Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.
Dietro il monicker Welcome Coffee troviamo cinque musicisti attivi nella scena alternativa di Trieste: la loro storia è fatta di un precedente ep (Box #2) uscito nel 2013, un primo full length (Uneven) licenziato nel 2015, uno scioglimento avvenuto dopo l’uscita dell’album ed un ritorno nel 2016.
The Mirror Showè il nuovo ep di cinque brani inediti con cui la band torna sul mercato cercando di rivedere i propri ed i nostri confini in materia musicale.
Un rock che si nutre di elettronica e rock alternativo, per poi evolversi in qualcosa di più progressivo e scivolare piano verso il rock made in Italy, se poi in tutto questo aggiungete una marea di piccoli ma importantissimi dettagli, allora il sound del gruppo diventa davvero originale, magari ostico se gli ascolti abituali sono appunto confinati ad un solo genere.
Stefano Ferrara al basso, Andrea Parlante alle tastiere, Davide Angiolini batteria, Andrea “Armando” Scarcia al microfono e Bill Lee Curtis alla chitarra, non si lasciano intimidire da barriere e catene: la musica viaggia libera tra funky, metal lampi di musica elettronica dura come l’acciaio forgiato dai Nine Inch Nails, per divertirsi con l’alternative rock dei Primus o dei geniali Faith No More e poi, come d’incanto, prendere una chitarra acustica, l’armonica e lasciare che la bellissima Come Potevo ci ricordi che anche il rock italiano degli anni novanta ha regalato grande musica (Timoria).
Se vi sembra che il sound racchiuso in questo lavoro metta troppa carne al fuoco, niente di più sbagliato, tutto funziona a meraviglia e la band ne esce vincitrice.
Bravi ed originali, gli Welcome Coffee danno vita ad un sound intrigante ed assolutamente fuori dai soliti cliché: la curiosità per una nuova prova sulla lunga distanza è davvero tanta.
Tracklist
Stefano Ferrara – Bass guitar
Andrea Parlante – Keyboards
Davide Angiolini – Drums
Andrea Scarcia – Vocals
Bill Lee Curtis – Guitars
Line-up
1.The Mirror Show
2.Doppelgänger
3.Come Potevo
4.116
5.Notte Araba
Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.
Negli assolati meandri desertici dello stoner rock nascono e crescono realtà psichedeliche e vintage di grande spessore, molte volte nascoste nell’ombra dell’underground mondiale, ma pronte ad accendere la miccia che farà esplodere sonorità estremamente coinvolgenti come quello dei 1968, band proveniente dal Regno Unito, e del loro primo album sulla lunga distanza, Ballads Of The Godless.
La band, nata nel 2013, aveva legato il suo credo musicale a due ep, usciti tra il 2016 e il 2017 (1968 EP e Fortuna Havana) e ora, tramite la HeviSike Records, ci consegna questo macigno stoner psichedelico che, in quaranta minuti, ci porta nel deserto della Sky Valley anni prima del successo di Kyuss e compagnia, quindi negli anni settanta.
Ed infatti il sound del gruppo viaggia stordito da una serie di brani pesantissimi, pregni di danze rituali in nome di un hard rock dal retrogusto settantiano, psichedelico come quello suonato sul finire degli anni sessanta (da qui si può certo ricavare la scelta del monicker), strafatto di hard blues e psych rock.
Il quartetto di rockers britannici ci investe con tutta la sua potenza espressiva, il doom cerca di uscire alla luce, presente ma soffocato dalla presenza dell’hard rock e delle influenze che dagli anni settanta, arrivano sulla soglia dell’ultimo decennio del secolo scorso, tra Led Zeppelin e QOTSA, Black Sabbath e Sleep, in un vortice di rock dall’alto contenuto tossico e stordente.
Evocativo il canto, potentissima la base ritmica, drogati i riff di chitarra che compongono fumose canzoni come Devilswine,Temple Of The Acidwolf e Chemtrail Blues, sorta di No Quarter di zeppeliniana memoria suonata a cinquanta gradi in mezzo al deserto, e seguita dal superbo ed ipnotico blues di McQueen.
Un album bellissimo, un trip claustrofobico ed ipnotico che si prende la scena di questa prima metà dell’anno per quanto riguarda le sonorità stoner.
Tracklist
1.Devilswine
2.Screaming Sun
3.Temple of the Acidwolf
4.S.J.D.
5.Chemtrail Blues
6.McQueen
7.The Hunted
8.Mother of God
Line-up
Jimi Ray – Vocals
Sam Orr – Guitar
Tom Richards – Bass Guitar
Dan Amati – Drums
I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?
Sono passati quattro anni da quando vi avevamo parlato, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo di quattro brani, dei rockers umbri Nightraid, tornati a risplendere con questo debutto sulla lunga distanza intitolato Indians.
Al timone troviamo sempre Andrea Cocciglio, cantante di razza con un passato death, ma assolutamente a suo agio alle prese con l’hard & heavy del gruppo che attinge a piene mani dalla tradizione nazionale (Pino Scotto, Strana Officina).
Nove brani cantati in italiano, nove adrenaliniche tracce dove l’hard rock trova la sua casa, quaranta minuti di musica dall’attitudine live, perfetta per palchi montati davanti a rockers motorizzati e della vecchia guardia, guerrieri indomiti che seguono la strada tracciata dai Nightraid.
Cocciglio asseconda la sua naturale somiglianza vocale con il grande Pino Scotto senza scimmiottarlo ma, con molti meno anni ed eccessi nell’ugola, affronta con grinta brani dall’ottimo impatto come l’opener Stand By, Bombe A Gaza e la super ballata Indians, dal blues che scorre tra le corde delle chitarre come sangue nella prateria. Nightraid è l’inno del gruppo, mentre quale giusto tributo arriva la cover di uno dei brani più belli di Pino Scotto, la drammatica, intensa e tragica Dio Del Blues, con il rock’n’roll di Misteri e la dirompente Zasko a concludere in modo esplosivo questo ottimo lavoro.
I Nightraid non inventano nulla, ma prendono gli strumenti, accendono gli amplificatori e suonano del buonissimo hard rock con attitudine e passione, serve altro?
Tracklist
01.Stand By
02.Sinergie
03.Bombe a Gaza
04.Indians
05.Nightraid
06.Overcast
07.Dio del Blues (cover)
08.Misteri
09.Zasko
Line-up
Andrea Cocciglio – vocals
Andrea Assogna – guitars
Alessandro Assogna – guitars
Leonardo Paluzzi – bass
Andrea “Uora” Frabotta – drums
Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.
Come avevano promesso, i rockers tedeschi Black Space Riders tornano, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo, con Amoretum Vol.2.
Si continua a parlare di amore, oscurità e luce in un mastodontico lavoro di settanta minuti che è un viaggio nell’hard rock vintage, o se preferite nella New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, come la band definisce il proprio suono.
L’album è perfettamente in linea con il primo capitolo, con tutti i pregi e i difetti riscontrati qualche mese fa, quindi nulla cambia da Amoretum Vol.1, continuando la tradizione del gruppo (giunto al sesto album) nell’unire hard rock, space e psych rock e post punk.
Unendo i due album si parla di più di due ore di musica, un’opera monumentale che risulta a tratti prolissa e con soluzioni ripetute all’infinito, un difetto non marginale se consideriamo la natura rock’n’roll del sound creato dai Black Space Riders.
Come nel primo album, anche questa seconda parte vive così di alti e bassi con brani che si animano di un’urgenza punk rock come Assimilating Love, e altri nei quali le influenze tornano a far parlare di Pink Floyd e del David Bowie versione starman (Take Me To The Stars).
Comunque ricca di melodia, l’opera offre sicuramente una panoramica esaustiva sulle ispirazioni e sul credo musicale della band tedesca, assolutamente coraggiosa nel proporre un album di questa lunghezza in un genere e in anni nei quali il tempo per assimilare musica è ridotto all’osso dall’urgenza di un mercato schizofrenico.
Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.
Tracklist
Chapter Three:
1. Before my eyes
2. LoveLoveLoveLoveLoveLoveLoveLove Love (Break the pattern of fear)
3. Walls away
4. Slaínte (Salud, dinero, amor)
5. Assimilating love
Chapter Four:
1. In our garden
2. Leaves of life (Falling down)
3. Body move
Chapter Five:
1. Take me to the stars
2. Ch Ch Ch Ch pt. I (The ugly corruptor)
3. Ch Ch Ch Ch pt. II (Living in my dream)
Chapter Six:
1. Chain reaction
2. No way
3. The wait is never over
Line-up
JE – lead vocals, guitars, keys, electronics
SEB – lead vocals, keys, percussion, electronics
C.RIP – drums, percussion, digeridoo
SLI – guitars
MEI – bass guitar
Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Le strade del rock progressivo questa volta ci portano verso est e precisamente in Polonia, dove gli Osada Vida, una delle band di genere più popolari da quelle parti, licenziano il loro settimo full length intitolato Variomatic.
Il gruppo dà quindi un seguito al precedente Particles, uscito tre anni fa, senza cambiare nulla della solita formula che li vede approcciarsi ad un progressive rock tra tradizione settantiana ed ispirazioni in linea con i nuovi protagonisti odierni del genere. Variomatic risulta quindi un quadro musicale vario, nutrito da molti dei colori del rock progressivo e lontano da quelle soluzioni heavy ormai di prassi nel genere.
Tastiere presenti in abbondanza, ritmiche che non alzano mai il tono soft e chitarre che a tratti si sfogano in solos raffinati, smarriscono parzialmente il loro impatto quando la voce, troppo monocorde, prende il sopravvento ed appiattisce l’atmosfera di brani tecnicamente suonati discretamente ma che non trovano mai la chiave emozionale giusta.
Di fatto, Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore alle prese con brani come l’opener Missing o l’ottima Catastrophic, dalle reminiscenze progressive di estrazione britannica, episodi che consentono di elevare il valore dell’album fino alla sufficienza.
Yes, Steve Wilson e il new prog inglese sono sicuramente i paragoni più calzanti con il sound di Variomatic, un album che difficilmente uscirà dai confini del genere e quindi dai gusti degli amanti del progressive rock.
Tracklist
1.Missing
2.Eager
3.Fire Up
4.The Line
5.The Crossing
6.Melt
7.Catastrophic
8.In Circles
9.Good Night Return
10.Nocturnal
Esperienza, ritmo e talento per la melodia rendono questo disco una delle migliori cose che potrete sentire negli ultimi tempi in ambito celtic punk.
Gruppo di celtic punk molto melodico e ben composto, i Sir Reg vengono dalla Svezia ad esclusione del cantante arriva invece viene dalla verde Irlanda.
The Underdogs è il loro quinto album, ed è assai godibile, molto ballabile e vi darà molte gioie. Il celtic punk è un genere internazionale e molto amato che ha uno zoccolo molto fedele di fans, e i Sir Reg sono fra i migliori interpreti di questo suono. Il disco è strutturato principalmente sulla melodia, che traspare in molti modi, sia con dalle chitarre mai eccessive, o dai momenti migliori che sono quelli con gli strumenti tradizionali irlandesi in primo piano. Certamente ci sono molti gruppi simili in giro, e forse il genere è quasi inflazionato, ma questi svedesi danno nuova linfa al tutto facendo quello che dovrebbe essere un disco di celtic folk punk: divertente, malinconico e da ascoltare mentre si beve al pub, ridendo e ricordando le cose belle e quelle brutte. Sicuramente la voce irlandese di Brendan Sheehy regala una marcia in più, ma non è solo quello il motivo, perché il gruppo funziona molto bene e ha radici punk ben salde che escono molto spesso, contribuendo in maniera importante a costruire l’identità del gruppo. Bisogna lasciarsi trasportare dalla forza di questa band che è in giro dal 2009 e che ha suonato con molti nomi importanti ed in diversi festival, offrendo sempre live molto infuocati. Esperienza, ritmo e talento per la melodia rendono questo disco una delle migliori cose che potrete sentire negli ultimi tempi in ambito celtic punk.
Tracklist
01.the underdogs
02.conor mcgregor
03.giving it up (the drink)
04.fool (fight of our lives)
05.cairbre
06.take me to your dealer
07.the day that you died
08.the stopover
09.stereotypical drunken feckin’ ir
10.don’t let go
11.sinner of the century
Line-up
Brendan Sheeh : vocals & acoustic guitar
Karin Ullvin : fiddle
Chris Inoue : electric guitar
Mattias Liss : drums
Filip Burgman : mandolin
Mattias Söderlund : bass
Bulletproof nel suo insieme funziona quanto basta per piacere ai fans dell’hard rock, in bilico tra tradizione hard & heavy e qualche accenno al rock suonato negli ultimi anni del nuovo millennio.
Fondati nel 2012 dal batterista Max Klein e unite le forze con la cantante Kiara Laetitia (ex Skylark e con David DeFeis nel progetto Fight Now), i Rockstar Frame licenziano il secondo album della loro carriera intitolato Bulletproof, sotto l’egida della Musicarchy Media.
Il lavoro è composto da undici brani di hard rock, a metà strada tra impatto street metal e urgenza alternative, con la voce della singer che ricorda non poco quella di Inger Lorre dei Nymphs ed un’attitudine stradaiola tipica del rock a stelle e strisce. Bulletproof per i primi quattro brani mantiene queste caratteristiche, almeno fino a Sirio’s Interlude, brano strumentale dal taglio orchestrale che si avvicina ai Savatage e cambia repentinamente l’atmosfera creata con i primi brani, più diretti ed incisivi.
D’impatto alternative hard rock è l’opener Luv Calamity, seguita dall’hard & heavy Ready Goodbye, mentre la palma di migliore canzone del disco va a Time Bomb, perfetto esempio del mix di ispirazioni del gruppo e canzone che racchiude l’assolo più incisivo di tutto il lavoro, seguita dalla travolgente Secret, brano dall’appeal notevole e potenziale singolo da classifica se fossimo stati nella seconda metà degli anni ottanta.
L’album, quindi, si muove su queste coordinate stilistiche, non apprezzabili appieno causa una produzione ovattata che non permette ai brani di deflagrare dalle casse come dovrebbero.
Lasciate queste considerazioni tecniche, Bulletproof nel suo insieme funziona quanto basta per piacere ai fans dell’hard rock, in bilico tra tradizione hard & heavy e qualche accenno al rock suonato negli ultimi anni del nuovo millennio.
Tracklist
1. Luv Calamity
2. Ready Goodbye
3. Human Starvation
4. Time Bomb
5. Sirio’s Interlude
6. Suicide
7. French Madness
8. Indestructible
9. Christmas Rape
10. Secret
11. Tried
Line-up
Kiara Laetitia – Vocals
Max Klein – Drums and Programming
Alex Bryan – Bass
Dom Vitaly – Guitars
Sirio – Keys and Cine
Esordio discografico dei catanesi Crocodile Gabri, un gruppo che fa musica totale, figlio della florida ed originale scena catanese, dove l’underground è sempre stato per fortuna diverso.
Ci sono spazi preziosissimi di musica liberata, zone temporaneamente liberate dall’obbligo di vendere, di dover costruire suoni per farli sentire negli ipermercati e far comprare i consumatori, o per seguire una moda.
Musica che sgorga direttamente dai flussi di coscienza, neuroni che diventano ritmi e viaggiano liberi senza uno scopo, se non quello di far ragionare e di smuovere le cellule che stanno dentro di noi. Quanto sopra è solo una parte del quadro più ampio che potrete trovare dentro all’esordio discografico dei catanesi Crocodile Gabri, un gruppo che fa musica totale, figlio della florida ed originale scena catanese, dove l’underground è sempre stato per fortuna diverso. In un momento, quella che sembrava una canzone pop diventa noise, l’indie rock muore ucciso dal math e si riparte con una costruzione free jazz: ricchezza musicale e di pensiero, che poi sono le due cose fondamentali per un gruppo che voglia essere tale. Si potrebbero fare tanti accostamenti, tipo i Mr. Bungle o le cose come Shellac o Tortoise, la verità è che molti possono pensare che questo disco sia di difficile ascolto, mentre si deve considerare una liberazione, via gli steccati, via i generi e le pose, lasciando spazio a liberi pensieri e ancora più liberi pensieri musicali. Che tristezza rimanere ancorati alla tradizionale forma canzone, mentre qui si corre nudi sulla spiaggia, con una bella dose di malinconia tutta sicula e tanto umorismo mai fuori posto. Fa anche capolino un pizzico di elettronica, perché tutto viene usato in funzione di ciò che si vuole fare e non il contrario. Per le anime metalliche ci sono alcune sfuriate noise che vi entreranno nel cuore e faranno amare questo disco a chi ha tanti ritmi in testa e non ne vuole lasciare nemmeno uno per strada. E’ bellissimo perdersi in un’intelligente cascata di note, bagnarsi, asciugarsi e poi buttarsi nel fango, qui tutto è finalmente possibile. Inoltre i Crocodile Gabri escono per Seminal Pastures, un’etichetta di Catania che raccoglie una scena meravigliosa e libera.
Tracklist
1.Le Mie Cose
2.Ammiraglio
3.Combo
4.Fast Boy
5.Basta Con Questo Copyright
6.Tabernacol
7.Preoccupandomi Allarmai Madame Cancellier
8.Cambiamo La Società
La musica dei Telos è violenta e di qualità, stimola le sinapsi ed invita a non stare mai fermi.
Il grande mare dell’hardcore punk accoglie molti gruppi, ed ultimamente c’è stato un intenso proliferare nella zona chaotic hardcore e mathcore: tutti i lavori sono abbastanza buoni, ma alcuni spiccano sugli altri come questo ep dei danesi Telos.
I nostri hanno prodotto due pezzi molto potenti e calibrati molto bene, che colpiscono il bersaglio. I danesi ci parlano della Terra e del cosmo e hanno iniziato a farlo con l’ep di debutto chiamato Telos del 2016. I due pezzi trattano della fine della nostra galassia, visto ora dalla Luna e poi dal punto di vista del Sole. Essi vengono personificati ed esprimono i loro sentimenti e la loro visione di ciò che sta accadendo. Il lavoro è molto denso e potente, il blackened hardcore dei Telos è una tela con molte ramificazioni ed assai lavorata, con diversi spunti e idee che vanno sempre nella direzione di alzare l’intensità. Le pause e le ripartenze fulminee non sono il punto di arrivo ma lo spunto per sviluppare una poetica musicale che è violenta quanto è dolce, perché il fine di questa musica e di questo ep è di narrare ciò che sta sopra di noi esseri viventi, e che è vivente a sua volta. La musica dei Telos è violenta e di qualità, stimola le sinapsi ed invita a non stare mai fermi. Questo è il secondo lavoro della loro carriera discografica che si prospetta interessante, oltre che di buona qualità.
Split album per due band britanniche molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.
Due notevoli realtà britanniche uniscono le forze in questo split intitolato This Is As One, edito dalla Sharptone Records: gli inglesi Loathe, dei quali vi abbiamo parlato all’uscita del bellissimo full length The Cold Sun, licenziato lo scorso anno, ed i gallesi Holding Absence.
Due brani per ognuno dei gruppi, alle prese con un heavy moderno e sperimentale dalle reminiscenze djent per i Loathe, e con un post hardcore melodico gli Holding Absence.
Come sull’album, il gruppo del bravissimo singer Kadeem France spara bordate di metal moderno, caricato a pallettoni metalcore ma originale nel saper cambiare atmosfera in un nanosecondo: teatrale, e per certi versi progressivo, il sound di questi due nuovi brani conferma i Loathe come un’entità a sé stante nel panorama metallico moderno, con White Hot e Servant And Master che accrescono le aspettative per un nuovo album.
Il sound degli Holding Absence è molto più lineare e meno originale di quello dei loro colleghi: la band gallese ha un approccio melodico e radiofonico, ciò che serve per cercare la gloria tra i fans di un certo alternative rock più consono alle classifiche e vicino ai 30 Second To Mars.
L’alternanza tra melodie catchy e sfuriate rock sono valorizzate dalla voce del singer Lucas Woodland, con i due brani in programma che, in qualche modo, placano il clima estremo respirato con i Loathe.
Due band molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.
Tracklist
1. Loathe – White Hot
2. Loathe – Servant and Master
3. Holding Absence – Saint Cecilia
4. Holding Absence – Everything
Line-up
Loathe :
Kadeem France
Erik Bickerstaffe
Sean Radcliffe
Connor Sweeney
Feisal El-Khazragi
Holding Absence:
Lucas Woodland – Vocals
Feisal El-Khazragi – Guitars
Giorgio Cantarutti – Guitars
James Joseph – Bass
Ashley Green – Drums
Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano.
I La Fantasima sono un trio di Roma che vuole rendere omaggio alle atmosfere e ai colori del nostro paese, cercando una poetica musicale molto differente e totalmente personale.
La loro musica è per nostra fortuna e godimento difficilmente classificabile, dal momento che troviamo diversi stili in essa. La struttura è prevalentemente progressive, nel senso che è musica fatta per andare avanti senza ritornelli od inutili abbellimenti, ma è prodotta per creare uno stato d’animo nell’ascoltatore attraverso dilatazioni sonore che fanno sia meditare sia elevare. Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano. Qualcuno potrebbe anche sentirci dentro qualcosa di post rock, ma i La Fantasima sono un gruppo devoto alla tradizione, anche se sono molto moderni nel porsi in maniera originale. Lo scopo di Notte è di creare una mitopoiesi di questo paese che si chiama Italia e che forse non è mai stata una nazione, ma che ha dei luoghi unici, dove è meglio andare quando in cielo comanda la luna, perché certe cose con una luce differente si vedono assai meglio. Le atmosfere create dal trio romano, qui al secondo disco, sono molto belle e godibili: si gusta a fondo questo disco inforcando le cuffie e pensando solo a quello che stiamo ascoltando. La nuova fatica dei La Fantasima è preziosa, fa parte di quel poco tempo che strappiamo al panopticon che ci circonda, dove possiamo essere noi stessi e rincorrere ancora le lucertole sui muri, o impressionarci per un albero visto di notte. C’è tanta dolcezza in questo disco, ma anche la consapevolezza che siamo stati recisi dal nostro vero io, che possiamo trovare nelle cose e nei rari momenti in cui tutto si allinea e noi con esso, rare apparizioni di sapienza come questo disco che parla direttamente alla nostra anima, come poche altre cose sanno fare.
Tracklist
1.Notte
2.Placida Musa
3.Dea mia
4.Amante Silente
5.Sino Al Mattino
L’impianto è minimale ma potentissimo, il cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo.
Epifanie, satori, chiamatele un po’ come volete, ma l’ascolto di Soul Attrition può risvegliare in molti di noi antichi ricordi, vecchi sapori legati allo slowcore e in generale a quella magnifica stagione indie che ti faceva stupire ad ogni disco.
Soul Attrition è il progetto solista di Josh Palette, bassista della band sludge di Chicago Escape Is Not Freedom. Josh ha passato l’inverno fra il 2017 ed il 2018 a dipingere la sua tela sonora, che stiamo ascoltando, ed è una tela notevolissima. L’impianto è minimale ma potentissimo, il suo cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo. Il risultato è un disco che vorrebbe sussurrare, ma che per la validità di mezzi ed argomenti ti grida nelle orecchie ed arriva a grondarti dentro. Vashon Rain si inserisce perfettamente in quella tradizione americana che mischia rumore e melodia, fatta in una maniera che solo oltreoceano fanno alla perfezione. L’ovvietà e mestiere qui non stanno di casa, la meraviglia riempie i solchi del disco e porta l’ascoltatore nella personale visione di Josh, che è comune a molti di noi. Il passo di Palette è quello di chi sa cosa vuole dire e lo vuole fare con urgenza, producendo un disco davvero notevole e dalla forte capacità di attrazione. I sette pezzi che compongono Vashon Rainsono canzoni che richiedono e che meritano un ascolto approfondito che vi darà delle grandi gioie, e sinceramente si era persa la speranza di ascoltare dischi così. Un debutto di lacrime, sudore e sangue dal sapore buonissimo.
Due ore abbondanti di musica spettacolare, di un’intensità e di uno spessore difficilmente riscontrabili oggi, qualsiasi possa essere il genere preso in considerazione.
Non dovrebbe esserci molto da dire sull’ennesimo album dal vivo dei Marillion, alla luce della fama e della credibilità acquisita dalla band, nonché per l’inconfutabile qualità che ha contraddistinto ogni sua uscita lungo un carriera lunghissima, in studio o sul palco che fosse.
Questa ennesima prova di bravura, il classico prodotto rivolto ai fans più fedeli, non sposta chiaramente di una virgola quello che è lo status di un gruppo che, dopo quasi trent’anni nell’attuale configurazione, è riuscito a rendere l’ingombrante passato rappresentato dall’era Fish un qualcosa di riconducibile ad una band di fatto diversa, nonostante i 4/5 della formazione siano gli stessi, fatta eccezione ovviamente per Steve Hogarth.
Lasciato così, giustamente, al fondatore Steve Rothery e alla sua band il compito di riprodurre le magiche note del passato più remoto, i Marillion odierni possiedono un repertorio talmente vasto che, persino in un concerto di dimensioni così ampie, si vedono costretti ad escludere dalla scaletta brani che in altri frangenti storici sarebbero apparsi imprescindibili.
L’esibizione, tenutasi alla Royal Albert Hall, consta di due parti ben distinte, con la prima dedicata alla riproposizione integrale dell’ottimo F.E.A.R., ultimo album in studio pubblicato nel 2016, mentre nella seconda, che vede anche la presenza sul palco di una mini orchestra, viene offerto un greatest hits che si spinge a ritroso sino a Seasons End (con The Space e Easter), Holidays In Eden (Waiting to Happen) e soprattutto il capolavoro assoluto dei Marillion novantiani intitolato Brave (The Great Escape).
Trovano il giusto spazio anche altri album come Afraid Of Sunlight, con la title track, This Strange Engine (Man of a Thousand Faces), marillion.com (Go!), Marbles (Neverland), oltre alla ripresa della trascinante parte finale di The Leavers, da F.E.A.R., quale conclusivo bis.
Il tutto per due ore abbondanti di musica spettacolare, di un’intensità e di uno spessore difficilmente riscontrabili oggi, qualsiasi possa essere il genere preso in considerazione.
Il solo neo, tanto per voler fare l’incontentabile, è mio avviso quello d’avere escluso dalla scaletta quello che è il mio brano preferito dell’intera epoca hogarthiana, ovvero The Invisible Man, la splendida traccia d’apertura di Marbles, e qui non escludo che tale scelta possa derivare dalla fisiologica difficoltà da parte del sempre bravo Steve nell’interpretare adeguatamente, ancora oggi, una canzone così lunga, drammatica e, conseguentemente, molto stressante dal punto di vista vocale.
Per il resto nulla da aggiungere, se non il fatto che queste due righe di commento derivano dall’ascolto della versione audio, ma consiglio a chi voglia farsi un bel regalo di optare per il dvd che immortala la band sul palco durante questa lunga e del tutto soddisfacente esibizione, in una location peraltro unica e prestigiosa come quella londinese.
Tracklist:
CD 1 – F E A R Live
1. El Dorado – 19:55
2. Living in F E A R – 9:10
3. The Leavers – 20:07
4. White Paper – 7:42
5. The New Kings – 16:48
6. Tomorrow’s New Country – 1:46
CD 2 – All One Tonight, featuring In Praise of Folly & Special Guests
1. The Space – 8:32
2. Afraid of Sunlight – 7:47
3. The Great Escape – 11:11
4. Easter – 7:05
5. Go! – 8:59
6. Man of a Thousand Faces – 9:19
7. Waiting to Happen – 6:43
8. Neverland – 12:29
9. The Leavers: V. One Tonight – 6:24
Line up:
Steve Hogarth – voce, chitarra e tastiera aggiuntive, hammered dulcimer (CD1: traccia 5)
Steve Rothery – chitarra
Pete Trewavas – basso, cori
Mark Kelly – tastiera
Ian Mosley – batteria
Altri musicisti
Michael Hunter – arrangiamento strumenti ad arco, flauti e corno
In Praise of Folly
Nicole Miller – viola
Margaret Hermant – violino
Annemie Osborne – violoncello
Maia Frankowski – violino
Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa.
Nuova prova, anche se risale al 2017, per il gruppo stoner rock Il Vile da Verbania.
Questo ep di quattro pezzi ha un suono desert rock stoner assai valido, tra riff che guardano dall’altra parte dell’oceano e momenti maggiormente legati al meglio della nostra scena alternativa. Le canzoni hanno un buon sviluppo e un leggero sentore di blues, ed il cantato in italiano conferisce loro un’aura di malinconia e disillusione che è davvero affascinante. Addirittura, quando il gruppo va leggermente più lento, come in Tagli, dà il meglio e sembra di sentire qualcosa che da tempo si bramava, un suono distorto ma con elementi tipici dell’underground italico. I nostri sono in giro dal 2006, e si sente, poiché riescono sempre ad offrire quello che si sono proposti di fare. Per loro stessa ammissione, il modello è il desert rock stoner, con la differenza che al posto del panorama desertico c’è quello delle valli ossolane, ma la loro sintesi è originale e permette di avere molti sfoghi. Questo disco è il primo dopo l’assestamento nella formazione a quattro, che effettivamente ha dato un qualcosa in più. Zero è anche la conferma che, quando si hanno ottime idee in ambito musicale, il cantato in italiano non sottrae nulla ma anzi aggiunge qualcosa, e in questo caso Il Vile non potrebbe cantare in un altro idioma, perché l’italiano calza a pennello. Questo lavoro è per chi ama il gusto della sabbia e dell’asfalto e cerca qualcosa di qualità, fatto con passione e mestiere.
Tracklist
1. Schiena di serpe
2. Zero
3. Tagli
4. 4 cilindri per l’Inferno
Line-up
Enrico “MAIO” Maiorca – Voce, Chitarra, Parole
Alessandro “CUIE” Cutrano – Chitarra
Paolo “POL” Castelletta – Basso e Cori
Nathan DM Leoni – Batteria
Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.
Alternative hard rock band dal suono che più americano non si può in arrivo dalla Finlandia.
I Red Eleven tornano dopo cinque anni dal primo album, Idiot Factory, con questo ep di cinque brani dal titolo Fueled By Fire, un concentrato di rock duro a stelle e strisce, ispirato dall’alternative di fine secolo scorso, ma con neanche troppo velate ispirazioni southern.
Con le melodie sempre protagoniste, anche nei momenti più rocciosi, la band di Jyväskylä, senza far gridare al miracolo ci propone cinque buone canzoni che hanno tutto al posto giusto, riff hard rock, refrain ed appeal alternative, atmosfere calde e sudaticce tipiche della frontiera e melodie accattivanti.
Tony Kaikkonen e soci lasciano ad altri le atmosfere fredde che ispirano le pianure della terra dei mille laghi, per salire a cavallo di una fiammeggiante Harley Davidson ed affrontare il caldo infernale delle pianure americane, con in sottofondo il riff assassino della potentissima Redneck’s Promised Land, top song di Fueled By Fire ed influenzata non poco dai Black Label Society.
Un tocco di alternative rock, un pizzico di grunge, hard rock sudista quanto basta e la ricetta dei Red Eleven per conquistare i palati dei fans è pronta, buon appetito.
Tracklist
1.You’ve Been Warned
2.Back in Time
3.Redneck’s Promised Land
4.Again
5.Last Call
Line-up
Tony Kaikkonen – Vocals
Teemu Liekkala – Guitars / Backing vocals
Tero Luukkonen – Guitars
Samuli Saari – Drums
Petteri Vaalimaa – Bass
Nemesi risente talvolta delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.
Se, fino ad oggi, chi ascolta abitualmente metal non ha mai sentito nominare i June 1974 è tutto sommato giustificato, nonostante la marea di lavori pubblicati sotto questo monicker negli ultimi anni.
Il perché è presto spiegato: per la prima volta Federico Romano, il musicista che sta dietro al progetto, ha deciso di approdare in territori a noi più familiari dopo avere esplorato svariate forme musicali; così , con la collaborazione di Tommy Talamanca, che ha registrato il lavoro presso i suoi Nadir Studios, ha chiamato in qualità di ospiti nei diversi brani nomi piuttosto illustri della scena rock e metal, italiana ed internazionale.
Non si può negare, quindi, che alla luce del cast messo assieme da Romano, comprendente, tra gli altri, musicisti come Patrick Mameli , Andy LaRocque, James Murphy, Paul Masdival e lo stesso Talamanca, si finisce per prefigurare un disegno stilistico che alla fine non corrisponde del tutto al vero. Nemesi è, infatti, un lavoro di stampo progressivo, interamente strumentale e virato più sul rock che sul metal, e non è che questo sia di per sé un male, l’importante è appunto non farsi traviare da idee precostituite; è anche vero, d’altro canto, che a livello di consuntivo i brani che più convincono sono quelli che vedono coinvolti ospiti non di estrazione metal, come Sognando Klimt con Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori) e Home con Francesco Conte (Klimt 1918), oppure specialisti di altri strumenti che non siano la chitarra, come Nothing Man con Jørgen Munkeby (sassofonista degli Shining norvegesi) e Beloved con Francesco Sosto (tastierista dei The Foreshadowing).
Molto bello è anche Narciso, il brano che vede impegnato John Cordoni dei Necromass, con un chitarrismo morbido e melodico, in antitesi con l’appartenenza dell’ospite alla band più estrema tra quelle rappresentate, ma in generale l’album è comunque molto vario e si lascia ascoltare senza che la mancanza di parti vocali presenti più di tanto il conto.
Quello che non convince del tutto, finendo per inficiare parzialmente la resa finale del lavoro, è però l’elemento percussivo che si rivela il più delle volte troppo invadente, se non addirittura fuori luogo, nell’accompagnare uno sviluppo melodico che avrebbe richiesto un approccio più morbido e meno incalzante.
Detto questo, Nemesi, pur non essendo un’opera imprescindibile, contiene diversi motivi di interesse anche se, guardando le forze messe in campo da Federico Romano, potrebbe sembrare a prima vista soprattutto un’occasione perduta; indubbiamente il lavoro risente delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.
Tracklist:
1.”Sognando Klimt” featuring Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori)
2.”Inoubliable” featuring Tommy Talamanca (Sadist)
3.”Narciso” featuring John Cordoni (Necromass)
4.”Home” featuring Francesco Conte (Klimt 1918)
5.”Panorama” featuring Andy LaRocque (King Diamond)/Tommy Talamanca(Sadist)
6.”Nothing Man” featuring Jørgen Munkeby (Shining/Ihsahn)
7.”Death Note” featuring Patrick Mameli (Pestilence)
8.”Arcadia” featuring Paul Masvidal (Cynic/Death)
9.”Creed” featuring James Murphy (Obituary/Death/Testament/Cancer/Gorguts)
10.”Beloved” featuring Francesco Sosto (The Foreshadowing)
Gli Haken sono forse uno dei gruppi che meglio è riuscito a convogliare nella propria proposta tutti gli elementi presenti nel rock progressivo dagli anni settanta ai giorni nostri, creando un inusuale best of di quello che l’amante dei suoni progressivi ha ascoltato in oltre quattro decenni.
E’ arrivato anche per i britannici Haken il momento di suggellare i primi dieci anni di attività con un doppio live DVD/CD.
La band ci abbraccia dall’alto del palco con la propria musica, per due ore di viaggio nel progressive rock metal d’autore, con un sound che pesca a piene mani dalla storia del genere a 360° come da tradizione.
Gli Haken, infatti, sono forse uno dei gruppi che meglio è riuscito a convogliare nella propria proposta tutti gli elementi presenti nel rock progressivo dagli anni settanta ai giorni nostri, creando un inusuale best of di quello che l’amante di quei suoni ha ascoltato in oltre quattro decenni.
L’opera fotografa la band nel tour a seguito dell’uscita del bellissimo Affinity, arrivato proprio nel decimo anno di attività e quindi festeggiato a dovere con una scaletta che pesca da tutte le opere fin qui licenziate, in un apoteosi di suoni e meraviglie progressive suonate il 13 aprile 2017 presso il Melkweg di Amsterdam.
La splendida 1985, i ventidue minuti di Acquamedley la crimsoniana Cockroach King dal capolavoro The Mountain, The Architect, ed il gran finale lasciato alla lunga Visions, sono i momenti più significativi di questo mastodontico live che torna davvero a far risplendere il progressive rock e questa sontuosa band che, partendo da King Crimson e Yes, passa attraverso i gruppi del new prog inglese ed abbraccia i nuovi eroi progressivi come Leprous, Between The Buried An Me e perché no, Opeth.
Gli Haken sono una band eccezionale, magari sottovalutata ma che sa regalare emozioni a getto continuo, quindi lasciatevi catturare dalla loro proposta, iniziando magari proprio da questo bellissimo live che racchiude (nella versione DVD), oltre all’intero concerto al Melkweg, 4 bonus track filmate durante il ProgPower USA 2016, che vede anche la partecipazione di Mike Portnoy, e i video ufficiali tratti dai brani dell’ultimo lavoro; scommetto che cercare i precedenti album in studio diventerà subito dopo la vostra priorità musicale.
Tracklist
L-1VE CD 1
1. affinity.exe/Initiate
2. In Memoriam
3. 1985
4. Red Giant
5. Aquamedley
L-1VE CD 2
6. As Death Embraces
7. Atlas Stone
8. Cockroach King
9. The Architect
10. The Endless Knot
11. Visions
L-1VE DVD 1
1. affinity.exe/Initiate
2. In Memoriam
3. 1985
4. Red Giant
5. Aquamedley
6. As Death Embraces
7. Atlas Stone
8. Cockroach King
9. The Architect
10. The Endless Knot
11. Visions
L-1VE DVD 2
1. Falling Back To Earth – Live At Prog Power 2016
2. Earthrise – Live At Prog Power 2016
3. Pareidolia – Live At Prog Power 2016
4. Crystallised – Live At Prog Power 2016
5. Initiate – official video
6. Earthrise – official video
7. Lapse – official video
Line-up
Ross Jennings – vocals
Richard Henshall – guitars, keyboards, backing vocals
Raymond Hearne – drums, backing vocals, tuba
Charles Griffiths – guitars, backing vocals
Diego Tejeida – keyboards, backing vocals
Conner Green – bass guitar, backing vocals
Let Sleeping Dogs Lie è un ep, e tutto si sviluppa nell’arco di un quarto d’ora nel corso del quale la band spara raffiche di alternative rock che arrivano dritte al cuore degli amanti del genere e di gruppi come Hole e Foo Fighters.
Tra Los Angeles e Parigi si muove questo gruppo rock di nome Talia, una delle nuove promesse del modern rock’n’roll di matrice statunitense.
Let Sleeping Dogs Lie è il quarto lavoro, uscito per Pavement Entertainment, prodotto nientemeno che da Steve Albini, leggendario musicista e produttore con un curriculum che coincide con la storia del rock tra gli anni novanta ed il nuovo millennio.
Rock’n’roll, alternative ed un pizzico di attitudine punk rock sono gli ingredienti per fare di Let Sleeping Dogs Lie un album tipico dalla scena statunitense, con il classico sound che incorpora quegli elementi che fecero degli anni novanta un vulcano rock in continuo fermento prima di eruttare lava grunge ed esplodere in fuochi alternative.
Il suono è scarno e diretto, e già dal primo brano si sente la mano del Steve Albini musicista di estrazione hardcore: la voce del chitarrista Nicolas Costa lascia qualche dubbio, essendo poco energica per il tipo di sound offerto, mentre i brani nel loro insieme creano una la giusta atmosfera elettrica. Let Sleeping Dogs Lie è un ep, e tutto si sviluppa nell’arco di un quarto d’ora nel corso del quale la band spara raffiche di alternative rock che arrivano dritte al cuore degli amanti del genere e di gruppi come Hole e Foo Fighters, con la convinzione da parte del sottoscritto che se le tracce presenti fossero state lasciate alla voce della Love, sarebbero letteralmente deflagrate.
Qualcosa più di un dettaglio, anche se l’album a tratti lascia trasparire delle potenzialità che i Talia devono ancora esprimere del tutto: aspettiamo fiduciosi.
Tracklist
1. Afraid Of Heights
2. Still Waters
3. Wreckage
4. Bleed You Dry
5. In The Evening (New Wave)
Line-up
Nicolas Costa – Vocals & Guitar
Alice – Bass
Mickey – Drums
Scaryman è un lavoro imperdibile per i veri amanti di queste sonorità e i Lipz sono un gruppo da seguire con molta attenzione, perché la festa sembra ancora ben lungi dall’essere finita.
Le terre scandinave sono state le prime ad offrire un’altra chance a chi, fregandosene delle mode, un bel mattino ha deciso di riprovarci, aprendo l’armadio per cercare la maglietta a rete, gli spandex e la scatola dei trucchi.
D’altronde le fredde terre del nord, per molti patria dei generi estremi, hanno tradizioni ben consolidate nel genere più scanzonato, catchy e puramente rock’n’roll tra quelli che formano la grande famiglia dell’hard rock e dell’heavy metal, lo street/glam.
I Lipz sono un trio svedese e Scaryman è il loro primo full length, licenziato da Street Symphonies Records & Burning Minds Music Group, label facenti parte della grande famiglia Atomic Stuff e punto fermo ormai da anni per quanto riguarda i suoni hard rock.
Alex K. (voce e chitarra), Koffe K. (batteria) e Conny S. (chitarra) hanno trovato tutto l’occorrente ben ripiegato nell’armadio, si sono preparati di tutto punto e hanno dato vita, sei anni fa circa, a questo progetto che ripercorre tutti i cliché del sound sovrano delle notti losangeline intorno alla metà degli anni ottanta.
Come molte realtà provenienti dai paesi scandinavi, anche i tre rockers svedesi hanno il genere nel sangue e si sente: aiutato da un’ottima produzione Scaryman risulta una bomba street/glam che vi travolgerà, perfetto in ogni chorus, in ogni ammiccamento, duro quel tanto che basta per fare dei riff di cui si compongono i brani delle scintille elettriche sprigionate da cavi ad alta tensione strappati dal twister formatosi quando, dopo l’intro The Awakening, la title track dà inizio al super party a base di Poison, Motely Crue e compagnia di omaccioni in spandex e mascara.
Con una serie di brani che non avrebbero sfigurato in classifica più o meno trent’anni e spiccioli fa, Scaryman vive di rock’n’roll ipervitaminizzato e dall’appeal irresistibile, un piccolo gioiello per i fans del genere, i quali non avranno scampo all’ascolto di Star, Fight,Get It On, Tick Tock e delle altre canzoni, prive di punti deboli e perfette party songs. Scaryman è un lavoro imperdibile per i veri amanti di queste sonorità e i Lipz sono un gruppo da seguire con molta attenzione, perché la festa sembra ancora ben lungi dall’essere finita.
Tracklist
01. The Awakening
02. Scaryman
03. Star
04. Get Up On The Stage
05. Fight
06. Get It On
07. Falling Away
08. Tick Tock
09. Trouble In Paradise
10. Everytime I Close My Eyes (Acoustic Bonus)
Millennials è un lavoro che offre spigoli appuntiti ad ogni angolo e lascia una sensazione di epocale, come se avesse cambiato qualcosa, almeno dentro a chi lo ascolta.
Dall’hardcore non nascono fiori ma bombe a mano lanciate fra la gente, attacchi sonori che lasciano impietriti, la cosa deve far male e il sangue deve scorrere, ma al contempo deve anche far pensare.
Questo debutto dei Coilguns, scritto e inciso nel 2016, che ha poi avuto varie vicissitudini, è un disco di hardcore della nuova razza, una nuova concezione di come esportare la rabbia, nuove strutture sonore per esprimere la provincia ed il suo disagio. Millennials nasce in zona Converge e hardcore mutato, e questa è solo la genesi, perché poi i Coilguns diventano qualcosa di totalmente autonomo e scalciante. La proposta musicale è un hardcore con chitarre che sono come rasoi affilati, una sezione ritmica epilettica e mille soluzioni sonore diverse. Questo esordio è un’aggressione sonora contundente, ci sono finali di canzoni che diventano canzoni stesse, il tema muore e poi cambia per tornare ancora con più rabbia e cattiveria. Lascia davvero stupefatti questo disco, suonato in milioni di note che diventano particelle atomiche che si insinuano sottopelle. Millennials è stato suonato dal vivo e si sente, ha una forza tremenda, e ha anche degli elementi da jam, nel senso che il gruppo svizzero produce un groove che può nascere solo in saletta, quando ognuno aggiunge qualcosa. Inoltre si può anche affermare che questo dei Coilguns sia hardcore psichedelico, perché si sviluppa in sinuose volute di fumo che arrivano fino al cielo, portando rabbia e disprezzo. I Coilguns raccontano storie che possono essere comuni a tutti nelle nostre vite infernali, e questo sentimento è stato ben scandagliato e definito da Jane Doe dei Converge, ma qui a distanza di anni non si vede ancora il fondo, e la provincia è la prima forma di morte, ben più sincera che la città. Dischi come questo però sono talmente profondi e di una tale portata che riescono a proporre una fuga, almeno in queste splendide terribili note. Millennials è un lavoro che offre spigoli appuntiti ad ogni angolo, e lascia una sensazione di epocale, come se avesse cambiato qualcosa, almeno dentro a chi lo ascolta. L’intensità di questo disco, la sua rabbia, la sua speranza perduta è un immenso vaffanculo a chi ancora nutre speranza, mentre si contorce a terra tentando di non far uscire le proprie budella, perché non si può morire ma lavorare e contribuire al fulgido futuro che ci aspetta. Il disco è disponibile in download libero sul bandcamp del gruppo.
Tracklist
1.Anchorite
2.Deletionism
3.Millennials
4.Spectrogram
5.Music Circus Clown Care
6.Ménière’s
7.Wind Machines For Company
8.Self Employment Scheme
9.Blackboxing
10.The Screening