Desert Hype – SweP

Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate.

Sicilia e Sardegna, oltre ad essere le nostre isole maggiori e due tra le più belle regioni della nostra bistrattata penisola, hanno in comune una scena hard rock che non ha niente da invidiare a paesi più blasonati; se poi si parla esclusivamente di rock alternativo e stoner, le band da seguire con attenzione, protagoniste di lavori sopra le righe, sono molteplici e richiamano a più riprese la scena statunitense del ventennio a cavallo tra gli anni novanta e la musica di Seattle, ed il decennio successivo con il successo dello stoner suonato nella Sky Valley.

Non vi sto ad elencare i gruppi che, a più riprese, hanno fatto sobbalzare dalla poltrona questo inguaribile vecchietto, amante di più o meno tutte le svariate forme prese, nel corso degli anni, dal metal e dal rock, ma vi assicuro che la musica di qualità la si crea anche da noi, basta saperla cercare.
Ed allora il traghetto ci aspetta, un saluto agli amici e si parte per la Sardegna, scalo ad Olbia e giù verso cagliari per incontrare i Desert Hype, trio stoner junk rock del capoluogo, nato nel 2011 e con all’attivo tre ep; l’esordio omonimo dello stesso anno e Sgattagheis, doppio ep del 2013.
2016, è giunto il momento di licenziare il primo full length, questo ottimo SweP, un monolite di suoni stoner, dal mood punk alternative e noise, che riversa sull’ascoltatore una valanga di lava elettrica, stupendamente alternative, ma, e qui sta il bello, di una presa disarmate.
Basso grasso che spacca i timpani, pelli che si strappano sotto i colpi di una forza inesauribile, chitarra che vomita watts a profusione e tante buone idee, sono le virtù principali di questo splendido lavoro, che non ne vuol sapere di scendere sotto una media altissima e soprattutto spacca che è un piacere.
Come detto i suoni variano tra il mood che rimane desertico per tutta la durata, come persi in sconfinate pianure di sole sabbia e pietre, e piccole oasi di alternative rock, che ci danno modo di sopravvivere nel lungo peregrinare in questa sconfinata valle di suoni rock pescati a piene mani dalle terre d’oltreoceano e fatte proprie dai tre musicisti sardi.
Parto dalla fine perché Ponies Over Olympic Ceremony 2012, posta prima dell’outro, è un piccolo capolavoro di rock stonato, una lunga e lisergica jam tra stoner e noise che vi ridurrà a povere amebe peggio di un’overdose di LSD.
Ma SweP non finisce qui, con l’opener Flying Shit che se la prende comoda e prima di esplodere gioca con il basso come una mangusta col cobra, mentre ScioScio e la title track ci danno il benvenuto nel trip del gruppo, con la chitarra che parla, urla, grida, torturata da Mirko Deiana, mentre il basso di Andrea Demurtas pulsa facendo sgorgare sangue dai nostri poveri padiglioni auricolari.
Joint And Wine Superballad 3000 è uno strumentale da brividi, dove il gruppo sfodera gli artigli ed il talento e sale in cattedra il drummer Daniele Moi, prima che un’acustica drogata sia la protagonista di DoDo (Dead Like A).
Blues punkizzato, rock’n’roll ruvido vicino al garage risulta Spiders On The Floor Tom, mentre con Trp1 si torna a perdersi nel desertico labirinto di suoni creati ad arte dai Desert Hype per destabilizzare, confondere, mettere al tappeto senza pietà.
Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate e SweP è un’altro ottimo esempio di come la nostra scena cominci davvero a fare la voce grossa, rivelandosi non solo una buona alternativa a quelle più famose, ma assoluta protagonista del rock di questo inizio millennio.

TRACKLIST
1. Flying Shit
2. ScioScio
3. Desert Hype
4. Joint And Wine Superballad 3000
5. DoDo (Dead Like A)
6. Spiders On The Floor Tom
7. Trip1
8. Ponies Over Olympic Opening Ceremony 2012
9. Seacows B******s

LINE-UP
Andrea Demurtas – basso/voce
Mirko Deiana – chitarra
Daniele Moi – batteria

DESERT HYPE – Facebook

Birth Of Joy – Get Well

Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

Fragorosa e potente band olandese dedita ad un vitaminico sound anni settanta.

I Birth Of Joy scavano dentro all’infinito tunnel della psichedelia anni sessanta e settanta, e portano alla luce riff importanti e gemme di vecchio stile rivestito di un moderno acciaio.
Non c’è solo il recupero dell’antichità poichè il loro pregio maggiore è un suono molto compatto e con un organo che detta il viaggio a chitarra e batteria, rendendo il tutto molto vicino alla psichedelia californiana anni sessanta. Il loro calore su disco deriva dalla grande esperienza dal vivo, hanno suonato molti concerti soprattutto in Europa e non solo. Get Well è ben bilanciato e ben composto, suona bene e ha un impianto molto solido. Sesto disco che dovrebbe essere quello di una consacrazione che meritano ampiamente, poiché sono davvero godibili.
Per chi vuole qualcosa in più della nostalgia.

TRACKLIST
01 Blisters
02 Meet me at the bottom
03 Choose sides
04 Numb
05 Midnight cruise
06 Carabiner
07 Those who are awake
08 You got me howling
09 Get well
10 Hands down

LINE-UP
Kevin Stunnenberg – Vocals & Guitar.
Bob Hogenelst – Drums & backing vocals. Gertjan Gutman – Organ & Bass.

BIRTH OF JOY – Facebook

Ramachandran – Marshmallow

La definizione di power tiro calza a pennello per questro gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati.

Esordio per questo gruppo toscano sulla sempre più attiva Taxi Driver Records.

Attitudine decisamente punk per questo trio che cala nei territori stoner con un ascia in mano per fare dei bei macelli. La loro proposta musicale è appunto uno stoner rock suonato con la giusta dose di lo fi e tanta furia. Non sempre i Ramachandran vanno sparati a mille all’ora, ma le cose migliori le offrono quando vanno a tavoletta. L’album è un lavoro sul funzionamento del cervello, e ha dinamiche molto interessanti ed originali. Lo stesso nome del gruppo è un omaggio ad uno dei più influenti neuroscienziati indiani. I testi si abbinano benissimo alla musica che risveglia in maniera adeguata i nostri neuroni assopiti. La definizione di power tiro calza a pennello per questo gruppo, che fa della potenza la sua arma preferita, ma non l’unica, dato che sono vari i registri musicali qui padroneggiati. Un debutto più che positivo per un gruppo capitanato dalla forte voce di Sara Corso che è un gran sentire, ottimamente coadiuvata da Andrea Ricci alla chitarra e da Andrea Torrini alla batteria.

TRACKLIST
1.Bandura
2.Cotard
3.Kraepelin
4.Samo
5.Vilayanur
6.Mischel

LINE-UP
Sara Corso – Voice –
Andrea Ricci – Guitar –
Andrea Torrini – Drums –

RAMACHANDRAN – Facebook

Rinunci A Satana ? – Rinunci A Satana ?

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

Si può rinunciare a Satana ? Ma certo che no, ovvio.

E allora tuffiamoci di nascosto nella musica carnale dei Rinunci A Satana dalla fatal Milano. Per non andare lontano dal marchi di fabbrica i Rinunci A Satana ? fanno un originalissimo blues rock stoner da vere ligere. Accordi satanici, musica scorrevole ed irresponsabile ai vizi, per un gruppo tanto semplice quanto bravo. Non sono in realtà tanti, sono solo in due, e sono Damiano Casanova (Il Babau e i maledetti cretini), chitarra, e Marco Mazzoldi (Fuzz Orchestra e Bron y Aur), batteria. I due hanno però le idee chiare, e piace molto loro fermarsi agli incroci tra i generi ad aspettare il nero signore. Se volete qualcosa tipo gli ultimi gruppi fighi che fanno blues rock, siete fuoristrada, qui c’è genuina passione ed il linguaggio musicale scelto è l’ossatura per far risaltare la melodia e la linea sonora, vera regina di questo progetto. Queste canzoni strumentali sono lo sfogo di due grandi musicisti che hanno voglia e musica da vendere, e accasandosi su Wallace Records sanno dove andare. Disco dalle molte curve e fortunatamente quasi senza rettilinei, porta in un inferno blues molto caldo e vivo, da dove non vorrete più uscire.

TRACKLIST
1.Stone
2.Effetto Benny Hill
3.Ostenda
4.Le Notti di Riccardo Neropiù
5.Rinunci a Satana?
6.Gatling

LINE-UP
Damiano Casanova : Chitarra.
Marco Mazzoldi : Batteria.

RINUNCI A SATANA ? – Facebook

Ivory – A Moment, A Place, A Reason

A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare

Gran bel disco hard heavy con puntate aor per questo combo di veterani di Torino.

Attivi dalla fine degli anni novanta ma in maniera organica dal 2005, gli Ivory propongono un suono molto debitore del passato ma proiettato nel futuro, forte del fatto che i fans di queste sonorità sono tenacissimi. Ci sono molte cose in questo cd, pubblicato da Buil2 Kill Records, ma soprattutto c’è una grande voglia di fare hard rock, un’ottima produzione e tanta tanta melodia resa sempre in maniera impeccabile. Il sentimento contenuto in questo disco è difficilmente ravvisabile nelle migliaia di uscite hard rock, poiché gli Ivory fanno tutto molto bene, e sarebbe un gran peccato se questo disco passasse inosservato. Il gruppo torinese non fa solo sfoggi odi una grande tecnica, ma sono anche fini compositori e le canzoni hanno un’ossatura importante. A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare.

TRACKLIST
01. Bad News
02. The Hawk
03. Feeling Alive
04. Who Am I
05. Take A Ride
06. A Drink At The Village (Instrumental)
07. Come Together (The Beatles Cover)
08. Inner Breath
09. Through Gloria’s Eye
10. Blues For Fools

LINE-UP
Roby Bruccoleri – Vocals.
Salvo Vecchio – Guitars.
Luca Bernazzi – Bass.
Claudio Rostagno – Drums.

IVORY – Facebook

Magnum – Sacred Blood “Divine” Lies

Per i fans del rock d’autore, raffinato, melodico ed elegante, questo nuovo album dei Magnum è l’espressione più alta che l’hard rock melodico possa offrire, acquisto obbligato.

Scrivere di un nuovo album dei Magnum è come entrare in un mondo fatato, da sempre infatti il gruppo britannico ha sempre affrontato il rock come farebbe un moderno cantastorie, regalando avventure fantastiche, tutte da vivere all’ascolto dei vari lavori che, dall’uscita di Kingdom Of Madness nel lontano 1978, ha fatto sognare centinaia di appassionati, dai rockers innamorati dell’AOR, ai progsters che flirtano più con l’emozionalità che con la tecnica, fino a raggiungere i metallers dai gusti musicali raffinati.

E’ un fatto che il gruppo di Birmingham ha scritto pagine epocali dell’hard rock con capolavori (On a Storyteller’s Night e Wings of Heaven su tutti) che hanno contribuito a fare del gruppo una realtà intoccabile della scena, anche se in termini commerciali il successo non è mai andato pari passo con la qualità della musica proposta, ma la band è sempre qui, ad elargire stupende armonie prog/folk/pomp su di un tappeto di regale hard rock.
La Steamhammer/SPV ha fatto le cose in grande per il ritorno dopo due anni dal precedente Escape from the Shadow Garden, ed il nuovo lavoro del gruppo del divino Bob Catley e dell’arcigno axeman Tony Clarkin, esce in tre diverse releases : CD+DVD, CD e vinile colorato, cose d’altri tempi, abituati ormai agli store sul web, o, al massimo il solo formato su dischetto ottico.
Come ormai abituati da più di trent’anni di uscite targate Magnum, il sound di questa nuova opera riesce a mettere d’accordo un po tutti, conquistando con meravigliose armonie dalle riminiscenze folk, tante melodie AOR e un’impronta progressiva, non facendo mancare una buona dose di grinta, specialmente nella ruvida chitarra di Clarkin che parte aggressiva e grintosa sula title track posta in apertura.
Crazy Old Mothers torna a far risplendere i tasti d’avorio, eleganti e pomposi di Mark Stanway e si entra nella nuova fiaba, scritta da questi menestrelli dell’hard rock, che tanto hanno influenzato gruppi fantastici come Ten o Ayreon, che alla band di Catley dovrebbero ereggere un monumento.
Gipsy Queen torna a rockare, la sei corde di Clarkin sforna un riff esplosivo su cui il gruppo costruisce una marcia rock dedicata alla regina degli zingari, mentre Princess In Rags (The Cult) è un pomp rock dal piglio drammatico, molto Ten oriented.
Sacred Blood “Divine” Lies continua la sua marcia verso il finale con altre perle di rock raffinato, elegantemente incorniciato dai sontuosi ricami di cui il gruppo è maestro, con picchi qualitativi come L’emozionale e orchestrale Afraid Of The Night e la superba Twelve Men Wise and Just, song che se ce ne fosse ancora bisogno, riassume l’eleganza e la straordinaria padronanza del songwriting di questi grandi musicisti britannici.
Arriviamo alla conclusione dell’album con la consapevolezza di aver ascoltato un’altra storia, un’altra splendida opera, da parte di un gruppo che non ne vuol sapere di lasciare la testa della classifica del genere, e ha ragione, vista la qualità della musica che sa ancora donare a chi li segue imperterriti dopo così tanti anni.
Per i fans del rock d’autore, raffinato, melodico ed elegante, questo nuovo album dei Magnum è l’espressione più alta che l’hard rock melodico possa offrire, acquisto obbligato.

TRACKLIST
01. Sacred Blood “Divine” Lies
02. Crazy Old Mothers
03. Gypsy Queen
04. Princess in Rags (The Cult)
05. Your Dreams Won’t Die
06. Afraid of the Night
07. A Forgotten Conversation
08. Quiet Rhapsody
09. Twelve Men Wise and Just
10. Don’t Cry Baby

LINE-UP
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Mark Stanway – keyboards
Al Barrow – bass
Harry James – drums

MAGNUM – Facebook

Hangarvain – Freaks

Freaks conferma ancora una volta il talento compositivo di questi musicisti, superando il già bellissimo esordio con un lavoro più duro, maturo, intimista, come se l’entusiasmo dell’esordio avesse lasciato il passo alla consapevolezza di essere una grande band

Un giorno, qualche anno fa, un gruppo di ragazzi napoletani con la voglia di essere liberi e suonare hard rock, caricarono la loro cinquecento e partirono dai piedi del Vesuvio alla conquista dello stivale; tanta passione accompagnata da un talento smisurato per il rock americano, li portò sulle strade che al loro passaggio, mentre l’autoradio suonava i brani di Best Ride Horse (il loro debutto), come d’incanto si trasformavano nelle polverose e lunghissime highway di quell’America da vivere fino all’ultimo respiro.

Un anno dopo serviva riprendere fiato e, a Natale 2014 le armonie acustiche dell’ep Naked vedevano gli Hangarvain finalmente riposare, fare un sunto del viaggio che li aveva visti bruciare chilometri e chilometri d’asfalto, mentre i loro strumenti si accendevano su molti dei palchi in giro per le città della penisola, portando un po’ di quell’America, tra hard rock, southern e rock style a chi li voleva ascoltare.
Quasi tre anni sono passati e la band ha sudato, sognato e fatto divertire tanti ragazzi, nel suo lungo viaggiare tra strade impervie e mille difficoltà, ma è ora di tornare verso casa, affrontando un viaggio di ritorno che porta al traguardo di un nuovo lavoro.
E Freaks conferma ancora una volta il talento compositivo di questi musicisti, capitanati dal vocalist Sergio Toledo Mosca e dal chitarrista Alessandro Liccardo, superando il già bellissimo esordio con un lavoro più duro, maturo, intimista, come se l’entusiasmo dell’esordio avesse lasciato il passo alla consapevolezza di essere una grande band, il che si trasforma in molta più personalità e convinzione.
Ora la loro musica non è più solo una stupenda rilettura di un modo di fare rock’n’roll, il viaggio intrapreso li ha fatti tornare maturi e appunto consapevoli, così da imprimere al loro sound il proprio marchio di fabbrica.
Freaks, i diversi, quante volte negli ultimi tempi abbiamo sentito e letto su media e giornali questa parola riguardo allo squallore in cui è piovuta la nostra società, riguardo a problemi che, noi per primi sottovalutiamo, non concedendo chance a chi non è fortunato, che sia un uomo arrivato da un altro paese o di tendenze sessuali sulle quali continuiamo a costruire tabù, imprigionati in un assurdo medioevo spazio temporale.
Ecco questo disco è dedicato a chi non si arrende, a chi vivrà sempre contro, a chi non si piega e vive per il suo sogno, lottando per i propri ideali o molto più prosaicamente, per il prprio lavoro, cercando di non farsi sopraffare da una società che non accetta debolezze.
Il punto di partenza per questa nuova raccolta di songs non poteva essere più azzeccato e la band, ancora senza un’etichetta, ha fondato la propria fregandosene di un music biz sordo come non mai: lottando, ha portato a termine questo stupendo concentrato di hard rock made in U.S.A., amalgamando alla perfezione, sound sudista, post grunge e hard rock classico, questa volta velato di un’oscurità quasi tragica, introspettiva, e portando la propria musica ad un livello emotivo ancora superiore.
Freaks emoziona, aldilà dei fantastici riff scaldati dal sole del sud creati dall’axeman Liccardo, della straordinaria voce di un Toledo Mosca cresciuto tantissimo in personalità, o della sezione ritmica che sanguina groove di Francesco Sacco al basso e Mirkko De Maio alle pelli; emoziona e scava dentro di noi, tra canzoni che sprigionano hard rock moderno (Keep Falling, la title track e Sliding To Hell, per un inizio da infarto), ballad d’autore che tolgono il respiro, energiche come Dancing On A Wispher o meravigliosamente poetiche come Like Any Other, song d’autore che avvicina il gruppo ai Pearl Jam, salti nel puro southern rock con la magnifica A Life For Rock’n’Roll o hard blues sanguigni come A Coke Shot e Stuck In Arizona.
Ten Years Waiting è il commiato: orgogliosamente sudista, trasuda tutta la malinconia di cui è rivestito gran parte di questo capolavoro e ci dà appuntamento sulla piazza, una mattina di primavera, per ripartire verso altri luoghi dove raccontare di diversità, di libertà, di battaglie da vincere e sogni da conquistare, insieme a questa fantastica band chiamata Hangarvain.

TRACKLIST
1.Keep falling
2. Freaks
3. Sliding to hell
4. Dancing on a whisper
5. Devil of the South
6. Like any other
7. A coke shot
8. A life for rock’n’roll
9. Stuck in Arizona
10. Ten years waiting

LINE-UP
Sergio Toledo Mosca – Lead Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars, Backing Vocals
Francesco Sacco – Bass
Mirkko De Maio – Drums

HANGARVAIN – Facebook

Mountain Tamer – Mountain Tamer

Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani.

Esordio per questo gruppo californiano che stupisce davvero molto.

I Mountain Tamer sono di Santa Cruz, California e fanno una musica che lievita fra psych pesante, fuzz, stoner e puntate in qualcosa di più duro. In definitiva fanno un disco davvero potente ed impressionista, pennellando i più disparati stati mentali. I Mountain Tamer hanno dentro di loro una fortissima matrice doorsiana, soprattutto per la composizione, per quella capacità musicale che fa viaggiare il nostro cervello su spiagge ventose e su pianeti lontani. Lo stile passa dagli anni settanta ad un sentimento più grunge, soprattutto nella maniera di insistere su taluni passaggi tipica degli anni novanta. La qualità è altissima, e il gruppo non sbaglia una nota, rendendo questo disco un momento davvero piacevole. Ci sono anche momenti più duri e sono notevoli poiché si amalgamano benissimo con le parti più psych. Mountain Tamer è un compendio di psichedelia moderna, con una progressione notevole. Il disco è buono anche per mettersi e passare un momento maggiormente lounge, se così si può dire. Un ottimo debutto e uno dei migliori dischi del buon catalogo dell’Argonauta Records.

TRACKLIST
1.Mindburner
2.Knew
3.Dunes Of The Mind
4.Vixen
5.Wolf In The Streets
6.Sum People
7. Satans Waiting
8.Pharosite

LINE-UP
Andru – Guitar – Lead vocals/loud noises)Casey Garcia(Drums/vocals/art design) Dave Teget(Lead Bass/vocals/private security)

MOUNTAIN TAMER – Facebook

Nasty Ratz – First Bite

I Nasty Ratz trasformano le strade dell’austera capitale della Repubblica Ceca nel Sunset Boulevard della città degli angeli.

Dalla Los Angeles degli anni ottanta alla Praga del 2015 il passo sembra più lungo di quanto si possa credere.
D’altronde perché non trasformare le strade dell’austera capitale della Repubblica Ceca nel Sunset Boulevard della città degli angeli?

Ci riescono alla grande i Nasty Ratz, giovane gruppo ceco, con questo buon lavoro, che dello street, hard rock, glam ne ha fatto la sua missione, quella di riportare gli sgargianti colori del metal americano dei splendidi anni ottanta non solo nel nuovo millennio, ma nell’Europa dell’est.
Con alle spalle un ep e tanti concerti in giro per il vecchio continente, in compagnia, tra gli altri, di Adam Bomb e Crazy Lizz, la band debutta sulla lunga distanza con First Bite, classico esempio di cosa si suonava negli anni in cui pantaloni di pelle, bandane, mascara e belle figliole erano il pane dei rockers di mezzo mondo che, come mecca, guardavano agli eccessi della Los Angeles delle promesse, molte volte disilluse di fama e successo.
Rock’n’roll travestito da metalliche iniezioni di street e hard rock, attitudine glam e tanta voglia di divertirsi e abbordare, erano la ricetta per l’ottimo pranzo dei gruppi storici, di cui i Nasty Ratz se ne fanno una scorpacciata, tra brani grintosi e super ballatone strappa lacrimuccia, suonate più per far colpo sulla biondona prosperosa che vero momento di nostalgico malessere esistenziale o amoroso.
Il gruppo è formato dall’ottimo singer Jake Widow, anche chitarra ritmica, mentre la solista, tutta fuoco e fiamme, è di Stevie Gunn con la sezione ritmica composta da Tommy Christen al basso e Rikki Wild alle pelli.
Non troppo lungo ma assolutamente compatto e divertente, First Bite, nel genere, è un buon esordio: certo siamo perfettamente in linea con le produzioni dei vari monumenti al rock stradiolo come Motley Crue, Poison, Ratt e compagnia di delinquenti dagli occhi truccati e la rissa facile, ma se siete ancora in botta per le reunion dei Crue o aspettate come il messia quella dei Gunners, brani che schiumano rock’n’roll come Love At First Fight, Made Of Steel e Snort Me vi faranno tornare sulla via losangelina e chiudendo gli occhi vi ritroverete in fila davanti al Whisky A Go Go, ad aspettare il vostro turno, sperando che questa volta sia quella buona per entrare.
Nostalgico? No, solo molto divertente e suonato sufficientemente bene per risultare un buon ascolto. Stay rock!

TRACKLIST
1. Love At First Fight
2. Made Of Steel
3. I Don’t Wanna Care
4. Morning Dreams Come True
5. Snort Me
6. Angel In Me
7. N.A.S.T.Y.
8. I’ll Cut You Off
9. Sharize
10. If You Really Love Me

LINE-UP
Jake Widow – rhytm guitar, vocals
Stevie Gunn – lead guitar, vocals
Tommy Christen – Bass guitar, vocals
Rikki Wild – drums, vocals

NASTY RATZ – Facebook

Foundry – Foundry

Foundry supera abbondantemente la sufficienza; come detto la bravura dei musicisti, sommata alla loro indiscussa esperienza, tiene sempre alta la tensione così che l’album, complice la durata che supera di poco la mezz’ora, non abbia grossi cedimenti

La Sleaszy Records, etichetta ellenica che annovera ottime band nel suo rooster, specialmente per quanto riguarda i suoni hard rock, fa il botto con i Foundry, gruppo proveniente da Las Vegas che licenzia il suo debutto omonimo, supportato da un dispiegamento di forze niente male.

Al microfono troviamo infatti Kelly Keeling, di recente sul mercato con un album solista, ex singer dei Baton Rouge e coinvolto in molti progetti gravitanti nel pianeta del rock duro in compagnia di MSG, John Norum, King Kobra, Heaven And Earth, George Lynch, Alice Cooper, Blue Murder, Dokken, Trans-Siberian Orchestra e molti altri, insomma il gotha della nostra musica preferita.
Ad accompagnare prezzemolino Keeling, una band di tutto rispetto, con la sei corde di James Fucci a sparare riff duri come l’acciaio, le pelli del drummer Marc Brattin a formare una sezione ritmica dal groove micidiale insieme al basso di Jason Ebs, che ha suonato nel disco, ma non risulta nella formazione ufficiale.
Detto di Erik Norlander, Scott Griffin e Stoney Curtis come special guests, il vero fiore all’occhiello di Foundry è rappresentato dal guru Steve Thompson al mixer ed alla produzione dell’album, un signore che ha messo a disposizione il suo talento per bands come Guns’n’Roses, Metallica, KISS e Soundgarden.
Con queste premesse ammetto che la curiosità era tanta, ed in parte l’album non delude, l’hard rock made in U.S.A, dalle chiare influenze street, valorizzato dalla voce ruvida del singer, che non disdegna una clamorosa impronta blues, riesce nell’intento di procurare brividi, specialmente a chi ama il rock americano, potenziato da ritmiche che imbottiscono di groove il sound del gruppo.
Il gruppo varia le atmosfere dell’album e si passa cosi da brani dal piglio tradizionale, ad altri molto più moderni, in un’alternanza tra i suoni hard rock classici e molti che sconfinano nel rock anni novanta, vicino all’alternative, in poche parole troppe songs si avvicinano al sound degli Alice In Chains (Rolling Stoned, Calling Allah) perdendo non poco in personalità.
Poco male, i brani risultano ottimi e suonati alla grande, ma è indubbio che da un gruppo di musicisti di tale esperienza, ci si aspettava qualcosa in più che una raccolta di tracce suonate con mestiere.
A mio parere Foundry offre il meglio di se nelle songs che pur conservando un piglio moderno, mantengono i piedi ben saldi nell’hard rock classico (Hell Raiser e Get Over It) e dove il singer estrae dal cilindro quel timbro bluesy che ancor oggi procura pelle d’oca a profusione.
Foundry supera abbondantemente la sufficienza; come detto la bravura dei musicisti, sommata alla loro indiscussa esperienza, tiene sempre alta la tensione così che l’album, complice la durata che supera di poco la mezz’ora, non abbia grossi cedimenti, ma rimane solo un po’ di amaro in bocca per qualche traccia troppo derivativa.

TRACKLIST
1. Blinded
2. Mind Radio
3. Get Over It
4. Rolling Stoned
5. Calling Allah
6. Hell Raiser
7. Shake
8. False Alarm
9. Television
10. Vegas Baby!
11. Vegas Baby! (bonus video, exclusive only on the Sleaszy Rider’s edition!)

LINE-UP

CURRENT LINE-UP
Kelly Keeling – vocals
Marc Brattin – drums
James Fucci – guitar

RECORDING LINE-UP
Kelly Keeling – vocals
Marc Brattin – drums
James Fucci – guitar
Jason Ebs – bass

FOUNDRY – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Cape Yawn

Gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

Elevators To The Grateful Sky, Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep, per molti saranno nomi poco conosciuti, ma per chi segue l’underground e le ‘zine di riferimento come la nostra, sono tasselli musicali che formano un mondo metal/rock, nella regione più a sud della nostra penisola, la Sicilia.

In quel di Palermo vivono e si riproducono questi virus di musica del diavolo, che hanno nel loro dna molti dei generi di cui il nostro mondo è composto, dal più estremo death metal, allo stoner, dal doom all’hard rock settantiano, tutti suonati in modo originale, per niente scontato, miscelandoli a dovere con garage, psichedelia, progressive e tanto rock’n’roll.
Cloud Eye, primo lavoro dei fenomenali Elevators To The Grateful Sky, licenziato nel 2013 e finito inesorabilmente nella mia play list di quell’anno, seguiva il primo ep omonimo e vedeva la band di Sandro Di Girolamo (ex Undead Creep) alle prese con un capolavoro di musica desertica, psichedelica, matura, probabilmente favorita da un caldo territorio che richiama le aride distese che si trovano sul suolo americano e che hanno influenzato quarant’anni di rock.
Al fianco di Di Girolamo troviamo sempre Giuseppe Ferrara alla sei corde, Giulio Scavuzzo alle pelli e Giorgio Trombino, chitarra e basso, per il secondo viaggio nel mondo di questa musica senza barriere, ancora una volta persi in un universo sonoro, colorato come un arcobaleno di generi uniti tra loro e che vivono in perfetta simbiosi nello spartito del gruppo siciliano.
Cape Yawn perde leggermente le sfumature grunge per avvicinarsi molto al garage, specialmente nei primi brani, Ground e Bullet Words, che partono sgommando e l’elettricità è subito altissima, le ritmiche rock’n’roll della prima lasciano il posto a quelle stonerizzate della seconda, pregne di riff estrapolati dal decennio settantiano, mentre garage rock e stoner compongono la inyourface All About Chemistry, in un’improbabile ma affascinante jam fra Miracle Workers e Fu Manchu.
Scaldata l’atmosfera, il gruppo da Dreams Come Through in poi dà letteralmente spettacolo, la sabbia calda brucia i piedi, la bocca si inaridisce e veniamo scaraventati in pieno deserto: A Mal Tiempo Buena Cara accompagnata da un riff sabbatiano, ci inonda di doom psichedelico, Di Girolamo canta come un Morrison intrippato per i Kyuss ed il disco prende il volo per non scendere più dal livello di capolavoro.
Kaiser Quartz e la monolitica I, Wheel, su un altro album sarebbero top songs, ma nel mondo Elevators, queste due perle di doom/stoner, vengono solo prima della title track, il brano perfetto, liquido, ipnotico, tremendamente sensuale, come un serpente sinuoso che disegna il suo corpo sulla sabbia, entra in noi e ci avvelena di psichedelia, con un intervento di sax nel finale che è un colpo di grazia alle nostre menti perse in questo arcobaleno.
Laura è uno strumentale dedicato a Mark Sandman, frontman dei Morphine, altro nome importantissimo per lo sviluppo di Cape Yawn, mentre l’hard rock di Mountain Ship e Unwind , sorta di outro liquida, chiudono questo ennesimo capolavoro del gruppo siciliano.
L’album è stato stampato solo in vinile ed è accompagnato dalla splendida copertina disegnata da Di Girolamo, che si dimostra artista a 360° come la sua splendida musica, mentre gli Elevators To The Grateful Sky si confermano come una magnifica realtà fuori dagli schemi prefissati del rock attuale, con un altro capolavoro che li eleva a gruppo di culto.

TRACKLIST
1. Ground
2. Bullet Words
3. All About Chemistry
4. Dreams Come Through
5. A Mal Tiempo Buena Cara
6. Kaiser Quartz
7. I, Wheel
8. Mongerbino
9. Cape Yawn
10. We’re Nothing at All
11. Laura (one for Mark Sandman)
12. Mountain Ship
13. Unwind

LINE-UP
Sandro Di Girolamo – voce, percussioni
Giorgio Trombino – chitarra, basso, sax contralto, conga, tastiere, voce
Giuseppe Ferrara – chitarra
Giulio Scavuzzo – batteria, darbouka, tamburello, percussioni, voce

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Seventh Veil – Vox Animae

Complice una produzione da top album, il suono esce pieno ed avvolge e stritola in una cascata di hard rock, come deve essere suonato nell’anno di grazia 2016.

Ormai è un fatto, l’Italia in questi ultimi anni sta letteralmente scalando, a livello qualitativo, le posizioni nella classifica delle nazioni dove l’underground metal/rock produce realtà notevoli, ormai giocandosela alla pari con i più produttivi paesi del nord europa.

Vero che qui da noi continua a mancare una cultura per il rock, che in altre nazioni è consolidata da anni ma, mentre i media continuano ad ignorare e far spallucce a questa invasione, il nostro sottobosco musicale si arricchisce di ottime band e grandi lavori in tutti i generi e sottogeneri che vanno a comporre l’universo della nostra musica preferita.
Nell’hard rock, genere che solo pochi anni sembrava essere scomparso e che ha trovato nuova linfa con il successo delle band scandinave da una parte, ed il ritorno sulle scene di molti nomi storici dello street rock ottantiano dalla’altra, i gruppi nati su e giù per lo stivale protagonisti di ottimi album non si contano più e i veronesi Seventh Veil si aggiungono alla lunga lista con questo secondo lavoro sulla lunga distanza dal titolo Vox Animae.
Il debutto del 2012 Nasty Skin ed il primo full length White Thrash Attitude del 2013, indicavano il gruppo veneto come una buona street rock band, influenzata dai suoni della Los Angeles del Sunset Boulevard e dagli eroi di degli anni d’oro del rock’n roll ipervitaminizzato e trasgressivo, colonna sonora di una vita al limite con sex, drugs and rock’n’roll come parola d’ordine.
Vox Animae sposta di non poco le coordinate stilistiche della band, sempre hard rock dalle sfumature stradaiole, ma molto più moderno, cancellando definitivamente quella patina nostalgica che i detrattori del genere sottolineano a più riprese quando si parla di street rock.
Niente paura, i Seventh Veil continuano a suonare hard rock, ma nel loro sound entra prepotentemente un mood moderno e se vogliamo alternativo, che rende i brani di questo Vox Animae freschi, al passo coi tempi e dall’appeal molto elevato.
Diciamolo, un brano come Devil in Your Soul, suonato da un gruppo nato aldilà dell’oceano sarebbe in rotazione su Rock Tv ogni quarto d’ora, così ben bilanciato tra tradizione e modernità, colmo di groove e con un refrain che entra in testa spaccandola in due.
Complice una produzione da top album (Oscar Burato ed i suoi Atomic Stuff studio, qui aiutato da Andrea Moserle , sono una garanzia di qualità), il suono esce  pieno ed avvolge e stritola in una cascata di hard rock come deve essere suonato nell’anno di grazia 2016.
L’inizio di Living Dead richiama Sixx A.M e Beautiful Creatures, le ritmiche di Together Again portano ad una via di mezzo tra lo street rock e l’alternative metal, mentre il bravissimo singer Lorenzo “Steven” Bertasi si avvicina terribilmente al Corey Taylor versione Stone Sour, mentre saltano le membrane degli altoparlanti sotto il bombardamento ritmico di una modernissima Broken Promises.
Si viaggia su queste coordinate per tutto l’album, la qualità rimane alta, a tratti i toni si fanno delicati con la super ballatona Dad, bissata da Nothing Lasts Forever, mentre SMS chiude l’album con suoni più vicini all’hard rock classico.
In definitiva un album molto accattivante, professionalmente ineccepibile in tutte le sue parti, orgogliosamente italiano pur avendo tutti i crismi di una produzione top made in U.S.A.

TRACKLIST
1. Vox Animae/rEvolution
2. Devil in Your Soul
3. Living Dead
4. Together Again
5. Broken Promises
6. Song For M
7. Dad
8. Noway Train
9. Begging for Mercy
10. No Pain No Gain
11. Nothing Lasts Forever
12. Sms

LINE-UP
Filippo “Jack” Zardini – lead guitars
Lorenzo “Steven” Bertasi – vocals
Davide “Pio” Viglio – drums
Marco “Jeff Lee” Sangrigoli – bass

SEVENTH VEIL – Facebook

Heart Attack – Heart Revolution

L’album piace al primo giro e sono convinto che gli Heart Attack si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea: farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, nemmeno a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati.

Dalla scena ellenica alla conquista del continente, per conquistare i cuori degli amanti del rock melodico e dalle atmosfere AOR.

Heart Revolution è il debutto degli Heart Attack, melodic rockers dal sound che guarda tanto alla scena americana degli anni ottanta quanto a quella del vecchio continente, non dimenticando la scuola neoclassica di matrice nord europea.
Fondata da due musicisti di provata esperienza della scena melodica del loro paese, come come George Drimilis (ex Raging Storm) e Nikos Michalakakos (Spitfire), la band conquista con questo confetto di dolcissimo hard rock, dalle ritmiche pulsanti e dai refrain catchy, dove non mancano riff grintosi, chorus da arena rock e tastiere che riempiono il suono di melodie ariose e dall’ottimo appeal.
Prodotto da Bob Katsionis (Firewind, Outloud), mixato e masterizzati nientemeno che da Tommy Hansen (Pretty Maids, Helloween, Rage) ai Jailhouse Studios in Danimarca, Heart Revolution (tralasciando la copertina invero bruttina e che non rende giustizia alla musica del gruppo) è un bell’esempio di hard rock melodico, dal songwriting ispirato, cantato alla grande da un Drimilis che fa strage di cuori metallici, aiutato nei cori dalla tastierista Lila Moka, brava con il suo strumento, ed energizzato da ottimi solos dell’axeman Stefanos Georgitsopoulos, elegante e raffinato, nonché grintoso il giusto quando la musica del gruppo si elettrizza per donare attimi dal piglio dinamico e coinvolgente.
Il disco può certamente essere diviso in due parti, la prima vede il gruppo cimentarsi in song dal taglio più melodico ed Aor, che arrivano al cuore dell’ascoltatore e lo ammalia con ariosi refrain e delicati ed eleganti chorus ( Falling Apart, Stalker, le strepitose Chine Blue e Tell Me), mentre nella seconda parte l’hard rock prende il sopravvento, la sei corde spara le sue cartucce e ne escono brani dal piglio più aggressivo come in Heart Attack e nell’inno Hellenic Forces, bonus track che vede la partecipazione di un folto gruppo di ospiti della scena, per un brano dal taglio neoclassico ed avvincente.
Le influenze sono evidenti e riscontrabili nei maestri del genere, su tutti gli Scorpions più melodici, Tyketto, Pretty Maids e personalmente ci aggiungerei i finlandesi Brothers Firetribe, progetto hard rock del chitarrista dei Nightwish Emppu Vuorinen.
L’album piace al primo giro e sono convinto che gli Heart Attack si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea: farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, nemmeno a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati.

TRACKLIST
01. Falling Apart
02. Under Your Spell
03. Stalker
04. Playing With Fire
05. China Blue
06. Living A Lie
07. Tell Me
08. (You’re A) Nightmare
09. Chase The Dream
10. Heart Attack
11. Hellenic Forces

LINE-UP
George Drimilis-Vocals
Steve G.-Guitars
Lila Moka-Keyboards/Backing vocals
Nikos Michalakakos-Bass
Jim K.-Drums

HEART ATTACK – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Gran bella sorpresa questa band greca, l’album piace al primo giro e sono convinto che si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea, farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, anche a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati, provare per credere.

Kingfisher – The Greyout

Un ottimo esordio per una band più che promettente

I Kingfisher, formazione a cinque dove a farsi notare fin da subito è la presenza di tre bassisti, vengono dalla Lombardia e debuttano, dopo l’ep del 2014 con gli undici brani di The Greyout. Il lavoro, folle punto di incontro fra alternative metal, alternative rock e stoner, esplode nei timpani con la forza di mille granate, grazie anche all’ottimo lavoro di Andrea Cajelli in sala di registrazione e di Giulio Ragno Favero per quanto riguarda il processo di mastering.

La partenza bruciante e fulminante di Red Circle, correndo sui colpi di batteria e basso, scalcia con energia, introducendo l’altrettanto fiammante Sentient (intrigante il cuore leggermente più scuro e pacato) e le influenze stoner, dirottate su terreni estremamente metal, di Worm Tongue (bassi e batterie feroci come mitragliatrici).
L’aggressività iniziale di The Greyout, sviluppandosi poi su melodie più strutturate (ma non rinunciando a scalciare come un cavallo pazzo), lascia che a seguire siano i pugni nello stomaco sferrati da Even In Decay (provate a non essere rasi al suolo dalla forza d’impatto della seconda parte) e la breve strumentale Oneiric (decisamente più pacata, contenuta e delicata).
A ritornare a far ruggire i bassi ci pensa Eleven che, affidandosi ad architetture più complesse e cerebrali, rallenta i tempi e si tuffa in sonorità a metà fra stoner e southern metal.
Bizarre, infine, precipitando in complessi incastri di batteria e bassi, cede il compito di chiudere allo sfrecciare di Scent Of Reckoning, all’assalto sonoro dell’altrettanto distruttiva Relentless e all’ipnotico concludere della più distesa, melodica e matematica Mandala.

Il debutto dei Kingfisher, granitico, compatto e carico di energia, colpisce per la sua forza d’impatto, per il suo suono e per la sua intensità. Gli undici brani presentati, infatti, quasi non lasciando la possibilità di tirare il fiato nemmeno per un secondo, si susseguono, tirati, come ordigni esplosivi sempre pronti a brillare. A rovinare un pochino l’entusiasmo è la troppa omogeneità dei brani, ma, tolto questo difetto, tutto fila decisamente liscio. Un ottimo esordio per una band più che promettente.

TRACKLIST
01. Red Circle
02. Sentient
03. Worm Tongue
04. The Greyout
05. Even In Decay
06. Oneiric
07. Eleven
08. Bizarre
09. Scent Of Reckoning
10. Relentless
11. Mandala

LINE-UP
Davide Scodeggio
Alessandro Croci
Emanuele Nebuloni
Renato Di Bonito
Matteo Barca

KINGFISHER – Facebook

Morgengruss – Morgengruss

Marco Paddeu centra perfettamente il bersaglio dando vita ad un disco clamoroso, denso ed etereo allo stesso momento, forte nella sua cristallina leggerezza, acido nella semplicità di slegare la chimica delle cose e dei suoni, e bello come un raggio del sole che bacia senza scottare.

In un giardino vicino al mare, un petalo ricade sul selciato dopo essere stato trasportato dal vento, il mare sussurra una litania mentre il resto è immoto, fuori dalla calca.

Questa è solo una delle immagini che evoca questo disco, un gioiello di lentezza e ricercatezza, di labor limae e di perfetto equilibrio fra tutti gli elementi. Morgengruss ricorda molto Warren Ellis, ma è ancora più ispirato e potente in alcune sue immagini, concependo un disco abbagliante nel suo sole soffuso, nel suo vivere di immagini riflesse e di tocchi leggeri di una madre preoccupata, mani sulle spalle di amanti già lontani. Raramente si ascolta musica che tocca così dentro. Morgengruss bisogna ascoltarlo non al massimo del volume, ma secondo quello che vuole il nostro orecchio.
Morgengruss è musica che scorre respirando insieme ai nostri polmoni, e nel mondo fisico risponde al nome di Marco Paddeu, anche in Demetra Sine Die e Sepulcrum, di cui presto uscirà il disco di debutto. Marco centra perfettamente il bersaglio dando vita ad un disco clamoroso, denso ed etereo allo stesso momento, forte nella sua cristallina leggerezza, acido nella semplicità di slegare la chimica delle cose e dei suoni, e bello come un raggio del sole che bacia senza scottare.
Registrato e mixato da Emi Cioncoloni al El Fish Studio di Genova, la fotografia e gli interni sono curati da Alison Scarpulla, fotografa americana già con Wolves In The Throne Room ed altri. Di questo capolavoro verranno pubblicate 100 copie in vinile trasparente e 200 copie in vinile nero.

TRACKLIST
1.Father Sun
2.To an isle in the water
3.River’s call
4.Apparent motion
5.Like waves under the skin
6.Vena
7.Hope

LINE-UP
Marco Paddeu

MORGENGRUSS – Facebook

Dead Behind The Scenes – White EP

Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo The White ep.

Una ventina di minuti di musica rock fuori dai soliti schemi, pazza e alternativa nel senso più puro del termine, pregna di sonorità che riportano alla mente gruppi che hanno fatto del proprio songwriting, un modo per distinguersi dalle solite rock band, eppure così originale e personale, da sembrare tutt’altro che un combo al debutto.

Bene ha fatto l’Atomic Stuff a prendere nel proprio roster i milanesi Dead Behind The Scenes, rock band di Milano che, con talento, amalgama rock alternativo e punk & roll, licenziando White Ep, primo lavoro di cinque brani che si spera li possa portare verso un potenziale full lenght esplosivo.
Il gruppo, attivo dal 2010 come The Scream, ha in Dave Bosetti (voce e chitarra), Marco Tedeschi (chitarra) e Lorenzo Di Blasi (tastiere) lo zoccolo duro della band, ai quali nel tempo si sono aggiunti il bassista Valerio Romano ed il batterista Chris Lusetti, a formare la line up che firma questo ep in cui il rock non ha barriere né confini, così da inglobare nel proprio sound le pazzie alternative dei Primus, sonorità reggae-folk e rock & roll.
Molta importanza nel sound dei nostri i tasti d’avorio, così come la voce particolare del Bosetti, tra Les Claypool e Maynard James Keenan in versione punk, che segue i binari di musica trasformandosi ad ogni passaggio, così come ogni canzone è diversa dall’altra, ora più rock alternative come in I Love Matt, ora improntata su un reggae-soul come nella successiva Bulletproof Soulmate, per diventare intimista nella semiballad No Name Song.
L’hammond prende per mano il sound di Sex Rock & Rock’N’Roll una traccia hard rock dai rimandi settantiani, con quel tono vocale che tanto sa di punk rock, mentre gli anni sessanta e un’aura surf sono i protagonisti della conclusiva e solare Sometimes You Just Have To…
Con i Dead Behind The Scenes tutto è il contrario di tutto, ma alla fine perfettamente al suo posto, così da regalare rock per chi, ogni tanto, ama vagare per lo spartito senza una guida sicura godendo delle molte sorprese che riserva un album come questo White Ep.
Con tutto questo potenziale li aspettiamo con fiducia alla prova del full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1. I Love Matt
2. Bulletproof Soulmate
3. No Name Song
4. Sex Rock & Rock ‘n’ Roll
5. Sometimes You Just Have To…

LINE-UP
Dave Bosetti- lead vocals, guitar
Marco Tedeschi- guitar
Lorenzo Di Blasi, keyboards- piano
Valerio Romano- bass
Chris Lusetti- drums, backing vocals

DEAD BEHIND THE SCENES – Facebook

Hell In The Club – Shadow Of The Monster

il nuovo album continua a fare la voce grossa nella scena hard rock, confermando il respiro internazionale che gli Hell In The Club hanno raggiunto in così poco tempo

Letteralmente irresistibile, pura dinamite hard, street rock’n’roll fatta esplodere in questo inizio 2016 dalla nostrana Scarlet che, a distanza di poco più di un anno dal precedente e folgorante Devil On My Shoulder, torna a dar fuoco alle polveri con il nuovo album di questa banda di fenomenali rockers, al secolo Hell In The Club.

Come ben saprete il gruppo nostrano è composto da un nugolo di musicisti della scena nazionale che, con le loro band di origine( Elvenking, Secret Sphere e Death SS) hanno regalato perle metalliche di assoluto valore nobilitando la scena tricolore, poi unitisi in questo combo arrivando al terzo album facendo filotto, con un tre su tre, davvero entusiasmante.
Tre album a distanza di appena cinque anni, uno più bello dell’altro, partendo dal debutto Let The Games Begin, esordio del 2011, passando per Devil On My Shoulder, magnifico parto uscito sul finire del 2014 ed arrivando a questo mostruoso (è il caso di dirlo) Shadow Of The Monster.
Registrato, mixato e masterizzato ai Domination Studios da Simone Mularoni, il nuovo album continua a fare la voce grossa nella scena hard rock, confermando il respiro internazionale che gli Hell In The Club hanno raggiunto in così poco tempo: difficile, infatti, trovare un sound così perfetto come quello creato dal gruppo italiano, un mix di street, hard rock che guarda al passato ma mantiene un taglio moderno, portando il rock’n’roll esplosivo delle grandi band degli anni ottanta/novanta nel nuovo millennio ed aggiungendo valanghe di melodie dall’appeal enorme.
Forse, ancora più che in passato, il sound di questo lavoro guarda oltreoceano, facendo di Shadow Of The Monster l’opera più americana del gruppo, un mix riuscito tra i Guns’n’Roses di Slash ed i Jon Bon Jovi, che escono prepotentemente quando l’elettricità si fa leggermente meno ruvida e viene accompagnata da linee melodiche scritte per mano di talenti smisurati.
Il burattinaio in copertina, sempre diabolico ma ispiratore di un sound che vi farà innamorare al primo ascolto di questo straordinario pezzo di musica rock, domina menti e corpi e ci fa sbattere teste, scalciare come cavalli impazziti, letteralmente drogati dall’adrenalina che scorre all’ascolto di Dance!, opener dell’album e dall’inno Hell Sweet Hell.
Impossibile non cantare il refrain della title track,bonjoviana fino al midollo, così come una moderna ballatona da arena rock si rivela The Life & Death of Mr. Nobody.
Appetite for destruction? No solo Appetite, ma l’effetto è lo stesso, hard rock irrefrenabile, ruvido, che aggredisce con schiaffoni street metal, senza perdere un’oncia in melodia.
Anche questo album rimane su di un livello altissimo in tutta la sua durata, regalando ancora due spettacolari hard rock song, Le Cirque des Horreurs e l’irresistibile Try Me, Hate Me, canzone che in sede live sarà la colpevole di poghi irrefrenabili, ammucchiate paurose, malattie mentali e croniche ubriacature, insomma rock’n’roll all’ennesima potenza.
Hell In The Club, in un mondo ideale, sarebbe il nome più gettonato tra i rockers, ancora troppi legati a dinosauri estinti o ridotti a cover band di se stessi, non mi rimane quindi che ribadire l’assoluto valore di questo album e lasciarvi con una citazione…….CI SCAPPA DEL ROCK CICCIO !!!! Approfittatene.

TRACKLIST
01. DANCE!
02. Enjoy the Ride
03. Hell Sweet Hell
04. Shadow of the Monster
05. The Life & Death of Mr. Nobody
06. Appetite
07. Naked
08. Le Cirque des Horreurs
09. Try Me, Hate Me
10. Money Changes Everything

LINE-UP
Andrea “Andy” Buratto – Bass
Federico “Fede” Pennazzato – Drums
Andrea “Picco” Piccardi – Guitars (lead)
Davide “Dave” Moras – Vocals

HELL IN THE CLUB – facebook

Fractal Reverb – Songs to Overcome the Ego Mind

Album che va assaporato, avendo la pazienza ed il tempo per farlo propiro, ed una band che assolutamente da supportare e rispettare per la personalità ed il coraggio nel proporre un’opera così ambiziosa al primo colpo.

Premessa: fate molta attenzione quando si parla di rock alternativo o, superficialmente di grunge, perché (lo dico da anni) il grunge a mio parere come genere musicale non esiste, o meglio, quello che fu chiamato così era solo una moda che non riguardava assolutamente la musica scritta dalle band di Seattle, troppo diverse tra loro, troppe anime contrapposte per unirle in un unico calderone musicale.

Così il primo full length dei nostrani Fractal Reverb, band di rockers nati da pochi anni in quel di Milano, con un ep all’attivo licenziato lo scorso anno dal titolo How To Overcome The Ego Mind, alla fine risulta un buon album di rock alternativo, debitore sì del decennio novantiano, ma dall’anima moderna e noise, come se il lato più intimista dei Sonic Youth si fosse appartato con i Pearl Jam e i Tool e facesse l’occhiolino al rock del nuovo millennio.
Voce femminile (Carolina Locatelli) ancora da perfezionare come interpretazione dei brani, ma comunque sufficientemente personale e rock per non sfigurare nel mezzo dei deliri elettrici dei suoi compagni di viaggio( Davide Trombetta alla chitarra e Alessandro Pinotti alle pelli) e un gusto quasi psichedelico per il rock moderno, fatto di brani lunghi, molte volte vicini strutturalmente a delle jam, che perdono in appeal solo per l’eccessiva durata di un album che supera abbondantemente l’ora.
Ecco, questo è l’unico appunto che mi viene da fare al gruppo, ottantadue minuti sono davvero troppi, specialmente in tempi dove, purtroppo anche nel rock, manca il tempo di assimilare lavori di questo genere causa la marea di uscite discografiche e la poca attenzione degli ascoltatori a musica che chiede un minimo d’impegno nell’ascolto.
Sì, perché Songs to Overcome the Ego Mind è un album impegnativo, adulto, poco incline alle facili melodie di band pop rock contrabbandate per il fantomatico post grunge che, se non esisteva l’originale, figuriamoci i facili surrogati.
Se vi avvicinate alla band milanese pensando di ascoltare i nuovi Nickelback ( tanto per intenderci) avete sbagliato indirizzo, qui si fa rock, sporcato di noise e dall’anima punk statunitense, magari nascosta da umori cantautorali, in un’escalation di vibrazioni progressive dove la voce femminile non è il classico specchio per le allodole, ma un modo alquanto personale di raccontare il loro concept, un percorso che parte da una dimensione prettamente estroversa per arrivare ad una introversa, trovando così il perfetto equilibrio … e scusate se è poco.
Album che va assaporato, avendo la pazienza ed il tempo per farlo propiro, ed una band che assolutamente da supportare e rispettare per la personalità ed il coraggio nel proporre un’opera così ambiziosa al primo colpo.

TRACKLIST
1.Introspective
2.I’ll find my way
3.Song of nothing
4.Dystonic wave
5.Spleen
6.Song of something
7.Natural sounds
8.20 January 2013
9.Fall in leaves
10.Test yourself
11.Trees in circles
12.Hidden places
13.Blindfolded
14.Song of everything
15.Outroot

LINE-UP
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Denny Cavalloni – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook

ROSSOMETILE – ALCHEMICA

Alchemica vive di varie anime che si rivelano emblematiche degli umori, ora drammatici ed oscuri, ora più delicati e melanconici, che si rincorrono tra i vari brani.

I Rossometile sono una band di Salerno arrivata, dopo vari cambi di formazione e tre album, al nuovo lavoro intitolato Alchemica che vede l’esordio della cantante Marialisa Pergolesi ed un sound rock/metal intriso di atmosfere gothic/dark.

La band in questi anni ha variato molto la musica proposta, passando di album in album da sonorità metal prog al rock tradizionale, sound protagonista del precedente lavoro del 2012 intitolato Plusvalenze.
L’arrivo della nuova cantante è coinciso con una nuova sterzata musicale ed il quartetto campano si ritrova tra le mani un piccolo gioiello dark rock cantato in lingua madre, con testi molto maturi e, soprattutto, un lotto di buone canzoni che vanno a formare un’opera ambiziosa, relativamente lunga (sessanta minuti non sono pochi) ma dall’ascolto gradevole.
E’ bellissima la voce della cantante, protagonista dell’intero lavoro, elegante e raffinata, assolutamente non forzata in inutili passaggi operistici ma molto personale e dalle sfumature che, a tratti, si fanno pop per non far passare inosservato questo ottimo esempio di rock cantato in italiano, con tutti i crismi per piacere agli amanti del metal dalle reminiscenze gotiche.
Prodotto molto professionalmente, Alchemica vive di varie anime che all’ascolto sono emblematiche degli umori, ora drammatici ed oscuri, ora più delicati e melanconici che si rincorrono tra i vari brani, non dimenticando un volto ad illuminare il mood dark che avvolge i brani.
Ottime sono le parti di chitarra, ad oopera di Rosario Runes Reina, che richiamano il passato metal prog del gruppo con elettrizzanti assoli (Le Ali Del Falco) ed altrettanto valide risultano le parti elettroniche che danno quel tocco dark ottantiano vero punto di forza del gruppo.
Non mancano le orchestrazioni, come da copione nel gothic metal in voga in questi ultimi anni (Pandora), mentre il cuore dell’album è anche il punto più alto della musica dei Rossometile, con le due parti di Nel Solstizio D’inverno, un brano spettacolare che unisce il dark prog degli storici Goblin con i primi Nightwish della splendida Tarja.
Da segnalare ancora la title track e Tirrenica, altri ottimi esempi del sound creato dalla band campana, che guarda al passato del dark rock, senza dimenticare il sound di gruppi attuali come Lacuna Coil, Evanescence e Nightwish.
Alchemica è un ottimo lavoro nel quale l’uso della lingua italiana non inficia assolutamente le atmosfere create dalla musica, perciò poche storie e fate vostro questo album, vivamente consigliato agli amanti dei suoni gotici e dark.

TRACKLIST
1.Solve
2.Amore Nero
3.La Fenice
4.Il Lato Oscuro
5.Le Ali Del Falco
6.Pandora
7.Presenze
8.Candore
9.Nel Solstizio D’inverno parte1
10.Nelo Solstizio D’inverno parte2
11.Guerriero Senza Re
12.Viaggio Astrale
13.Alchemica
14.Ripetizione
15.Terrenica
16.Coagula

LINE-UP
Maria Lisa Pergolesi: voce
Pasquale Murino: basso
Gennaro Balletta: batteria
Rosario Runes Reina: chitarra

ROSSOMETILE – Facebook