Sinlust – Sea Black

Sono mari oscuri e pericolosissimi quelli su cui navigano i Sinlust, gruppo black metal transalpino al secondo album dopo il debutto di ormai sei anni fa (Snow Black).

Il nuovo Sea Black è, di fatto la seconda parte di un concept sviluppato con il primo disco, una storia dark/fantasy scritta dal cantante Firefrost con lo pseudonimo di Nicolas Skinner, diventato un romanzo (Noire Neige) che ha ottenuto un discreto successo.
La musica che accompagna la storia è un metal estremo dai rimandi black metal, con molte parti atmosferiche tra soluzioni progressive ed ovviamente dark, seguendo lo sviluppo della trama.
Sea Black è un’opera davvero riuscita ed affascinante, l’album è curato e prodotto bene così da poter godere dei passaggi a tratti più intricati che il combo usa a suo piacimento, non mancando di travolgere l’ascoltatore con la furia, come in una tempesta al largo delle coste dove, le onde altissime prendono la forma di demoni prima di scagliarsi violentemente sulla prua straziata dagli elementi.
Un’ora esatta di metal estremo ben eseguito dove non manca la melodia: il lavoro delle sei corde ha spunti classici nei solos, lo scream declama epico e cattivo la trama, mentre la sezione ritmica si accanisce senza pietà sui navigli dal timone spezzato.
Black metal epico e dark travolgente (Dawning Of The Volcano God è splendidamente epica e terrificante) con un uso perfetto delle atmosfere: poche, quasi nulle le tastiere, ma tanta musica oscura pregna di epicità progressiva.
Echi dei primi Opeth in un contesto black metal che ricorda la cattiveria di Gorgoroth e primi Satyricon, otto perle nere che non scendono sotto i cinque minuti e regalano intense emozioni estreme come in Cannibal Beast, Sea Of Trees e nella conclusiva e spettacolare Forgotten’s Master, progressive black metal in un crescendo di straordinario trasporto emotivo.
I Sinlust suonano musica estrema spettacolare: una grande band ed un album bellissimo, ovviamente consigliato.

TRACKLIST
01. Red Priestess
02. Sea Conquerors
03. Dawning Of The Volcano God
04. Cannibal Beast
05. Streams Attractions
06. Sea Of Trees
07. Trilateral Conflict
08. Forgotten’s Master

LINE-UP
Firefrost – Vocals
Infernh – Drums
Chris in lust – Guitars
Rain Wolf – Bass

SINLUST – Facebook

Necromutilator – Ripping Blasphemy

Dalla fredda e nebbiosa pianura mantovana arrivano i Necromutilator, trio diabolico al servizio dell’oscuro signore attivo dal 2009 e con un paio di lavori alle spalle: il demo The Devil Arisen del 2011 ed il full length Eucharistic Mutilations, uscito tre anni fa.

Tornano con Ripping Blasphemy, ep di quattro brani licenziato dalla Terror From Hell, quindici minuti di metal estremo oscuro e malato, tra death, black e thrash old school.
Un’atmosfera malsana accompagna tracce malefiche come la title track, brano dall’impronta death metal con una forte anima black, mentre Exhorted Sacrifice si avvicina al mood del thrash vecchia scuola.
Un sound senza compromessi, che vuole rappresentare il puro male in musica, è quello che accompagna i tre diabolici musicisti (P. voce e chitarra, R. batteria e E. al basso) nel loro glorificare la morte e la malvagità a colpi di death/thrash/black ispirato da Morbid Angel, Venom e primi Darkthrone.
I Necromutilator si confermano una band da seguire per i fans del metal estremo più nero ed abissale .

TRACKLIST
1.Ripping Blasphemy
2.Exhorted Sacrifice
3.Unholy Semen of Doom
4.Gate to Eternal Possession

LINE-UP
P – Vocals, Guitars
R – Drums
E – Bass

NECROMUTILATOR – Facebook

Sunroad – Wing Seven

Un album onesto di musica dura come si faceva una volta, con un cantante in palla, buone trame chitarristiche ed almeno due o tre brani meritevoli d’attenzione.

La tradizione metallica del Brasile si concretizza in tutti i generi e sotto generi dell’universo musicale che più ci piace, con il death metal ed i suoni hard’n’heavy che si giocano il ruolo di traino per tutto il movimento.

I Sunroad suonano hard & heavy da quando il secolo scorso ha lasciato il passo al nuovo millennio, un ventennio circa di suoni tradizionali ora marchiati a fuoco da un nuovo cantante (Andre Adonis), novità di non poco conto nell’economia del sound del gruppo.
Unico membro originale rimasto è il batterista Fred Mika, da sempre in sella al gruppo di Goiania che arriva, con questo Wing Seven, al sesto lavoro sulla lunga distanza di una carriera discografica che si completa con un ep ed una raccolta di brani dei primi tre album.
Hard ed heavy metal che si uniscono come nella migliore tradizione in un sound a tratti esplosivo, pescando tra Europa e Stati Uniti, rigorosamente in ambiti ottantiani: ne esce un buon album, forse appesantito da un che di già sentito, ma è comunque un ascolto rivolto agli amanti dei suoni che hanno fatto la storia dell’ hard & heavy mondiale.
Si passa così da brani chiaramente hard rock e che richiamano lo stile losangelino, a composizioni più in linea con l’heavy metal europeo, con le tastiere che prendono il comando delle operazioni ed i Rainbow che diventano principale fonte di ispirazione per la band brasiliana.
Un album onesto di musica dura come si faceva una volta, con un cantante in palla, buone trame chitarristiche ed almeno due o tre brani meritevoli d’attenzione (In The Sand, Day By Day e Brighty Breakdown): da ascoltare, visto che potrebbe piacere a più di un appassionato.

TRACKLIST
1.Destiny Shadows
2.White Eclipse
3.In the Sand
4.Misspent Youth
5.Tempo (What Is Ever)
6.Whatever
7.Skies Eyes
8.Day by Day
9.Craft of Whirlwinds
10.Drifting Ships
11.Brighty Breakdown
12.Pilot of Your Heart
13.Last Sunray in the Road

LINE-UP
Akasio Angels – Bass, Vocals
Netto Mello – Guitars, Backing Vocals
Fred Mika – Drums, Vocals
Andre Adonis – Vocals (lead)

SUNROAD – Facebook

Malkavian – Annihilating the Shades

Le influenze sono riscontrabili nei gruppi estremi thrash/death metal statunitensi, ma i Malkavian ci mettono del loro, d’altronde l’ esperienza è secolare e la fame di sangue inesauribile…

Una bomba sonora questo ultimo lavoro dei vampiri di Nantes che, sotto il monicker Malkavian, ci aggrediscono con il loro thrash/groove metal assolutamente devastante.

Difficile trovare un gruppo che, con un nome e un concept vampiresco, distrugga tutto con la forza del thrash moderno, invece di ipnotizzarci con languide melodie gotiche, ma si sa, la cattiveria dei vampiri dipende dal ceppo e dagli anni in cui la loro stirpe comanda e il 2017 è l’anno dei Malkavian.
Annihilating the Shades è dunque un devastante e violentissimo esempio di metal moderno dai rimandi thrash e dal groove che sprizza come sangue dalle vene e dalle arterie: qui i vampiri sono quelli di Underworld e non del classico Dracula (tanto per intenderci), guerrieri della notte in lattice ed automatiche, un esercito di super uomini in una battaglia che dura dalla notte dei tempi e dalla colonna sonora estrema ed esaltante, pura follia omicida rappresentata da inni al male come Alter Of The Damned, Ruins, l’annichilente, oscura e maligna The Great Overset e il muro di creature della notte pronti a colpire al segnale di Encryption Process.
Romaric “Riko” Lamare è un non morto che sputa odio dal microfono, la sezione ritmica un massacro di innocenti (Florian Pesset al basso ed Alex Jadi alle pelli), le chitarre armi micidiali tra ventate di morte e melodie allucinate che, invece di smorzare la tensione, rendono ancora più terrificante e violento il sound (Nicolas Bell e Mathieu Deicke).
Le influenze sono riscontrabili nei gruppi estremi thrash/death metal statunitensi, ma i Malkavian ci mettono del loro, d’altronde l’ esperienza è secolare e la fame di sangue inesauribile…

TRACKLIST
1.Resurgence
2.Altar of the Damned
3.Spit Away
4.Ruins
5.Annihilating the Shades
6.The Great Overset
7.Encryption Process
8.Kba
9.Void of a Thousand Eyes

LINE-UP
Florian Pesset – Bass
Nicolas Bel – Guitars & Backing Vocals
Romaric Lamare – Vocals
Alex Jadi – Drums
Mathieu Deicke – Guitars

MALKAVIAN – Facebook

Hot Cherry – Wrong Turn

Non così scontato come potrebbe sembrare ad un primo approccio, Wrong Turn si fa apprezzare per la sua energia e per quell’atmosfera sanguigna e vera che è alla base della riuscita di un album del genere.

Wrong Turn è il primo lavoro dei toscani Hot Cherry, uscito qualche mese fa autoprodotto ed arrivato a MetalEyes tramite l’etichetta napoletana Volcano Records, che si è aggiudicata le prestazioni del gruppo del cantante Jacopo Mascagni.

La band nasce nel 2009, ma purtroppo, dopo l’uscita del singolo Scar In The Brain, nel 2013 si scioglie, con il cantante che di fatto rimane l’unico componente e, non arrendendosi, comincia il reclutamento di nuovi componenti.
Nel corso degli anni gli sforzi per dare una nuova vita al gruppo vengono ripagati e con la formazione al completo vede la luce Wrong Turn, una mazzata di metal/rock, dal groove micidiale, potente e dall’anima thrash.
Jacopo Mascagni viene così raggiunto da Nik Capitini e Luca Ridolfi alle chitarre, Kenny Carbonetto al basso e Stefano Morandini alle pelli, e insieme danno vita a questa mezz’ora di muro sonoro che non lascia dubbi sull’impatto di questa nuova formazione e del suo sound, vario nel saper pescare da vari generi, senza mai abbandonare la strada del metal moderno ricco di groove e di un pizzico di pazzia rock ‘n’ roll.
Mascagni canta come se non ci fosse un domani, le frustrazioni passate vengono riversate su nove tracce che non lasciano respiro fin dall’opener Anonymous: una mazzata senza soluzione di continuità tra hard rock, groove, stoner rock, ed attitudine thrash ‘n’ roll che si evince dal singolo Scar In The Brain, dalla mastodontica Craven e dalla devastante Call To The Void.
Non così scontato come potrebbe sembrare ad un primo approccio, Wrong Turn si fa apprezzare per la sua energia e per quell’atmosfera sanguigna e vera che è alla base della riuscita di un album del genere.
Immaginatevi una jam tra i Pantera, gli Anthrax, i Corrosion Of Conformity e i Beautiful Creatures ed avrete un’idea della proposta degli Hot Cherry, non male davvero.

Tracklist:
1.Anonymous
2.8000 HP
3.Scar In The Brain
4.Narrow Escape
5.Craven
6.On Your Own
7.Call To The Void
8.Modern Vampire
9.Bloody Butterfly

Line-up:
Jacopo Mascagni – Vocals
Nik Capitini – R&L Guitars
Luca Ridolfi – R Guitars
Kenny Carbonetto – Bass
Stefano Morandini – Drums

HOT CHERRY – Facebook

Critical Solution – Barbara The Witch

In Barbara The Witch si parla streghe, roghi ed inquisizione e il gruppo ci va a nozze, tra devastanti fughe thrash, atmosfere classicamente heavy e sfumature horror metal.

I thrashers norvegesi Critical Solution fecero innamorare il sottoscritto un paio d’anni fa, in occasione dell’uscita del bellissimo Sleepwalker.

Tornano oggi con Barbara The Witch, un concept album tratto da un’opera di Arthur Brown (The God Of Hellfire) e ci troviamo ancora una volta davanti ad un album esaltante, che mescola thrash metal e tematiche horror metal.
Per chi non conoscesse ancora i quattro stregoni norvegesi ricordo che la band è attiva da una dozzina d’anni, arriva con questo album al traguardo del terzo full length dopo aver dato alle stampe un paio di ep, il debutto sulla lunga distanza Evil Never Dies del 2013 ed il precedente Sleepwalker.
Dunque si parla di streghe, roghi ed inquisizione e il gruppo ci va a nozze, tra devastanti fughe thrash metal di ispirazione statunitense (Metallica, Testament), atmosfere classicamente heavy (Rainbow, Black Sabbath) e le sfumature horror metal prese in prestito dal King Diamond e valorizzate da un songwriting sopra la media.
Non ci si annoia con la musica dei Critical Solution, le loro ispirazioni danno vita ad un saliscendi di emozioni metalliche, tra ritmiche che corrono all’impazzata, arpeggi melodici che creano atmosfere oscure, chitarre come le fiamme che ricoprono i corpi delle streghe e segnano la pelle con frustate solistiche.
La splendida thrash horror metal The Burning Pyre risulta il cuore dell’album, un crescendo drammatico che parte con un recitato, mentre la furia prende il sopravvento per poi lasciare spazio ad una marcetta tragica, mentre il cielo si oscura, le fiamme toccano i nuvoloni grigi e la strega grida ai carnefici la sua maledizione: in due parole, brano fantastico.
Chiaramente Barbara The Witch non si ferma certo qui, regalando ancora almeno un paio di tracce spettacolari come The Village, Red Hooded Devils e The Headless Horsemen brano che i Metallica non scrivono da una vita.
Quando tutto sembra finito, il bonus cd incluso nell’album ci dona una manciata di cover di classici dell’hard & heavy suonati alla maniera dei Critical Solution, ed allora preparatevi alle esaltanti nuove versioni di Let It Die (Ozzy Osbourne) e, tra le altre, Speed King dei Deep Purple, e la straordinaria versione dell’indimenticabile Gypsy degli Uriah Heep.
Come scritto in occasione del precedente lavoro, siamo al cospetto di una grande band, imperdibile per gli amanti dell’horror metal e soprattutto del thrash old school.

TRACKLIST
1. Natas Fo Live
2. The Village
3. Barbara the Witch
4. Red Hooded Devils
5. Peter Crow
6. The Burning Pyre
7. End of the Beginning
8. The Headless Horsemen
9. Officer Green
10. A Lady in White
11. Return of the Witch
12. Into the Abyss

CD 2 – “Covers From Hell”
1. Locked up in Snow (King Diamond’s Black Rose cover)
2. Let it Die (Ozzy Osbourne cover)
3. Killed by Death (Motörhead cover feat. Whitfield Crane/LaRocque)
4. Iron Man (Black Sabbath cover)
5. Speed King (Deep Purple cover)
6. Gypsy (Uriah Heep cover feat. Snowy Shaw)

LINE-UP
Christer Slettebø – Vocals/Lead Guitar
Egil Mydland – Drums
Eimund Grøsfjell – Bass
Guitar Bjørnar Grøsfjell – Guitar

http://www.facebook.com/CriticalSolution

My Own Ghost – Life On Stand By

Classico album da locale elettro/dark rock o semplicemente da autoradio, con chorus che per lo più sono facili da ricordare ed escursioni elettroniche che sanno di Depeche Mode ma anche di primi Lacuna Coil

I My Own Ghost sono una band lussemburghese di pop/rock con voce femminile, qualche schitarrata sconfinante nell’hard rock e note ruffiane che si susseguono per tutta la durata di questo melodicissimo lavoro dal titolo Life On Stand By.

Il quintetto, attivo dal 2013, e con un primo album archiviato tre anni fa (Love Kills), si ripresenta sul mercato tramite la Secret Entertainment e lo fa al meglio delle sue possibilità, con una mezz’ora abbondante di melodie tra rock, pop, sfumature dark e riff hard che permettono ai My Own Ghost di rimanere aggrappati al calderone metal/rock.
Julie Rodesch non manca di incantare con la sua voce personale ed interpretativa risultando il pezzo pregiato del gruppo, mentre melodia e grinta tenuta a freno compongono un lotto di brani piacevoli ma nulla più.
Classico album da locale elettro/dark rock o semplicemente da autoradio, con chorus che per lo più sono facili da ricordare ed escursioni elettroniche che sanno di Depeche Mode ma anche di primi Lacuna Coil, anche se chiaramente la band italiana possiede un’impronta molto più metal.
10 Week Of Summer è un piccolo passo verso il metal gotico, dove la Rodesch sfoggia una voce notevole anche quando i toni si fanno più alti, mentre la successiva If I Stay solca strade new wave e l’elettronica impazza anche in No Air, altro brano in evidenza, tra ritmiche che si induriscono nel refrain.
In conclusione un buon lavoro, melodico ed orecchiabile, che potrebbe regalare qualche gelido brivido pop/dark rock.

TRACKLIST
01. Life On Standby
02. Everytime I Break
03. Alive
04. 10 Weeks Of Summer
05. If I Stay
06. Don’t Say You Love Me
07. No Air
08. The Night Before I Die
09. When Love Is Not Enough
10. Hope

LINE-UP
Julie Rodesch – Vocals
Fred Brever – Guitars
David Soppelsa – Guitars
Joe May – Bass
Michael Stein – Drums

MY OWN GHOST – Facebook

Voltax – No Retreat… You Surrender

La tradizione metallica del continente americano è una delle più importanti e gloriose, ma i Voltax devono ancora fare quel salto che permetta di entrare nella storia del metal classico d’oltreoceano.

Heavy metal old school dal lontano Messico, terra non certo ricettiva per i suoni tradizionali, dunque eccezione che conferma la regola con l’ultimo lavoro dei Voltax.

Attivo nella capitale da oltre dieci anni, il quintetto messicano non le manda certo a dire e sforna un buon lavoro di metal tradizionale, epico, melodico ed assolutamente legato all’heavy metal classico, diviso tra la tradizione europea e quella americana.
No Retreat… You Surrender è il quarto full length di una carriera che va a completare una discografia comprendente pure un live in quel di Wacken nel 2011, cosa non da poco per un gruppo underground sudamericano.
Chiariamo subito che l’album poteva essere prodotto meglio, che la copertina è bruttina e qualche brano ripete la stessa formula, ma è indubbio che la bravura del vocalist (Jerry) e le cavalcate maideniane che fanno capolino in molti dei brani, tengono l’opera ancorata ad un livello buono, anche se andrebbe maggiormente sviluppata la parte americana del sound (quella alla Metal Church, per intenderci), lasciando da parte certe soluzioni fin troppo abusate e prese in prestito dalla New Wave Of British Heavy Metal.
No Retreat… You Surrender si rivela così un lavoro tra alti e bassi, con qualche buon brano (This Void We Raid e The Hero su tutti) che ne avrebbero potuto dar vita ad un ottimo ep, ed alcune tracce che abbassano la media relegando l’album ad una sufficienza piena, ma non di più.
La tradizione metallica del continente americano è una delle più importanti e gloriose, ma i Voltax devono ancora fare quel salto che permetta di entrare nella storia del metal classico d’oltreoceano.

TRACKLIST
1.El fin
2.Broken World
3.This Void We Ride
4.Deadly Games
5.Go with Me
6.Starless Night
7.Night Lasts Forever
8.Explota
9.The Hero
10.25, 6 to 4 (Chicago cover)

LINE-UP
Ganso – Drums, Bass
Jerry – Vocals
Diego – Guitars
Mario “Boludo” – Drums
Ricardo Doval – Guitars

VOLTAX – Facebook

Furious Georgie – Sono Mama!

Si respira a pieni polmoni rock ispirato alla cultura hippy ed agli anni sessanta, con una mistica calata nel mondo Zen al quale il titolo riporta, mentre Trombino magistralmente regala musica da interpretare ognuno secondo la propria sensibilità.

Archiviato il bellissimo album dei deathsters Haemophagus pensavo che per questo 2017 non avrei più incontrato note musicali in arrivo dalla scena palermitana, ma non avevo fatto i conti con Giorgio Trombino, straordinario polistrumentista e compositore, qui nei panni di Furious Georgie, progetto solista di folk psichedelico, rock acustico e beatlesiano ed ennesima sorpresa che questo fantastico musicista riserva ad ogni passo.

Le giornate per Trombino hanno una durata superiore al normale, altrimenti come potrebbe avere il tempo per scrivere suonare e creare così tanta ottima musica?
Ma lasciando da parte complicate spiegazioni sul lavoro del musicista, presentiamo questa nuova veste, almeno per gli amanti dell’hard stoner rock (Sergeant Hamster, Elevators to the Grateful Sky), del funky/jazz ( The Smuggler Brothers) e del metal estremo (Haemophagus, Cavernicular) chiamata Furious Georgie.
Con Sono Mama! (che, in giapponese, significa “proprio così”), il secondo lavoro licenziato con questo monicker, il musicista siciliano dimostra, oltre ad una creatività musicale impressionante per qualità e varietà di stili, di saperci fare con qualsiasi strumento, suonando tutto quanto possa produrre note, magiche, intense, emozionanti.
Ora, non tutti quelli che leggono i miei deliri su MetalEyes sanno della passione che da sempre mi porto per i Beatles, così che da fan e tuttologo dei Fab Four mi viene sicuramente più facile parlarvi di opere come SGT Pepper’s… e Magical Mistery Tour per introdurvi alla musica di Sono Mama!, il tutto ovviamente riveduto e corretto da Furious Georgie, maestro nel saper confondere le idee, ora con accenni al jazz, ora con rintocchi di note progressive ed una solare predisposizione per il rock americano, dalle spiagge della California al deserto della Sky Valley.
Si respira a pieni polmoni rock ispirato alla cultura hippy ed agli anni sessanta, con una mistica calata nel mondo Zen al quale il titolo riporta, mentre Trombino magistralmente regala musica da interpretare ognuno secondo la propria sensibilità: magari ci avvicineremo allo spirito del musicista, magari saremo lontani da tutto ciò, rimane il fatto che come tutte le forme d’arte la musica regala sensazioni diverse ad ognuno di noi, libera di entrare nella nostra mente e nel nostro corpo per donarci emozioni e brividi.
E con Jubilee, Down To The Belice Valley (un passo nel country rock), Love You All The Time e gli altri brani che compongono questo bellissimo lavoro, Giorgio Trombino ci è riuscito ancora una volta.

Tracklist:
1. Jubilee
2. Strange Neighbour
3. Down to the Belice Valley
4. Let Me Sit You Down
5. Love You All the Time
6. Lascio spazio al vuoto
7. Nothing Special at All
8. Shouting in a Desert Street
9. Sono-Mama! 10. Lunar Baby
11. Strange Windy Day
12. What About that Buzz?
13. Dream Matter

Line-up:
Giorgio Trombino – voce, chitarra elettrica e acustica, basso, batteria, pianoforte verticale, synth, sassofono soprano e contralto, lap steel, flauto, mandolino, percussioni

FURIOUS GEORGIE – Facebook

Condor – Unstoppable Power

Un sound che rimane confinato nei meandri dell’underground, a sola esclusiva dei fans legati al thrash metal più rozzo, ignorante ed accecato dalla furia malefica del black metal.

Secondo album per i norvegesi Condor, attivi dal 2009, con il loro sound che esprime l’irruenza del thrash unita alla morbosa devastazione del black metal, tutto rigorosamente old school e sporcato da una cattiveria notevole.

Un sound che rimane confinato nei meandri dell’underground, a sola esclusiva dei fans legati al thrash metal più rozzo, ignorante ed accecato dalla furia malefica del black metal.
Unstoppable Power è tutto qui, un po’ poco per uscire dagli ascolti dei fanatici del genere, con il caos, che regna su brani senza compromessi come l’opener Embrace By Evil o Chained Victims, a ripetersi per tutti i trentasei minuti di durata, tra esplosioni ritmiche di scuola thrash metal, attitudine black e velocità fine a sé stessa.
Chris Sacrifice declama con rabbioso tono le malefatte delle truppe infernali, mentre davanti a noi passano i primi Slayer, i Venom ed i Darkthrone in un mulinello di suoni estremi che ci trascinano sotto e ci lasciano annegare nel sangue delle vittime, massacrati in una battaglia senza fine.
In 83 Days Of Radiation, spunti black’n’roll portano il sound dei Condor davanti all’anima di Lemmy, che arriccia il naso e boccia il gruppo norvegese, impegnato ad essere oltremodo cattivo ma poco incisivo e ripetitivo nelle soluzioni adottate per questo Unstoppable Power.
Sinceramente, qui non ho trovato che una serie di idee abusate fino allo sfinimento dai gruppi che bazzicano nell’underground da un po’ di anni, rendendo questo album perlomeno trascurabile: qualche spunto classico nei solos alza il livello dell’album fino ad una sufficienza risicata.

TRACKLIST
1. Embraced By Evil
2. Riders Of Violence
3. Chained Victims
4. You Can’t Escape The Fire
5. Unstoppable Power
6. 83 Days Of Radiation
7. Malevolent Curse
8. Horrifier

LINE-UP
Chris Sacrifice – vocals, bass, guitars
Maggressor – guitars
Obskurvind – drums

CONDOR – Facebook

Mythra – Still Burning

Still Burning è un album che vi riporterà indietro fino a farvi perdere tra i vicoli nebbiosi di cittadine inglesi all’inizio degli anni ottanta: fate un giro su questa macchina del tempo, non ve ne pentirete.

Ci tuffiamo nel metallo classico e nella New Wave Of British Heavy Metal con i britannici Mythra ed il loro nuovo album, Still Burning.

Il gruppo ha avuto i suoi natali nel Regno Unito addirittura nella seconda metà degli anni settanta, purtroppo però la costanza nel rilasciare nuovi lavori non è stata pari a quella delle band più prolifiche, arrivando solo ora al terzo full length.
Lo storico The Death and Destiny EP, del 1979, non ha mai avuto particolare seguito, a parte due demo usciti negli anni ottanta, con il gruppo britannico ad esordire sulla lunga distanza solo nel 1998 e, di conseguenza, passando quasi inosservato in tempi nei quali i suoni old school non erano presi neppure in considerazione.
Quindi una band poco conosciuta ai più ma, alla luce di questo lavoro, gli amanti della vecchia scuola metallica potranno porre rimedio a questa lacuna, vista la verve e la grinta di questi vecchietti dell’heavy metal.
Metal classico che più non si può, quindi, con un sound che passa dalle ritmiche alla Saxon, alle chitarre che giocano con Judas Priest e Maiden, mentre il tutto è ricamato da una valanga di melodia, assecondata dalla voce da singer di razza di Vince High, che non risparmia toni aggressivi quando i toni si fanno grintosi e taglienti.
Esempi lampanti della vecchia scuola britannica, i Mythra non si lasciano affascinare da sfumature moderne, ma suonano come se fosse il 1984, così da risultare puri, assolutamente legati a suoni metallici vintage che affascinano non poco.
Un album per vecchi metallari, questo Still Burning, magari riuniti in raduni da bikers attempati, dove questi suoni nel nuovo millennio trovano ancora interesse, mentre i minuti passano tra cavalcate heavy, chorus melodici e solos forgiati sul monte dove Dave Murray e Dennis Stratton posarono le tavole della legge del chitarrista heavy metal.
That Special Feeling, seguita da Ride The Storm e  la spettacolare serie di assoli su Victory Song sono i momenti più alti di Still Burning, un album che vi riporterà indietro fino a farvi perdere tra i vicoli nebbiosi di cittadine inglesi all’inizio degli anni ottanta: fate un giro su questa macchina del tempo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1. Still Burning
2. A Call To All
3. That Special Feeling
4. Ride The Storm
5. Survival
6. Battle Cry
7. Silence In The Sirens
8. Sands Of Time
9. Victory Song
10. We Belong
11. Fundamental Extreme

LINE-UP
Vince High – Vocals
John Roach – Guitars
Alex Perry – Guitars
Maurice Bates – Bass
Phil Davies – Drums

MYTHRA – Facebook

Buttered Bacon Biscuits – From The Solitary Woods

From The Solitary Woods è una raccolta di umori ed ispirazioni che vanno dall’hard rock britannico al blues rock, dal progressive al southern, per cinquanta minuti di musica tra tradizione europea e statunitense.

Quando ascoltai per la prima volta Litanies From The Woods, bellissimo esordio degli Witchwood del mastermind Ricky Dal Pane, mi chiesi subito come dovesse suonare l’unico album dei Buttered Bacon Biscuits, prima incarnazione del gruppo di Faenza capitanato dal talentuoso rocker.

La Jolly Roger mi ha accontentato ed in tempi brevi ha ristampato From The Solitary Woods, stupendo e, appunto, unico lavoro di quella che è la prima incarnazione della band colpevole di avermi letteralmente folgorato con il suo hard rock retrò e progressivamente folk.
From The Solitary Woods uscì come autoproduzione nel 2010 e della line up attuale degli Witchwood troviamo, oltre a Dal Pane, Stefano Olivi alle tastiere e Antonio Perugini alla batteria, con Alessandro Aroni al basso e Alex Celli alla sei corde a completare la formazione protagonista di un grande album.
Il sound dei Buttered Bacon Biscuits non si discostava molto da quello che poi diventerà il marchio di fabbrica del nuovo gruppo, la differenza sostanziale era una vena southern che accompagnava i brani, anche quelli più psichedelici andando a comporre una serie di canzoni uniche nel riproporre i dettami settantiani con una forza espressiva devastante.
From The Solitary Woods è una raccolta di umori ed ispirazioni che vanno dall’hard rock britannico al blues rock, dal progressive al southern, per cinquanta minuti di musica tra tradizione europea e statunitense.
Infatti, l’album si chiude con Crosseyed Jesus, un southern blues che parla americano ma che lascia ad un Dal Pane, alias Glenn Hughes in trip per la frontiera, il compito di liberare mandrie di mustang a scorrazzare per le colline.
Uriah Heep e Deep Purple si danno il cambio per accompagnare il sound di cui è intrisa questa raccolta di brani: i tasti d’avorio risultano (come negli Witchwood) importantissimi nella struttura di brani che vivono di riff sanguigni e solos travolgenti, mentre i canti dei nativi americani avvolgono di misticismo tracce sul cui sound, a suo tempo, è stato eretto il totem al dio del rock.
State Of Mind, il blues intenso di Into The Wild ed il rock psichedelico di Essaouira (il brano più vicino alla nuova band di Dal Pane) e l’hard blues morso dal serpente bianco di Loosin’ My Pride fanno di From The Solitary Woods un lavoro imperdibile per chi ama l’hard rock classico ed i suoni vintage, e per chi vuole completare la discografia di un talento non comune come quello del cantante e chitarrista romagnolo.

TRACKLIST
1. Loosin’ My Pride
2. Another Secret In The Sun
3. Essaouira
4. Into The Wild
5. I Hope You’re Feeling Bad
6. No Man’s Land
7. State Of Mind
8. Cross-eyed Jesus

LINE-UP
Riccardo Dal Pane – lead vocals, acoustic guitar
Alex Celli – lead guitar, background vocals
Antonio Perugini – drums
Alessandro Aroni – bass, background vocals
Stefano Olivi – hammond, piano, sinth

WITCHWOOD – Facebook

Hellcraft – Apotheosis Of War

Con Apotheosis Of War siamo nel death metal di matrice americana, suonato con un impatto davvero notevole, grazie a ritmiche efficaci, muri di chitarre alzati a difendere città e growl rabbioso a cantare di sofferenze ed atmosfere brutali.

Il rinnovato interesse per il death metal classico ha portato nuovo entusiasmo ai gruppi storici e fervore nella scena, dove i gruppi nati negli ultimi dieci anni tornano con nuovi e convincenti lavori, come per esempio gli ucraini Hellcraft ed il loro malefico ed estremo parto intitolato Apotheosis Of War.

Il gruppo è in guerra con il mondo da una decina d’anni, l’album in questione è il terzo full length di una discografia che vede altri due album (Антология ужаса del 2010 e Tyranny of Middle Ages licenziato nel 2012) intervallati da un ep, Голод.
Una battaglia combattuta con il supporto della Symbol of Domination Prod, un attacco frontale senza soluzione di continuità tra guerre, orrore e violenze, mentre impera la totale distruzione in un’atmosfera da armageddon.
A livello musicale siamo nel death metal di matrice americana, suonato con un impatto davvero notevole, grazie a ritmiche efficaci, muri di chitarre alzati a difendere città e growl rabbioso a cantare di sofferenze ed atmosfere brutali.
Se vogliamo trovare un difetto all’album, diciamo che i brani tendono ad assomigliarsi un po’ troppo lungo tutta la durata, come se Apotheosis Of War fosse composto da un’unica canzone, un dettaglio che non inficia la prova devastante del quartetto di Berdyansk, con il brano conclusivo When the Sun Goes Out a guadagnarsi la palma di migliore traccia del lotto grazie alle tastiere che rendono il brano ancora più oscuro ed apocalittico.
Un buon lavoro, dunque, per gli Hellcraft, raccomandato agli amanti del death di scuola floridiana.

TRACKLIST
1. Покаяние сквозь боль (The Repentance Through the Pain)
2. Апофеоз войны (Apotheosis of War)
3. Массовое захоронение (Mass Burial Place)
4. Вечная вражда (Eternal Enmity)
5. Под благословением смерти (Under Death Blessing)
6. Изоляция (Isolation)
7. Процесс вырождения (Degeneration Process)
8. Когда погаснет солнце (When the Sun Goes Out)

LINE-UP
Helg – Guitars
Rommel – Guitars
Ailing – Drums
Fill – Vocals

HELLCRAFT – Facebook

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Distillator – Summoning The Malicious

Secondo album per i thrashers olandesi Distillator, una delle band di spicco della scena underground del proprio paese, tornata con questo buon esempio di speed/thrash old school intitolato Summoning The Malicious.

Presentati come una delle band di maggior spicco della scena thrash metal olandese, i Distillator sono un trio dedito ad uno speed/thrash di matrice old school.

Il gruppo, con Summoning The Malicious, taglia il traguardo del secondo full length, successore del debutto sulla lunga distanza Revolutionary Cells, uscito un paio di anni fa, e dell’ep omonimo del 2013.
La band, senza compromessi e con una venerazione per i suoni tradizionali, si cimenta nel classico thrash metal ottantiano, più statunitense che europeo in verità, dunque aspettatevi l’alternanza tra selvagge ripartenze a velocità illegale, voce aggressiva ma pulita e tempi medi che variano il mood di un lavoro devastante sotto ogni aspetto.
Si torna davvero negli anni d’oro del metal, con i Distillator e la loro mezz’ora abbondante di fughe senza freni lungo lo spartito, buone parti strumentali che fanno onore all’heavy metal suonato a cento all’ora e che ha fatto la storia.
Mechanized Existence, Enter The Void, l’oscura ed atmosfericamente lontana dai soliti cliché del thrash The King Of Kings, che si avvicina, a tratti, al metal classico più epico, sono i brani che alzano la qualità di Summoning The Malicious e ne fanno un album dedicato agli amanti dello speed/thrash tradizionale: mentre le band storiche stanno tornando ai fasti dei tempi che furono, la voglia di headbanging si fa sempre più marcata nei thrashers sparsi per il mondo.

TRACKLIST
1. Blinded By Chauvinism
2. Mechanized Existence
3. Estates Of The Realm
4. Summoning The Malicious
5. Enter The Void
6. Algorithmic Citizenship
7. Stature Of Liberty
8. The King Of Kings
9. Megalomania

LINE-UP
Laurens H. – Vocals, Lead Guitars
Frank R. – Bass / Backing Vocals
Marco P. – Drums

DISTILLATOR – Facebook

Exhume To Consume – Let The Slaughter Begin

Gianluca Lucarini, leader dei Degenerhate e mente dietro al progetto a tinte dark Rome In Monochrome, ci prende per mano e con l’inganno ci invita nella tana del serial killer, uno psicopatico e devastante mostro dal nome che richiama un brano degli storici Carcass: Exhume To Consume.

Gianluca Lucarini, leader dei Degenerhate e mente dietro al progetto a tinte dark Rome In Monochrome, ci prende per mano e con l’inganno ci invita nella tana del serial killer, uno psicopatico e devastante mostro dal nome che richiama un brano degli storici Carcass (da Symphonies of Sickness, album del 1989): Exhume To Consume.

Inutile ribellarsi, il covo della bestia ci appare come un rifugio antiatomico, asettico e abbellito da un lettino dove sopra dondolano ganci e catene, un tavolo in un angolo dove si poggiano una serie di ferri chirurgici, in bella mostra su Necroticism – Descanting the Insalubrious, e l’odore del sangue della precedente vittima che riempie le narici e soffoca ogni speranza.
Con una colonna sonora di brutal death metal, dove non manca (e questo è il bello) un lavoro melodico da applausi, la vita ci sfugge sotto le torture del mostro che non risparmia amputazioni ed ogni genere di devastazione corporale splatter /gore, mentre il gruppo intorno a Lucarini ci travolge di metal estremo avvalendosi delle prestazioni sadiche di Sergiu Mincescu (voce), Alessio Reggi (chitarra), Marco Paparella (basso) e Stefano Soprani (batteria).
Ci vuole talento anche ad uccidere, una forma d’arte estrema che si evince nelle sofferenze di chi è vittima, attimi di violenza che nella sua barbarie non mancano di un’eleganza nascosta dal sangue copioso che esce dalle membra lacerate, come le parti melodiche di Hole You Can Eat.
Ma è un attimo, perché il mostro, al minimo accenno di preghiera da parte vostra, torna a fare scempio del vostro corpo senza soluzione di continuità con Bon Appetit (un invito al macello) ed Happy Milf.
La devastante Violated After Death segna questo primo e velocissimo massacro, e l’alternanza tra velocità e rallentamenti sembra accompagnare il lavoro certosino del mostro cannibale.
Per gli amanti del brutal death metal un altro ottimo motivo per seguire la scena nostrana e attenzione … un nuovo mostro gira in città!

TRACKLIST
1.Bon Appetit
2.Violated After Death
3.Happy Milf
4.Hole you can eat

LINE-UP
Sergiu Mircescu – vocals
Alessio Reggi – lead guitar
Gianluca Lucarini – lead guitar/backing vocals
Marco Paparella – bass
Stefano Soprani – drums

EXHUME TO CONSUME – Facebook

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Left Sun – Left Sun

Un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.

Dalla sempre attiva Ethereal Sounds Works arriva questo quartetto di Porto, del quale poco si sa se none che è formato da Flavio Silva (voce e chitarra), Eduardo Oliveira (basso), Artur Jorge (batteria) e Rui Salvador (chitarra solista), ma senz’altro autore di un buon rock metal alternativo.

Quello dei Left Sun è un sound alternativo che attraversa un ventennio di musica rock tra il grunge di Seattle, una musica aperta a molte soluzioni e dalle atmosfere cangianti che formano un album molto interessante.
Quello dei Soundgarden più introspettivi è un paragone calzante, anche per effetto della voce di Silva, che tende a prendere vie melodiche care al Cornell solista, mentre l’elettricità moderata delle sei corde porta a saliscendi emozionali come nei gruppi metal/prog odierni, tra Porcupine Tree e Pain Of Salvation.
Incuriositi? Il gruppo dimostra di saperci fare con queste ispirazioni scomode, visto il valore artistico dei gruppi citati, ma ne esce bene e con un lotto di brani che sanno intrattenere, emozionanti a tratti, aggressivi in altri, introspettivi e malinconici in molte occasioni.
Dopo la lunga opener che funge da intro all’album, Left Sun entra nel vivo con Another Earth e Blaze, due delle tracce cardine di questo lavoro assieme alla più ritmicamente pesante Return Interlude.
A Silva e compagni piace girovagare per lo spartito dei gruppi progressivi alla Porcupine Tree, mentre il grunge fa capolino come parte hard rock del sound di questo ottimo debutto.
Non so quanto sia di facile reperibilità ma se siete amanti del genere Left Sun può rivelarsi una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1.Water Under The Bridge
2.Another Earth
3.Blaze
4:59
4.Skyrim
5.Shifting Sideways
6.Feel
7.Return Interlude
8.Time Reversal
9.Concealed Needs
10.Elysian Hope

LINE-UP
Flávio Silva – Guitars, Vocals
Rui Salvador – Guitars
Eduardo Oliveira – Bass
Artur Jorge – Drums

LEFT SUN – Facebook

Ormyst – Arcane Dreams

Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.

Il symphonic metal, insieme ad un altro paio di generi, dopo un periodo di elevata qualità nelle uscite discografiche trova in questo periodo un momento di stasi.

Certo, i fasti del bellissimo album degli Epica e, a seguire, di varie realtà underground (specialmente italiane) continuano a regalare ottima musica agli amanti dei suoni orchestrali, e le nuove eroine vestite di nero e dalle ugole d’usignolo imperversano dietro ai microfoni delle metal band dal piglio sinfonico o, come nel caso dei francesi Ormyst dalle sonorità molto più vicine al metal progressivo.
Ed infatti questa misteriosa band transalpina (ma sulla pagina Facebook alla voce informazioni, scriverci qualcosina …. magari) capitanata dalla singer Sophia Lawford, novella Tarja Turunen, al metal sinfonico leggermente gotico di preferisce un approccio progressivo, tanto per mettere in luce la bravura tecnica dei componenti ma, al netto di un songwriting discreto, incapace di rendere la musica del gruppo quanto meno originale.
Infatti, nei brani in cui il prog metal prende il sopravvento, la band perde qualcosina in impatto, con la voce che rende palesemente di più sui brani sinfonici, fortunatamente in maggioranza su Arcane Dreams.
Rimane un senso di forzatura nell’ascoltare la pur ottima singer su brani scritti per essere interpretati con una timbrica diversa, mentre su canzoni spiccatamente gotiche come Taste Of Your Tears la voce esce in tutto il suo splendore, richiamando le icone femminili del metal sinfonico.
A fronte di brani buoni nel loro già sentito, in questo debutto prevale l’immaturità artistica di una band al debutto, ancora lontana dal poter percorrere agilmente i sentieri del genere con brani come Following Tree Ghost, Dreamsailor o Randomization.
Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.

TRACKLIST
1. Beneath the Hat
2. Following Three Ghosts
3. Above Airplanes
4. Taste of Your Tears
5. Lady Shalott
6. Scratching Game
7. Dreamsailor
8. Back to Salem
9. Randomization
10. Arcane Dreams

LINE-UP
Sophia Lawford : Vocals, Bass
Sébastien : Guitar
Yvann Drokmar : Bass
D. L. Brandon : Keyboard
Donovan : Drums

ORMYST – Facebook

Arkana Code – Brutal Conflict

Brutal Conflict ci offre una band capace di scrivere ottimo death metal tra Death, Obituary, Carcass e sfumature che arrivano direttamente dal freddo delle terre del nord.

Brutali come il conflitto che si consuma sulle note del loro debutto su lunga distanza, arrivano tramite la Metal Scrap i deathsters abruzzesi Arkana Code, con un David Folchitto in più nel motore e tanta voglia di distruggere con questo ottimo lavoro dal titolo Brutal Conflict.

Nati dalle ceneri degli Urdagtyr, dal 2008 il gruppo è attivo con il monicker attuale, anche se dal demo Galleries of Absurde sono passati ben sette anni e c’è stata una rivoluzione nella line up.
La band si ripresenta in forma smagliante con questo nuovo album, una mazzata death metal tecnica e brutale, buona nel songwriting, ottima nelle prestazioni tecniche dei suoi musicisti con la conferma di David Folchitto sul podio dei batteristi estremi nazionali.
Brutal Conflict amalgama la tradizione americana ad una vena nord europea, e gli Arkana Code possono sicuramente andare fieri di quello che hanno creato, perché i quarantacinque minuti circa di battaglia sono da annoverare tra i più belligeranti e convincenti degli ultimi mesi tra gli ascolti nel genere.
Dieci bombe atomiche che non si fermano davanti a nulla, veloci, tecniche, a tratti frenetiche ed assolutamente devastanti, con quella melodia tipicamente scandinava negli assoli e quel tecnicismo progressivo floridiano nelle ritmiche.
Ma gli Arkana Code sono italiani, ed allora i brani mantengono un succulento formato canzone che si fa spazio tra le nefaste e violentissime Oppressor Of Darkness, Mutilated Reality, Mortuary March e Psychiatric Kingdom, per la quale è stato girato un video.
Brutal Conflict ci offre una band capace di scrivere ottimo death metal tra Death, Obituary, Carcass e sfumature che arrivano direttamente dal freddo delle terre del nord: diversi buoni motivi per non perderselo.

TRACKLIST
01. Intro
02. Violent Human Corruption
03. Oppressor Of Darkness
04. Escape From My Mind
05. Tortured By My Mind
06. Mutilated Reality
07. Dismember The Control
08. The Holocaust Horde
09. Mortuary March
10. Psychiatric Kingdom
11. Astral Illusion

LINE-UP
Francesco Torresi – Vocals
Paolo Ponzi – Guitars
Luca Natarella – Guitars
Giusy Bettei – Bass
David Folchitto – Drums

ARKANA CODE – Facebook

Slaughter – Nocturnal Hell, Surrender Or Die

Siamo in un contesto sonoro acerbo, poi sviluppato nei lavori successivi, ma che odora di storia del genere, quindi una ristampa che per alcuni potrà sembrare ormai obsoleta, ma non per i cultori del metal estremo, che troveranno di che godere tra i vari riferimenti a Slayer, Possessed ed Hellhammer.

Quanto mai opportuna ristampa da parte della Vic Records, almeno per gli amanti del death e del thrash, curiosi delle loro origini.

I canadesi Slaughter, infatti, sono una delle band dalla travagliata storia che, con una manciata di demo e due full length, hanno lasciato il loro nome sulla nascita e lo sviluppo del death metal.
Un quartetto thrash metal nato a metà degli anni ottanta, con un sound che accompagnava le scorribande metalliche di Slayer e Possessed, ma che non mancava di inserire growl e rallentamenti che in seguiti sarebbero diventati prerogativa del death metal.
Solo due full length per il gruppo del chitarrista Dave Hewson, uno come Strappado nel 1987, diventato oggetto di culto tra i fans del genere e uno uscito nel 2004 (Fuck Of Death); nella band canadese per un breve periodo militò anche Chuck Schuldiner , mastermind non solo della sua band ma di tutto un genere.
Nocturnal Hell, Surrender Or Die, rimasterizzato e licenziato dalla Vic Records, ormai assurta a ruolo di memoria storica del genere con le sue ristampe di culto, presenta un gruppo minimale che gioca con l’allora genere più estremo in circolazione, passando da velocissimi e furiosi strappi ad atmosfere macabre e mid tempo catacombali.
La produzione grezza ed il suono in alcuni casi ovattato fanno il resto, così da avere tra le mani uno dei primi esempi di thrash/death.
Siamo in un contesto sonoro acerbo, poi sviluppato nei lavori successivi. ma che odora di storia del genere, quindi una ristampa che per alcuni potrà sembrare ormai obsoleta, ma non per i cultori del metal estremo, che troveranno di che godere tra i vari riferimenti a Slayer, Possessed ed Hellhammer.

TRACKLIST
1.Nocturnal Hell
2.One Foot in the Grave
3.Tortured Souls
4.Disintegrator
5.Incinerator
6.Maim to Please
7.Tyrant of Hell
8.Shadow of Death
9.Death Dealer
10.One Foot in the Grave
11.Surrender or Die
12.Eve of Darkness
13.Massacra (Hellhammer cover)
14.Strappado
15.Tales of the Macabre
16.Cult of the Dead (Instro-Mental)

LINE-UP
Dave Hewson – Vocals, Guitars
Terry Sadler – Bass, Vocals
Ron Sumners – Drums

SLAUGHTER – Facebook

Alex Cordo – Origami

Come molti dei suoi colleghi anche il chitarrista francese punta sulla musica e non sul mero tecnicismo, un bene per l’ascolto che risulta piacevole anche per chi non è amante delle opere strumentali.

Non sono pochi gli album di musica strumentale con i quali si cimentano nuovi virtuosi delle sei corde e MetalEyes non ha mai mancato all’appuntamento con i guitar hero del nuovo millennio che si aggirano tra l’underground, portandosi dietro il loro talento.

Con Alex Cordo si guarda aldilà delle Alpi in terra francese, il suo album si intitola Origami e risulta un buon esempio di hard rock/metal strumentale, molto ben strutturato, attento alla forma canzone e melodico, senza scadere troppo nella tecnica fine a se stessa.
Aiutato in questo lavoro dal bassista Ludo Chabert e dalle pelli di Mike Pastorelli, nella classica formazione a tre, Alex si cimenta in nove brani che alternano ed uniscono l’irruenza dell’hard rock classico con il metal dal taglio progressivo, in un arcobaleno di note metalliche eleganti ma, allo stesso tempo, pregne di attitudine metal, ed infatti dall’opener Straight si arriva al quinto brano prima che la tensione si allenti in una marcia sulla quale la sei corde lacrima sangue in un viavai emozionate.
Si riparte senza indugi con Sunny Day For An Opossum, si rallenta con Prism, in una seconda parte dove l’aggressività e le atmosfere più pacate si danno il cambio e rendono comunque l’ascolto vario e mai stancante.
Come molti dei suoi colleghi anche il chitarrista francese punta sulla musica e non sul mero tecnicismo, un bene per l’ascolto che risulta piacevole anche per chi non è amante delle opere strumentali, dunque Origami è promosso senza remore.

TRACKLIST
1.Straight
2.Above To Clouds
3.Memories
4.Hands Up
5.Himalaya
6.Sunny Day For An Opossum
7.Prism
8.The Crash Test
9.Time For Redemption

LINE-UP
Alex Cordo – Guitars
Ludo Chabert – Bass
Mike Pastorelli – Drums

ALEX CORDO – Facebook