Zombieslut – Massive Lethal Flesh Recovery

Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono

Death metal feroce violento e devastante come un’apocalisse zombie.

Parliamo del mini album dei tedeschi Zombieslut, band old school death metal con chiare ispirazioni brutal di matrice statunitense e concept che, dal primo full length Braineater, passando per il precedente Undead Commando, esplora il mondo macabro, cannibale e putrido dei non morti.
Il gruppo, in attesa di pubblicare il nuovo lavoro sulla lunga distanza, regala offre agli apapssionati questo ep di sei brani, di cui un paio inedite, mentre il resto sono tracce ri-registrate appartenenti all’album d’esordio.
Massive Lethal Flesh Recovery, come da tradizione del gruppo tedesco ci invita in un mondo dominato dagli zombie, quindi scene di cannibalismo, sventramenti ed efferata violenza sono supportate dal sound senza compromessi della band: blast beat e velocità al limite, mid tempo potentissimi ed un growl di stampo brutal, perfetto per raccontare la mattanza perpetuata dai famelici zombie.
Non male nel suo insieme, grazie a brani come Return Of The Zombie, Lycantrophic Funeral, bordate estreme di grande impatto, e ai rallentamenti ben inseriti nel vortice di suoni estremi, Massive Lethal Flesh Recovery mostra un sound vario quel tanto che basta per non risultare monotono, e l’ascolto se ne giova.
Se non conoscete i Zombieslut e amate il death metal old school più brutale, Massive Lethal Flesh Recovery potrebbe essere l’ascolto ideale per approcciarne le sonorità, in attesa di un prossimo full length.

TRACKLIST
1. Return of the Zombie
2. Lycantrophic Funeral
3. Lord of Eternal Pain
4. Braineater
5.Theater of Beautiful Deaths
6. Victims of the Lie

LINE-UP
Frank von Boldt – Guitar,Vocals
Joe Azazel – Guitar
Hamdi Avci – Drums
Mojo Kallus – Bass

ZOMBIESLUT – Facebook

Spreading Dread – Age Of Aquarius

Da Praga arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.

Nell’underground metallico le sorprese sono sempre dietro l’angolo, quindi mai sedersi sugli allori di un ottimo ascolto, quando dopo poco tempo arriva nelle orecchie un altro concentrato di adrenalina metallica.

Da Praga, splendida capitale della Repubblica Ceca, arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.
Il gruppo in attività da quasi dieci anni è al secondo lavoro sulla lunga distanza, Age of Aquarius segue di quattro anni Sanatorium, debutto uscito appunto nel 2012, mantenendo intatto l’approccio progressivo che ne caratterizza il sound, valorizzato da un buon songwriting non troppo cervellotico, con l’alternanza perfetta tra aggressività e melodie ed una spiccata vena sperimentale che rende la raccolta di brani un ascolto per niente scontato, pur mantenendo le linee guida del genere.
Devin Townsend, Mekong Delta e Strapping Young Lad, si scontrano con Exodus e Death e ne esce uno tsunami di note rabbiose, melodiche o progressive, a seconda dell’umore di ogni brano, in questo piccolo scrigno di musica metallica che esplode, appena viene girata la piccola chiave e come un miracolo la musica è libera di veleggiare a ritmo di brani splendidi come Oil-Stained, Karmic Wheels e State Of The Art.
Prodotto ed ovviamente suonato benissimo, Age Of Aquarius risulta un album imperdibile per i fans dei gruppi citati rendendo gli Spreading Dread un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Birth of Consciousness
2.Devolution
3.Oil-Stained
4.Conspiracy
5.Karmic Wheels
6.Prayer for the Living
7.State of the Art
8.Salvia Divinorum

LINE-UP
Miroslav “MIRAC” Korbel – bass, growl
Simon Kotrc – guitar, vocals
Lukas “FUGA” Fujan – guitar
Karel “SAFA” Safarik – drums

SPREADING DREAD – Facebook

Perfidious – Malevolent Martyrdom

Un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

Attivi dal 2014 con questo monicker e divisi tra Novara e Milano arrivano al debutto sulla lunga distanza i nostrani Perfidious, creatura estrema che del death metal old school di matrice statunitense distilla perle di maligna distruzione.

Dal concept misantropo e fortemente anticristiano, il gruppo non lascia trasparire un raggio di luce dal suo sound;
accompagnato da una copertina grigia e che rappresenta molto bene il fallimento del cristianesimo, con il Golgotha, unica collina rimasta in piedi dopo la devastazione che l’uomo ha perpetrato per millenni sotto l’influsso del male, Malevolent Martyrdom risulta un’opera vecchia maniera, senza tanti indugi la band tira dritta al sodo, ed il sound esce urgente, estremo e devastante come deve essere un lavoro di death metal classico.
Negli anni novanta il re dei generi estremi era diviso tra i colpi inferti dai gruppi dell’epoca nella calda Bay Area e la furia dei più melodici colleghi scandinavi: i Perfidious seguono con cura maniacale i sentieri che portano al male tracciati dai gruppi statunitensi e l’ album convince non soffrendo assolutamente in personalità.
I Belong To Sickness esplode dopo l’intro e i Perfidious si dimostrano subito maestri nelle ritmiche serrate, mentre senza cedimenti il muro sonoro continua a sfondare teste in headbanging sfrenati, sotto le macerie che rimangono al passaggio delle distruttive e maligne Human Conceit e Preachers of Hypocrisy.
Il growl demoniaco e brutale non fa prigionieri e si arriva alla notevole Perfidious, traccia che mette in evidenza la bravura di una sezione ritmica pesante e distruttiva, ma che sa essere spettacolare nei cambi repentini di ritmo, tra ripartenze e cavalcate in blast beat.
Nell’underground più oscuro, dove le realtà estreme crescono nell’ombra, un altro gruppo si accinge a conquistare i deathsters dai gusti old school: un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

TRACKLIST
1.Infected by Malignancy (Intro)
2.I Belong to Sickness
3.Human Conceit
4.Ancient Voices of the Past
5.Preachers of Hypocrisy
6.Breath of Beast
7.Realm of the Moribunds
8.Trapped by Insanity
9.Perfidious
10.I Kill You (Outro)

LINE-UP
Vanny Hate – Drums
Dydacus – Vocals
Michele – Bass
Andrea – Guitar

PERFIDIOUS – Facebook

Henry Kane – Den Förstörda Människans Rike

L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore.

Una bomba sonora devastante, un inferno sulla terra dove la colonna sonora non può che essere death metal scandinavo con dosi massicce di grind/crust.

Henry Kane, alias Jonny Pettersson, vocalist di Ashcloud, Just Before Dawn e Wombbath, qui in veste di polistrumentista, non lascia scampo e ci investe con un devastante death/grind senza compromessi, dove la provenienza scandinava si sente eccome, ma viene messa in ombra da una malsana voglia distruttiva; il tutto viene licenziato dalla Transcending Obscurity, con la quale Pettersson ha firmato col sangue delle sue vittime il contratto che permette di portare alla luce questo pezzo di inferno in musica.
Bruciano l’atmosfera e gli strumenti in Den Förstörda Människans Rike, titolo e testi in lingua madre ed una raccolta di brani che non superano i due minuti di durata, a parte l’apocalittica title track e Det Var Inte Ditt Fel, un massacro tra demoni, un esempio di male in musica che ridicolizza molti gruppi black metal.
L’album nel suo insieme è un riuscito tentativo (almeno nelle intenzioni alquanto bellicose) di far convivere il grind ed il death metal scandinavo, con l’aiutino di qualche spunto hardcore, dunque vi lascio immaginare quanta violenza sprigioni il sound proposto da Henry Kane.
Un album estremo come pochi, difficile da digerire se non si è amanti dei generi descritti, ma che con un po’ attenzione rivela più di una brillante intuizione sicuramente da sviluppare in futuro.

TRACKLIST
1.En själ till salu
2.Svarta tankar
3.Skuld och begär 01:42
4.En grav av ångest
5.Är din botten nådd
6.Dragen i skiten
7.En längtan
8.Den förstörda människans rike
9.Flaskan var din sista vän
10.Bön för bön
11.Kära bror
12.Bara hat
13.Lögnens svarta ögon
14.Det var inte ditt fel
15.Vinst eller fölust

LINE-UP
Jonny Pettersson – All instruments

HENRY KANE – Facebook

Wheel Of Smoke – Mindless Mass

Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

Musica progressiva tradizionale, hard rock direttamente dal periodo d’oro (gli anni settanta) e stoner rock disidratato del sole caldo della Sky Valley, unite tutto questo ben di dio in un unico sound ed avrete tra le mani il nuovo lavoro del gruppo belga, al secolo Wheel Of Smoke, quartetto che si è inventato un album, Mindless Mass, davvero affascinante.

Insieme dal 2005, il gruppo arriva al traguardo del terzo full length, rigorosamente autoprodotto, dopo due opere targate 2011 (In Sense) e 2013 (Signs Of Saturn) ed un ep licenziato in formato digitale lo scorso anno (Enter the Pyramid), continuando così con il nuovo album il suo percorso artistico fatto di ispirazioni ed influenze che formano un pianeta musicale a parte, considerando il sound personalissimo che ne scaturisce.
Si diceva progressive, ed allora non si può non fare i conti con una sezione ritmica che, senza lasciare grosse indicazioni, cambia ritmo ogni attimo, ed in alcuni casi (Degeneration) impregna lo spartito di sangue lasciato cadere dal progressive dei nostrani Goblin o dalle note imprevedibili del Re Cremisi, per poi affondare la lama con letale hard rock psichedelico e stoner, ipnotizzando con dosi letali di Black Sabbath, Sleep e Kyuss.
Con sagacia il gruppo non si dilunga troppo, così che, pur mantenendo un approccio musicale da jam session, i brani scivolano via senza affaticare troppo i giovani ascoltatori, abituati al basso minutaggio delle tracce abituali dei gruppi odierni.
Non mancano le sorprese, l’album risulta un contenitore musicale che spazia nel rock del secolo scorso con una No More TV che ricorda non poco le fughe hard blues di Jimmy Page nei primi anni dei Led Zeppelin (How Many More Times).
Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

TRACKLIST
1.Degeneration
2.Ruins
3.Bad Shepherd
4.Unnamed
5.Synchronicity
6.No More Tv
7.Feral

LINE-UP
Filip Remans – Guitar, vox
Erik Heyns – Guitar, vox
Jouk Opdebeeck – Drums
Tristan Michiels – Bass, vox

WHEEL OF SMOKE – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Haggefugg – Metgefühl

Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi

Dopo la battaglia ai margini della foresta in nostri eroi tornano all’accampamento dove ad attenderli per festeggiare la vittoria ci sono fiumi di birra fanciulle prosperose e succosi maialini arrostiti.

Tutto questo ben di dio allevia le sofferenze per le ferite e le perdite sul campo, mentre la festa può iniziare con la musica che parte, fiera e metallica come lo stridore delle spade.
Arrivano al debutto sulla lunga distanza i medieval folk metallers Haggefugg, sestetto di Colonia con il loro Metgefühl, successore dell’unico lavoro licenziato Trinkt aus!, ep dello scorso anno.
Il gruppo tedesco confeziona un piccolo gioiellino di folk metal tradizionale, che non mancherà di far innamorare gli amanti delle atmosfere folkloristiche, abbinate ad un metal d’assalto dall’ottima presa ed impatto.
Rigorosamente cantato in lingua madre, Metgefühl risulta trascinante e dall’ottimo songwriting, la band segue le linee tracciate dai gruppi più famosi della scena tedesca (In Extremo) ma non manca di personalità, con un uso riuscito di cori e voci, una sezione ritmica potente e varia e gli strumenti tradizionali che come d’ ordinanza nel genere, impazzano tra fiumi di alcool e balli sfrenati intorno al fuoco.
Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi.

TRACKLIST

1. Metgefühl
2. Met, Wirt, Bestellt
3. Trinkt Aus!
4. Krähenweise
5. Spielmannssünden
6. In der Schenke
7. Tapferes Herz
8. Ai vist lo lop
9. Villemann og Magnhild
10. Danse du ventre
11. Seemannsgarn
12. Plattgekontert (Bonus)

LINE-UP
Gregor Krähenkehle – Gesang
Dudel zu Lang – Dudelsack, Schalmei, Flöten
Henry d’Humel – Gesang 2, Darbuka, Dudelsack 2;
Martin Lauther – Gitarre
Bassbär – Bass
Hauptmann Klopfer – Schlagzeug

HAGGEFUGG – Facebook

The Ritual Aura – Tæther

Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.

Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.

Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive.
Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.

TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being

LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals

THE RITUAL AURA – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

Teramobil – Magnitude Of Thoughts

Una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.

Difficile, quasi impossibile seguire gli intrecci musicali di questo trio canadese se non si è amanti del metal estremo ipertecnico e strumentale.

Già, perché i Teramobil suonano un metal estremo che definire death risulta superficiale, il loro sound a tratti destabilizzante vive di decine di varianti, di cui le più ordinarie sono quelle progressive, shred, rock, hard rock e groove, passando da sfumature moderne e jazzy ad altre, come nella title track che si avvicina al periodo settantiano, con tanto di organo sopra un tappeto di suoni tra i più disparati.
La band nasce nel 2010 e tre anni dopo licenzia l’esordio in formato ep (Multispectral Supercontinuum), ancora altri tre anni passano prima che Magnitude Of Thoughs arrivi negli stereo degli appassionati e, credetemi, per certi versi, questo lavoro è quanto di più estremo si possa trovare in circolazione.
Tale termine si usa non solo per descrivere la violenza tout court, ma pure per un modo di porsi fuori dagli schemi ed assolutamente per pochi: e di estremo in questo lavoro, partendo dall’opener Terahertz, non manca nulla: una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.
A tratti, infatti, manca la forma canzone e per chi si pone in maniera superficiale all’ascolto molti passaggi rasentano la cacofonia, anche se per molti sarà follia compositiva alla John Zorn, tanto per fare un esempio su chi più deve aver influenzato i Teramobil.
Certo è che Mathieu Bérubé (chitarra), Dominic”Forest”Lapointe (basso) e Alexandre Dupras (batteria) sanno il fatto loro e viaggiano sullo spartito con una facilità di esecuzione straordinaria.
Album dal difficile ascolto se non si è amanti del metal estremo tecnico e strumentale.

TRACKLIST
1.Terahertz
2.Magnitude Of Thoughts
3.Thanatonaut
4.Deconstruct Metabolism
5.Synchrotron
6.Exoteric
7.The Armada

LINE-UP
Mathieu Bérubé – Guitar
Dominic”Forest”Lapointe – Bass
Alexandre Dupras – Drums

TERAMOBIL – Facebook

Morta Skuld – Wounds Deeper Than Time

La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld

Sembra davvero di essere tornati ai primi anni novanta, con una band storica come i Morta Skuld ed una label leggendaria come la Peaceville di nuovo insieme per regalarci ancora grande death metal old school.

Attiva dal 1990, la band proveniente dal Wisconsin fu molto attiva negli anni d’oro del death metal e, tra il 1993 (anno di uscita del primo full length Dying Remains) ed il 1997, furono quattro gli album di una carriera brillante, almeno nella scena estrema dell’epoca.
Poi, dopo l’uscita di Surface, il lungo silenzio durato quasi vent’anni ed interrotto dall’ep Serving Two Masters del 2014, antipasto di questo nuovo album che arriva come un treno in corsa ed impatta contro i crani dei deathsters mondiali.
Wounds Deeper Than Time è stato registrato ai Mercenary Studios da Scott Creekmore (Putrid Pile, Broken Hope, No Zodiac, Waco Jesus, Bloodline, Lividity), mentre la produzione è farina del sacco del gruppo di David Gregor chitarrista, cantante nonché fondatore dei Morta Skuld, oggi assieme aa Scott Willecke (chitarra), AJ Lewandowski (basso) ed Eric House (batteria).
Morta Skuld e Peaceville risultarono all’epoca una coppia vincente e il nuovo album, a distanza di così tanti anni, conferma questa brillante collaborazione.
Wounds Deeper Than Time è un album death metal come lo si faceva negli States negli anni novanta, ma con una verve ed un impatto che lo inseriscono senza problemi nella musica estrema di questo nuovo millennio.
La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld e del loro sound che, se non cambia di una virgola rispetto alle storiche opere, insegna death metal alle nuove generazioni.
Soffocante, potente e oscuro, il sound di brani come Breathe In The Black, Against The Origin e la title track fa parte della storia del metal estremo, seguendo i passi di Morbid Angel, Obituary e della splendida scena di quei gloriosi anni.

TRACKLIST
1.Breathe in the Black
2.Hating Life
3.My Weakness
4.Against the Origin
5.In Judgment
6.Wounds Deeper than Time
7.Scars Within
8.Devour the Chaos
9.Becoming One Flesh

LINE-UP
Scott Willecke – Guitars
Dave Gregor – Guitars, Vocals
Eric House – Drums
AJ – Bass

MORTA SKULD – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=aBsvNAs6ai4

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook

Vanik – Vanik

Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

Dall’ underground metallico statunitense dalle reminiscenze old school, arrivano i Vanik creatura horror del musicista Shaun Vanek (Midnight, Vandallus, Whitespade, Eternal Legacy, Breaker, Manimals, Sixx), aiutato in questa avventura da Ed Stephans (Ringworm,Shok Paris, Gluttons) al basso e Al Biddle (Toxic Holocaust, Cauldron, Diemonds, Castle) alle pelli.

Alcune delle band in cui militano i tre demoni metallici sono vecchie conoscenze, quindi è un piacere per il sottoscritto presentarvi questo buon lavoro omonimo, un album che più old school di così non si può, ma che risulta ben confezionato, con una produzione in linea con la musica suonata, ed un lotto di brani che strappano più di un ghigno beffardo e maligno.
Vanik parte a tavoletta e non si ferma più, lasciando un cumulo di cadaveri al suo passaggio, un massacro a colpi di velocissimi e taglienti solos che Shaun Vanek rifila come mazzate terrificanti: un heavy metal con targa anni ottanta, sparato a mille e con una combustione letale di soluzioni speed e rock ‘n’roll, testi che fanno riferimento ai film horror di serie b, una venerazione per gli storici Venom e tanta attitudine vecchia scuola,
La voce di Vanik, in linea con il cantato speed/thrash ottantiano (e non poteva essere altrimenti), canta di omicidi, demoni, zombie e di tutte le creature che dominano il mondo horror trash, mentre le ritmiche si fanno sempre più serrate ad ogni brano e la chitarra sporca di sangue innocente continua il suo martirio.
Trenta minuti bastano per il primo massacro targato Vanik, ed è una mezzora di headbanging sfrenato sulle ali dell’heavy speed metal old school.
Un album che non ha chance di uscire dal confine dell’underground, ma può solo continuare a vivere nel mondo parallelo dei lavori cult, sapendo come far divertire gli amanti del genere.
Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

TRACKLIST
1. Deadly Pleasures
2. Fire Again!
3. One More Dose
4. The Blackest Eyes
5. Blood Sucking Lust
6. Dr. Speed
7. Midnight Ghoul
8. Eat You Alive
9. Island Of Lost Souls

LINE-UP
Vanik – Guitars/Vox
Ed Stephans – Bass
Al Biddle – Drums

VANIK – Facebook

Cremation – Retaliation

Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation risulta un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

In questi anni in cui le uscite quotidiane in ambito metallico sono pari alla quantità di persone che alle sette del mattino si riversano nelle strade per andare al lavoro, un’iniziativa come quella della Vic Records, cioè ristampare i lavori di quei gruppi che negli anni storici del metal estremo non trovarono grossa fortuna, sembrerebbe avventata, eppure per chi ama il death metal, la label olandese sta rispolverando degli autentici gioiellini come questo bellissimo primo ed unico album dei deathsters Cremation.

Il gruppo olandese si formò nel 1993 e per tutto il decennio sfornò opere minori in formato demo e split fino al 2002, anno in cui uscì Retaliation, un ottimo esempio di death metal tra tradizione europea e statunitense, impreziosito da una tecnica sopraffina, un esaltante lavoro ritmico e, scusate se è poco, ottime canzoni.
Nella nuova riedizione troviamo, oltre all’album, delle bonus track prese dai primi demo del gruppo ,quindi un lavoro completo e perfetto per fare una buona conoscenza del quartetto di Utrecht.
Capitanati da Paul Baayens, chitarrista e cantante con un passato in gruppi cardine della scena di quegli anni (Asphyx, Hail of Bullets, Thanatos) i Cremation con questo primo album uscito quasi dieci anni dopo la loro nascita si rifecero del tempo perduto: il lotto di brani raccolti in Retaliation non lascia scampo con un sound che ai Death si ispirava tecnicamente, ma non mancava di rimarcare la loro appartenenza alla scuola europea di quel periodo.
Retaliation risulta così un ottimo album, un macigno di oscuro death metal old school suonato benissimo ed ispirato in fase di songwriting; i brani vomitati dalle casse travolgono l’ascoltatore senza soluzione di continuità, un massacro che mantiene in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.
Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation è un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

TRACKLIST
1.Vanished into Oblivion
2.The Void
3.Sempiternal Hatred
4.Intangible Malignancy
5.Veil of Secrecies
6.Futile Existence
7.Stain of Purity
8.The Prohibition of Light
9.Deceptive Felicity
10.Beyond the Edge of Insanity
11.Suffer in Obedience
12.Waiting for the Sun
13.Unjustified Judgements
14.Echeos of Mayhem
15.Valediction
16.Deceptive Felicity
17.Futile Existence

LINE-UP
Paul Baayens – Vocals, Guitars
Joost de Boer – Guitars
Michiel Stoop – Bass
Benito ‘Bono’ Grotenberg – Drums

Daemoniac – Spawn Of The Fallen

Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

Qui si fa death metal old school di matrice scandinava e lo si fa alla grandissima!

Licenziato dalla Xtreem Music, una potenza nell’underground estremo, arriva come un tornado a scoperchiare tombe in un cimitero il primo full length dei Daemoniac, trio milanese composto da vecchie conoscenze della scena estrema come Max (basso e voce, ex Horrid) e Dave (già con i Funest alle pelli), più il giovane chitarrista Nicko proveniente dagli Ekpyrosis.
Registrato in Svezia da Tomas Skogsberg negli storici Sunlight, Spawn Of The Fallen conferma l’ottimo momento per il death metal old school, con un gruppo italiano a spezzare schiene con una serie di brani violentissimi, dal songwriting di altissimo livello ed una predisposizione per il genere di un’altra categoria.
L’odore di morte proveniente dai cadaveri saltati fuori dai loculi è intenso e sembra arrivare davvero dalla terra scandinava dei primi anni novanta, le ritmiche forsennate attraversate da cambi repentini di tempo mantengono potenza e cattiveria, con il batterista che illumina la scena con un drumming da apocalisse zombie.
Il sound risulta fresco e la band ha personalità da vendere, mentre il growl di Max si avvicina terribilmente al brutal, e la valanga di riff che la sei corde di Nicko ci vomita addosso parla perfettamente la lingua musicale di primi Entombed, Dismember e Grave.
Il trio lombardo è una macchina da guerra estrema: senza nessuna concessione a facili melodie, Spawn Of The Fallen è composto da otto brani mediamente lunghi, e la bravura del gruppo sta anche nel non risultare prolisso, mantenendo un perfetto equilibrio nella la propria devastante proposta.
Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

TRACKLIST
01. Intro/Macabre Eucharist
02. Regurgitated From Hell
03. From Depths Of Hideous Chasms
04. Spawn Of The Fallen
05. Intro/Procreation Of Hatred
06. Cursed Hecatomb
07. Upon Golgotha
08. Cremation (Macrodex Cover)

LINE-UP
Max – voce, basso
Nicko – chitarra
Dave – batteria

DAEMONIAC – Facebook

Steel Messiah – Of Laser And Lightning

Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.

Una lunga intro ci da il benvenuto nel mondo dell’heavy metal old school degli Steel Messiah, quartetto tedesco all’esordio con questo ep di cinque brani dal titolo Of Laser and Lightning.

La giovane band sposa completamente l’attitudine metallica dei primi anni ottanta, il proprio sound è un buon mix tra Judas Priest e Saxon, prodotto quel tanto che basta per non risultare troppo vintage, e l’ep in questione è una sorpresina niente male se siete amanti della new wave of british heavy metal, con quel tocco epico che inorgoglisce il tutto.
Ai ragazzi tedeschi, del sound nato più tardi nelle sua terra d’origine non può fregare di meno: Of Laser And Lightning è heavy metal old school di origine controllata; ritmiche hard & heavy di estrazione sassone fanno da tappeto metallico alle sei corde priestiane, il cantante ricorda proprio Halford, anche se va un po’ in difficoltà sul falsetto.
Per il resto l’album gira che è un piacere, specialmente con Dr. Steel, la cattivissima Bringer Of Pain, Fast’n’Sharp con qualche accenno nei solos ai primissimi Iron Maiden e l’inno metallico Motorcycle Maniac, tributo ai Saxon (non così lontana dal famoso brano da biker, Motorcycle Man).
Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.16

TRACKLIST
1.Struck by Lightning
2.Dr. Steel
3.Bringer of Pain
4.Fast n’ Sharp
5.Motorcycle Maniac

LINE-UP
Marius Röntgen – Bass, Vocals
Moritz Nothhelfer – Drums
Marcus Gläser – Guitars (lead)
Kai Wagner – Guitars (rhythm)

STEEL MESSIAH – Facebook

https://soundcloud.com/metalmessage/steel-messiah-struck-by-lightning

The Chronicles Of Israfel – A Trillion Lights, Tome II

Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

The Chronicles Of Israfel è il progetto solista di Dominic Cifarelli, chitarrista dei Pulse Ultra, alternative band canadese con un album all’attivo per Atlantic all’alba del nuovo millennio.

A Trillion Lights, Tome II è il secondo capitolo di un concept iniziato nel 2007 con il primo album, Starborn Tome I, che a livello concettuale racconta il viaggio interiore del protagonista alla ricerca di un io migliore.
Le vicende di questo secondo capitolo vengono raccontate attraverso sessantacinque minuti di musica progressiva, che alterna metal moderno, thrash, folk e alternative metal rendendo l’opera molto originale e varia nell’ascolto.
Un viaggio, appunto, che dall’opener Colors Of The Energy Construct non lascia punti di riferimento e svolazza per i generi con buone idee e momenti resi emozionanti dal continuo cambio di comando in testa al sound, ora chiaramente influenzato dai Dream Theater, ora più estremo e molto vicino al thrash moderno di Devin Townsend, ora alternativo o delicatamente folk, quando i passaggi si fanno acustici.
Cifarelli dimostra di essere un ottimo songwriter e questo secondo capitolo continua a regalare ottima musica metal/rock assemblata perfettamente, come un puzzle difficilissimo ma molto affascinante.
Tra l’opener e la conclusiva e lunghissima The Turning Of The Heavens, strumentale da brividi che conclude questo secondo capitolo, è un susseguirsi di colpi di scena tra attimi progressivi, metal d’autore e rabbiose ripartenze tra thrash ed alternative in un sali e scendi di emozioni musicali.
Ottima la parte centrale con Spirit Carousel, Life I Know, In Ruins e Hatred In My Heart, ma è tutto l’album che funziona e ci consegna un musicista davvero in gamba nel trovare sempre soluzioni diverse per raccontare le vicende narrate.
Come detto i Dream Theater fanno capolino nelle parti progressivamente metalliche, ma non mancano accenni al folk sinfonico del menestrello Lucassen, inserito in un sound alternativo.
Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

TRACKLIST
1.Colors Of The Energy Construct
2.Goddamned
3.I Remember
4.Nightmare
5.Spirit Carousel
6.Life I Know
7.In Ruins
8.Hatred In My Heart
9.Violet Empress (Last Love)
10.Greet The Sun
11.A Trillion Lights
12.Incendia
13.The Turning Of The Heavens

LINE-UP
Live Band:
Dominic Cifarelli : Vocals, Guitars
Justin Piedimonte: Drums
Andrew Wieczorek: Keys, Piano, Vocals
Marc Durkee: Bass, Backing Vox

Allumni On Record:
Vincent Cifarelli: Piano, String Arrangements
Rico Antonucci: Vocals

THE CHRONICLES OF ISRAFEL – Facebook

Dharma Storm – Not An Abyss Prey

I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

Beh, che dire di un gruppo privo di timori nell’affrontare il complesso mondo del metal dai richiami sinfonici con personalità ed una punta di originalità che, col tempo daranno ragione al suo modo di intendere e suonare il genere?

Intanto partiamo dalla cosa più importante: i Dharma Storm sono italiani, precisamente di Ladispoli (Lazio), sono attivi dal 2009 (anche se la line up si consolida due anni dopo) e hanno all’attivo un ep, uscito tre anni fa, che ha dato la possibilità al quintetto di girare per i palchi dello stivale metallico.
Passiamo a questo ottimo esordio, Not An Abyss Prey, alla sua ora abbondante di durata ed al suo sound che varia appunto tra i generi appartenenti alle correnti che fanno capo al metal classico, sviluppatisi in questi anni.
I Dharma Storm non patiscono sicuramente la tensione dell’esordio ignorando chi giudicherà il loro sound troppo dispersivo e partono a vele spiegate nella tempesta metallica tra passaggi di grintoso thrash metal, tappeti sinfonici, pause in cui le atmosfere folk ricamano di raffinatezza popolare molti brani, ed ottime parti ritmiche che richiamano l’eleganza del metal progressivo.
Un lungo navigare in acque che si calmano per poche miglia, prima di tornare a torturare il sinuoso veliero ormai allo stremo sotto le sferzate thrash metal dei Dharma Storm: una menzione per il gran lavoro delle tastiere sempre presenti e colpevoli di donare un tocco epico a brani come la cavalcata sinfonica che apre l’album (Immortal Crew), la varia Blackout, l’agguerrita (nelle parti chitarristiche) Emerged e la spettacolare Live Together…Die Alone, lunga suite strumentale che funge da sunto compositivo di questo ottimo debutto.
I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Immortal Crew
2.Night of the Burning Skulls
3.Blackout
4.Trail of Tears
5.Across the Line of Time
6.Emerged
7.The Possessed One
8.God Is Gone
9.Live Togheter..Die Alone
10.Jolly Roger

LINE-UP
“Brandy” Marco De Angeli – voice
“Mingo” Nicholas Terribili – drum
“Harry” Daniele Castagna – guitar
“Bois” Dario La Montagna – keyboard
“Piece” Gianluca Lancianese – bass guitar

DHARMA STORM – Facebook

False Reality – End Of Eternity

Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico

Melodic death metal, con uno sguardo alla scena dei primi anni novanta, dunque parti doom che a tratti lasciano in bocca quel gusto di evocativo, voce in growl profonda, il tutto amalgamato con ottimi spunti heavy prog: ecco cosa attendersi dal sound di End Of Eternity, prima prova sulla lunga distanza dei False Reality, sestetto rumeno, con il fiuto per melodie malinconiche e ispirazioni di scuola doom death.

La band di Braşov è attiva originariamente dal 1998 (ecco spiegato le molte similitudini con la scena novantiana), il suo primo demo infatti risale al 1999, seguito all’alba del nuovo millennio dall’ep Tales Of Eternity.
Poi una lunga pausa ne ha minato la carriera nella scena underground e, quando sembrava che la parola fine fosse ormai scritta sopra il nome della band, ecco che i musicisti rumeni tornano con un full length e l’ottimo lavoro svolto funge da nuovo inizio, questa volta sperando che sia più duraturo e costante.
Death metal melodico dicevamo, con un’attenzione particolare per il lavoro delle sei corde, dal piglio heavy, ritmiche che rallentano e accelerano passando da ritmiche di stampo doom, a mera potenza death, ed orchestrazioni che tornano prepotenti per regalare spettacolari brani orientaleggianti come il piccolo gioiellino Rih Al Khamsin, che al sottoscritto a ricordato gli Orphaned Land del primo, bellissimo, Sahara.
Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico, virtù riscontrabile appunto nei primi lavori dei Paradise Lost, ma anche e soprattutto degli Orphanage e della scena centro europea.
Sette brani per cinquanta minuti di ottimo metal estremo melodico non sono pochi, il gruppo come tutte le realtà provenienti dall’est sa il fatto suo e End Of Eternity risulta, grazie alle bellissime The Silence Within e Requiem Into Darkness (oltre alla citata Rih Al Khamsin), un’opera convincente e assolutamente consigliata.

TRACKLIST
1.Bewitched
2.The Silence Within
3.Rapture and Pain
4.Rih al Khamsin
5.Requiem into Darkness
6.End of Eternity
7.Dear Friend

LINE-UP
Ioan Alexandru Crișan – Vocals
Lucian Popa – Guitars, Vocals
Silviu Stan – Guitars
Vlad Amariei – Keyboards, Vocals
Marc Spedalska – Bass
Codrut Costea – Drums

FALSE REALITY – Facebook

Sweeping Death – Astoria

Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità è un dono pari della bravura tecnica.

Eccoci a presentare un’altra ottima band propostaci dal Markus Eck e dalla sua Metalmessage Global, agenzia tedesca sempre sul pezzo nel fornirci metal di un certo livello.

Il gruppo in questione sono i Sweeping Death, quartetto presentato come progressive thrash metal e a cui aggiungerei quale nota di presentazione anche una notevole maestria esecutiva.
Il giovane quintetto proveniente da Wildsteig taglia il traguardo del full length con Astoria, poco più di mezzora di funamboliche corse sullo spartito di un thrash metal entusiasmante per songwriting e bravura dei protagonisti.
Il sound del gruppo non si ferma ai soliti nomi della scena che accomuna sia i nomi storici della Bay Area che ovviamente quelli provenienti dalla madre patria, ma osa con atmosfere ed varianti musicali che ricordano Mekong Delta e soprattutto Savatage, non dimenticando che siamo nel nuovo millennio e che il progressive ha nobilitato anche il metal estremo (Opeth).
Ne esce un album molto ben congegnato e che alterna brani tradizionalmente thrash, anche se suonati divinamente (My Insanity e Death & Legacy) ad altri dove la vena progressiva prende per mano il talento del gruppo e lo accompagna verso lidi di nobiltà metallica (magnifica la title track).
Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità sia un dono pari della bravura tecnica.

TRACKLIST
1. My Insanity
2. Pioneer Of Time
3. Astoria
4. Devils Dance
5. Death & Legacy
6. Till Death Do Us Apart

LINE-UP
Elias Witzigmann – Vocals
Simon Bertl – Guitar / Backvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums / Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook