Dury Dava – Dury Dava

Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion.

Dalla Grecia arriva uno dei gruppi più estremi per quanto riguarda la psichedelia più oscura e generatrice di visioni.

Il nuovo lavoro del gruppo ateniese, che canta in greco, è un rito panico che attraverso l’astrazione e la interdimensionalità conduce in uno spazio fisico molto diverso da quello attuale. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion. Ma si badi bene che questo disco non è un guazzabuglio di suoni, quanto un bellissimo collettore di tanti momenti diversi, e chi ama certe sonorità che sanno essere sia eteree che pesanti in questo album troverà molta gioia. Le canzoni sono costruite in modo da svilupparsi in maniera mai lineare, ma cercando spazio nello spazio, usando quasi tutti gli strumenti presenti nel globo, per andare molto lontano. Si perde la cognizione del tempo, anche perché non esiste nessuna fretta, non ci sono obiettivi o soft skills, si cerca e si trova nutrimento per il nostro cervello stremato da cose ed orpelli inutili, ma che noi consideriamo essenziali. I Dury Dava riportano tutto al suo posto, confezionando un disco che è allo stesso tempo febbrile e curativo. Come quando si assume del peyote, prima qualcosa esce dal nostro corpo e poi si comincia il viaggio, e dopo non si è più come prima. Infatti nelle canzoni che sono contenute in questo disco la forma canzone è davvero obsoleta, e si supera anche quella della jam, per entrare in un altro stato mentale. E proprio la diversione psichica ciò che ricerca questo incredibile gruppo con un disco che pesca anche nella tradizione musicale greca e turca, l’oriente più vicino a noi. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion: un altro sguardo e tanta ottima psichedelia per un gruppo da scoprire.

Tracklist
1. Africa
2. Triptych
3. Come Again to
4. Satana
5. Zoupa
6. Summer
7. 34522
8. Ataxia
9. Tarlabasi
10. Kane Ligo Alithina

DURY DAVA – Facebook

Julinko – Nèktar

Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei dischi che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse, un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Etereo, esoterico, dolce, lancinante e additivo viaggio messo in musica in maniera davvero originale per questo terzo disco della creatura sonica chiamata Julinko, il primo in forma di terzetto.

La dea musicale che ha dato avvio al tutto è Giulia Parin Zecchin, cantante, chitarrista e visionaria che fonda il gruppo a Praga nel 2015 e per varie tappe arriva a concepire questo piccolo capolavoro in una discografia già ottima. Il disco possiede un suono che fa nascere un universo tutto suo, lo stile musicale ingloba molte cose, molti rimandi e tante cose che rendono speciale il tutto. Per prima cosa spicca la voce di Giulia, che altro non è che una bellissima connessione ad un qualcosa di superiore, che si può capire solo se legato alla musica degli altri componenti del gruppo, Carlo Veneziano alla batteria e synth e Francesco Cescato al basso. Nèktar è un distillato di riverberi, psichedelia profonda e di un’oscurità che piano piano si prende tutto. C’è un senso di sogno, di visione alchemica che prepara a qualcosa d’altro, un non stare mai fermi in un mondo che vive nel buio e scava nei simboli. Come altri pochi esempi, Giulia è una sciamana che suona per far nascere o rinascere qualcosa di antico che è in noi dormiente. L’ispirazione del disco le è venuta in un momento di conoscenza indotta da agenti esterni ed interni che ha fatto diventare il Nèktar del titolo un percorso a ritroso dalla morte ad una nuova vita. Giulia taglia carni con la sua voce e la sua chitarra, che è come una spada oppiacea che uccide e fa godere, il resto del gruppo la segue benissimo, in un percorso che non può essere lineare, ma che è anzi scosceso e difficile come tutti i percorsi iniziatici. La musica è dolce e sinuosa, pericolosa e bellissima come il canto di una sirena. Musicalmente si segue una certa tradizione italiana fortemente underground che ha sempre dato ottimi frutti, quella di un certo tipo di psichedelia rumorista e lisergica di alta qualità. Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei lavori che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse. Un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Tracklist
1.Into the Flowing Stream Plunge Me Deep
2.Deadly Romance
3.Venus’Throat
4.Leonard
5.The Hunt
6.Spirit
7.Servo
8.Death and Orpheus
9.The Woods, the Wheel
10.Nèktar

Line-up
Giulia Parin Zecchin – Guitar and Voice
Carlo Veneziano – Drums and Synth
Francesco Cescato – Bass

JULINKO – Facebook

Liles/Maniac – Darkenig Ligne Claire

Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera.

Dimenticate totalmente il concetto di musica tradizionale, perché qui non è affatto presente.

Questa è musica totalmente sperimentale e di avanguardia, un uso di due linguaggi musicali differenti da fondere assieme e da ampliare ulteriormente in una maniera inedita. Sven Erik Fuzz Kristiansen aka Maniac è un veterano della scena black norvegese, ha anche cantato nei Mayhem durante i periodi 1986-88 e 1995-2004, quando il batterista Hellhammer decide di far rivivere i Mayhem dopo la morte dei membri Euronymous e Dead. Ha poi collaborato con Wurdalak e Bomberos, per poi fondare il gruppo Skitliv con Kvarforth, meglio conosciuto come Shining. L’altra metà di questo disco è il produttore polistrumentista nonché rumorista accanito Andrew Liles, che nella sua lunga carriera ha collaborato con i Nurse With Wound, i Current 93 e tantissimi altri, impossibile menzionarli tutti qui. Questo lavoro non è la prima collaborazione fra i due, dato che si incontrano per la prima volta durante l’edizione 2008 del Roadburn Festival curata da David Tibet (sempre lui), Liles viene successivamente invitato a unirsi alla line up dei Sehnsucht, una band fondata da Kristiansen, Ingvar e Vivian Slaughter. Una traccia di questa esperienza è l’album Wurte, registrato nel 2010. Liles e Kristiansen mantengono vivo il loro dialogo creativo fondando la band Svart Hevn e occasionalmente suonando dal vivo sia come Svart Hevn che come duo Liles/Maniac. Darkening Ligne Claire è tante cose diverse ma fondamentalmente è un disco di droni creati rimaneggiando la voce di Maniac, suoni elettronici totalmente disarmonici quassi fosse un dub in ecstasy del black metal. Il tutto nasce dalla visione delle fotografie di Christophe Szpajdel: qui la melodia non esiste e la furia del black si disperde negli eoni di una narrazione che è ancora più paranoica di quella originale. Il tutto è molto interessante e potrebbe essere la migliore colonna sonora possibile per un videogioco come Quake, con atmosfere tenebrose ma anche spaziali. Il lavoro è un’esperienza sonora che ottiene un software differente usando due codici sorgenti diversi, quello del black metal e quello dell’elettronica libera. Un mondo che viene scoperto da Liles e da Maniac e che è ancora da esplorare totalmente.

Tracklist
I – EMPEROR
II – ENTHRONED
III – FLAGELLUM DEI
IIII – SLAUGHTER MESSIAH
IIIII – SOULBURN
IIIIII – WOLVES IN THE THRONE ROOM
IIIIIII – NOCTUARY

The Voices & Aries – La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende

La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.

Fruttuosa collaborazione fra i The Voices e Pierluigi “Aries” Ammirate, usando solo chitarre, voci sintetizzatori.

Il risultato è un disco che va ben oltre la musica, molto neoclassico a partire dalla copertina, sembra quasi di sentire composizioni create quasi fossero parte di un’opera o del rito di qualche culto ancora a noi sconosciuto. La Tua Mano Dà, La Tua Mano Prende è un lavoro assolutamente fuori dal comune, in cui accadono molte cose in un’ambientazione fortemente minimalista e soprattutto dall’approccio musicale pressoché inedito.
Pierluigi è un chitarrista molto dotato tecnicamente, fortemente metal e creativo, che qui usa la chitarra come se fosse un’orchestra, creando scale, fughe e droni, il tutto molto ben composto e di grande effetto. Un discorso a parte lo merita la voce, una polifonia che sale al cielo come una preghiera, una forza alla quale ci si arrende molto volentieri e che estrania totalmente dalla realtà. Infatti The Voices nasce come progetto sperimentale di musica a cappella, ma dimenticatevi di ciò che avete sentito fino ad ora in materia. Infine i sintetizzatori vengono usati come moderni organi, che innalzano il resto del contesto e lo rendono molto neoclassico. Il disco è in modalità download ad offerta libera sul bandcamp della bresciana Masked Dead Records, una delle etichette italiane di metal e molto altro più innovative. Scorrendo il suo ampio catalogo, di cui abbiamo già trattato sulle nostre pagine, si possono ascoltare dischi che vanno ben oltre il significato e la forma del metal, per un viaggio che speriamo continui ancora a lungo. Questo ep è una vera e propria inusuale esperienza sonora, ad esempio la conclusiva Entrambe Le Mani è un manifesto di un qualcosa che tocca la nostra vera intimità, ed è molto esplicativa su cosa sia questo progetto. Innovazione ma anche molta antichità, in una connessione fra futuro ed origini molto fertile ed interessante.

Tracklist
1.Creatura Angelica
2.Per Queste Strade
3.Complice Eterea
4.Entrambe Le Mani

Monarch – Sabbat Noir

La ristampa di questo lavoro nei formati vinile e cassetta da parte della Zanjeer Zani Productions si rivela quanto mai opportuno , in quanto Sabbat Noir è uno dei prodotti più significativi usciti in tale ambito all’inizio del decennio

Sabbat Noir è il quinto full length della discografia dei francesi Monarch, insidiosi interpeti di uno sludge drone impietoso come pochi altri.

L’album, composto da una sola traccia di quasi trenta minuti, suddivisa in due parti equivalenti nella versione in vinile, è una lunga e penosa discesa negli inferi, tra riff ultraribassati, ritmiche pachidermiche non prive di interessanti sussulti e, in sottofondo, i quasi impercettibili sussurri e le più udibili e strazianti urla di Emilie Bresson.
Come si può intuire, qui non si parla di schemi compositivi ben definiti bensì quasi di una sorta di flusso che sorge spontaneo e che si dipana lento e brutale con modalità ai limiti dell’esasperazione; il tutto all’insegna di un rumorismo che però non è puro caos ma, addirittura, nella seconda parte esibisce barlumi di linee melodiche nonostante il contesto di fatto resti sempre quanto mai apocalittico.
La ristampa di questo lavoro nei formati vinile e cassetta da parte della Zanjeer Zani Productions si rivela quanto mai opportuno , in quanto Sabbat Noir è uno dei prodotti più significativi usciti in tale ambito all’inizio del decennio e si trattava, al contempo, di una sorta di punto oltre il quale i Monarch non avrebbero porto spingersi senza scadere nel rumorismo fine a sé stesso: infatti, i tre full length successivi vedranno la band aprirsi a suoni “relativamente” più accessibili (fatte tutte le dovute contestualizzazioni) inserendo all’interno di strutture sempre e comunque abbondantemente disturbate sia parti di chitarra vagamente più lineari, sia passaggi vocali cantati nel senso vero del termine.
Tale percorso, che ha in Never Forever del 2017 la sua ultima tappa, ha visto la band transalpina protagonista di un consistente crescendo che l’ha portata ad essere oggi una delle più credibili risposte europee ai vari Khanate e Sunn O))), il che non è affatto trascurabile.

Tracklist:
1.Sabbat Noir

Line-up:
Emilie Bresson (Vocals)
MicHell Bidegain (Bass)
Rob MacManus (Drums)
Shiran Kaïdine (Guitars)

MONARCH – Facebook

Anacleto Vitolo – Obsidian

Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora.

Nuovo lavoro per uno dei migliori esploratori sonori che abbiamo in Italia, Anacleto Vitolo.

Anacleto ha prodotto moltissimi lavori, ha dato vita e portato avanti svariati progetti, tutti con il fine di esplorare le possibilità offerte dalla musica elettronica. Quest’ultima nelle sue mani assume significati altrimenti inediti, poiché Vitolo concepisce la musica elettronica come continua spinta in avanti, inevitabile pulsione creativa frammista anche alla ricerca tecnologica. Obsidian è il capitolo più recente del suo viaggio, ed è un po’ la summa del lavoro fino a qui compiuto. Innanzitutto narrazione, esposizione delle trame più fitte degli elementi naturali, microscopio sonoro che va a ricercare le cose più minute, confermando quella congiunzione che ha fin dal titolo con il mondo minerale legandosi al sotterraneo. Il nascosto, il terreno, l’umido minerale sono concetti molto importanti per penetrare Obsidian, che è come una recondita vibrazione che giunge dalle profondità della terra, e il musicista è un medium che le traduce per noi. Ambient, dark ambient, glitch, idm, e in minima parte techno per un affresco musicale ricchissimo. Anzi qui si va oltre il concetto di musica come la conosciamo e come siamo pigramente abituati a considerarla, nel senso che si richiede una grande apertura mentale. Obsidian è uno studio compiuto in totale mancanza di atmosfera, un carpire rumori ed umori terreni, una continua scoperta sonora. Uno dei tanti pregi di Vitolo è quello di legare in maniera strutturata e credibile ciò che sarebbe incredibile ed insopportabile in altre mani, non troncando il mistero e la meraviglia ma almeno ne contorna benissimo i riquadri. Qui la geometria è assai importante, questa esperienza sonora sembra venire fuori dall’antica scuola esoterica pitagorica, dato che si mostrano forme e legami per rimandare ad un significato nascosto e che deve essere colto e compreso. I suoni infiniti che Anacleto modula sono le risultanze fisiche di ciò che non possiamo vedere ma che compone il nostro universo fisico e spirituale. Obsidian è una ricerca sonora bellissima e avanzatissima come tutte quelle fino a qui compiute da Anacleto, e si pone molto in alto nella sua già ottima discografia. Inoltre Vitolo, e come poteva essere altrimenti, è un fiero metallaro come tutti noi.

Tracklist
1 Obsidian
2 Graphite
3 Quartz
4 Coil
5 Spire
6 Membrane
7 Amethyst
8 Carbon

ANACLETO VITOLO – Facebook

DEGREDO – A NOITE DOS TEMPOS

Ancestrali arcaici infernali suoni e rumori, per un esordio che, se musicalmente poco Black Metal, rimane comunque profondamente nero nell’anima, nel corpo e nell’infernale alone Dark Ambient che circonderà qualsiasi ascoltatore che ne tenterà il coraggioso approccio.

Sono sempre stato affascinato dall’alone di mistero di cui certe band (soprattutto Black) amano circondarsi.

I Degredo, nello specifico, appaiono e scompaiono come un poltergeist, come una qualche entità (maligna) che pare appena uscita da Paranormal Activity.
Appena abbozzi una ricerca sul Web, e pensi di esser riuscito a carpire qualche informazione, ti rendi quasi immediatamente conto, che stai guardando una qualsiasi pagina su internet che nulla ha a che fare con la band in questione.
D’altronde Velha e Lagrisome (i monickers del duo portoghese di non si sa quale dimenticata città lusitana…) non ci informano nemmeno sul loro ruolo nella band, su quale strumento suonano, su chi sia il songwriter, e non lasciano alcuna traccia delle loro liriche.
Appare pertanto difficoltoso (sebbene affascinante) recensire un album (il loro debutto) e citare qualche informazione di una band di cui conosciamo poco, anzi pochissimo, se non solo che appartengono all’Inner Circle Portoghese (il cosiddetto “Aldebaran Circle” che conta tra gli adepti anche Voemmr, Ordem Satanica, Trono Alem Morte e Occelenbriig).
Sicuramente l’appartenenza ad un Circle, oltre a rendere ancor più misteriosa l’origine di una band, (pensiamo agli adepti delle Legions Noires francesi, o dell’Austrian Black Metal Syndicate, e ancora del Temple of Fullmoon polacco, per non dimenticare il primo – ed originale – Norvegian Black Inner Circle) ci pone di fronte ad orde di misantropi, misogini e misandrici esseri (forse) viventi, il cui Verbo racchiude il più impenetrabile, imperscrutabile ed ermetico atteggiamento anti-umanità che la storia possa ricordare.
A fronte di queste considerazioni, pare ovvio che meno informazioni personali vengono divulgate sulla rete, meno notizie su se stessi vengono rese accessibili, al resto dell’umanità, meglio è. Chiaro che spesso, questo poco intelligibile atteggiamento, racchiude una sottile e velata attenzione ad azioni di vero marketing; il mistero affascina tutti, della serie: “meno faccio sapere di me stesso, più la gente vuole sapere…”.
Musicalmente i Degredo appaiono fin da principio in linea con quanto appena detto.
Un album della durata di circa un’ora e un quarto, suddivisa in quattro parti (letteralmente, non esistono veri e proprio titoli di canzoni), di un Dark Ambient Noise Black impregnato fortemente di infernali rumorismi dark, grigio industrial, ma soprattutto tanta Drone Music.
Un album assolutamente minimalista, nero come un’eterna notte antartica; un’iperbole di cupo odio, che sprigiona malignità da ogni sua pseudo-nota musicale. Un terrificante affronto alla vita, a tutto ciò che possa oggi rappresentare calore e luce. Chi si appropinqua a questo album, percorrerà un viaggio a ritroso nel tempo, proiettato in un antichissimo mondo dimenticato, ove luce e chiarore non faranno mai capolino, immersi in eterne tenebre, accompagnati da quattro “momenti musicali” che paiono far parte dell’uno (in realtà è un’unica canzone suddivisa in quattro parti); un viaggio Dantesco, verso i più oscuri antri infernali. Un album che è un archetipo della malvagità più arcana ed ancestrale, non adatto a persone impressionabili, consigliatissimo per scatenati fan di Abruptum e Mortiis.
Dopo quattro demo (il primo datato 2012, quindi una band decisamente giovane) ecco pertanto lo stravagante esordio su Harvest Of Death, label accostabile sicuramente al Circle portoghese, in quanto autrice di quasi tutte le produzioni delle band sopra citate.
Un ultima nota: se si ha un poco di tempo, può essere divertente dare un’occhiata alle informazioni sulle band dell’etichetta in questione… col risultato di trovare poco o niente. Mistero su mistero, in pieno stile Inner Circle!

Tracklist
1. Parte Um
2.Parte Dois
3.Parte Três
4.Parte Quatro

Line-up
Velha
Lagrisome

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook

Die Sonne Satans – Metaphora

Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Dopo 25 anni dalla sua uscita torna il disco Metaphora del progetto dark ambient italiano Die Sonne Satans, manovrato dalle tenebre da Paolo Beltrame, deus ex machina del gruppo.

Metaphora era originariamente uscito nel 1993 come metà dello spilt con i Runes Order, per i tipi della mitica Old Europa Cafè, un’etichetta di ambient e industrial che ha tracciato una strada ancora molto futuristica tuttora. Su Die Sonne Satanas non si sa granché, solo che dietro al nom de plume c’è Paolo Beltrame, ma va benissimo così, perché ci sono le sue opere a parlare di e per lui. Il disco ha avuto un ottimo restauro sonoro da parte di Maurizio Pustinaz, il tutto avvallato da Beltrame stesso. L’opera in questione non è prettamente musica, né si avvicina minimamente alla sua concezione tradizionale ma va ben oltre: è un insieme di ambient e di spunti che hanno per oggetto il simbolismo religioso, come se si lavorasse sulla materia religiosa e la si facesse uscire in un’altra maniera. Centrale è il concetto espresso dal breve titolo Metaphora, che in greco significa trasportare oltre, per cui un termine viene usato per significare qualcosa di diverso dalla sua origine. Qui è esattamente così, nel senso che si prende un significato e lo si usa in contesti diversi, facendolo diventare altro. Ciò che stupisce maggiormente in un disco come questo è la capacità di penetrare dentro l’ascoltatore, e come fosse un rito sciamanico portarlo lontano, in un ambiente diverso dal suo. Alcuni stilemi della religione cristiana vengono qui lavorati a tal punto che diventano un qualcosa ora di liquido, ora di monolitico, come se fossero salmi che minimali salgono al cielo accompagnati da droni e loop. Metaphora era un disco gigantesco già all’epoca dell’uscita, in un momento magico per il movimento ambient industrial occultistico italiano. Ascoltare questo album è una vera esperienza sonora, e ognuno ci sentirà ciò che preferisce, non ci sono limitazioni qui od intrattenimento. In quei fantastici anni novanta in Italia si producevano autentiche chicche di questo genere, musica che era ben oltre la musica, poi è arrivata la risacca e si è affievolito tutto, anche se rimane qualcosa. L’etichetta Annapurna di Firenze, una delle migliori in Italia con un catalogo notevolissimo, ci dà la possibilità di ascoltare un disco che è bellissimo e che è meraviglioso nel senso che produce autentica meraviglia e bellezza. Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Tracklist
1.The garden of Hydra
2.Body snatcher
3.Spiritwook (revised)
4.Source
5.Orbis
6.The Venerable
7.Advent
8.Pleurotomaria (revised)
9.Cheopys

ANNAPURNA – Facebook

Sektarism – Fils de Dieu

L’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine.

C’è chi considera già le forme, per così dire, canoniche del funeral doom un qualcosa di totalmente alieno alla propria concezione di musica.

Bene, si sappia allora che si può anche andare ben oltre una straziante evocazione del dolore e del senso della caducità umana, come avviene per esempio con l’opera dei Sektarism, combo francese giunto con Fils de Dieu al proprio terzo full length.
Questa sorta di confraternita del dolore formata da musicisti gravitanti nella ben conosciuta ed oblique scena black metal francese, in circolazione da circa un decennio e molto attiva in particolare negli ultimi tre anni, ha ripreso a martellare impietosamente l’audience per ribadire con forza l’ignominia dell’esistenza umana.
Quello dei Sektarism è un vero e proprio rituale, che si perpetra attraverso album registrati dal vivo ed esibizioni che, immagino, siano quanto di più lontano si possa immaginare da un canonico concerto; il sound solo a tratti assume le sembianze di un funeral doom deviato, ma per lo più è segnato delle invocazioni del vocalist Eklezjas’Tik Berzerk che si stagliano incessanti su un substrato dronico/rumoristico che rifugge ogni parvenza di forma canzone.
Detto questo, l’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine provando a lasciarsi ferire le carni dai dieci minuti di urla strazianti di Oderint Dum Metuant, che altro non sono poi che una sorta di lunga introduzione al secondo brano Sacrifice, oltre mezz’ora di disperazione sonora che ci precipita nella più assoluta oscurità.
Fils de Dieu è un lavoro per stomaci forti ed orecchie ben allenate, ma pensare di sfuggire ai Sektarism è un vano tentativo; in fondo tutti noi dovremmo cominciare a ragionare sull’opportunità di espiare, prima o poi, la colpa di esistere, perché quando ne saremo chiamati a rispondere sarà inevitabilmente troppo tardi.

Tracklist:
1.Oderint dum metuant
2.Sacrifice

Line-up:
Shamaanik B. – Drums
Messiatanik Armrek – Guitars
Eklezjas’Tik Berzerk – Vocals
Kristik A.K. – Bass

Thou – Magus

E’ un’esperienza rigenerante abbandonarsi al suono devastante dei Thou, un’incendiaria miscela di sludge, doom, drone e black creata da musicisti di alto livello.

Emersi dalle pericolose paludi della Louisiana, gli statunitensi Thou, in poco più di dieci anni di carriera, hanno inondato la scena di molteplici uscite discografiche, circa 40, tra full length, ep, split e compilation, mantenendo un alto profilo artistico votato alla disgregazione delle nostre fibre nervose, con il loro potente e sempre ispirato blend di sludge, doom, black e drone sempre perfettamente calibrato, per scuotere nel profondo i nostri sensi.

Originario di Baton Rouge, il quintetto nel 2018 ha fatto sentire pesantemente la sua presenza, proponendo a cadenza regolari tre succulenti EP nei quali hanno lasciato fluire la loro inventiva, a partire da House Primordial, molto noise-drone, passando per Inconsolable, dal flavour dark folk, fino a Rhea Silvia, omaggio agli Alice In Chains e al grunge in generale; eclettici e votati alla sperimentazione sonora e testuale, i Thou hanno spesso collaborato con altri act mutanti dell’underground a stelle e strisce (Body, Barghest, Great Falls tra gli altri), fornendo sempre prove convincenti e varie. Non amano essere catalogati e tanto meno identificati come sludge band, preferendo richiamarsi più alla scena punk e grunge, e citano tra i loro gusti Nirvana e Fiona Apple mentre suonano live cover di Duran Duran. Una creatura sfuggente, ma decisamente originale e potente plasmata da oltre 600 concerti e cinque full length, compreso il nuovo Magus, che conclude la trilogia iniziata nel 2010 con Summit, più black oriented, e proseguita nel 2014 con Heathen, dalle sfumature invece più doom; l’ultimo lavoro bilancia al meglio le due anime black e sludge, investendoci con settantacinque minuti di devastazione, con brani lunghi, lavorati dal suono delle due chitarre che macinano riff e atmosfere opprimenti senza sosta, mentre le vocals straziate, sguaiate di Bryan Funck sovrastano il suono, miscelando scream e growl in modo personale. Non lascia indifferenti l’approccio con la loro musica, perché è sfiancante, estenuante, ti prende alla gola e non ti fa respirare (da vedere il video di The Changeling Prince dove la partecipazione del pubblico sembra seguire un antico rituale); siamo vicini alle derive proposte da Khanate e Burning Witch con la malevolenza dei Goatwhore: tutto scorre melmoso, denso, pericoloso, non dando tregua neanche con i testi che parlano di degrado sociale e culturale. Magus è un disco da assimilare in toto, con tutti i brani di alto livello, a patto di porre la giusta attenzione e ascoltarli nel mood ideale; la proposta dei Thou è stimolante, non è alla portata di tutti ma è in grado di produrre effetti catartici e rigeneranti.

Tracklist
1. Inward
2. My Brother Caliban
3. Transcending Dualities
4. The Changeling Prince
5. Sovereign Self
6. Divine Will
7. In the Kingdom of Meaning
8. Greater Invocation of Disgust
9. Elimination Rhetoric
10. The Law Which Compels
11. Supremacy

Line-up
Mitch Wells – Bass
Andy Gibbs – Guitars
Matthew Thudium – Guitars
Bryan Funck – Vocals
Josh Nee – Drums

Faction Senestre – Civilisation

Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.

Faction Senestre è un progetto di nuovo conio formato da membri di band di un certo spicco della scena francese come Still Volk, Rosa Crux, Malhkebre e Sektarism.

Quello che ne scaturisce è un brano sperimentale della durata di oltre 20 minuti, suddiviso in quattro parti, che mette sicuramente a dura prova l’apertura mentale dell’ascoltatore medio.
Un rumorismo dronico e industriale fa da tappeto sonoro a testi declamati in lingua madre, invero molto interessanti per la loro feroce quanto esplicita critica della modernità: questo chiaramente rende il tutto affascinante quanto dannatamente ostico.
Resta il fatto che questi musicisti transalpini sanno il fatto loro e, pur scendendo su un terreno molto scivoloso, riescono a mettere in scena una riproduzione credibile di sonorità avanguardiste per quanto, ovviamente, Civilisation si vada a collocare decisamente al di fuori di quelli che sono i normali ascolti.
Difficile quindi affibbiare all’operato dei Faction Senestre le semplicistiche etichette di bello o brutto: tutto dipende dal tipo di approccio, dalla sensibilità e dal desiderio di farsi scuotere che ciascuno possiede; detto ciò, personalmente trovo Civilisation un’opera di un certo spessore, musicalmente e concettualmente, il che desta quindi una certa curiosità nei confronti di eventuali prossimi sviluppi di questo progetto.
Ta civilisation est en péril, je le prédis et tu t’enfuis

Tracklist:
1. Ta Civilisation

Oltretomba – L’Ouverture des Fosses

Il lavoro si snoda senza prendere in minima considerazione l’idea di una forma canzone, basando il tutto su un impatto ossessivo che va ad erigere un sound a suo modo primitivo e dichiaratamente privo di ogni modernismo.

Gli Oltretomba hanno un monicker italiano, cantano in francese e sono danesi: già questo basta per farci capire che questo trio ha bandito ogni forma di normalità a favore di sonorità disturbante e disturbanti, difficilmente riconducibili ad un genere specifico.

Se proprio dobbiamo incasellare la band da qualche parte, l’ambito nel quale maggiormente sembra muoversi più che agevolmente un album come L’Ouverture des Fosses è il doom, specialmente quando è l’organo di Grand Duc a prendere il sopravvento sul resto della strumentazione.
Il lavoro, che dovrebbe essere il secondo full length uscito in formato cassetta per Caligari Records, si snoda senza prendere in minima considerazione l’idea di una forma canzone, basando il tutto su un impatto ossessivo che va ad erigere un sound a suo modo primitivo e dichiaratamente privo di ogni modernismo, a favore di una ritualità che riporta alla tradizione egizia, in evidenza nella spaventosa Ablation de la Boite Cranniene, traccia che assieme allo strumentale Requiem Pour Grand Duc e a Le Texte des Pyramides appare meno pervasa dalla nichilistica incomunicabilità esibita, invece, in Des Experiences Cruelles Thoth e nella title track.
L’Ouverture des Fosses è un’idea espressiva non priva di spunti intriganti ma che, per sua natura, è rivolta ad una ristrettissima nicchia di ascoltatori: a me comunque questi bizzarri provocatori sonori piacciono e non poco; poi, da questo a far diventare la loro musica un ascolto abituale ovviamente ce ne corre , questo è chiaro …

Tracklist:
1. Des Experiences Cruelles
2. Thoth
3. Le Texte des Pyramides
4. Requiem Pour Grand Duc
5. Ablation de la Boite Cranniene
6. L’Ouverture des Fosses

Line-up:
Machoire – Drums
Grand Duc – Organ
Lord Fungus – Vocals, Bass, Guitars

Pissboiler – Att Med Kniv Ta En Kristens Liv

Dopo soli tre anni di attività, i Pissboiler rappresentano una solida certezza con il loro personale suono opprimente, ma dalla forte connotazione catartica.

Intrigante e derivante da un fatto di cronaca nera è il concept dietro il nuovo EP dei Pissboiler, duo svedese di Smaland; dopo il full length del 2017 (In the lair of lucid nightmares) nel quale proponevano una personale visione di drone, sludge doom ora, sempre per Third I Rex ci propongono un ulteriore assaggio della loro arte che ci illustra in musica “the act of a murder” in cui due persone anziane sono assassinate nel loro letto ed i samples usati nel disco derivano interamente dai fatti accaduti.

Il primo brano En visa for Elden rappresenta il momento prima dell’omicidio e offre un continuo arpeggio colmo di attesa e ansia, soprattutto quando la componente drone del suono prende il sopravvento, prima di sfociare nella seconda traccia Att med kniv ta en kristens liv (to take the life of a Christian with a knife), dove si entra in zone non confortevoli, quando doom e drone collidono e si uniscono in modo del tutto insano, creando un’atmosfera ammorbante e opprimente portandoci in territori funeral doom malevoli e realmente disturbanti; disperazione e pena sono gli ingredienti principali del brano, mentre un growl cavernoso si insinua nei nostri gangli nervosi fino a scuoterli. Qui si rappresenta il momento del massacro e non ci può essere luce ma solo infinità oscurità. La terza parte Ett Avslut rappresenta “the aftermath, burning the corpses” e la tensione insostenibile del secondo brano si stempera in un rassegnato suono funeral colmo di disperazione. L’opera è molto intensa, con i Pissboiler che ci conducono in territori extreme doom che si evidenziano ulteriormente nella bonus track di ventisei minuti Monolith of Depression, tratta dallo split con i francesi Deveikuth, altri mostruosi manipolatori di materiali urticanti. In questo brano estenuante si amalgama e si sublima tutta l’arte funerea del duo che magistralmente fonde a temperature altissime fangosità sludge, lentezza doom e terrificante drone, in un risultato di alto livello in cui la disperazione tocca punte veramente laceranti; le chitarre sommerse da distorsioni e drone ci conducono con le loro melodie in zone sconosciute dei nostri sensi. Dopo soli tre anni di attività, i Pissboiler rappresentano una solida certezza con il loro personale suono opprimente, ma dalla forte connotazione catartica.

Tracklist
1. En visa för elden
2. Att med kniv ta en kristens liv
3. Pt II – Ett avslut
4. Monolith of Depression

Line-up
Karl Jonas Wijk – Drums
LG – Vocals (lead), Bass

PISSBOILER – Facebook

La Fantasima – Notte

Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano.

I La Fantasima sono un trio di Roma che vuole rendere omaggio alle atmosfere e ai colori del nostro paese, cercando una poetica musicale molto differente e totalmente personale.

La loro musica è per nostra fortuna e godimento difficilmente classificabile, dal momento che troviamo diversi stili in essa. La struttura è prevalentemente progressive, nel senso che è musica fatta per andare avanti senza ritornelli od inutili abbellimenti, ma è prodotta per creare uno stato d’animo nell’ascoltatore attraverso dilatazioni sonore che fanno sia meditare sia elevare. Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano. Qualcuno potrebbe anche sentirci dentro qualcosa di post rock, ma i La Fantasima sono un gruppo devoto alla tradizione, anche se sono molto moderni nel porsi in maniera originale. Lo scopo di Notte è di creare una mitopoiesi di questo paese che si chiama Italia e che forse non è mai stata una nazione, ma che ha dei luoghi unici, dove è meglio andare quando in cielo comanda la luna, perché certe cose con una luce differente si vedono assai meglio. Le atmosfere create dal trio romano, qui al secondo disco, sono molto belle e godibili: si gusta a fondo questo disco inforcando le cuffie e pensando solo a quello che stiamo ascoltando. La nuova fatica dei La Fantasima è preziosa, fa parte di quel poco tempo che strappiamo al panopticon che ci circonda, dove possiamo essere noi stessi e rincorrere ancora le lucertole sui muri, o impressionarci per un albero visto di notte. C’è tanta dolcezza in questo disco, ma anche la consapevolezza che siamo stati recisi dal nostro vero io, che possiamo trovare nelle cose e nei rari momenti in cui tutto si allinea e noi con esso, rare apparizioni di sapienza come questo disco che parla direttamente alla nostra anima, come poche altre cose sanno fare.

Tracklist
1.Notte
2.Placida Musa
3.Dea mia
4.Amante Silente
5.Sino Al Mattino

Line-up
Chris: Guitars
Maxbax: Bass
Artifex: Drums

LA FANTASIMA – Facebook

Empty Chalice – Ondine’s Curse

Per circa tre quarti d’ora Empty Chalice offre quella che si dimostra, ancora una volta, un’interpretazione peculiare e sopra la media della materia, riuscendo davvero a far vivere all’ascoltatore la terribile battaglia che si combatte all’interno di un organismo colpito dalla sindrome di Ondine.

Il nuovo lavoro di Antonio Airoldi (Antonine A.), nella sua incarnazione denominata Empty Chalice, è la quarta di una serie di uscite targate Ho.Gravi.Malattie, etichetta dal nome indubbiamente bizzarro ma del tutto attinente al catalogo proposto, visto che ogni disco è dedicato ad una delle molte patologie che affliggono l’umanità.

Con Empty Chalice viene affrontata la Sindrome di Ondine, disturbo assai raro ma fortemente invalidante visto che, di fatto, l’organismo “dimentica” di respirare durante il sonno: tale scelta appare fin da subito azzeccata, visto che il musicista trentino ci ha abituato da tempo all’esibizione di una forma di ambient claustrofobica ma allo stesso tempo sempre inquieta e in divenire.
Se rispetto ai generi, per cosi dire, canonici l’ambient può essere definita a buon titolo una sorta di flusso sonoro, in Ondine’s Curse il suo scorrere appare quanto mai disturbato, quasi ad fotografare la discrasia provocata da un cervello che si rifiuta di fornire i comandi atti a garantire la sua stessa sopravvivenza .
Per circa tre quarti d’ora Airoldi offre quella che si dimostra, ancora una volta, un’interpretazione peculiare e sopra la media della materia, riuscendo davvero a far vivere all’ascoltatore la terribile battaglia che si combatte all’interno di un organismo colpito dalla sindrome, lacerato dalla necessità fisiologica di dormire, da un lato, e dall’impossibilità di cedere al sonno pena la cessazione delle funzioni vitali, dall’altra.
L’ambient targata Empty Chalice di certo non scorre senza lasciare tracce: sul terreno restano tracce di paure ancestrali e conflitti interiori irrisolti, con suoni che se, in The Awake, possiedono una recondita parvenza melodica, in II esibiscono un substrato di canti gregoriani, e  da III in poi si tramutano nella trasposizione musicale di una elettroencefalogramma imbizzarrito: tutto ciò senza che nessuna nota o rumore possa apparire superfluo o fuori luogo.
Ondine’s Curse conferma una volta di più lo status acquisito da Antonio Airoldi, avviato a diventare (ammesso che già non lo sia) uno dei nomi di punta del nostro avanguardismo musicale.

Tracklist:
1. The Awake
2. II
3. III
4. IV
5. The Sleep

Line-up:
Antonine A.

EMPTY CHALICE – Facebook

Demetra Sine Die – Past Glacial Rebound

Una vera lezione di stupendo post-black sperimentale, con intrusioni dark, noise, drone e doom. Un nuovo ed ulteriore volto dei Demetra Sine Die, fedeli a sé stessi eppure sempre capaci di rinnovarsi.

E’ a dir poco strepitoso il nuovo capitolo dei Demetra Sine Die, eccellente gruppo italiano, giunto al terzo full-length, pubblicato dalla inglese Third I Rex.

Il lavoro si dipana attraverso sette tracce, tutte all’insegna di una grande varietà sonora. Post Glacial Rebound è – come anticipa il titolo – freddo e cerebrale, ma anche emozionale ed evocativo, intenso ed attento alle suggestioni che la musica – un grandioso mix di post-black, drone doom, noise e dark prog sperimentale – sa evocare ad ogni solco in maniera sublime. Quasi alla stregua di un film, le composizioni di questo nuovo CD dei Demetra Sine Die – nei suoi quarantasette minuti di durata complessiva – si presentano come una sorta di viaggio nello spazio, un’esplorazione cinematica che può ricordare, con il suo post-metal mutante, Tool, Virus e in particolare Oranssi Pazuzu. Si ascoltino al riguardo, tra loro collegate, l’opener Stanislaw Lem – il suo Solaris è stata una fonte d’ispirazione letteraria fondamentale – e la quarta traccia, Gravity: nelle due composizioni i sintetizzatori (tutti analogici, a cominciare dal Korg MS20) rendono atmosferico e fantascientifico il sound. Un taglio futuristico che non è tuttavia privo di calore, come sottolinea la sezione ritmica (il batterista Marcello Fattore, abilissimo nelle sue tessiture percussive, e il bassista Adriano Magliocco, dal tocco, a tratti, quasi grunge). I riverberi e gli squarci materici della chitarra di Marco Paddeu fanno il resto, compattando e variegando il magma sonoro esplorato dai Demetra Sine Die, declinandolo in termini ora tesi e drammatici (Lament), ora più melodici (Liars). Anche le linee vocali sono assai varie: abbiamo parti recitate (quelle iniziali di Eternal Transmigration hanno un che di pinkfloydiano), clean vocals ed uno screaming di stampo più classicamente black (in veste di ospite partecipa Luca Gregori dei torinesi Darkend), il che dona un tocco weird al tutto. La title-track conclusiva riassume tutte le caratteristiche della band ligure e di questo suo nuovo magistrale lavoro, densa e concettuale, spirituale e cangiante, pulitissima nelle soluzioni timbriche adottate di volta in volta e potente nell’impatto. La grafica di Anna Levytska, che ha collaborato tra gli altri con i Blut Aus Nord, incornicia il tutto. Capolavoro, tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1 Stanislaw Lem
2 Birds Are Falling
3 Lament
4 Gravity
5 Eternal Transmigration
6 Liars
7 Post Glacial Rebound

Line up
Adriano Magliocco – Bass, Synthesizers
Marco Paddeu – Vocals, Guitar, Korg MS20
Marcello Fattore – Drums

DEMETRA SINE DIE – Facebook