Sonic Prophecy – Savage Gods

Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente.

La Rockshots licenzia il terzo album di questa band statunitense chiamata Sonic Prophecy che si rivela uno dei primi sussulti classici di questo nuovo anno metallico.

Il gruppo di Salt Lake City, fondato nel 2009, ha lavorato non poco in questi primi nove anni di attività e Savage Gods è un enorme macigno metallico, melodico il giusto, pesante ed epico come nella migliore tradizione classica e che, pur mantenendo un approccio europeo, non tradisce le proprie origini.
Quindi come nella migliore tradizione statunitense il sound è pregno di oscurità, non accelera troppo ma dà la sensazione di un mastodontico pezzo di granito metallico, valorizzato dall’ottima interpretazione di Shane Provstgaard dietro al microfono e da assoli classici piazzati qua e là tra i brani.
L’apertura è lasciata alla title track che ci presenta una band compatta e forgiata nell’acciaio, tutto è possente ed oscuro ed il passaggio al singolo Night Terror è quasi obbligato; ottima l’accoppiata Dreaming Of The Storm/Man The Guns, la prima una semi ballad in crescendo, la seconda un brano che ricorda non poco gli Accept, mentre con Walk Trough The Fire si torna a cavalcare epici destrieri nelle pianure della terra metallica, prima di gridare al cielo il coro di A Prayer Before Battle.
I suoni escono puliti, la performance del gruppo è al top e per gli amanti del genere il risultato non può che essere sopra le righe: i Sonic Prophecy ci regalano un ottimo lavoro, e se l’originalità non abita tra lo spartito del gruppo con le varie influenze determinare per la formazione del sound, per i defenders duri e puri brani della caratura di Man And Machine sono chicche da non perdere per nessun motivo.
Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente, consigliato.

Tracklist
1.Savage Gods
2.Night Terror
3.Unhoy Blood
4.Dreaming of the Storm
5.Man the Guns
6.Walk Through the Fire
7.A Prayer Before Battle
8.Iron Clad Heart
9.Man and Machine
10.Chasing the Horizon

Line-up
Shane Provstgaard – Vocals
Darrin Goodman – Guitar
Sebastian Martin – Guitar
Ron Zemanek – Bass
Matt LeFevre – Drums

SONIC PROPHECY – Facebook

Seeds Of Mary – The Blackbird And The Dying Sun

Le prime prediche del reverendo Manson, qualche accenno alla romantica decadenza dei Type O’ Negative e l’hard rock proveniente dalla piovosa Seattle degli Alice In Chains, compongono la struttura su cui poggia il sound del gruppo transalpino, a tratti perfettamente funzionante, in altri un po’ meno.

Nuovo lavoro per i francesi Seeds Of Mary, gruppo proveniente da Bordeaux ed attivo da circa sei anni.

Il quartetto transalpino arriva con The Blackbird and the Dying Sun al quarto lavoro, confermando una buona costanza nelle uscite con nuova musica licenziata praticamente ogni anno dal 2013 poi.
Il nuovo lavoro non si discosta dalle passate uscite seguendo la via tracciata con ancora una volta in primo piano un metal/rock alternativo, pregno di atmosfere gothic, moderne e dalle reminiscenze grunge: le prime prediche del reverendo Manson, qualche accenno alla romantica decadenza dei Type O’ Negative e l’hard rock proveniente dalla piovosa Seattle degli alice In Chains, compongono la struttura su cui poggia il sound del gruppo transalpino, a tratti perfettamente funzionate altri un po’ meno.
Il problema di The Blackbird And The Dying Sun è la prolissità, più di un’ora con le stesse atmosfere e sfumature ripetute all’infinito fanno perdere l’attenzione anche a chi del genere è amante incondizionato.
La prima parte dell’album mostra una band che, con buona padronanza del songwriting, alterna le sue ispirazioni con brani dal taglio più alternativo seguiti da altri più oscuri, con il rock ed il metal moderno che si dividono gli onori di brani come I Am Not Afraid, l’hard rock della seguente Here Comes The Night, il metal moderno della mansoniana Lord Of The Flies e il Seattle sound di Like A Dog.
Come detto, a lungo andare The Blackbird And The Dying Sun si perde un po’ lasciando al rock intimista e dark di Oceanic Feeling la palma di miglior brano della seconda parte del cd.
Un album che, tagliando qualche riempitivo, avrebbe lasciato più ricordi in chi ascolta, ma che per una manciata di buoni brani si porta a casa un giudizio più che sufficiente.

Tracklist
1. I Am Not Afraid
2. Here Comes the Night
3. Lord of the Flies
4. What Have We Done
5. Like a Dog
6. The Blackbird
7. The Dying Sun
8. Sovereign Mind
9. Sense of Sacrifice
10. Oceanic Feeling
11. Vice & Virtue
12. Back to the Woods

Line-up
Jérem – Vocals
Julien – Guitars
Raph – Guitars, Vocals
Eliott – Bass, Vocals
Aaron – Drums

SEEDS OF MARY – Facebook

Avatar – Avatar Country

Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Siamo arrivati al settimo album della saga targata Avatar, una delle band più originali e sorprendenti che il metal possa annoverare tra le sue fila.

Nato come melodic death metal band, infatti, il gruppo svedese ha cambiato pelle non solo tra un album e l’altro ma addirittura all’interno della stessa opera, lasciando pochissimi punti di riferimento stilistici e passando tra i generi dei più disparati come un ape in un bellissimo prato fiorito.
Capitanati dall’incredibile ugola del singer Johannes Michael Gustaf Eckerström, capace come la musica di trasformarsi a suo piacimento in un singer death ed un attimo dopo lanciare il suo grido di battaglia dai toni power metal, per poi avanzare marziale come un cantante industrial metal, la band ci consegna un concept incentrato sulla storia di un uomo destinato a diventare un re, arrivato nell’arida terra di Avatar per regnare a colpi di metal, vario, alternativo e soprattutto fuori dagli schemi.
L’album parte magnificamente con l’intro Glory To Our King, che lascia spazio al power metal della poderosa Legend Of The King per poi aprirsi al modern southern rock di The King Welcome You To Avatar Country; King’s Harvest è un brano moderno e dalle reminiscenze industrial, mentre A Statue Of The King è un massacro alla Slipiknot, fino al chorus che torna al metal più classico.
Avatar Country è una continua altalena di sorprese, un luna park di emozionante musica moderna che non conosce barriere né confini, suonata in modo impeccabile e non potrebbe essere altrimenti visto i continui cambiamenti di umori e velocità.
King After King è una semi ballad dal tiro tradizionalmente heavy, attraversata da un assolo nella parte centrale, mentre le due parti di Silent Song Of The King concludono l’album: la prima, Winter Comes When the King Dreams of Snow è un’intro atmosferica che ci accompagna verso la seconda parte, The King’s Palace, traccia strumentale che conclude questo ottimo e variopinto lavoro.
Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Tracklist
1. Glory to Our King
2. Legend of the King
3. The King Welcomes You to Avatar Country
4. King’s Harvest
5. The King Wants You
6. The King Speaks
7. A Statue of the King
8. King After King
9. Silent Songs of the King Pt. 1: Winter Comes When the King Dreams of Snow
10. Silent Songs of the King Pt. 2: The King’s Palace

Line-up
Johannes Michael Gustaf Eckerström – Vocals
John Alfredsson – Drums
Kungen – Guitars
Tim Öhrström – Guitars
Henrik Sandelin – Bass

AVATAR – Facebook

Wojczech / Krupskaya – Wojczech / Krupskaya

La 7 Degrees Records ci presenta uno split in versione 12″ che vede alternarsi due band attive nella scena underground estrema: i tedeschi Wojczech e i britannici Krupskaya.

La 7 Degrees Records ci presenta uno split in versione 12″ che vede alternarsi due band attive nella scena underground estrema: i tedeschi Wojczech e i britannici Krupskaya.

I primi si possono ormai considerare dei veterani della scena death/grind:  la loro data di inizio delle belligeranze risulta il 1993 ed in tutti questi anni il quartetto non è stato certo a guardare, pubblicando una vagonata di split insieme ad altrettante band provenienti dai più svariati paesi e due full length, Sedimente, uscito nel 2005 e Pulsus Letalis, targato 2010.
Il loro sound è un massacrante e moderno death/grind supportato dalla doppia voce, e si spinge in territori vicini al black metal per una buona alternanza di ritmiche ed umori estremi che favoriscono l’ascolto.
Sickening Discretion sa di death metal scandinavo, portato alle estreme conseguenze da un massacro ritmico tipico del grind risultando un brano davvero interessante; una band da seguire e senz’altro da rivalutare per gli amanti del genere che avranno di che sorridere mentre la propria testa comincerà a sanguinare per i colpi inferti dai Krupskaya e dai loro quattro potentissimi brani.
Meno conosciuto e poco incline a lasciare informazioni è invece il gruppo proveniente da Stoke-on-Trent, attivo da una dozzina d’anni, con un curriculum fatto di un paio di lavori e varie compilation, più gli immancabili split da tradizione nel genere, che si rifà ai maestri inglesi Napalm Death.
Quindi eccoci di fronte ad un grind devastante e feroce, suonato da una macchina da guerra estrema che non fa prigionieri e che nella sua poca originalità ha nell’impatto la sua travolgente forza.
La band ci presenta quattro brani,tra i quali Frozen Bodies Against The Wire e Skin Of The Cruciform To Ash risultano devastanti esempio di grind, tra rallentamenti al limite dello sludge e ripartenze fulminee e letali.
Due gruppi molto diversi tra loro ma allo stesso tempo portatori di musica estrema senza compromessi.

Tracklist
1.Wojczech – Burning Solids
2.Wojczech – Sickening Discretion
3.Wojczech – Stunde des Wolfes
4.Krupskaya – Frozen Bodies Against the Wire
5.Krupskaya – A Dawn of Shattered Silence
6.Krupskaya – Theosophical Separation of Earth
7.Krupskaya – Skin of the Cruciform to Ash

Line-up
Krupskaya:
Alex – vocals
Tim – guitar
Ed – drums

Wojczech:
Stephan Gottwald – Drums
Stephan Kurth – Guitars, Vocals
Danilo Posselt – Vocals
Andy Colosser – Vocals, Bass

WOJCZECH – Facebook

KRUPSKAYA – Facebook

Bleeding Gods – Dodekathlon

L’ascoltatore si rimbocca le maniche ed aiuta Ercole nelle sue leggendarie dodici fatiche, tra sfuriate death/thrash e atmosfere oscure che le orchestrazioni epico guerresche rendono ancora più mastodontiche.

Puntuale arriva la prima bomba death metal del nuovo anno.

A lanciarla è la Nuclear Blast che prende tra le sue fila gli olandesi Bleedings Gods e licenzia il loro nuovo album, Dodekathlon, un epico e monumentale lavoro di death metal old school, tra ritmiche thrash, orchestrazioni e tanto metal estremo made in Netherlands.
Le dodici fatiche di Ercole sono raccontate da questi cinque dei dell’olimpo estremo di chiara ispirazione orange, ma senza tralasciare (specialmente in questo album) di richiamare altri nomi immortali del death epico ed oscuro come i Septic Flesh, gli Hypocrisy, i nostrani Fleshgod Apocalypse e gli ultimi micidiali Kreator.
La band, al secondo lavoro, sforna un gioiellino che nel genere fa piazza pulita, essendo suonato con l’esperienza di musicisti in giro da anni a martoriare strumenti sui palchi di mezzo mondo.
L’ascoltatore si rimbocca le maniche ed aiuta Ercole nelle sue leggendarie dodici fatiche, tra sfuriate death/thrash, atmosfere oscure che le orchestrazioni epico guerresche rendono ancora più mastodontiche: From Feast To BeastBirds Of Hate, dove i Kreator incontrano la band olandese per una jam estrema nella dimora degli dei, Savior Of Crete, l’intermezzo strumentale Tyrannical Blood, che con le sue armonie acustiche accompagnate da un recitato ci introduce alle ultime quattro fatiche, e la sinfonia estrema di Tripled Anger che non lascia scampo, sono i brani da sottolineare in una tracklist che non ha cedimenti.
Con Hound Of Hell si concludono le fatiche del nostro eroe e questo bellissimo lavoro, ma il leggendario guerriero è destinato a fare gli straordinari perché premere nuovamente il tasto play è inevitabile.
Dodekathlon è un’opera bellissima ed emozionante, suonata divinamente e nobilitata da un songwriting di un’altra categoria.

Tracklist
1.Bloodguilt
2.Multiple Decapitation
3.Beloved By Artemis
4.From Feast To Beast
5.Inhuman Humiliation
6.Birds Of Hate
7.Saviour Of Crete
8.Tyrannical Blood
9.Seeds Of Distrust
10.Tripled Anger
11.Hera´s Orchard
12.Hound Of Hell

Line-up
Mark Huisman – Vocals
Ramon Ploeg – Guitar
Gea Mulder – Bass & Backing vocals
Rutger van Noordenburg – Guitar
Daan Klemann – Drums

BLEEDING GODS – Facebook

Dragonsfire – Visions Of Fire

Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.

I power metallers tedeschi Dragonsfire riesumano il loro primo album uscito nel 2008 per la Pure Steel intitolato Visions Of Fire.

La band, attiva da una dozzina d’anni, ha fin qui licenziato questo lavoro più un altro full length intitolato Metal Service, uscito due anni dopo l’esordio, più altri due ep ed uno split con i compagni di bevute Steelpreacher, anch’essi votati all’heavy power metal senza compromessi.
Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.
Il povero Thassilo Herbert, scomparso due anni fa, era un cantante ruvido ed aggressivo ma di poco carisma e monocorde, ed il suo cantato accompagnava una serie di cliché che fanno dell’ascolto un tuffo nel power metal scolastico e acerbo, sicuramente non le credenziali giuste per assicurarsi un minimo di interesse, in tempi in cui il genere non è più tra le preferenze dei fans e le semplici cavalcate con il doppio pedale sono state travolte dall’approccio sinfonico e progressivo dei nuovi eroi del metal dai rimandi classici.
Una proposta, dunque, che non credo possa trovare più estimatori della prima volta in cui questa raccolta di brani ha fatto la sua comparsa sul mercato, anche allora in ritardo sul tabellino dell’interesse dei true defenders.
Wings Of Death, la successiva Dragonsfire Rockxxx, l’epica Burning For Metal e Shine On, non fosse per la voce poco adatta al genere, risulterebbero delle power metal songs d’impatto e vicino a quanto fatto da gruppi come Unrest o Rebellion, pur non andando oltre una sufficienza risicata e meritata solo per un’attitudine ed un impatto che sono le uniche virtù del combo tedesco.

Tracklist
1.Devil’s Road
2.Wings of Death
3.Dragonsfire Rockxxx
4.Burning for Metal
5.Rebellion – The Kingdom of Heaven
6.The Defendant
7.Shine On
8.The Other One
9.Oath of Allegiance

Line-up
Jan Müller – Drums
Matthias Bludau – Guitars
Timo Rauscher – Guitars
Thassilo Herbert – Vocals, Bass

DRAGONSFIRE – Facebook

Corrosion Of Conformity – No Cross No Crown

I Corrosion Of Conformity sanno suonare rock pesante e licenziano un altro best seller che si aggiunge alla loro discografia, alzando l’asticella quanto basta per risultare inarrivabili per almeno il 90% dei gruppi odierni.

Pepper Keenan è tornato nel gruppo e i Corrosion Of Conformity tornano a fare hard southern rock stonerizzato come ai tempi di Deliverance e Wiseblood.

Questo, in breve, è quello che troverete sul nuovo lavoro firmato dalla leggendaria band del North Carolina, per molti di nuovo in corsa per il trono del genere, per il sottoscritto mai scesi dallo stesso neppure dopo il precedente lavoro, IX, registrato con la formazione a tre ormai quattro anni fa.
Dunque, dopo una decade al servizio dei Down, il chitarrista e cantante torna a riunire la banda che ha fatto scintille da Deliverance (uscito nel 1994) fino a In The Arms Of God (2005), anche se il capolavoro Blind rimane uno dei più riusciti esempi di alternative metal degli anni novanta, mentre l’ultimo lavoro era un calcio nel deretano hardcore di dimensioni bibliche.
I Corrosion Of Conformity sanno suonare rock pesante e licenziano un altro best seller che si aggiunge alla loro discografia, alzando l’asticella quanto basta per risultare inarrivabili per almeno il 90% dei gruppi odierni, aiutati da uno stato di grazia compositivo e da una voglia ancora intatta di suonare metal come lo si fa negli stati del sud, soffocati dal caldo, morsi da coccodrilli e serpenti e soggiogati da rituali voodoo.
Woody Weatherman, Mike Dean e Reed Mullin, dopo l’ottimo lavoro precedente che ispirava vecchie reminiscenze hardcore, con il nuovo supporto di Keenan, stordito dalla potenza sludge dei Down, tornano a fare quello per cui sono diventati la più grande band statunitense degli ultimi trent’anni tra quelle che non siano uscite dalle strade di Seattle: il loro è un hard rock massiccio, marcio e stonato, animato da una vena southern di livello superiore e No Cross No Crown, grazie ad un lotto di brani che sono la bibbia del southern/stoner metal, è la prova tangibile del fatto con i Corrosion Of Conformity si dovranno fare i conti ancora a lungo, piaccia o meno.
Registrato in North Carolina con il produttore John Custer, l’album è un concentrato di rock pesantissimo alla maniera della band, un via vai di mid tempo mastodontici che mescolano al loro interno almeno trent’anni di rock ‘n ‘roll, per vomitarlo poi in una lava incandescente che esce dalla bocca di un vulcano, pregno di groove come nell’uno due mortale The Luddite / Cast In The First Stone, folgorante inizio di questo lavoro.
La band ci invita a sabba psichedelici ed introspettivi come nella title track, mentre le casse tremano, le cuffie si sciolgono e gli stereo continuano a far girare i cd ma della plastica rimane solo un ammasso di vischiosa ed informe materia.
Wolf Named Crow, Nothing Left To Say, Old Disaster, ma potrei nominarvele tutte come nessuna, sono alcune delle  tracce (ben quindici) che compongono questo ennesimo monumento musicale targato Corrosion Of Conformity, fatelo vostro e segnatelo come migliore album del genere di questo nuovo anno, anche se siamo solo a gennaio …

Tracklist
01. Novus Deus
02. The Luddite
03. Cast The First Stone
04. No Cross
05. Wolf Named Crow
06. Little Man
07. Matre’s Diem
08. Forgive Me
09. Nothing Left To Say
10. Sacred Isolation
11. Old Disaster
12. E.L.M.
13. No Cross No Crown
14. A Quest To Believe (A Call To The Void)
15. Son And Daughter

Line-up
Pepper Keenan – Vocals, Guitars
Woodroe Weatherman – Guitars
Mike Dean – Bass, Vocals
Reed Mullin – Drums, Vocals

CORROSION OF CONFORMITY – Facebook

Inner Hate – Reborn Through Hate

Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

La Sicilia è terra di rock e di metal: i gruppi delle varie scene sparse sul territorio sono stati ampiamente trattati da MetalEyes, che da anni ha dedicato la giusta attenzione alle più meritevoli realtà nate a sud dello stretto.

E’ quindi con piacere che vi presentiamo i thrashers Inner Hate, trio proveniente da Caltanissetta composto da Daniel Ferrara (voce, chitarra), Matt Amodeo (basso) e l’ex Thrash Bombz Vincenzo Lombardi (batteria).
La band si è formata nel 2013 ed ha già dato alle stampe un primo ep, First Hate To The World: Reborn Through Hate, anche per l’entrata in formazione di Lombardi, è un nuovo inizio per gli Inner Hate che, quattro anni dopo, tornano a mietere vittime con il loro metal estremo che si nutre di thrash come di death metal di matrice scandinava, costruendosi un sound personale ed assolutamente coinvolgente.
I quattro brani risultano altrettante esplosioni di adrenalinico metal estremo, old school nell’attitudine, violentissimo nell’impatto e valorizzato da un ottimo lavoro strumentale: nei riff di scuola scandinava troviamo la perfetta commistione con le ritmiche thrash, a formare una sacra alleanza che affianca i Kreator agli Entombed e ai primi Edge Of Sanity.
Funziona alla grande questa fusione di note nata sulle rive del mediterraneo, un patto mortale tra generi “nordici” nel caldo delle terre siciliane, mentre la devastante Time To Kill lascia spazio alla conclusiva title track, un brano perfetto per attendere l’armageddon.
Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

Tracklist
1.Sentenced to Damnation
2.Unholy Cross of Death
3.Time to Kill
4.Reborn Through Hate

Line-up
Mattia Amodeo – Bass
Daniel Ferrara – Guitars, Vocals
Vincenzo Lombardi – Drums

INNER HATE – Facebook

Marginal – Total Destruction

Total Destruction convince, il sound rimane ancorato al death metal anche se hardcore e grind lo violentano esaltandone la parte distruttiva, mentre i rallentamenti classici del genere si alternano a sfuriate devastanti come una pioggia di napalm.

L’attivissima Transcending Obscurity ci presenta i Marginal, gruppo belga la cui proposta estrema è un grindcore/crust davvero ben fatto, distruttivo e senza compromessi.

Il quintetto, nato quattro anni fa rilascia questo devastante lavoro composto da mezzora scarsa di metal estremo old school, influenzato dall’hardcore e considerato dal gruppo come la colonna sonora della distruzione totale.
Testi di denuncia contro il sistema corrotto che, come un virus, infetta i governi mondiali e un approccio altamente esplosivo fanno di questo massacro in musica un’ottima sorpresa per i fans del genere, attirati dall’artwork che ricorda non poco i Discharge, idoli incontrastati dei musicisti della scena grindcore (Napalm Death, Extreme Noise Terror).
Total Destruction convince, il sound rimane ancorato al death metal anche se hardcore e grind lo violentano esaltandone la parte distruttiva, mentre i rallentamenti classici del genere si alternano a sfuriate devastanti come una pioggia di napalm.
Il growl è tipico del metallo di morte, profondo e abissale, niente a che vedere con i grugniti a cui ci hanno abituato molte delle band nate negli ultimi tempi, e i brani mantengono una perfetta forma canzone così da essere apprezzati anche dagli amanti del death metal old school.
I dodici brani superano a stento i due minuti, a parte Red Kebab, che per metà della sua durata viaggia nel lento incedere del doom/death per poi cambiare marcia e, come un vento atomico, spazzare via tutto.
Total Destruction, nel genere, è un lavoro riuscito e perfettamente in grado di reggere il confronto con le opere dei colleghi più famosi, sta a voi dargli una chance.

Tracklist
1. Barbarians
2.Delirium Tremens
3.Ruination
4.Impaled
5.Useless Scum
6.I Used to be Intelligent
7.Rat Kebab
8.The Violent Way
9.Leech Invader
10.Fucked Up Society
11.Atom Sapiens
12.Total Destruction

Line-up
Johan – Vocals
Timmy – Guitar
Martin – Guitar/Vocals
Steven – Drums
Rui – Bass

MARGINAL – Facebook

Apparition – The Awakening

The Awakening si può confondere nell’immenso universo del metal sinfonico, ma all’ascolto regala sfumature varie che ne fanno un album personale e meritevole d’attenzione da parte degli amanti dei suoni melodici a sfondo dark/gotico.

Una delle prime uscite targate Wormholedeath di questo nuovo anno si veste di pizzo e merletti, usa il fioretto invece della sciabola e ci delizia con un raffinato metal melodico, dai rimandi gothic/dark, anche se non accentuati come nelle proposte abituali nel metal con voce femminile.

Si parla dell’ultimo lavoro degli Apparition, gruppo proveniente dal Regno Unito che ha i suoi natali addirittura nel 1997, ma che di fatto vede la sua partenza discografica nel 2004, sempre per volontà del bassista David Homer.
Terzo lavoro sulla lunga distanza, una line up che negli anni ha cambiato i suoi protagonisti fino alla formazione che troviamo su quest’ultimo album e che vede lo storico bassista affiancato da Ashley Guest alle pelli, Amy Lewis e Paul ‘Kull’ Culley alle chitarre e Fiona Creaby a regalare emozioni al microfono.
The Awakening non risulta il solito symphonic metal album, anche se brani come la splendida Resonance sono colmi di quelle atmosfere orchestrali che portano inevitabilmente a collocarlo nel genere, anche se la band usa le sinfonie con parsimonia, lasciando al tocco raffinato del piano il compito di rivestire d’eleganza il sound che, spogliato dalle sfumature gotiche e classiche, si avvicina all’hard & heavy con splendidi assoli di scuola tradizionale e ritmiche che esaltano il lato hard rock della musica.
E’ bellissima la voce della cantante, perfettamente a suo agio tra le varie sfumature che regalano questa raccolta di tracce, e perfetta è la produzione che riesce a valorizzare i suoni dei tasti d’avorio, molte volte morbido tappeto su cui si poggiano le canzoni (Eternity).
L’album è piacevole, porta con sé quell’eleganza tutta britannica senza esagerare in suoni bombastici, e lascia al talento vocale della Creaby il compito di portare l’ascoltatore verso la perdizione tra le trame di delicati passaggi dai tenui colori grigio scuri (Home, Twilight) o travolgerlo con parti metalliche dall’appeal magnifico (Hold Back The Night).
The Awakening si può confondere nell’immenso universo del metal sinfonico, ma all’ascolto regala sfumature varie che ne fanno un album personale e meritevole d’attenzione da parte degli amanti dei suoni melodici a sfondo dark/gotico.

Tracklist
1. The Awakening (Intro)
2. Hold Back The Night
3. The Dames Of Darkness
4. The Other Side
5. Resonance
6. The Night An Angel Died
7. Eternity
8. Home
9. Break The Chains
10. Our Story Lives On
11. Twilight
12. As Shadows Play

Line-up
Ashley Guest – Drums
Fiona Creaby – Vocals
David Homer – Bass;
Amy Lewis – Guitars;
Paul ‘Kull’ Culley – Guitars/Sequencing

APPARITION – Facebook

Hexx – Wrath Of The Reaper

Sia per chi conosceva gli Hexx prima di questo lavoro, sia per chi fino ad ogni ne ignorava l’esistenza, Wrath Of The Reaper è un lavoro riuscito e meritevole della giusta attenzione.

Tornano con un nuovo lavoro gli Hexx, gruppo della prima era dell’US power metal attivo dal lontano 1983, anno in cui uscì il primo demo.

Il gruppo capitanato da Dan Watson, al quale si deve la reunion della band (anche se non con tutti i membri originari),  si fece conoscere negli anni ottanta grazie ad un ottimo e aggressivo power/speed metal, poi, dopo i primi tre full length sparì dalla scena per oltre vent’anni, tornando oggi con un nuovo album in tutto e per tutto figlio del metal classico di scuola statunitense.
Wrath Of The Reaper sposa il genere e lo nobilita con ottimi inserti heavy, accompagnandolo con una produzione che mantiene l’approccio classico, pur risultando a passo coi tempi: ne esce così un ritorno da non perdere per gli amanti dei suoni classici, perché gli Hexx con la loro attitudine power/thrash rendono il tutto potente ed aggressivo, tra cavalcate e solos taglienti che la coppia di chitarristi Watson/Wright valorizza con un riffing d’alta scuola.
Mike Horn al basso e John Shafer alla batteria formano una sezione ritmica martellante, furiosa e veloce ed Eddy Vega sciorina una prova da cantante di razza, così che Wrath Of The Reaper abbia tutte le carte in regola per risultare un gradito ritorno.
Ovviamente anche per gli Hexx i tempi gloriosi in cui facevano scintille con il debutto No Escape (1984) e soprattutto il successivo Under The Spell (1986) sono ormai un ricordo, ma il nuovo album riesce comunque a convincere senza sembrare un’operazione nostalgica; dopo una partenza a razzo con almeno i primi quattro brani dall’impatto travolgente, l’album si assesta su un livello discreto alternando qua e là devastanti tempeste metalliche a momenti più ordinari, rimangono però le ottime performance in brani feroci e taglienti come l’opener Macabre Procession Of Spectre, A Slave In Hell e Swimming The Witch, che danno il benvenuto all’ascoltatore con in mezzo il piccolo capolavoro power/speed Screaming Sacrifice.
Quindi, sia per chi conosceva gli Hexx prima di questo lavoro, sia per chi fino ad ogni ne ignorava l’esistenza, Wrath Of The Reaper è un lavoro riuscito e meritevole della giusta attenzione.

Tracklist
1. Macabre Procession Of Specters
2. Screaming Sacrifice
3. Slave In Hell
4. Swimming The Witch
5. Dark Void Of Evil
6. Unraveled
7. Voices
8. Exhumed For The Reaping
9. Circle The Drain
10. Wrath Of The Reaper
11. Certificate Of Death CD-Bonustrack

Line-up
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

HEXX – Facebook

https://youtu.be/IE6Un2FfFEI

Nephren-Ka – La Grande Guerre De L’èpice

L’album è un ottimo esempio di quello che nel genere specifico si dovrebbe trovare: tanta tecnica al servizio di un sound coinvolgente e che non dimentica i semplici ascoltatori, lasciando ad altri la mera tecnica da sfoggiare tra musicisti.

Negli ultimi tempi ho avuto modo di ascoltare una manciata di lavori estremi nei quali la mera tecnica esecutiva soffocava letteralmente il lato più atmosferico ed emotivo, creando solo un’insieme di suoni tecnicamente ineccepibili ma freddi e fuori da ogni minima forma canzone.

Questo non succede con l’ultimo lavoro dei Nephren-ka, gruppo transalpino che suona del technical death metal brutale e old school.
Siamo al secondo full length di una carriera iniziata dieci anni fa e che ha visto la band produrre il classico demo di debutto, un ep ed il primo lavoro sulla lunga distanza rilasciato nel 2013 (The Fall Of Omnius).
Ispirato come sempre dai romanzi che formano il ciclo di Dune scritto da Frank Herbert, La Grande Guerre De L’èpice è un ottimo esempio di metal estremo e brutale, tecnicamente ineccepibile ma ben legato ad una trama sonora stabile, così che i brani non scappano all’ascolto a cavallo di cervellotici passaggi strumentali.
Il gruppo francese sa come gestire al meglio un genere come il death metal più tecnico e quindi tutto funziona a meraviglia facendo di La Grande Guerre De L’èpice un lavoro altamente riuscito.
Brani come The Demise of Ix o New Melange For The Real God sono attraversati da un’aura epica che avvicina non poco il sound ai maestri Nile, una delle maggiori influenze del gruppo insieme a Origin e, per la parte maggiormente old school, i Bolt Thrower.
L’album è un ottimo esempio di quello che nel genere specifico si dovrebbe trovare: tanta tecnica al servizio di un sound coinvolgente e che non dimentica i semplici ascoltatori, lasciando ad altri la mera tecnica da sfoggiare tra musicisti: i Nephren-Ka ci sono riusciti dove altri gruppi più blasonati hanno invece fallito, complimenti al gruppo francese.

Tracklist
1.Watch and Learn
2.Plan to Master the Universe
3.The Demise of Ix
4.Proditoris Gloriosa
5.Idar Fen Adijica
6.New Melange for the Real God
7.The Great Spice War
8.Fenring’s Test
9.From High Hopes to Failure Complete
10.Mirror Mirror (Candlemass cover)

Line-up
Laurent Chambe – Vocals/Guitars
Sebastien Briat – Guitars/Backing vocals
Thibault « Zakk » Gosselin – Bass
Thibaud Pialoux – Drums

NEPHREN-KA – Facebook

Sirgaus – L’Amore, L’Ardore e L’Alviano

Un’opera che musicalmente si nutre di rock come di sinfonie orchestrali, di folk come di atmosfere teatrali, e il tutto viene usato da con maestria da Gosetti per dare vita alle storie che si sviluppano accompagnate dalla musica e dalle voci dei suoi protagonisti.

La vena creativa di Mattia Gosetti è lungi dall’ essere esaurita e, a distanza di un anno dall’ultima opera dei Sirgaus (Il Treno Fantasma), torna con una nuova storia raccontata attraverso la musica ed ambientata come sempre tra le montagne e le valli della sua terra, il bellunese.

Accompagnato dalla cantante e consorte Sonja Da Col, Gosetti da vita ad un altro splendido concept, dopo le fortune artistiche di Sofia’s Forgotten Violin licenziato nel 2013, il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, uscito a suo nome due anni dopo, ed appunto il precedente lavoro che confermava ancora una volta il talento compositivo del nostro e la bontà del sodalizio artistico con quella che è pure compagna di vita.
Questa volta il polistrumentista veneto fa quasi tutto da solo, aiutato al microfono dalla Da Col, da Diego Gosetti ai cori e dal tenore Matteo Brustolon nei panni di Bartolomeo d’Alviano.
L’Amore, L’Ardore e L’Alviano è dunque un concept che racconta le imprese di quel personaggio, degli eventi portati dal suo passaggio a Cibiana Di Cadore, della fabbricazione e del commercio delle chiavi, iniziato proprio in quel periodo e per cui è conosciuto il paese natale dei musicisti, la leggenda degli Sbroa Fen e la storia d’amore tra un soldato ed una guida paesana.
Ormai Gosetti ha una sua precisa identità artistica, quindi per chi conosce la sua musica, le atmosfere suggestive e le poetiche sfumature sinfoniche e folkloristiche non sorprendono più di tanto, ma ancora una volta ci mettono innanzi ad un musicista senza uguali nel panorama rock/metal, capace di dare vita ad un’opera che regala episodi bellissimi come La Marcia Dell’Alviano, Mi son Veneto, l’epica Mani Nella Neve, la splendida Cibiana, le sfumature folk di Chiavi e Profezie, l’epica sinfonia di La Battaglia Di Rusecco, che ci trasportano nel 1500 tra le case e le viuzze di Cibiana di Cadore, testimoni delle vicende narrate.
Un’opera che musicalmente si nutre di rock come di sinfonie orchestrali, di folk come di atmosfere teatrali, e il tutto viene usato da con maestria da Gosetti per dare vita alle storie che si sviluppano accompagnate dalla musica e dalle voci dei suoi protagonisti.

Tracklist
1.L’Amore, L’Ardore, L’Alviano
2.Il Disegno Suo
3.La Marcia Dell’Alviano, Mi Son Veneto
4.Mani Nella Neve
5.I Boschi Su Deona
6.Cibiana
7.Chiavi E Profezie
8.Tu Proteggi I Sogni Miei
9.I Sbroa Fen
10.Un Amore Di Montagna
11.La Battaglia Di Rusecco
12.La Serenissima Vittoria
13.Ritorno A Cibiana

Line-up
Sonia Da Col – Voce
Mattia Gosetti – Bass, Guitars , Vocals, Orchestral Synth e Programming

Matteo Brustolon – Vocals
Diego Gosetti – Chorus

SIRGAUS – Facebook

Beyond Forgiveness – The Great Wall

The Great Wall arriva tranquillo ad un’abbondante sufficienza, ma lo consiglio solo ai fans accaniti del genere e a chi ha confidenza con i primi vagiti di una scena nata ormai venticinque anni fa nel nostro continente, mentre per i giovani consumatori di symphonic metal bombastico trovo che l’album possa risultare alquanto ostico.

Un altro combo symphonic gothic metal si affaccia sulla scena metallica, questa volta a vele spiegate dal nuovo continente verso la vecchia Europa, terra più ricettiva per questi suoni.

La nave battente bandiera del Colorado ci porta la musica dei Beyond Forgiveness, quartetto attivo da un po’ di anni, ma arrivato sul mercato solo nell’ultimo periodo.
In due anni un singolo, l’ep The Ferryman’s Shore e questo ultimo lavoro, dal titolo The Great Wall, debutto sulla lunga distanza che nulla aggiunge e nulla toglie al genere ma piace per le molte sfumature folk, il sempre presente growl ad accompagnare la voce femminea ed operistica, ed un approccio dark/gotico che ricorda i primi Theatre Of Tragedy.
Il sound dell’album si avvicina alle opere uscite a metà anni novanta, non solo della band che fu di Liv Kristine ma anche quelle della scuola olandese che fanno capolino tra le trame di brani irrobustiti da una componente estrema che va dal growl alle ritmiche.
Una produzione che lascia le orchestrazioni in secondo piano, specialmente quando la sezione ritmica prende il sopravvento, ed una leggera prolissità in qualche brano (Imprisoned, I Will Fight Till The End) sono invece i difetti maggiori di un’opera che decolla per perdere quota a tratti e poi riprendersi lungo il tragitto.
The Great Wall arriva tranquillo ad un’abbondante sufficienza, ma lo consiglio solo ai fans accaniti del genere e a chi ha confidenza con i primi vagiti di una scena nata ormai venticinque anni fa nel nostro continente, mentre per i giovani consumatori di symphonic metal bombastico trovo che l’album possa risultare alquanto ostico.

Tracklist
1.End of Time
2.The Great Wall
3.Sanctuary
4.Imprisoned
5.Interlude
6.Moment of Truth
7.Never Before
8.Dream Before I Sleep
9.I Will Fight Till The End
10.Every Breath

Line-up
Michael Bulach – Drums
Greg Witwer – Guitars, Vocals (backing)
See also: Hell’s Eden, Vital Malice
Richard Marcus – Guitars, Vocals (backing)
Talia Hoit – Vocals

BEYOND FORGIVENESS – Facebook

Vojd – Behind The Frame

Nati dalle ceneri dei Black Trip, si affacciano sul mercato i Vojd con questo ep di due tracce che anticipa il debutto sulla lunga distanza con il nuovo monicker.

Nati dalle ceneri dei Black Trip, band svedese che sotto il segno dell’heavy metal ha licenziato due full length (Goin’ Under e Shadowline tra il 2013 ed il 2015), si affacciano sul mercato i Vojd con questo ep di due tracce che anticipa il debutto sulla lunga distanza con il nuovo monicker.

Sul lato A la veloce e melodica Behind The Frame (canzone che da il titolo al 7″) ci presenta una band rinnovata anche nel suono, che si rivela un hard & heavy tra Def Leppard e Kiss, quindi roba per rocker belli e fatti con un accenno di groove nelle ritmiche che fa tanto cool, anche in una proposta vintage come quella della band svedese.
Ottimi chorus e riff che sprizzano melodia da tutti i pori fanno del sound dei Vojd un buon esempio di heavy metal classico, assolutamente tradizionalista ma furbo quel tanto che basta per non sfigurare anche nello stereo dei giovani dai gusti old school.
Funeral Empire si veste di nero e ci regala un riff sabbathiano nel refrain, per poi lasciare all’assolo melodico tutta la gloria. un buon brano tra heavy metal, reminiscenze doom e qualche sfumatura stoner, un tocco personalissimo nel sound targato Vojd.
Non resta che attendere il full length per avere un quadro più ampio e preciso delle potenzialità del gruppo svedese, anche se le prospettive per un buon lavoro ci sono tutte.

Tracklist
1. Behind The Frame
2.Funeral Empire

Line-up
Peter Stjärnvind – Lead guitar
Joseph Tholl – Bass and lead vocals
Linus Björklund – Lead guitar
Anders Bentell – Drums and percussion

VOJD – Facebook

Millennium – Awakening

Un buon talento strumentale e vocale è la chiave della riuscita dei piccoli gioielli metallici che costellano un lavoro davvero bello, specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone.

Heavy metal conosciuto come NWOBHM, quindi assolutamente di origine britannica, è quello che troverete magicamente tra i brani di Awakening. secondo lavoro dei redivivi Millennium.

Nati nei primi anni ottanta il gruppo battente bandiera della Union Jack e capitanato dal singer Mark Duffy, membro originale insieme al batterista Steve Mennell ed in seconda battuta al chitarrista Dave Hardy (entrò nel gruppo due anni dopo), torna con un altro bellissimo album di heavy metal come lo si suonava all’epoca, metallo pesante pregno di solos melodici, orgoglioso, maschio e soprattutto composto da belle canzoni.
Avete presente i primi due album dei Maiden con Paul Di Anno?
Bene, aggiungetevi un tripudio di ritmiche sassoni, qualche accenno al periodo Dickinson fino a Powerslave, una voce che senza sentire il peso degli anni si piazza proprio tra la bestia e Biff ed avrete bello che pronto il ritorno dei Millennium, una sorta di seconda giovinezza iniziata con Caught in a Warzone del 2016, dopo che la carriera della band si interruppe nel lontano 1987 con un solo album omonimo all’attivo.
Dopo aver reclutato il chitarrista Will Philpot ed il bassista Andy Fisher, il gruppo inglese ci fa vedere di che pasta è fatto con questa raccolta di brani supportati da una produzione moderna, che consente di assaporare gli intrecci chitarristici, i chorus che si stampano in testa al primo giro di ruota ed una forma smagliante per quanto riguarda il songwriting, davvero superlativo.
Awakening è un album da sparare nelle orecchie di chi afferma che queste sonorità risultano obsolete, infatti bastano le virtù elencate per far rialzare la testa all’heavy metal, troppo spesso umiliato da produzioni vintage assolutamente inadeguate e da soluzioni power sinfoniche che, con la NWOBHM, c’entrano come i cavoli a merenda.
Un buon talento strumentale e vocale è la chiave della riuscita dei piccoli gioielli metallici come l’opener False Reality, la seguente Rise Above, la marcia metallica dal titolo Searching e la potente Witch Hunt, picchi di un lavoro davvero bello, specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone. , specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone.

Tracklist
1.False Reality
2.Rise Above
3.Searching
4.The Spell
5.Awakening
6.Lies All Lies
7.The Calling
8.Witch Hunt
9.When Mad Men Rule
10.Revolution Calls
11.Possessed

Line-up
Mark Duffy – vocals
Steve Mennell – Drums
Dave Hardy – Guitar
Will Philpot – Guitar
Andy Fisher – Bass

MILLENNIUM – Facebook

Anvil – Pounding The Pavement

Non cambia la formula che ha fatto la storia degli Anvil e del metal, quindi, se cercate tutti i cliché tipici del genere, mister Steve “Lips” Kudlow e compari vi hanno accontentato anche questa volta.

Il nuovo anno metallico è appena iniziato e si presenta con il nuovo album degli storici Anvil, il diciassettesimo full length di una lunga storia iniziata all’alba degli anni ottanta per il gruppo canadese, capitanato da quel personaggio simpaticissimo e sopra le righe che è Lips, un rocker che mai si è dato per vinto e che è arrivato nel nuovo millennio con la sua musica.

Non cambia la formula che ha fatto la storia degli Anvil e del metal, quindi, se cercate tutti i cliché tipici del genere, mister Steve “Lips” Kudlow e compari (Robb Reiner, Chris Robertson) vi hanno accontentato anche questa volta.
Pounding The Pavement è un nuovo inno all’hard’n’heavy nella sua forma più grezza, ignorante e se mi passate il termine, rock’n’roll: gli Anvil non conoscono vecchiaia e stanchezza, partono con Bitch In The Box e vi scaricano undici pugni nello stomaco, alternando mid tempo tellurici dal riff scolpito nella sacra montagna dell’heavy metal, veloci partenze hard’n’roll che fanno sbattere la capoccia a Lemmy, giù nel girone infernale delle rockstar, e brani dall’impatto metallico di un tuono prima del diluvio universale.
Non è pane per chi cerca l’originalità, gli Anvil li devi prendere così, amarli per quello che sono e che rappresentano, indipendentemente dal fatto che la musica rock/metal si sia evoluta in tutti questi anni e loro invece stiano ancora lì, a saltare su un palco oggi come nel 1981.
Doing What I Want, Rock That Shit, Black Smoke e via tutte le tracce che compongono questo lavoro, sono ancora una volta 100% Anvil, senza trucchi ne inganni, it’s only rock ‘n’ roll, intransigente, metallico, tripallico ed esagerato.
Qualcuno potrebbe chiedersi se c’è ancora bisogno di album così e la risposta, mentre la gamba si alza e carica un calcio nel deretano, è assolutamente sì.

Tracklist
1. Bitch In The Box
2. Ego
3. Doing What I Want
4. Smash Your Face
5. Pounding The Pavement
6. Rock That Shit
7. Let It Go
8. Nanook Of The North
9. Black Smoke
10. World Of Tomorrow
11. Warming Up
12. Don´t Tell Me (Bonus Track)

Line-up
Steve “Lips” Kudlow – Guitars, Vocals
Robb Reiner – Drums
Chris Robertson – Bass

ANVIL – Facebook

Roadkillsoda – Mephobia

Citazioni più o meno famose e cliché che nutrono di già sentito i brani, fanno di Mephobia un album godibile, e se un po’ di ripetitività lascia che qualche sbadiglio affiori verso la fine dell’ascolto, il tutto viene bilanciato dal almeno tre ottime tracce.

Quando si parla di Romania riguardo al metal viene spontaneo pensare al gothic ed al doom, generi che nel paese balcanico  vengono espressi in maniera qualitativamente alta.

Quindi i Roadkillsoda fanno parte di una scena (quella stoner rock) che sicuramente non fa pensare alle foreste ed ai castelli immersi nelle valli e sulla cime dei Carpazi, ma al caldo delle pianure americane: il quartetto di Bucarest infatti suona musica desertica, hard rock stonerizzato e, come da trend, alimentato da una vena nostalgica tra rock settantiano e alternative proveniente dagli anni novanta.
Niente di nuovo sotto il sole della capitale rumena, ma estremamente funzionale a quello che il gruppo vuole trasmettere, ovvero hard rock diretto, stonato e vintage.
In giro da ormai un po’ di anni, la band ha dato alle stampe quattro album, compreso quest’ultimo lavoro intitolato Mephobia, e ha avuto i suoi inevitabili aggiustamenti per quanto riguarda la formazione ed arriva carica e sul pezzo per farci sognare ancora di sabbia scaldata dal sole, crotali dai sonagli impazziti e lunghe camminate persi nel caldo asfissiante della Sky Valley.
Citazioni più o meno famose e cliché che nutrono di già sentito i brani, fanno di Mephobia un album godibile, e se un po’ di ripetitività lascia che qualche sbadiglio affiori verso la fine dell’ascolto, il tutto viene bilanciato dal almeno tre ottime tracce (Prometheus, Casuality e la psichedelica Dip).
I soliti Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un po’ di Black Label Society a metallizzare quanto basta il suono di Mephobia, sono i primi nomi di una lunga lista di influenze accostabili al gruppo rumeno, ma se del genere non potete fare a meno i Roadkillsoda vi sapranno tenere buona compagnia.

Tracklist
1.Prometheus
2. Bipolar
3.Consequences
4.Easy
5.Casualty
6.Legless
7.Order
8.Dip
9.Backhander
10.Tonight
11.Trust

Line-up
Mircea Petrescu “Hotshot Eagle” – Vocals
Mihnea Ferezan “Panda Elixir” – Guitars
Victor “Vava” Ferezan – Bass
Mihai Nicolau “Baby Jesus” – Drums

ROADKILL SODA – Facebook

Magnum – Lost On The Road To Eternity

Lost On The Road To Eternity rimane un’opera al 100% Magnum, quindi consigliata ai rockers amanti delle melodie di scuola Clarkin/Catley, anche se manca in parte quel tocco epico/fantasy per cui la storica band britannica è famosa, ma al ventesimo lavoro non ci si può certo lamentare.

Il ventesimo album dei Magnum è il primo appuntamento importante dell’anno appena iniziato: Bob Catley e Tony Clarkin tornano ad un anno di distanza dalla raccolta di ballads che aveva fatto emozionare i cuori dei fans del gruppo (The Valley Of Tears-The Ballads) e a due dall’ultimo lavoro composto da inediti (Sacred Blood “Divine” Lies).

Lost On The Road To Eternity ha nella partecipazione di Tobias Sammet, come ospite nella title track, la sua più grossa novità, per il resto il nuovo lavoro viaggia con il pilota automatico nel mondo Magnum.
E’ un album riuscito, pregno di melodie sognanti, accenni al progressive, in molti punti cardine orchestrato a meraviglia e cantato ancora una volta da un menestrello che non conosce vecchiaia, almeno nella sua splendida ed inconfondibile voce.
Un’opera che si sviluppa su quasi settanta minuti di musica rock dagli elevati contenuti melodici, ma che non rinuncia ad elettrizzare l’ambiente con riff duri come il ferro e di cui Clarkin è autentico maestro (bellissima in questo senso Without Love).
Poi, dopo un inizio che ci regala il meglio del songwriting firmato Magnum (Show Me Your Hands, Welcome To The Cosmic Cabaret), l’entusiasmo si placa leggermente per una serie di brani di maniera, belli, altamente melodici ma che non accendono la sacra fiamma dell’emozionalità come il gruppo britannico ci ha abituato (Ya Wanna Be Someone e Forbidden Masquerade), ne esce un album che sicuramente verrà apprezzato dai fans del gruppo, ma che risulta leggermente inferiore al suo predecessore, avaro di punti deboli.
Lost On The Road To Eternity rimane un’opera al 100% Magnum, quindi consigliata ai rockers amanti delle melodie di scuola Clarkin/Catley, anche se manca in parte quel tocco epico/fantasy per cui la storica band britannica è famosa, ma al ventesimo lavoro non ci si può certo lamentare.

Tracklist
1. Peaches and Cream
2. Show Me Your Hands
3. Storm Baby
4. Welcome to the Cosmic Cabaret
5. Lost on the Road to Eternity
6. Without Love
7. Tell Me What You’ve Got to Say
8. Ya Wanna Be Someone
9. Forbidden Masquerade
10.Glory to Ashes
11. King of the World

Line-up
Tony Clarkin – Guitars
Bob Catley – Vocals
Rick Benton – Keyboards
Al Barrow – Bass
Lee Morris – Drums

MAGNUM – Facebook

In Vain – Currents

Currents esplode in fuochi artificiali progressivamente metallici e alterna splendide atmosfere avanguardiste a sfuriate estreme.

La nuova scena progressiva che accomuna metal estremo e classico in una più ampia visione musicale, accoglie da più una decina d’anni gli In Vain, gruppo che nello spazio di tre lavori sulla lunga distanza ed un ep si è costruito una solida reputazione, tanto da prestare quattro quinti della band agli storici Solefald nella versione live!

La band norvegese torna con un nuovo album, appunto il quarto, intitolato Currents, un’opera che si avvicina inesorabile alla definizione di capolavoro, un bellissimo quadro musicale che mai come questa volta unisce in maniera quasi perfetta death metal melodico, progressive, epicità e sfumature post rock.
Prodotto da Jens Bogren (Opeth, Dimmu Borgir, Katatonia, Devin Townsend, Kreator, etc) ai Fascination Street Studios e con l’artwork curato dall’artista Costin Chioreanu (Paradise Lost,Enslaved, At The Gates, etc), Currents esplode in fuochi artificiali progressivamente metallici già dall’opener Seekers Of The Truth e alterna splendide atmosfere avanguardiste a sfuriate estreme, dove death e black metal vengono ricamati e colorati di sfumature epiche, armonie e sinfonie orchestrali, così come di riff classici e melodici.
Una serie di ospiti valorizzano con la loro presenza questo inno al progressive moderno di scuola nordica, e tra questi vanno citati Baard Kolstad (Leprous, Borknagar) alla batteria e Matthew Kiichi Heafy (Trivium) e Kristian Wikstøl (From Strength to Strength) alla voce.
Bellissimo ed emozionante, l’album regala momenti di grande musica moderna in Blood We Shed come in As The Black Horde Storms, estrema e matura, varia nel combinare atmosfere differenti in un unico sound, mentre Origin è il brano più rock del lotto ed il sax crimsoniano della conclusiva Standing On The Grounds Of Mammoths fa da prologo ad una parte semiacustica nell’unica traccia spiccatamente settantiana, almeno per i canoni estremi del gruppo norvegese.
Il resto, come scritto, è quanto di meglio il genere possa offrire, con la band che gioca a suo piacimento con ispirazioni legate a nomi come Amorphis, Leprous, Opeth e Solefald, in un vortice di note entusiasmante.

Tracklist
1. Seekers of the Truth
2. Soul Adventurer
3. Blood We Shed
4. En Forgangen Tid (Times of Yore Pt. II)
5. Origin
6. As The Black Horde Storms
7. Standing on the Ground of Mammoths

Line-up
Johnar Håland – Guitars, synth pads, bgv
Sindre Nedland – Lead vocals and clean vocals
Alexander Bøe – Bass
Kjetil Domaas Petersen – Solo guitar
Andreas Frigstad – Vocals

Guest musicians:
Baard Kolstad (Leprous, Borknagar) – Drums
Kristian Wikstøl (From Strength to Strength) – Hardcore vocals
Matthew Kiichi Heafy (Trivium)– Vocals
Simen Høgdal Pedersen – Vocals
Audun Barsten Johnsen – B3 Hammond and church organ
Magnhild Skomedal Torvanger – Violin and viola
Ingeborg Skomedal Torvanger – Cello
Line Falkenberg – Saxophone

IN VAIN – Facebook