si parte dal Circolo Arci Svolta di Rozzano (MI) il 20 giugno, passando per il Rock Town di Cordenons (PN) fino al Blah-Blah di Torino.

Online il trailer del tour -> http://bit.ly/2nGHhN9

La band promuoverà il suo ultimo album “Possession” uscito pochi mesi fa per Riff Rock Records, da cui è tratto il video di “Bloodstones” che da il nome al nuovo tour dei VODUN che toccherà anche Germania, Olanda, Spagna oltre alla già citata Francia.

VODUN – BLOODSTONES EUROPE TOUR – Italian Shows

Martedì 20.06 @ Circolo Arci-Svolta, Rozzano (MI)
Evento FB -> https://www.facebook.com/events/1222369794546196/
Ingresso: 5€

Mercoledì 21.06 @ Rock Town, Cordenons (PN)
Evento FB -> https://www.facebook.com/events/464085010589277/
Ingresso gratuito

Giovedì 22.06 @ Blah Blah, Torino
Evento FB -> https://www.facebook.com/events/401894690173225/
Ingresso: 5€

“Vodun’s album POSSESSION sent more than a few shockwaves through the Noisey office with its offbeat blend of hefty stoner doom, low slung blues, heavy rock, and West African spiritualism.” – Noisey, Vice

“Like Aretha fronting Royal Blood after imbibing ayahuasca… unearthly, neck-snapping melange of Afro-beat, RnB and death metal…” – Mojo Magazine

Fall Of Carthage – The Longed-For Reckoning

I musicisti hanno esperienza da vendere e si sente, ma molti dei brani proposti non vanno oltre la sufficienza, tra spunti hardcore, nu metal e violenza da scontri sui marciapiedi di metropoli allo sbando.

Tra la miriade di proposte riguardanti l’ala più moderna del metal spunta il secondo album dei Fall Of Chartage, progetto messo in piedi da Arkadius Antonik, leader dei Suidakra, Martin Buchwalter, batterista dei Perzonal War, e Sascha Aßbach.

Un assaggio di quello che i tre musicisti ci scaraventano addosso è stato Behold, primo album uscito un paio di anni fa, ora seguito da The Longed-For Reckoning, un’opera di metal moderno mastodontica, se pensiamo alla durata di quasi un’ora che per il genere è come leggere il Signore degli Anelli in un giorno.
Lungo, troppo lungo anche perché la proposta non si discosta dal solito menù: ritmiche pregne di groove, qualche accenno metallico in stile Pantera e stop and go di scuola core sviluppati su sedici brani, alcuni valorizzati dall’elettronica ed alquanto interessanti (Sick Intentions), altri che sanno di già sentito in un genere ormai con la corda tirata all’inverosimile.
Gli spunti nu metal non mancano e alzano la tensione (Swept To The Edge), i musicisti hanno esperienza da vendere e si sente, ma molti dei brani proposti non vanno oltre la sufficienza, tra spunti hardcore, nu metal e violenza da scontri sui marciapiedi di metropoli allo sbando.
Si diceva dei musicisti, di un’altra categoria (Sascha Aßbach, per il genere, è un cantante dalla personalità unica, Martin Buchwalter svolge un lavoro enorme alle pelli e la sei corde di Antonik esplode in riff sincopati e core oriented) ma è il songwriting che non decolla, forse per l’eccessiva lunghezza il cui consistente alleggerimento avrebbe reso l’album sicuramente più digeribile.
Se il metal moderno è il vostro pane, The Longed-For Reckoning potrebbe regalarvi buoni spunti, ma se il genere lo ascoltate con parsimonia passate oltre.

TRACKLIST
1.Fast Forward
2.Dust And Dirt
3.Sick Intentions
4.They Are Alive
5.Swept To The Edge
6.Complete
7.For The Soul To Save
8.Whodini Peckawood
9.Suffer The Pain
10.Down Like Honey
11.Tapeworms
12.Paint It White
13.Bury The Crisis
14.Puerile Scumbag
15.Turning Point
16.Black December

LINE-UP
Sascha Aßbach – Vocals,
Arkadius Antonik – Guitars
Martin Buchwalter – Drums

FALL OF CARTHAGE – Facebook

Skallbank – The Singles

Una band con un sound che potenzialmente può fare danni e vedremo gli sviluppi futuri: un full length di qualità simile c’è solo da augurarselo.

Rock ‘n’ Roll made in Sweden, devastante, veloce ed irresistibile e per renderlo ancora più arrembante e arrabbiato, scream e growl si danno il cambio per vomitarci addosso una sequela di belligeranti inni del rock’ n’ roll style.

Il gruppo in questione si chiama Skallbank, è nato a Karlstad nel 2014 e questo ep è la raccolta dei singoli usciti in questi anni.
Quasi tutti i testi sono in lingua madre, il rumore è assicurato a colpi di hard rock, street, melodic death metal e il tutto funziona alla grandissima, sotto cascate di birra e watts.
Basta immaginarsi i Backyard Babies e gli Hardcore Superstar che se la fanno con i Sentenced di Down, e si avrà un’idea del massacro sonoro di cui sono capaci questi cinque svedesi dalla lattina facile ma dai riff impetuosi, nella più pura tradizione scandinava.
I brani, in effetti, sono cinque potenziali hit, dall’opener Falsarium, al riff che sa tanto di primi 69 Eyes e su cui è strutturata Halvmånar och träpinnar, mentre Dödens ord accenna un arpeggio acustico per esplodere in un refrain dall’appeal irresistibile.
Gli ultimi due brani (Sagor är för barn e Lättstöttare kan ingen vara) continuano a dispensare death ‘n’ roll dalla presa immediata, tracce costruite per far male e non lasciare di certo indifferenti i rockers dai gusti selvaggi e distruttivi .
Una band con un sound che potenzialmente può fare danni e vedremo gli sviluppi futuri: un full length di qualità simile c’è solo da augurarselo.

TRACKLIST
01 – Falsarium
02 – Halvmånar och träpinnar
03 – Dödens ord
04 – Sagor är för barn
05 – Lättstöttare kan ingen vara

LINE-UP
Tömte – Vocals
Rickard – Lead guitar
Mats – Guitar
Jonzon – Bass
Jocke – Drums

SKALLBANK – Facebook

Cerebral Extinction – Necro Parasite Anomaly

I brani si succedono come una lunga suite estrema, formata da nove bestiali capitoli in cui l’influenza dei maestri statunitensi è un dettaglio, causa la personalità e l’impatto del duo italiano che non teme confronti.

Sono un duo italiano, e suonano un brutal death di devastanti proporzioni, un enorme terremoto musicale arrivato al secondo e distruttivo episodio, dal titolo Necro Parasite Anomaly.

I Cerebral Extinction sono formati nella line up ufficiale da Shon (chitarra, ex Blessed Dead) e Malshum (voce, Human Waste): nel 2014 hanno dato vita a quello che era il primo tellurico lavoro, dal titolo Inhuman Theory of Chaos, ed ora tornano in tutta la loro devastante violenza in musica con questo nuovo album, un bombardamento sonoro che farà non poche vittime tra gli amanti del brutal death metal di ispirazione statunitense, con la sua mezz’ora di esplosioni estreme che, fin dall’intro Induced Transition, si abbatte come una tempesta sulla costa e a forza di trombe d’aria metalliche sferza, distrugge, tortura ed alla fine elimina ogni forma di vita in un vasto e devastato raggio.
Questo è brutal del più feroce, con blast beat che irrompono come tornado, un growl animalesco che accompagna un tale armageddon senza soluzione di continuità, in un vortice di violenza sadica.
I brani si succedono come una lunga suite estrema, formata da nove bestiali capitoli dove l’influenza dei maestri statunitensi è un dettaglio, causa la personalità e l’impatto del duo nostrano, che non teme confronti e ribadisce l’ottima salute della scena odierna dello stivale.
Inutile ribadire che Necro Parasite Anomaly è caldamente consigliato agli amanti del genere.

TRACKLIST
1.Induced Transition
2.Logic and Conspiracy
3.Nemesis the City of Madness (Part I)
4.Collision Identity
5.Nemesis the City of Madness (Part II)
6.Obscure Portal
7.Necro Parasite Anomaly
8.Face to Face
9.The End of All Worlds

LINE-UP
Shon – Guitars
Malshum – Vocals

CEREBRAL EXTINCTION – Facebook

Morbid Flesh – Rites Of The Mangled

I Morbid Rites vengono dalla Catalogna e fanno un death metal vecchia scuola in quota svedese molto valido e ben suonato.

I Morbid Flesh vengono dalla Catalogna e fanno un death metal vecchia scuola in quota svedese molto valido e ben suonato.

Nato nel 2007 il gruppo è arrivato con questo disco al secondo episodio della loro discografia su lunga distanza. Il loro suono è un ottimo death metal in stile svedese, suonato senza fronzoli e con molta passione. I Morbid Flesh, sin dal nome, mantengono ciò che promettono, e fanno un disco molto preciso e violento, con quel tipo di approccio che tanto piace ai fans del death metal più classico. Questo tipo di suono si fa amare per la sua cattiveria e potenza, per quell’impasto sonoro così speciale e malato che si crea tra la voce, la chitarra ed il basso distorti e la batteria che viaggia. Dischi come questo sono i migliori per accompagnare la vita di un deathster, che rimarrà sempre fedele a questo sound: quello dei Morbid Flesh esce così bene grazie anche all’ottima produzione di Javi Felez, che si è occupato di tutta la produzione e masterizzazione del disco. Il gruppo catalano vi entrerà dentro, lasciandovi quel classico gran bel gusto di odio e violenza in un contesto molto marcio che è poi l’essenza del death metal: il loro macina ogni cosa, rompendo ossa e passando sopra a cadaveri ancora caldi, e il disco dura il giusto per farci assaporare in pieno queste sensazioni.
Rites Of The Mangled è un gran bel disco di death metal vecchia scuola e ogni amante di questo sono dovrebbe dargli una possibilità.

TRACKLIST
1.Circle Cursed
2.Burn The Entrails
3.Banished To Oblivion
4.Heretics Hammer
5.Feeding Mallows
6.Incantation
7.Evil Behind You

LINE-UP
Makeda – Bass
Mitchfinder General – Drums
C. – Guitars
Gusi – Guitars, Vocals (backing), Drums
Vali – Vocals

MORBID FLESH – Facebook

Presence – Masters And Following

Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Il fatto stesso che una band definibile in qualche modo di culto, come lo sono i Presence, si rifaccia viva dopo un lungo silenzio costituisce di per sé un evento, per cui resta solo da valutare quanto il trascorrere del tempo abbia influito o meno sull’operato del gruppo napoletano.

Indubbiamente, se si intendesse utilizzare quale termine di paragone un lavoro come Black Opera, che portò in maniera dirompente i Presence all’attenzione del pubblico nel 1996, sarebbe un partire con il piede sbagliato: vent’anni sono un lasso temporale che non può lasciare alcunché di immutato, tanto più se i musicisti, al di là delle centellinate uscite discografiche con questo monicker, sono stai attivi in altre vesti e alle prese con sfumature musicali differenti.
Ed è proprio un’accentuata varietà stilistica l’aspetto che colpisce maggiormente al primo impatto con Masters And Following: i Presence spaziano dal progressive più classico a quello metallizzato, passando attraverso pulsioni pop e hard rock, e a tutto questo non è certo estranea la decisione di annoverare tra i 13 brani del cd contenente i brani inediti anche ben tre cover, pure queste di natura variegata se pensiamo al rock settantiano di The House On The Hill degli Audience, alla NWOBH di Freewheel Burning dei Judas Priest ed al pop danzereccio di This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us degli Sparks (versione riuscitissima questa, che peraltro mi ha indotto a rivalutare quale fosse la caratura dei fratelli Mael, snobbati all’epoca da molti di noi imberbi fans del progressive).
In Masters And Following si attraversano così in maniera naturale tutte queste anime musicali immortalate da una serie di brani a mio avviso complessivamente riusciti, grazie ai quali, volendo giocare con il titolo dell’album, l’appellativo di “masters” nei confronti dei Presence calza a pennello …
Sicuramente il lavoro (del quale ho omesso inizialmente di dire che consta di un doppio cd, il secondo dei quali ripercorre la carriera del gruppo tramite una serie di canzoni registrate dal vivo) trova il suoi meglio nella parte iniziale, visto che la title track, Deliver e Now sono tre tracce differenti quanto efficaci, e soprattutto esaustive dell’incorrotta capacità della premiata ditta Baccini, Iglio, Casamassima di creare atmosfere coninvolgenti, nelle quali la robustezza del metal si sposa con naturalezza ad un tocco tastieristico settantiano e ad una voce come quella di Sophya che, come sempre, non si risparmia.
Diciamo anche, per converso, che dopo il trittico delle cover inframmezzato dal notevole strumentale Space Ship Ghost, la tensione scema leggermente senza che il livello complessivi si abbassi a lambire livelli di guardia, ritrovando anzi un’altra notevole impennata con un brano bellissimo come Collision Course.
Detto della parte dedicata al nuovo materiale, non resta che fare un breve accenno al cd dal vivo, purtroppo inficiato da una registrazione che spesso non rende giustizia alla bellezza della musica ed al talento dei musicisti, per cui la sua presenza nella confezione riveste più un valore documentale che non artistico, benché utile forse a spingere chi non conoscesse già i Presence a recuperare le opere originali dalle quali sono tratti i brani, cominciando ovviamente dall’imprescindibile Black Opera.
Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Tracklist:
CD1:
1. Masters And Following
2. Deliver
3. Now
4. Interlude
5. The House On The Hill
6. Freewheel Burning
7. Space Ship Ghost
8. This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us
9. Prelude
10. Symmetry
11. Collision Course
12. On The Eastern Side
13. The Revealing

Bonus CD:
1. Scarlet
2. The Sleeper Awakes
3. Lightning
4. The Dark
5. Eyemaster
6. Just Before The Rain
7. The Bleeding
8. Un Di’ Quando Le Veneri
9. Orchestral:
– Overture
– Hellish
– J’Accuse
– Makumba
– Supersticious
– The King Could Die Issueless

Line up:
Sophya Baccini – vocals
Enrico Iglio – keyboards, percussion
Sergio Casamassima – guitars
Guests:
Sergio Quagliarella – drums
Mino Berlano – bass

PRESENCE – Facebook

AATHMA

Il video di Mithra, tratto dall’album di prossima uscita Avesta.

Il video di Mithra, tratto dall’album di prossima uscita Avesta (Underground Legends Records, Sacramento Records, Cosmic Tentacles, The Braves Records, Odio Sonoro, Lengua Armada, VZQ & Aladeriva Records).

AVATARIUM

Il lyric video di Into the Fire/Into the Storm, tratto da Hurricanes And Halos, in uscita a maggio (Nuclear Blast).

Il lyric video di Into the Fire/Into the Storm, tratto da Hurricanes And Halos, in uscita a maggio (Nuclear Blast).

I doomster svedesi AVATARIUM pubblicheranno il nuovo album “Hurricanes And Halos” il 26 maggio.

Chi pre-ordina l’album otterrà immediatamente il download di ‘Into The Fire / Into The Storm’
http://nblast.de/AvatariumDigital

“Hurricanes And Halos” sarà disponibile nei seguenti formati
– Digipak
– 2LP (nero)
– 2LP (gold) (solo sul mailorder Nuclear Blast!)

ed è pre-ordinabile qui: http://nblast.de/AVAHurricanesHalos

“Hurricanes And Halos” conterrà otto canzoni:
1. Into The Fire / Into The Storm (4:14)
2. The Starless Sleep (4:47)
3. Road To Jerusalem (5:48)
4. Medusa Child (9:00)
5. The Sky At The Bottom Of The Sea (5:25)
6. When Breath Turns To Air (4:46)
7. A Kiss (From The End Of The World) (7:14)
8. Hurricanes And Halos (3:32)

Ancora una volta, gli AVATARIUM si affidano alla bellezza e all’oscurità, a chitarre pesanti e suoni fragili, a voci femminili uniche e al mistico suono blues vintage degli anni ’60, pur rimanendo sempre ancorati a un terreno moderno e confidando nell’anima inquietante del doom rock. Sei delle otto nuove tracce sono state forgiate dal mago dei CANDLEMASS Leif Edling, ma anche il chitarrista Marcus Jidell e la cantante Jennie-Ann Smith hanno contribuito al songwriting e dato vita al degno successore di “The Girl With The Raven Mask”, un album che ha ricevuto ottimi riscontri dalla critica nel 2015 e che li ha portati a vincere l’’Up And Coming’ award di Metal Hammer Germania.

Southern Storm Fest

MetalEyes IYE è media partner delle seconda edizione del Southern Storm Fest.

Meno di un mese al The Southern Storm Fest II, il metal fest che si terrà a Catania il prossimo 29 Aprile e che avrà l’onore di ospitare come headliner gli storici thrasher inglesi Onslaught. Ad aprire la serata il death prog dei romani Gravestone, cui seguiranno i doomster Rome in Monochrome e, sempre dalla Capitale, altre due band d’indubbio prestigio: i The Foreshadowing con il loro gothic doom e i deathster Hour of Penance. Un bill che spazia quindi in diversi ambiti del metal estremo per offrire al pubblico un’indimenticabile notte di musica!
Tutte le info su https://www.facebook.com/events/786733478141987/?fref=ts e https://www.facebook.com/nastyspikesevents/?fref=ts

E’ motivo di emozione ed orgoglio per la Nasty Spikes presentare la seconda edizione del Southern Storm Fest con una line-up di grande prestigio a testimonianza della volontà di accrescere ogni anno la qualità della proposta musicale.

Innanzitutto la scelta come headliner degli storici thrasher ONSLAUGHT che non necessitano di presentazione alcuna giacché calcano con la medesima, incontenibile energia i palchi internazionali da più di trent’anni. La band di Bristol ha vissuto una seconda giovinezza dopo la reunion avvenuta nel 2004: da quella data non ha più smesso di pubblicare album, prestigiose raccolte e di esibirsi in coinvolgenti live. Per il trentennale dall’uscita della febbricitante opera prima “Power From Hell”, i nostri hanno intrapreso un tour commemorativo delle cui roventi atmosfere ci daranno certamente un indimenticabile saggio.
Accanto a loro la presenza di altre due band di grandissimo rilievo internazionale, entrambe provenienti dalla Capitale: i deathster HOUR OF PENANCE che ci presenteranno i brani del nuovo album appena pubblicato ma già osannato “Cast the First Stone” e gli epigoni del gothic/doom metal THE FORESHADOWING, anche loro reduci dal successo dell’ultimo lavoro “Seven Heads Ten Horns” (2016). A seguire i ROME IN MONOCHROME con il loro doom impreziosito da influssi shoegaze e post-rock che proporranno in anteprima i pezzi dell’upcoming full-length “Away from Light“. In apertura al festival si esibiranno i death progressive romani GRAVESTONE che presenteranno il loro EP in uscita il 24 Febbraio e intitolato “Proud To Be Dead“.
Un’occasione unica per cogliere il meglio del Metallo estremo italiano e internazionale, ma anche per dimostrare che la scena metal siciliana è quanto mai vitale e sa sfidare la cronica crisi del settore uscendone vittoriosa grazie ad una passione autentica capace di far convergere pubblico, band e organizzatori verso un’unità d’intenti che va ben oltre le logiche del mercato.
Stay Metal &…Stay Tuned!!

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Si ringrazia la EAGLE BOOKING per la preziosa collaborazione.
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BANDS
ONSLAUGHT
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HOUR OF PENANCE
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THE FORESHADOWING
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ROME IN MONOCHROME
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GRAVESTONE
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Il Southern Storm Fest è ospitato dal BARBARA DISCO LAB, Via Flavio Gioia 16, Catania
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PARTNERS & MEDIA PARTNERS
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GRIND ON THE ROAD
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HEAVY METAL MANIACS
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ITALIA DI METALLO
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Arch Enemy – As The Stage Burn!

Live dal palco di Wacken per gli Arch Enemy, gruppo storico del death metal melodico scandinavo.

Il Wacken dello scorso anno aveva ospitato gli Arch Enemy per un concerto evento registrato con tutti i crismi, un’opera mastodontica che puntualmente arriva sugli scaffali dei negozi in vari formati, dallo spettacolare supporto video al semplice cd.

MetalEyes ha avuto l’occasione di ascoltare la versione audio digitale, un live di proporzioni ampie che va a sfiorare i settanta minuti, spettacolare esempio di death metal melodico che, nel caso del gruppo svedese, oltre a confermare l’importanza e la qualità altissima della sua musica, ci dà la possibilità di glorificare le prestazioni degli ultimi arrivati in casa Amott: il chitarrista Jeff Loomis (ex Nevermore) e la bravissima e bellissima cantante Alissa White-Gluz, tigre indomabile che non fa rimpiangere la pur brava Angela Gossow.
Death metal melodico sotto il segno della nuova vocalist dunque, davvero una belva assettata di sangue che graffia, morde, fa scempio dei cuori e dei padiglioni auricolari dei fans presenti al festival metal più importante del mondo.
Il gruppo che gli gira intorno è una macchina da guerra perfetta, con Amott e Loomis a formare una coppia d’assi alle sei corde, e la sezione ritmica che bombarda da par suo con gli storici Daniel Erlandsson alle pelli ed il mastodontico Sharlee D’Angelo al basso.
Un concerto esaltante, che esplode letteralmente dagli altoparlanti e che, ovviamente, dà maggior spazio agli ultimi due album, Khaos Legion e War Eternal, primo lavoro con la blucrinita cantante.
Non mancano i brani storici, a completare un perfetto concerto di uno dei gruppi più amati del death metal melodico scandinavo e As The Stage Burn!, lascia la sensazione di una tappa fondamentale per gli Arch Enemy, un periodo immortalato e concluso prima di riprendere il cammino fatto obbligatoriamente di un nuovo album.
Non potendo giudicare le immagini vi lasciamo con il consiglio di non perdervi comunque anche la sola versione cd, per i fans del gruppo si tratta di un live imperdibile.

TRACKLIST
01. Khaos Overture (Live At Wacken 2016)
02. Yesterday Is Dead And Gone (Live At Wacken 2016)
03. War Eternal (Live At Wacken 2016)
04. Ravenous (Live At Wacken 2016)
05. Stolen Life (Live At Wacken 2016)
06. My Apocalypse (Live At Wacken 2016)
07. You Will Know My Name (Live At Wacken 2016)
08. Bloodstained Cross (Live At Wacken 2016)
09. Under Black Flags We March (Live At Wacken 2016)
10. As The Pages Burn (Live At Wacken 2016)
11. Dead Eyes See No Future (Live At Wacken 2016)
12. Avalanche (Live At Wacken 2016)
13. No Gods, No Masters (Live At Wacken 2016)
14. We Will Rise (Live At Wacken 2016)
15. Nemisis (Live At Wacken 2016)
16. Fields Of Desolation (Live At Wacken 2016)

LINE-UP
Michael Amott – guitars
Daniel Erlandsson – drums
Sharlee D’Angelo – bass
Jeff Loomis – guitars
Alissa White-Gluz – vocals

ARCH ENEMY – Facebook

Heart Attack – The Resilience

Pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, il gruppo mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers.

Questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il periodo del terrore, causato dagli attacchi infami dei terroristi religiosi di cui la Francia ha pagato, almeno in Europa, il prezzo più alto.

Gli Heart Attack, gruppo di thrash metal moderno proveniente da Cannes, dedica il nuovo album The Resilience proprio ai sconvolgenti fatti di pochi mesi fa, tornando su una questione politico/sociale e religiosa che indubbiamente hanno e continuano a segnare questo oscuro periodo storico.
Parto dalla copertina, di cui non parlo quasi mai, perché l’ho trovata fuori contesto e più adatta ad un gruppo classico, ma è l’unico neo di questo bellissimo lavoro che unisce thrash e metal moderno, colmo di groove e sfumature core.
Il gruppo estremo transalpino arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza quattro anni dopo Stop Pretending, debutto più vicino al thrash metal classico ma niente paura, pur essendo condizionato da un’urgenza metallica più vicina ai generi maggiormente in voga in questi anni, la band mantiene quelle caratteristiche essenziali per restare nelle grazie dei thrashers: certo, di The Resilience si può dire tutto meno che sia un album old school, più che altro risulta un lavoro metal così come dovrebbe suonare nel nuovo millennio, ovvero un perfetto connubio tra suoni tradizionali, potenziati dal moderno incedere estremo.
Gli Heart Attack ci mettono del loro per far sì che certi brani (Burn My Flesh, Fight To Overcome, la devastante Feel The Fire) risultino delle bombe metalliche notevoli, aggredendo rabbiose, denunciando e rivoltandosi contro tutto e tutti dall’alto di una tecnica ed un songwriting inividiabili, ed una prestazione di altissimo livello, sia della sezione ritmica, con Tony Amato al basso ed aggressivo nella parte vocale, coadiuvato dal dirompente batterista Christophe Icard, mentre le sei corde fanno fuoco e fiamme (Christophe Cesari e Kevin Geyer) .
Non contento di cotanto ardore metallico, il gruppo lascia alla conclusiva title track il compito di alzare la qualità di questo gioiellino con uno strumentale che, nella sua lunga durata (più di otto minuti), mette non solo la parola fine ad un album intenso e bellissimo, ma ci consegna una traccia di thrash metal progressivo ed oscuro davvero sopra la media.
A questo punto la copertina diventa ovviamente un dettaglio, fortunatamente la musica di cui si compone The Resilience va ben oltre, facendo di questo lavoro un opera riuscita e coinvolgente.

TRACKLIST
1.Nocturnal Sight
2.Burn My Flesh
3.Congrats To People
4.Fight To Overcome
5.Sound And Light
6.When The Light Dies Down
7.Dead And Gone
8.Feed The Fire
9.Disorder
10.The Resilience

LINE-UP
Tony Amato – Bass guitars, Lead vocals
Christophe Cesari – Rhythm & lead guitars, acoustic and classical guitars, Keyboards, Back vocals
Kevin Geyer – Rhythm Guitars, Lead vocals
Christophe Icard – Drums & Percussions

HEART ATTACK – Facebook

Naga – Inanimate

I Naga si stabilizzano tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Inanimate è un ep dei Naga risalente alla scorsa estate, quando è stato pubblicato solo in vinile in edizione limitata in 100 copie per Lay Bare Recordings; da poco è stata immessa sul mercato da parte della Everlasting Spew Records la versione in cd, contenente anche un brano esclusivo per tale edizione.

Pur avendo affrontato ai tempi di IYE l’ottimo Hēn, unico full length finora rilasciato dalla band napoletana, non abbiamo intercettato Inanimate all’atto della sua prima uscita per cui cerchiamo di rimediare ora, tenendo conto del fatto che i suoi contenuti sono già stati ampiamente sviscerati da più parti lo scorso anno.
Quello che si può aggiungere a quanto già si sa è che i Naga, pur con una produzione ancora di dimensioni ridotte, hanno già acquisito una caratura importante che ha consentito loro, per esempio, di aprire ai Candlemass nella recente data bresciana.
L’ascolto di Inanimate conferma che tale status si rivela tutt’altro che usurpato: l’interpretazione del doom da parte del trio partenopeo non è ovviamente tradizionale come quella dei “padri” svedesi, ma si avvale di una pesante componente sludge senza tralasciare qualche puntata di matrice black/hardcore.
Thrives, traccia d’apertura del lavoro, si rivela sufficientemente emblematica dello stile musicale dei Naga, con il suo sound denso, colmo una tensione che pare sempre sul punto di esplodere nel suo fragore ma resta, invece, pericolosamente compressa all’interno del suo caliginoso involucro.
Hyele segue uno schema non dissimile ma è intrisa di una più canonica componente doom, con riff pesanti come incudini nella sua parte discendente, mentre le accelerazioni blak hardcore di Loner sono propedeutiche all’allucinata cover dei Fang, The Money Will Roll Right In.
Il brano inedito, Worm, riporta invece alle radici dello sludge e conferma la bontà del percorso stilistico intrapreso dai Naga, stabilizzandoli tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Tracklist:
1. Thrives
2. Hyele
3. Loner
4. The Money Will Roll Right In (Fang cover)
5. Worm

Line-up:
Lorenzo: Vocals and Guitar
Emanuele: Bass
Dario: Drums

NAGA – Facebook

Cloven Hoof – Who Mourns For The Morning Star?

Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità.

Gruppo di culto della New Wave Of British Heavy Metal, i Cloven Hoof sono tornati a nuova vita all’inizio del nuovo millennio, dopo un lungo silenzio che li aveva tenuti lontani dalla scena per ben quindici anni.

Il gruppo di Wolverhampton, tra 1982 e il 1989, regalò ai fans dell’epoca un terzetto di full length che divennero  oggetto di culto, più un live (all’epoca obbligatorio nella discografia di una band) ed un paio di demo che conquistarono le preferenze degli appassionati e degli addetti ai lavori.
Lo stop subìto prima dell’esilio dell’heavy metal negli anni novanta, ed il ritorno nel nuovo millennio con un’altra serie di album di cui questo ultimo Who Mourns For The Morning Star?  è il quarto: questa ultima uscita non tradisce, con i Cloven Hoof a regalare ancora una volta grande musica heavy, esaltante, spettacolare e nobile, metallo che lascia senza fiato per intensità e freschezza.
Il lavoro si giova peraltro della prestazione eccellente George Call, arrivato alla corte di Lee Payne dopo il precedente Resist Or Serve ed ex Omen (tra gli altri), e di un songwriting incisivo che permette al gruppo di lasciare ai posteri altre nove perle metalliche contraddistinte da una sagacia tecnica non comune, con la chitarra di Luke Hatton che urla la sua nobile appartenenza alla leggenda dell’heavy metal con solos dalle fiammeggianti melodie, mentre Chriss Coss sfodera ritmiche una più esaltante dell’altra e Lee Payne e Danny White fanno male con le loro micidiali armi (basso e batteria).
Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità: la qualità è massimale in tutti i brani, ma dovendo scegliere menziono Star Rider, Song Of Orpheus e I Talk To The Dead, la semiballad Morning Star e i due epici crescendo conclusivi, Go Tell The Spartans e Bannockburn, brano dall’inizio folk medievaleggiante che si trasforma in un crescendo maideniano, con Call a toccare vette altissime, impresa degna appunto del miglior Dickinson.
Un album bellissimo, nel genere uno dei più trascinanti degli ultimi anni. La leggenda continua.

TRACKLIST
1. Star Rider
2. Song Of Orpheus
3. I Talk To The Dead
4. Neon Angels
5. Morning Star
6. Time To Burn
7. Mindmaster
8. Go Tell The Spartans
9. Bannockburn

LINE-UP
George Call – Lead Vocals
Lee Payne – Bass Guitar and Backing Vocals
Luke Hatton – Lead Guitar
Chris Coss – Rhythm Guitar
Danny White – Drums And Percussion

CLOVEN HOOF – Facebook

EQUILIBRIUM

Il video di Eternal Destination, tratto dall’album Armageddon (Nuclear Blast).

Il video di Eternal Destination, tratto dall’album Armageddon (Nuclear Blast).

I tedeschi epic metallers, EQUILIBRIUM, hanno pubblicato l’attuale studio album, »Armageddon«, il 12 Agosto 2016 su Nuclear Blast. Ancora una volta, la band è entrata nelle classifiche europee raggiungendo le più alte posizioni (#5 Germania, #11 Svizzera, #20 Austria).

Sull’onda di questo grande successo, gli EQUILIBRIUM e la band di supporto SUIDAKRA sono partiti per la prima volta per un tour in Asia! Nonostante la maggior parte dei loro testi sia in tedesco, sono riusciti a entusiasmare centinaia di fan e a portare una sorprendente atmosfera in diverse città della Cina (Beijing, Shanghai, Hong Kong), Taiwan (Taipei) e Giappone (Tokyo e Osaka).

Siccome questo tour ha segnato un enorme successo per essere una band tedesca, gli EQUILIBRIUM hanno deciso di condividere alcuni dei più bei momenti di questo tour in Asia con i loro fan. Ecco perchè hanno raccolto le migliori riprese per riassumerle in un breve videoclip. Possono così mostrare l’euforia dei loro fan asiatici, come le loro prime impressioni ed esperienze riguardanti il tour. Non puoi perderti questo incredibile video!

René (chitarra) commenta: “Il nostro primo tour in Asia è stato una delle esperienze più toccanti che abbiamo mai vissuto con gli EQUILIBRIUM. Questo video è solo una piccola raccolta di filmati che abbiamo ripreso con i nostri smartphone durante il tour. Speriamo di poter tornare presto in Asia!”

Guarda il clip qui: https://www.youtube.com/watch?v=or71jq-q4As&feature=youtu.be