Antipathic – Autonomous Mechanical Extermination

La ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione.

Breve ep di presentazione per gli Antipathic, progetto italo americano che vede la presenza di Tat0, bassista cantante che abbiamo già avuto modo di apprezzare all’opera nei validi calabresi Zora, assieme al chitarrista e batterista d’oltreoceano Chris.

Il genere proposto è, secondo le attese, un brutal death piuttosto circoscritto nel perimetro del genere, ma ben eseguito e curato nei particolari, e i tre brevi brani proposti tengono fede alle premesse, nel bene e nel male: infatti il brutal, quando è suonato con tutti i crismi, almeno per me è sempre un bel sentire, ma allo stesso tempo capita raramente di rinvenire spunti capaci di rendere sufficientemente peculiari tali sonorità.
Ovviamente la ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione, in attesa di una prova quantitativamente più cospicua.

Tracklist:
1. Apparatus
2. Molecular Deviations
3. Autonomous Mechanical Extermination

Line-up:
Chris – chitarra e batteria
Tat0 – voce e basso

ANTIPATHIC – Facebook

In Human Form – Opening of the Eye by the Death of the I

Quella degli In Human Form è un’espressione musicale oggettivamente elevata quanto ambiziosa, ma rivolta inevitabilmente ad un’audience molto ristretta, che corrisponde appunto a chi apprezza in toto tutto quanto sia sperimentale ed avanguardista.

Gli americani In Human Form appartengono a quella categoria di band che, indubbiamente, non hanno tra le loro priorità quella di suonare musica accattivante allo scopo di ricevere consensi immediati.

Il progressive black offerto dal gruppo del Massachusetts è quanto di più ostico e dissonante sia possibile immaginare e non stupisce più di tanto, quindi, il fatto che sia finito nell’orbita di un’etichetta come la I,Voidhanger.
Patrick Dupras, con il suo screaming aspro, strepita le proprie liriche su un’impalcatura musicale nella quale solo apparentemente ogni strumento sembra andare per proprio conto ma, in realtà, appare evidente che cosi non è, anche se in più di un passaggio sembra di cogliere le stimmate di un’improvvisazione che tale resta a livello di fruibilità, per quanto evoluta.
La stessa struttura dell’album, con tre tracce della durata media attorno al quarto d’ora, inframmezzate da altrettanti brevi iintermezzi strumentali, conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, la volontà di lasciar fluire senza alcun limite un’ispirazione obliqua che, oggettivamente, se respinge al mittente ogni tentativo di approccio benevolo all’opera, pare aprirsi leggermente non dico ad una forma canzone, che resta un idea lontana anni luce dall’immaginario degli In Human Form, almeno a passaggi che vengono resi meno criptici da lampi melodici.
Sia Zenith Thesis, Abbadon Hypothesis che Through an Obstructionist’s Eye, infatti, sono ampie dimostrazioni di quanto i nostri abbiano la capacità di rendere meno ostica la loro proposta in ogni frangente, ma facendolo perfidamente in maniera ben più che sporadica: nel primo troviamo passaggi meditati assieme a sfuriate di stampo black più canoniche, ma è chiaro che, comunque, il sound resta inquieto e cangiante anche se in questo frangente sembra aprirsi più di un varco nelle spesse recinzioni sonore erette dalla band, mentre nel secondo, posto in chiusura dell’album, trova posto persino un bell’assolo di chitarra, strumento che nell’arco del lavoro viene offerto con un’impronta per lo più jazzistica.
Per quanto mi riguarda, nel lavoro ho riscontrato in eguale misura passaggi davvero eccellenti assieme altri eccessivamente cervellotici e, contrariamente a quanto affermo solitamente, qui la voce appare sovente un elemento di disturbo piuttosto che un completamento del lavoro strumentale.
Quella degli In Human Form è un’espressione musicale oggettivamente elevata quanto ambiziosa, ma rivolta inevitabilmente ad un’audience molto ristretta, che corrisponde appunto a chi apprezza in toto tutto quanto sia sperimentale ed avanguardista, caratteristiche che certo non fanno difetto a Opening of the Eye by the Death of the I.

Tracklist:
1. Le Délire des Négations
2. All is Occulted by Swathes of Ego
3. Apollyon Synopsis
4. Zenith Thesis, Abbadon Hypothesis
5. Ghosts Alike
6. Through an Obstructionist’s Eye

Line up:
Nicholas Clark – Guitars, bass guitar, alto saxophone, keyes, backup vocals
Rich Dixon – Drums, percussion, guitars
Patrick Dupras – Vocals, lyrics

IN HUMAN FORM – Facebook

Hitwood – Detriti

Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

A distanza di un mese circa , torniamo a parlarvi di una nuova uscita targata Hitwood, la creatura musicale creata dalla mente del polistrumentista Antonio Boccellari.

Archiviato il primo full length When Youngness … Fly Away … uscito lo scorso anno ed il precedente ep di cui ci siamo occupati (As A Season Bloom), Hitwood torna a descrivere in musica i suoi sogni che prima di Detriti erano lasciati alla sola musica.
Questa volta l’influenza melodic death di estrazione scandinava è ancora più marcata rispetto ai suoi predecessori, soprattutto per l’ausilio delle voci che sono le protagoniste della musica creata per l’occasione dal bravissimo musicista lombardo.
Dietro al microfono troviamo dunque due ottimi singer. Carlos Timaure al growl ed Eveline Schmidiger, protagonista con growl e clean vocals.
Inutile negare che, con l’inserimento delle voci la musica di Hitwood lascia il mondo della musica strumentale, bellissima ma molto limitata nelle preferenze degli ascoltatori, per raggiungere sicuramente un’audience più ampia.
Rimane un death metal melodico sui generis quello di Boccellari, sempre molto intimista ed atmosferico, ma indubbiamente più completo ed estremo ora che il growl fa il bello e cattivo tempo sulla maggioranza dei brani.
A parte l’intro As Far As I Can Remember e lo strumentale More Winters To Face…, vicino al precedente lavoro come atmosfere e sound, i brani di Detriti risultano sempre molto melodici ma anche più diretti, come la splendida My Path To Nowhere, canzone che ci riporta in pieni anni novanta ed ai lavori di In Flames (padrini del sound Hitwood), Dark Tranquillity ed ai paladini del suono melodico nel metal estremo.
Years Of Sadness conferma l’ottima scelta di Boccellari, dall’alto di un brano robusto valorizzato da un tappeto di cori, che enfatizza la componente sognante del concept degli Hitwood, mentre Chromatic lascia campo al lato più estremo del sound e Venus Of My Dreams ci porta alla fine di questo ottimo lavoro, lasciandoci con le trame epico melodiche classiche dei gruppi provenienti dal profondo nord.
Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

Tracklist
1.As Far As I Can Remember
2.My Path To Nowhere
3.Years Of Sadness
4.More Winters To Face…
5.Chromatic
6.Venus Of My Dreams

Line-up
Antonio Boccellari – guitars, bass, drums

Guest :
Carlos Timaure – growl vocals
Eveline Schmidiger – growl/clean vocals

HITWOOD – Facebook

MASTRIBES

I Mastribes rilasciano il loro nuovo singolo dal titolo “Body Talk”.

Dopo mesi di assenza, cambio line up e tanta stressante attesa, i Mastribes rilasciano finalmente il loro nuovo singolo dal titolo “Body Talk”; brano che lo scorso lunedì, oltre ad essere distribuito su tutte le piattaforme digitali, è stato messo in anteprima perfino su Youporn, una delle case pornografiche più famose al mondo.
Se avete dunque apprezzato alcune chicche del loro primo album, come la ormai famosa “Shake Boom Tequila” o “She’s Got The Look”, tenetevi forte perché la nuova perla di casa Mastribes sarà il vostro avversario più difficile!
“Siamo entrati in studio con una demo malconcia e tante idee per la testa, ma nonostante tutto c’era tantissima adrenalina nell’aria.
Eravamo tutti consapevoli del fatto che provenivamo da background musicali diversi… chi dall’Hardcore, chi dal Southern e chi dallo Sleaze o Glam Rock, quindi fondere le nostre attitudini stilistiche, anche se per chiunque sarebbe stato impensabile, ha giovato molto alla canzone.” spiega il frontman Michael Flame.

“Il brano era in cantiere da quasi due anni e non vi nascondo che ha subito una marea di modifiche, oltre a quelle che poi avremmo definitivamente apportato in studio.
Pensate che nella demo originale, prima dell’assolo, c’erano addirittura una ventina di secondi dedicati ad un cantato rap, cosa che poi abbiamo bocciato per non far allungare di troppo il pezzo. Probabilmente è stata una buona scelta o forse no…
Oggi il pubblico “rock” è molto strano e spesso categorizza obbligatoriamente delle band in un determinato genere musicale, imponendo di conseguenza alle stesse band di servire la solita minestra ai propri fans per poter vendere.
Credo che tutto ciò sia frutto di una tremenda chiusura mentale e di un incapacità di stare al passo con i tempi, ma logicamente è solo un mio parere.
Con i Mastribes ormai ho deciso di non impormi nessun tipo di limite e non mi importa del giudizio altrui.
Adoro il Rock e suoi derivati, ma il mondo musicale è così variopinto che sarebbe un vero peccato costringersi a girare sempre intorno ad un unico genere”

Alla chitarra inoltre troviamo “Max Power”, che, per chi non lo conoscesse, è uno dei cinque membri dei Red Riot; anche loro band della scena napoletana, con all’attivo un EP “Fight” e una marea di concerti condivisi con band di spessore e con gli stessi Mastribes.

“Non ho mai avuto dubbi su chi scegliere in caso di future collaborazioni, i Red Riot sono dei ragazzi che ho sempre stimato, rispettato e seguito fin dalle prime volte che condividemmo il palco insieme.
Tra l’altro ne abbiamo passate talmente tante che credo non si possa neanche più parlare di un semplice rapporto tra band.
Ogni passo o traguardo positivo di uno è motivo di gioia per l’altro, poiché ormai è una montagna che abbiamo deciso di scalare insieme e siamo tremendamente determinati a raggiungerne la vetta.”

Aspettiamoci dunque di tutto da questo nuovo singolo e auguriamo il meglio per i nostri Mastribes che a quanto pare hanno ancora tante sorprese in serbo per noi.

Amazon: https://www.amazon.it/Body-Talk-Explicit/dp/B074DBB8FR/ref=sr_1_1?s=music&ie=UTF8&qid=1502719071&sr=8-1&keywords=body+talk+mastribes

I Mastribes nascono nel novembre del 2014 dall’incontro di quattro musicisti, provenienti da Napoli e provincia: Michael Flame (voce), Cristian Iorio (chitarra), Cosimo Castorini (basso) e Umberto Viro (batteria). La band si dedica dai primi istanti alla composizione di inediti, lasciandosi influenzare dal rock in ogni sua forma e, parallelamente all’intensa attività live, pubblica il 12 ottobre 2015 il primo singolo “Shake Boom Tequila”, accompagnato da un EP contenente altri due brani “Pussy Crusher” e “Everything”.
Dalla sua nascita la band ha avuto modo di calcare diversi palchi, partecipando a rassegne come il Rocka in Musica e il Volcano Rock Fest, avendo l’onore di suonare con gruppi e artisti del calibro dei DGM, Teodasia e Pino Scotto.
Nei mesi successivi all’uscita del primo EP, la band continua il lavoro in studio ultimando i brani che compongono il primo full lenght. Il 22 luglio 2016 viene pubblicato il secondo singolo “She’s Got The Look”, mentre il 12 ottobre 2016 viene rilasciato il singolo “Rock N’ Roll”. Il primo album della band viene pubblicato per Volcano Records il 21 ottobre 2016 e si intitola “Blast”.

Dopo un tour devastante, che li ha portati a calcare palchi in compagnia di artisti come Warrior Soul e Marco Mendoza, nell’aprile 2017 tre quarti della band molla ed avviene l’immediato cambio line up con consecutivo distacco dalla Volcano.
L’attuale formazione consiste in Francesco Sacco (basso), Vincenzo Mussolino (chitarra), Enrico Esposito (batteria) e Michael Flame (voce ed ultimo membro della formazione originale).
Il tutto porta al rilascio, in data 31 Luglio 2017, di un nuovo singolo “Body Talk”, il quale viene prima messo in anteprima, accompagnato da un lyric video, su YouPorn per poi essere distribuito su tutti i digital stores e Youtube.

Execration – Return to the Void

Un riuscito blend tra innovazione e tradizione in ambito Death da parte di una band con capacità non comuni.

Quarto full length per quest’ottimo quartetto norvegese attivo dal 2007 con il demo “Language of the dead”: ora, dopo aver portato a compimento pieno il loro stile, gli Execration escono per la prima volta con la Metal Blade.

Il suono, attraverso una lenta evoluzione in tre album usciti con cadenza triennale, è pienamente death nella forma ma con strutture particolarmente elaborate, lavorate su un suono di chitarra che inserisce dissonanze e crea atmosfere molto particolari; niente di ostico e sperimentale, ma un’opera di qualità dove il mix tra tradizione e innovazione crea brani dall’andamento sempre stimolante ed imprevedibile.
Il songwriting è di alto livello, i brani sono trascinanti ergendo un muro sonoro che ha la capacità di variare grazie all’incessante incrociarsi delle due chitarre; fino dall’opener Eternal Recurrence l’energia non manca, il growl intenso e intellegibile da quel “quid” in più che cerca di differenziare con coraggio il suono di questi artisti, le strutture elaborate sono ben studiate (Hammers of Vulcan) e i due chitarristi si lanciano in digressioni che mantengono sempre alto il livello di attenzione, senza annoiare mai, lambendo territori trash senza mai creare tecnicismi fini a sé stessi. Non ci sono filler e anche i due brevi intermezzi (Blood Moon Eclipse e Through the Oculus) sono piacevoli e fanno tirare il fiato prima dei successivi massacri; le atmosfere sinistre e dissonanti di Cephalic Transmissions danno un ulteriore tocco di imprevedibilità e personalità ai norvegesi.
La splendida title track suggella un disco pienamente riuscito e come al solito sta a noi, con ripetuti ascolti, dargli la giusta attenzione sperando di poter ascoltare live nelle nostre terre gli Execration.

Tracklist
1. Eternal Recurrence
2. Hammers of Vulcan 3. Nekrocosm
4. Cephalic Transmissions
5. Blood Moon Eclipse
6. Unicursal Horrorscope
7. Through the Oculus
8. Return to the Void
9. Det uransakelige dyp

Line-up
Cato Syversrud Drums
Jørgen Maristuen Guitars, Vocals
Chris Johansen Guitars, Vocals
Jonas Helgemo Bass

EXECRATION – Facebook

Alpha Tiger – Alpha Tiger

Un album che alla lunga non riesce a decollare, facendo perdere un po’ d’attenzione all’ascoltatore, in affanno verso il traguardo dell’ultimo brano: da un gruppo al terzo album per una label così importante ci si aspetta sicuramente di più.

Nuovo album e nuovo cantante (Benjamin Jaino al posto di Stephan Dietrich) per i giovani metallers tedeschi Alpha Tiger, gruppo su cui punta non poco la Steamhammer/SPV.

Il sound proposto dal quintetto si allontana non poco dal classico heavy/power dei gruppi connazionali per un approccio più classico e old school.
Heavy metal quindi, potenziato ma non distante dai gruppi ottantiani, con un uso invece settantiano dei tasti d’avorio, chitarre che si rincorrono in solos taglienti ed una sezione ritmica presente ma non invadente, puntuale ma che rimane stabilmente su tempi medi.
Manca il classico brano che alza le antenne all’ascoltatore e Alpha Tiger come i suoi predecessori (Man Or Machine del 2011 e Beneath The Surface uscito nel 2013) risulta un buon lavoro, pur non avendo quei due o tre brani che fanno la differenza ed alzano l’adrenalina, rimanendo livellato su una qualità sufficiente per non sfigurare nell’immenso mondo dell’heavy metal ma nulla più.
L’album parte bene, Comatose e Feather In The Wind rompono gli indugi e ci introducono nel cuore del lavoro, che perde qualche colpo con il passare dei minuti, per tornare a far male con l’ottimo hard & heavy di Vice e soprattutto con Welcome To The Devil’s Town.
Il nuovo singer si conferma come un buon acquisto per il gruppo, mentre si continua a salire e scendere tra tracce più riuscite ad altre che prendono la strada della monotonia.
E questo è il difetto più grosso di Alpha Tiger, quello d’essere un album che alla lunga non riesce a decollare, facendo perdere un po’ d’attenzione all’ascoltatore, in affanno verso il traguardo dell’ultimo brano: da un gruppo al terzo album per una label così importante ci si aspetta sicuramente di più.

Tracklist
1. Road To Vega
2. Comatose
3. Feather In The Wind
4. Singularity
5. Aurora
6. To Wear A Crown
7. Vice
8. Welcome To Devil’s Town
9. My Dear Old Friend
10. If The Sun Refused To Shine
11. The Last Encore

Line-up
Peter Langforth – guitars
Benjamin Jaino – vocals
Alexander Backasch – guitars
Dirk Frei – bass
David Schleif – drums

ALPHA TIGER – Facebook

Moth’s Circle Flight

“Raise Your Head”, nuovo videoclip dei Moth’s Circle Flight, è online sul canale YouTube della band

“Raise Your Head”, nuovo videoclip dei Moth’s Circle Flight, è online sul canale YouTube della band. Il pezzo fa parte dell’ultimo album “My Entropy”, pubblicato da Logic Il Logic Records.

Taberah – Sinner’s Lament

Sinner’s Lament è un album riuscito che non mancherà di soddisfare gli appetiti metallici dei defenders di lunga data, ai quali va l’ invito di non perdersi questa nuova fatica dei Taberah.

Suoni classici ed old school a tutta birra con gli heavy/power metallers Taberah, quartetto di diavoli provenienti dalla Tasmania.

E proprio come il famoso ed agguerrito animaletto, la band australiana ci travolge con il suo heavy metal d’assalto, infarcito di melodie e reso portentoso da ritmiche ed accelerazioni power.
Attivi da ormai una dozzina d’anni, i Taberah tagliano il traguardo del terzo full length: Sinner’s Lament è un buon lavoro, sicuramente da non sottovalutare se siete defenders incalliti, con una manciata di brani interessanti e metallici il giusto per inorgoglire anche il più pacato dei fans.
Della cover in versione power della storica Hotel California degli Eagles posta in chiusura, lascio a voi ogni commento, mentre il resto dei brani si mantiene su una buona qualità aiutato da una produzione che, senza far gridare al miracolo, rende giustizia alla title track, alla maideniana Harlot, al singolo Child Of Storm, alla semi ballad The Dance Of The Damned ed alla power oriented The Final March of Man.
I Taberah danno l’impressione d’essere un gruppo con buone potenzialità, i brani funzionano con chorus che entrano in testa al primo giro, solos ricchi di pathos metallico ed una neanche troppo velata strizzatina d’occhio ad Iron Maiden, Helloween, Hammerfall e Sinner.
In conclusione, un album riuscito che non mancherà di soddisfare gli appetiti metallici dei defenders di lunga data, ai quali va l’ invito di non perdersi questa nuova fatica dei Taberah.

Tracklist
1.Sinner’s Lament
2.Wicked Way
3.Harlott
4.Horizon
5.Child of Storm
6.The Dance of the Damned
7.Crypt
8.The Final March of Man
9.Heal Me
10.Hotel California (The Eagles cover)

Line-up
Dave Walsh – Bass, Vocals
Tom Brockman – Drums, Percussion, Vocals
Myles “Flash” Flood – Guitars, Vocals
Jonathon Barwick – Guitars, Vocals

TABERAH – Facebook

The Lurking Fear – Out Of The Voiceless Grave

Out Of The Voiceless Grave è un gradito ritorno, che si spera possa diventare una nuova partenza, per i musicisti riuniti sotto il monicker The Lurking Fear.

Un’icona del metal estremo scandinavo come Tomas Lindberg, che torna sul mercato insieme ad altri musicisti storici della scena, cosa ci può presentare se non l’ennesima devastante realtà dedita a quelle sonorità che ne hanno decretato la fama?

Ed infatti il buon Tompa, insieme a Adrian Erlandsson, Fredrik Wallenberg, Andreas Axelsson e Jonas Stalhammar, licenzia questo devastante album di death metal crudo ed essenziale sotto il monicker The Lurking Fear, titolo di uno dei più noti racconti di H.P. Lovercraft.
Chi si aspettava un lavoro melodico e più orientato su sonorità gotiche rimarrà deluso perché Out Of The Voiceless Grave non è altro che assalto sonoro di scuola classicamente nordica, turbolento e aggressivo, dove la bravura e l’esperienza dei protagonisti è messa al servizio di un lotto di brani a tratti esaltanti.
La storia del genere passa inequivocabilmente dalle cavalcate estreme di cui l’album è composto, sfuriate death/thrash dove tutto funziona come un orologio, zeppe di ritmiche inossidabili, solos perfetti e chorus che staccano la materia cerebrale dal cranio, mentre il tempo passa per tutti ma non per Lindberg, ancora all’altezza di procurare violenti spasmi ai propri fans.
Vortex Spawn, The Starving Gods Of Old e Winged Death equivalgono ad un vento cimiteriale, un olezzo fetido di morte che aleggia tra la carta ormai putrida sulla quale i The Lurking Fear hanno fermato con l’inchiostro le note di questo lavoro, ispirato dal passato dei musicisti coinvolti, con un passato in band come At The Gates, The Crown, Marduk, Edge Of Sanity, God Macabre e compagnia di zombie.
Prodotto perfettamente e licenziato dalla Century Media, Out Of The Voiceless Grave è un gradito ritorno, che si spera possa diventare una nuova partenza per i The Lurking Fear.

Tracklist
01. Out Of The Voiceless Grave
02. Vortex Spawn
03. The Starving Gods Of Old
04. The Infernal Dread
05. With Death Engraved In Their Bones
06. Upon Black Winds
07. Teeth Of The Dark Plains
08. The Cold Jaws Of Death
09. Tongued With Foul Flames
10. Winged Death
11. Tentacles Of Blackened Horror
12. Beneath Menacing Sands

Line-up
Tomas Lindberg – vocals
Jonas Stålhammar – guitar
Fredrik Wallenberg – guitar
Andreas Axelson – bass
Adrian Erlandsson – drums

THE LURKING FEAR – Facebook

Burnt / Astarium / Scolopendra Cingulata – Gnosis of Death

Nel complesso lo split offre un discreto spaccato dello stato di salute del black nei territori ex-sovietici, soprattutto per quanto riguarda la scena che si muove al fuori della capitale russa

Ecco uno split album che, almeno a livello di quantità dei contebuti non è certamente avaro, presentando oltre dieci brani di due band russe (Burnt e Astarium) ed una kazaka (Scolopendra Cingulata) afferenti alla scena black metal.

Dei Burnt non si possiedono praticamente notizie, per cui bisogna basarsi essenzialmente su questi cinque brani (che in teoria dovrebbero essere i primi usciti con questo monicker) che vedono un’interpretazione del genere abbastanza canonica, ma non priva di cambi di registro, ed ampie aperture atmosferiche esibite nel corso di tracce brevi ma abbastanza efficaci, con menzione per la più depressiva Suicide.
La one man band siberiana Astarium è, al contrario una delle entità più prolifiche in circolazione, e dopo aver parlato poco tempo fa del ultimo ep, eccoci di fronte ai quattro nuovi brani dello split, con un altro full length nel frattempo appena uscito ed ancora da ascoltare: qui buone intuizioni melodiche si scontrano talvolta con un approccio naif che rende il tutto non sempre perfettamente a fuoco, con il nostro che nella sua bulimica produttività oscilla tra diverse direzioni stilistiche dando il meglio, a mio parere, quando rende il sound atmosferico senza farsi prendere la mano da pulsioni sinfoniche.
Per finire, ecco i kazaki Scolopendra Cingulata, interpreti di un black più aspro e nel contempo immediato, nel suo procedere senza troppi fronzoli e mediazioni (salvo essere smentito dalla lunga traccia ambient conclusiva); personalmente ritengo la band asiatica autrice della migliore espressione tra le tre esibite in Gnosis Of Death, anche se neppure nel suo caso il livello raggiunge picchi indimenticabili.
Nel complesso lo split offre un discreto spaccato dello stato di salute del black nei territori ex-sovietici, soprattutto per quanto riguarda la scena che si muove al fuori della capitale russa; il contenuto non è affatto privo di momenti interessanti, spalmate un po’ su tutte le band rappresentate,  anche se come accade per molte uscite del genere, il suo valore non credo possa andare oltre uno scopo essenzialmente divulgativo.

Tracklist:
1. Burnt – Beginning of the End
2. Burnt – Dead People
3. Burnt – Glowing Silence
4. Burnt – Suicide
5. Burnt – The End of All Things
6. Astarium – Mystic Genesis
7. Astarium – Spirits of the Dead
8. Astarium – Nether Lair
9. Astarium – The Conqueror Worm
10. Scolopendra Cingulata – Ogon’ Inkvizitsii
11. Scolopendra Cingulata – Rassvet
12. Scolopendra Cingulata – …

Line-up:
Astarium
SiN – All instruments, Vocals

Scolopendra Cingulata
SS – Vocals, Guitars
Waah – Bass
Aske – Drums
Alatar – Guitars (lead)
Otis – Guitars (rhythm)

SCOLOPENDRA CINGULATA – Fcebook

ASTARIUM – Facebook

Ingurgitating Oblivion – Vision Wallows in Symphonies of Light

Terzo lavoro su lunga distanza per questa band tedesca che innesta su una solida base di brutal death estremamente tecnico dissonanze sperimentali che spingono il sound su territori vicini al free jazz.

Terzo lavoro su lunga distanza per questa band tedesca che innesta su una solida base di brutal death estremamente tecnico dissonanze sperimentali che spingono il sound su territori vicini al free jazz.

Indubbiamente, da questo quadro iniziale non ci si può che attendere un album complesso, dall’ascolto tutt’altro che semplice anche per chi ha familiarità con band tipo Gorguts o Suffocation, e il buon Florian Engelke, fondatore del gruppo agli albori del secolo, non fa nulla per agevolare il tutto, strutturando Vision Wallows in Symphonies of Light su quattro brani per un totale di circa cinquanta minuti, con il secondo delirante A Mote Constitutes What to Me Is Not All, and Eternally All, Is Nothing che da solo supera addirittura i venti.
Ovviamente parliamo di musica offerta a chi ha orecchie ed apertura mentale per intendere, ma questo non significa affatto che bisogna puntare il dito versi chi non dovesse trovarsi in sintonia con l’operato degli Ingurgitating Oblivion: non e affatto banale assorbire le trame contorte e sature dei berlinesi quando sfogano le proprie pulsioni estreme, così come non lo è quando divengono trame liquide condotte da xilofoni o fughe pianistiche riconducibili al jazz più sperimentale.
Tale aspetto inevitabilmente costituisce un carattere di preponderante peculiarità, finendo per spostare l’asticella della difficoltà di fruizione molto più in alto, aprendo però un fronte interessante per chi, magari, ha sempre ritenuto il death una forma musicale appannaggio di bruti privi di tecnica e talento.
Detto della prima traccia, che non deroga più di tanto dalla ferocia espositiva del metal estremo, e della già citata monumentale seconda, che si pone come ideale spartiacque tra chi continuerà ad ascoltare con interesse il lavoro e chi invece deporrà anzitempo le armi, appare senz’altro più indicato a scopo esemplificativo l’ascolto della title track proprio perché, in alcuni frangenti, le due anime vanno ancor più ad intrecciarsi dando vita ad un ibrido a tratti irresistibile.
Ottima anche A Devourer of Flitting Shades Who Dwells in Rays of Light, dallo sviluppo pressoché invertito rispetto alle altre tracce, dato che le eleganti evoluzioni strumentali occupano la parte iniziale del brano fin quasi al suo epilogo, prima di riconsegnarsi alla furia del death che va a porre, in maniera coerentemente brutale, la pietra tombale sull’opera.
Vision Wallows in Symphonies of Light è un lavoro di grande spessore tecnico e compositivo che non può e non deve finire nel calderone dei dischi in cui la sperimentazione assume una stucchevole preponderanza, e immagino che, oltre agli estimatori delle band già citate nelle prime righe, anche chi ha i Nile tra i propri gruppi di riferimento possa trovare la giusta soddisfazione nell’ascolto.

Tracklist:
1. Amid the Offal, Abide with Me
2. A Mote Constitutes What to Me Is Not All, and Eternally All, Is Nothing
3. Vision Wallows in Symphonies of Light
4. A Devourer of Flitting Shades Who Dwells in Rays of Light

Line up:
Florian Engelke – Guitars, Vocals
Adrian Bojarowski – Bass, Vocals, Synths
Paul Wielan – Drums

INGURGITATING OBLIVION – Facebook

Astarium – Epoch Of Tyrants

Circa 25 uscite nell’arco di una decina d’anni costituiscono un fatturato che ormai non sorprende neppure più di tanto, specialmente quando ne è autore un singolo musicista che può dare sfogo alle proprie pulsioni compositive senza doversi confrontare con altre teste pensanti.

E’ questo il caso del siberiano SiN , l’iperattivo titolare del progetto Astarium, che con questo Epoch Of Tyrants si rende autore di un buon black metal atmosferico e dalle tematiche guerresche, ricco di spunti interessanti ma non privo neppure di difetti.
In qualche modo questi due aspetti tendono ad annullarsi rendendo così il lavoro gradevole ma non imprescindibile: se, infatti, diverse intuizioni melodiche ed un buon gusto per gli arrangiamenti si palesano con frequenza nel corso dell’ep, non si può fare a meno di notare che un uso della voce approssimativo ed un suono di tastiera in certi tratti troppo plastificato finiscano per affossare, a tratti, quanto di buono viene messo in campo da SiN.
Un peccato, visto che il musicista di Novosibirsk affronta la materia con buona padronanza, svariando tra sfumature atmosferiche, sinfoniche e folk, anche se il tutto appare a volte assemblato in maniera forzata; Epoch Of Tyrants rimane comunque un lavoro ben al di sopra della sufficienza, alla luce anche di episodi di notevole spessore come l’epico strumentale Of Valour and Sword e la successiva e drammatica Bloodshed Must Goes On!
Continuo a pensare che, ad eccezione di rarissimi casi, gli stakanovisti delle sette note siano personaggi degni della massima stima, perché dalla lor iperproduttività non può che trasparire una passione smisurata per la musica, ma nel contempo appare inevitabile una dispersione energie che, meglio canalizzate, potrebbero fornire risultati ben superiori, sia dal punto di vista della cura dei particolari sia dello stesso songwriting.
Ovviamente, nel tempo di ricevere dalla lontana Siberia la copia di Epoch Of Tyrants, ascoltarlo e scrivere due righe di commento, il buon SiN non è certo rimasto con le mani in mano, sicché sono già da un po’ in circolazione uno split album con i Burnt e gli Scolopendra Cingulata ed un nuovo full length, Drum-Ghoul, dei quali si parlerà prossimamente.
In attesa di scoprire cosa né è scaturito, dare un ascolto a questo Ep non è affatto tempo sprecato, fermo restando che di margini per fare ancora meglio ce ne sono molti.

Tracklist:
1. Bloody Surf
2. SS (Satanic Squadron)
3. Passion of War
4. Bone Crushers
5. Of Valour and Sword
6. Bloodshed Must Goes On!
7. In Twilight of the Gods
8. Heroic Saga

Line up:
SiN – All instruments, Vocals

ASTARIUM – Facebook

High Spirits – Escape!

Il progetto High Spirits nasce per tributare l’hard rock classico, quindi UFO e Thin Lizzy sono ancora le maggiori fonti di ispirazione di Black che ci regala un piccolo gioiellino, in attesa del ritorno sulla lunga distanza.

Torna Chris Black, musicista americano impegnato in molti progetti tra cui Pharaoh e Nachtmystium, con il gruppo attraverso il quale dà sfogo alla sua anima rock, gli High Spirits.

Fino al precedente Motivator il gruppo era di fatto in mano al solo Black, il quale suonava tutti gli strumenti, ora invece è stato raggiunto da altri quattro musicisti (Scott, Mike, Bob, Ian) per quella che sembrerebbe una rock band a tutti gli effetti.
Escape! è il secondo mini cd uscito quest’anno e segue Night Rock, risalente a qualche mese fa.  tornando a far parlare di questa ottima rock band di Chicago, dedita all’hard rock tradizionale, influenzato dall’ala britannica negli anni a cavallo tra il decennio settantiano e quello successivo.
Il gruppo si disimpegna al meglio sulle ali di una title track che parte veloce, serrata e senza freni, mentre è già ora del chorus da cantare sotto al palco, a muso duro rivendicando l’appartenenza alla grande famiglia del rock.
Melodie e watt, con un hard rock che si fregia di un ottimo lavoro chitarristico nella superba Stagefright, mentre in poco più di due minuti Fells Like Rock And Roll ci scaraventa al muro con una forza dirompente presa in prestito da Motorhead ed UFO.
Le influenze rimangono classiche, d’altronde il progetto nasce per tributare l’hard rock classico, quindi UFO e Thin Lizzy sono ancora le maggiori fonti di ispirazione di Black (Lonely Nights, ultimo ruggito per questo lavoro) che ci regala un piccolo gioiellino in attesa del ritorno sulla lunga distanza.

Tracklist
1.Escape!
2.Stagefright
3.Fells Like Rock And Roll
4.Lonely Nights

Line-up
Chris
Scott
Mike
Bob
Ian

HIGH SPIRITS – Facebook

The Minerva Conduct – The Minerva Conduct

The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.

L’ultima frontiera per la musica hard & heavy si chiama India non ci sono dubbi.

Molti di voi storceranno ancora il naso leggendo questa mia affermazione, ma l’elevata qualità dei gruppi in tutti i vari generi ed l’ottimo lavoro di label come la Transcending Obscurity non fanno che confermare questo trend, che nell’underground è già avviato da qualche anno e, anche per questo, abbiamo sempre sempre dato molto spazio ai suoni provenienti dai paesi asiatici, cercando nel nostro piccolo di far conoscere più band possibili ai nostri lettori.
Demonic Resurrection, Albatross, Reptilian Death, Gutslit, Animals As leaders, Entheos: unite queste straordinarie band ed avrete i The Minerva Conduct, quartetto di Mumbai formato da membri dei gruppi citati, che non contenti della musica di alto livello proposta hanno creato questo splendido lavoro interamente strumentale, suggestivo ed emozionante, pur rimanendo nei canoni di un metal progressivo dove si sente ancora forte la componente estrema, come estremo è la realtà in cui si vive nel loro lontano paese.
Vita difficile, arte che esplode in tutta la sua drammatica bellezza, The Minerva Conduct non ha bisogno di parole, esprime emozioni in musica dalla prima all’ultima nota, inerpicandosi su spartiti di vorticosa musica metallica dalle mille sfumature e colori.
Quasi cinquanta minuti non sono pochi per un’opera del genere, eppure la musica forma un collante tra sé  e l’ascoltatore a cui si riesce a staccarsi solo alla fine, mentre l’opener Vile ci da il benvenuto nel mondo dei The Minerva Conduct.
Prateek Rajagopal , Nishith Hegde, Ashwin Shriyan e Navene Koperweis oltre ad essere maestri del proprio strumento, sanno come regalare emozioni, il loro caldo abbraccio progressivo viaggia sui binari estremi, ma non solo, toccando vette altissime con Metatonia, Appetence e la devastante Unearth.
Difficile fare paragoni, bisogna sedersi ed ascoltare quanta straordinaria bellezza esce dalle note di questo lavoro, da esibire come risposta a chi ancora sostiene che progmetal sia sinonimo di fredda tecnica.

Tracklist
1.Vile
2.Desertion
3.Metanoia
4.Trip Seq
5.Appetence
6.Exultant
7.Unearth
8.Grand Arcane

Line-up
Prateek Rajagopal – Guitars, Composer
Nishith Hegde – Lead Guitar
Ashwin Shriyan – Bass
Navene Koperweis – Drums

THE MINERVA CONDUCT – Facebook

KADAVAR

Il primo singolo e video tratto da “Rough Times”, in uscita a fine settembre (Nuclear Blast).

I rocker berlinesi KADAVAR hanno pubblicato il primo singolo tratto dall’attesissimo album in studio “Rough Times”.

Il vinile 7” di ‘Die Baby Die’ contenente la cover dei BEATLES ‘Helter Skelter’ è disponibile in diverse versioni:
• Yellow Vinyl: http://nblast.de/DieBabyDieLPYellow
• Clear Vinyl: http://nblast.de/DieBabyDieLPClear
• Bi-Coloured Vinyl: http://nblast.de/DieBabyDieLPBiColor
• Black Vinyl: http://nblast.de/DieBabyDieLPBlack
• iTunes, AmazonMP3, GooglePlay, Nuclear Blast FLAC: http://nblast.de/DieBabyDieDownload
• Spotify Playlist: http://nblast.de/SpotifyNovelties

I pre-ordini di “Rough Times” e del nuovo merchandise sono attivi qui: http://nblast.de/KadavarTimes

Il cantante e chitarrista Lupus dichiara: “Ho sempre voluto fare un video nello stile delle vecchie VHS. Ho esposto la mia idea a Milan della band ROTOR e l’abbiamo girato in un solo giorno al Felsenkeller di Lipsia. Come potete vedere, ci siamo divertiti moltissimo e credo che si adatti alla canzone molto bene”.

“Rough Times” verrà pubblicato il 29 settembre su Nuclear Blast.

www.kadavar.com
www.facebook.com/kadavarofficial
www.nuclearblast.de/kadavar

Vials Of Wrath – Days Without Names

Un bellissimo esempio di musica oscura, dalle sfumature drammatiche ma sempre godibile da un punto di vista melodico, attingendo sicuramente alla scuola statunitense che ha sempre avuto come caratteristica principale quella di porre al centro delle opere la forza e l’immensità della natura, in questo caso specifico vista però come segno tangibile della maestosità del creato.

Parlare di black metal di ispirazione cristiana rischia seriamente d’essere una contraddizione in termini, se si pensa che questo genere musicale nacque, semmai, con lo scopo di riscoprire le radici del paganesimo e contrastando con forza (non solo musicalmente, come ben sappiamo) quella religione cattolica che venne imposta alle popolazioni scandinave agli albori del precedente millennio.

Se c’è un qualcosa, però, su cui mi sono sempre auto imposto di soprassedere, allorché devo valutare o godermi un disco, è la sua componente religiosa o politica, facendo eccezione in quest’ultimo caso solo per chi prova a propugnare in maniera esplicita certe ideologie che sono già state ampiamente giudicate e condannate, non da me ma dalla storia.
Questa introduzione è necessaria per far sì che non venga snobbato dai puristi il secondo album dei Vials Of Wrtah, progetto solista del musicista statunitense Dempsey “DC” Mills, autore di un’interpretazione davvero di buon livello del black metal nella sua forma più atmosferica ed eterea. La bontà di Days Without Names, al di là ovviamente del non possedere alcun elemento innovativo, risiede sostanzialmente in una certa varietà stilistica che fa oscillare il sound tra sfuriate vicine al depressive, ampie aperture atmosferiche ed accenni folk, senza dimenticare che la chitarra può esser utilizzata anche per suonare ottimi assoli (Burning Autumn Leaves).
L’album consta di sei brani mediamente abbastanza lunghi, oltre a due più brevi tracce strumentali, e gode di una produzione abbastanza pulita per la media del genere, il che valorizza soprattutto le parti più intimiste e, appunto, il buon lavoro chitarristico, sia elettrico sia acustico, senza affossare la voce che, magari non sarà un punto di forza ma non diviene neppure un elemento di disturbo come talvolta accade.
In buona sostanza Days Without Names si rivela un bellissimo esempio di musica oscura, dalle sfumature drammatiche ma sempre godibile da un punto di vista melodico, attingendo sicuramente alla scuola statunitense che ha sempre avuto come caratteristica principale quella di porre al centro delle opere la forza e l’immensità della natura, in questo caso specifico vista però come segno tangibile della maestosità del creato.
Il lavoro va goduto nel suo insieme ed è fortemente consigliato a chi apprezza il black metal in questa sua forma, trovando i propri picchi nella parte centrale con Burning Autumn Leaves e The Path Less Oft Tread, senza comunque mostrare cenni di debolezza in alcuna sua parte; le liquide note acustiche che chiudono A Cleansing Prayer lasciano davvero un bel retrogusto oltre alla consapevolezza del fatto che il genere, nelle sue varie forme e sfumature, continua ad avere risorse infinite.

Tracklist:
1. That Which I’ve Beheld
2. Journey Beyond the Flesh
3. Revival of the Embers
4. Burning Autumn Leaves (Under a Harvest Moon)
5. The Path Less Oft Tread
6. Silhouettes Against the Sun
7. A Cleansing Prayer

Line-up:
Dempsey “DC” Mills – All instruments, Vocals

VIALS OF WRATH – Facebook

Widowmaker – Widowmaker

La cifra stilistica del disco è quella del migliore deathcore in circolazione, e al momento pochi hanno la compattezza e la potenza di questi ragazzi, che devono essere ascoltatori attenti ed onnivori perché dietro questo suono c’è moltissimo lavoro ed altrettanta cultura metallica.

Nella scena deathcore o metalcore qualsivoglia, è molto difficile riuscire a farsi notare per qualcosa che sia più del mero compitino, e i Widowmaker si fanno notare molto.

I ragazzi provengono dall’Alabama, sono molto giovani, e questa loro freschezza fa la differenza insieme ad una potenza di fuoco fuori dal comune. I Widowmaker confezionano un disco di debutto con un suono saturato al massimo, molto claustrofobico in molti passaggi, che ricorda quelle sensazioni che si ebbero ai tempi degli inizi del deathcore, quando c’erano in giro ottime band, delle quali il loro suono è certamente debitore, ma con un contributo originale è assai elevato. Ascoltando il disco ci si trova immersi nel fuoco e nelle fiamme, poiché qui tutto brucia, e la melodia si palesa andandosi a congiungere carnalmente con un suono durissimo. La produzione mette in risalto i punti forti, senza seppellire il loro suono dietro una cortina fumogena di tecnologia. I Widowmaker sfociano tranquillamente anche nel death metal tout court e anche in momenti grindcore notevoli; la cifra stilistica del disco è quella del migliore deathcore in circolazione, e al momento pochi hanno la compattezza e la potenza di questi ragazzi, che devono essere ascoltatori attenti ed onnivori perché dietro questo suono c’è moltissimo lavoro ed altrettanta cultura metallica. Inoltre questo non è un disco che vuole per forza piacere al pubblico deathcore, ma anzi è un’apertura a tutti quelli che amano un suono potente e cattivo: ascoltate senza pregiudizi, Widowmaker (che uscirà per Sharptone Records, una sussidiaria della Nuclear Blast che sta reclutando un ottimo vivaio di musica cattiva) merita molto e vi lascerà alquanto soddisfatti.

Tracklist
1. The Nihilist
2. Paragon
3. Spineless
4. Regression
5. Dissonance
6. Quarantine
7. The Illusionist

Line-up
Matt Childers : Vocals
Tyler Stansell : Guitar
Hagan Dickerson : Guitar
Sean Landman : Bass
Kurtis Stoneking : Drums

WIDOWMAKER – Facebook

Attic – Sanctimonius

Tagliare il cordone ombelicale con i propri numi tutelari dovrebbe essere per gli Attic la prima mossa del dopo Sanctimonius, pena il rischio d’essere considerati alla stregua di una buona cover band.

Dalla Germania arriva questo quintetto al secondo lavoro, licenziato per Ván Records ed intitolato Sanctimonius.

Attic è il nome del gruppo e i Mercyful Fate i loro padri spirituali, con il cugino che regna sul regno dell’horror metal col nome di King Diamond e gli amichetti Iron Maiden compagni di sadici giochetti tra i vicoli di città infestate dalla peste e posseduta dall’oscuro signore.
Impossibile avere dei dubbi, basta il primo acuto di Meister Cagliostro e l’incantesimo fa in modo che il ghigno del Re Diamante si materializzi davanti a noi.
Si potrebbe chiudere qui questo articolo, perché in Sanctimonius il sound è troppo simile a quello creato dal leggendario vocalist per trovare qualcosa che faccia da diversivo, a parte qualche maideniana fuga chitarristica.
L’hammond crea atmosfere orrorifiche che fungono da intro per alcune delle tracce, la produzione mantiene perfettamente l’aura old school dell’opera ma i quasi settanta minuti di copia e incolla tradiscono gli Attic ed il loro lavoro.
Non mi si fraintenda, Sanctimonius in definitiva non è affatto un brutto album, i brani in cui sono i Maiden a fungere da riferimento non sono affatto male (A Serpent In The Pulpit, Sinless), ma pure qui il gruppo si fa prendere dal troppo ricalcare pedissequamente le caratteristiche del gruppo di Steve Harris, senza trovare una propria personalità.
Tagliare il cordone ombelicale con i propri numi tutelari dovrebbe essere per gli Attic la prima mossa del dopo Sanctimonius, pena il rischio d’essere considerati alla stregua di una buona cover band.

Tracklist
1. Iudicium Dei
2. Sanctimonious
3. A Serpent in the Pulpit
4. Penalized
5. Scrupulosity
6. Sinless
7. Die Engelmacherin
8. A Quest for Blood
9. The Hound of Heaven
10. On Choir Stalls
11. Dark Hosanna
12. Born from Sin
13. There is no God

Line-up
Meister Cagliostro – Vocals
Katte – Guitar
Rob – Guitar
Chris – Bass
JP – Drums

ATTIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=UpJtujr691

Necrophobic – Pesta

Dieci minuti di pura malvagità che valgono come e più di tanti full length, preparando il ritorno in pompa magna di questa seminale creatura malefica.

Una delle band storiche del death metal scandinavo torna dopo quattro anni dall’ultimo devastante lavoro Womb Of Lilithu.

Loro sono i Necrophobic, fondamentale band svedese attiva dal 1989, con sette full length ed una serie di lavori minori incentrati su un death metal pregno di attitudine black.
Una storia lunga, tormentata da continui cambi nella line up, tenuta insieme da Joakim Sterner, batterista ed unico superstite della formazione originale, con i primi album licenziati dalla storica Black Mark, label fondata da Quorthon che divenne un punto di riferimento per il genere nei primi anni novanta (Edge Of Sanity, Lake Of Tears, Cemetery), che hanno consegnato il gruppo di Stoccolma alla storia del genere.
I Necrophobic ritornano dunque con questo ep di sole due tracce, licenziato dalla Century Media in digitale e in formato 7″, composto dalla title track e da una nuova versione del brano Slow Asphyxiation, tratto dal demo omonimo datato 1990: un anticipazione di quello che dovrebbe essere il nuovo full length previsto per il prossimo anno, ma intanto godiamoci Pesta, brano ispirato e maligno, oscuro e come da tradizione dalla forte connotazione black, su una struttura che dal death metal scandinavo prende forza.
Sei minuti di perfezione assoluta, un muro di death metal melodico e maligno, mentre la storica traccia rifatta per l’occasione trova in questa veste una nuova vita, pur rimanendo fedele all’originale.
Dieci minuti di pura malvagità che valgono come e più di tanti full length, preparando il ritorno in pompa magna di questa seminale creatura malefica.

Tracklist
1.Pesta
2.Slow Asphyxiation

Line-up
Joakim Sterner – Drums
Anders Stokirk – Vocals
Sebastian Ramstedt – Guitars
Johan Bergeback – Guitars
Alex Friberg – Bass

NECROPHOBIC – Facebook