Goatmoon – Stella Polaris –

Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo, laddove altri avrebbero miseramente fallito i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia.

Quando si tratta di fare black metal originale fuori dagli schemi, seguendo una strada propria, allora non troverete di meglio dei Goatmoon, che poi possono essere riassunti nella persona di Black Goat Gravedesecrator, fondatore e colonna portante del gruppo ormai dal lontano 2002.

La parabola musicale del gruppo è notevole e ha un suo senso, soprattutto se si conta l’evoluzione dagli inizi con un black metal molto raw e legato al punk, mentre poi piano piano si è fatto strada un suono con afflati maggiormente epici e legati alla Finlandia. Stella Polaris può essere considerato a buon ragione il punto più alto di questo percorso, poiché è sicuramente l’album più epico e strutturato dei Goatmoon. Per tutto il disco si segue la stella polare nelle fredde lande finlandesi, lottando contro tutto e tutti , per affermare la propria volontà di potenza. Lo svilupparsi del disco non è mai scontato e l’ascoltatore è sempre tenuto in tensione. La grande protagonista di questo disco è la melodia, che trova nel forte uso dell’organo al sua stella polare. Epicità e black metal si compenetrano alla perfezione, mostrando nuove vie al nero metallo. Questa tendenza è forte in molti dischi di black metal finlandese dell’ultimo periodo, per segnare nuove vie nella musica estrema. Il disco è volutamente ridondante e pieno di pathos, e ci vuole molta classe per fare un lavoro come questo: laddove altri avrebbero miseramente fallito, i Goatmoon riescono molto bene, pubblicando un disco potentemente melodico, in linea con la loro storia. Certamente, come il destino del novanta per cento dei dischi black metal, dividerà molti giudizi, ma francamente è un problema da non porsi nemmeno.

TRACKLIST
1.Intro
2.Stella Polaris
3.Kansojen Hävittäjä
4.Wolf Night
5.Sonderkommando Nord
6.Warrior
7.Conqueror

GOATMOON – Facebook

Madness Of Sorrow – NWO – The Beginning

Resoconto dell’ascolto in anteprima del nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, NWO – The Beginning, seguito da uno scambio di battute con il mastermind Muriel Saracino ed il nuovo cantante Prophet.

Ad un mese circa dall’uscita , prevista per i primi giorni di marzo abbiamo avuto l’onore di ascoltare in anteprima il nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, band estrema capitanata dal mastermind Muriel Saracino.

Oltre a raccontarvi del disco troverete una breve intervista fatta dal sottoscritto a Muriel ed al nuovo cantante Prophet, una delle novità di questo ottimo NWO – The Beginning.
E iniziamo proprio dal neo entrato, amico di vecchia data di Saracino ed ottimo cantante, bravissimo nel saper variare la sua voce tra toni dark, parti aggressive tra scream e growl, ed una voce pulita usata con parsimonia, ma perfetta nel contesto atmosferico dei brani; per la prima volta nella storia del gruppo il concept non è frutto di Saracino che, questa volta, si è dedicato alla musica ed ha lasciato al cantante carta bianca per la scrittura di testi che tratteggiano un quadro oscuro del sistema in cui abbiamo vissuto e viviamo tutt’ora.
Molto bella la copertina creata dall’artista Graziano Roccatani e davvero brillante il songwriting, che rende l’album più vario dei pur bellissimi precedenti capitoli, in un viaggio temporale tra il metal più oscuro e dark, dall’heavy thrash al black, fino a quelle che è lo stile peculiare del gruppo nostrano, l’horror/dark con sfumature nu metal tanto care a Muriel.
E, probabilmente, il fatto di doversi occupare esclusivamente della musica ha giovato non poco a Saracino che, questa volta, ha dato libero sfogo a tutte le sue influenze, creando un’opera varia, ispirata e più estrema delle precedenti.
Atmosfere oscure che aleggiano su sfuriate thrash/black, le tastiere in stile Death SS che aumentano l’inquietudine tipica delle opere horror metal (You’re Not Alone), vengono spazzate un attimo dopo da brani di scuola Manson, una delle massime ispirazioni del gruppo (Necrophilia), che Prophet interpreta però con un piglio estremo da vocalist death.
Il dark rock è presente ma in modo più subdolo, nascosto dalla vena metallica di NWO, anche se talvolta i Sisters Of Mercy si incontrano con i Rammstein per regalare sfumature industriali dalle tinte nere come la pece (Slut e Zombified).
Keep Your Head Down è un brano malato e sofferto, dalle melodie introspettive create dai tasti d’avorio ad accompagnare l’interpretazione magnifica di Prophet, posseduto subito dopo da un demone black nella violentissima DNA che porta l’ascoltatore verso il finale, composto dalla diretta SOS e dall’outro che chiude l’album con un’atmosfera apocalittica ed oscura.
NWO – The Beginning è l’ennesimo ottimo album che conferma i Madness Of Sorrow come una delle migliori realtà nostrane per quanto riguarda il genere suonato, e questo punto non ci rimane che lasciare la parola ai protagonisti.

MetalEyes Allora ragazzi, un nuovo lavoro che porta con se importanti novità!

MURIEL – Si, la più importante è senza dubbio l’entrata nel gruppo di Prophet, aka Diego Carnazzola, che reputo un ragazzo pieno di talento. Da quando presi la decisione di lasciare il ruolo di cantante dei Madness of Sorrow, non ho avuto dubbi nel pensare che fosse la persona giusta per questo ruolo. Abbiamo una voce simile, ma lui sa aggiungere sfumature per me non fattibili. Questo mi ha lasciato libero nel concentrarmi solo ed
esclusivamente sul songwriting, senza paranoie su liriche e melodie vocali. Dopo i primi live, dove si è cimentato alla grande sui brani che cantavo io in precedenza, tutte le paure sono svanite, e qui ha fatto un gran bel lavoro.

ME Concept e testi sono stati scritti da Prophet, potete parlarcene più dettagliatamente?

PROPHET – Ho tratto ispirazione dagli avvenimenti che accadono ogni giorno in tutto il mondo da secoli.
In questo concept ho trattato temi che variano dalla religione al sesso, dalla politica alle corporation, dalla scienza all’evoluzione della società, sino al materialismo ed alla spiritualità.
Mi sono divertito nel mandare un messaggio criptico ed allo stesso tempo diretto, con qualche nota malinconica e poetica.

ME NWO – The Beginning risulta più vario rispetto ai precedenti lavori, mantenendo una sua anima horror/dark, ma passando con disinvoltura dal metal estremo moderno a quello più classico, con ritmiche di stampo thrash metal che sferzano alcuni brani: come siete approdati a queste sonorità?

M – Ovviamente, scrivendo e suonando il tutto, ho tratto giovamento dal fatto di non dover dedicare energia anche all’aspetto visuale ed alle liriche.
Concentrandomi al 100% sulla musica ho potuto tirare fuori veramente tutte quelle che sono le mie influenze, dall’adolescenza (Europe, Iron Maiden e Guns’n’Roses) sino all’attualità (Korn, Cradle of Filth e Rammstein).
A livello di batteria, invece, mi piace fondere anche nello stesso brano passaggi differenti tratti dal black metal, dall’industrial e dal rock classico.

ME Parlatemi della copertina, che ho trovato molto metal anni ottanta: il riferimento è palese, ma possiede un significato più profondo?

M – Innanzitutto ringraziamo Graziano Roccatani per lo splendido lavoro svolto, ce ne siamo innamorati subito. Sul metal anni ’80 non saprei, a me è sempre piaciuto avere copertine più fumettistiche anziché fredde e digitali, e questo senz’altro è un punto in comune.

P – La copertina ha in effetti un messaggio più profondo, nasconde una domanda che porta ad una scelta: cosa siamo disposti a sacrificare? Cosa siamo disposti ad accettare?
Vogliamo continuare ad essere manipolati, usati, torturati, privati della reale felicità?
Vogliamo continuare ad essere il capro espiatorio che giustifica il genocidio della razza umana, solo per arricchirsi di denaro?

TRACKLIST
1.N.W.O
2.Salomon
3.Inside The Church
4.You’re Not Alone
5.Necrophilia
6.Slut
7.Rip
8.Zombified
9.Keep Ypur Head Down
10.DNa
11.SOS
12.Outro

LINE-UP
Prophet – Vocals
Murihell – Guitars
Hades – Bass
Kronork – Drums

MADNESS OF SORROW – Facebook

Meltdown – Answers

I Meltdown ci strapazzano con Answers, album composto da otto brani di metallo moderno ma dalla dalla forte connotazione classica.

Sono in sei i Meltdown, ma sembra che suonino il triplo dei musicisti tanta è la forza estrema del loro sound.

C’è chi suona metalcore come se partecipasse a qualche gara televisiva per ragazzini e c’è chi lo suona come se fosse l’ultima frontiera del metal estremo, potentissimo, violento e melodico, ma al servizio di una devastante forza bruta.
I norvegesi,tramite la WormHoleDeath, ci strapazzano con Answers, album composto da otto brani di metallo moderno, dal songwriting che, nel genere, risulta di un’ altra categoria e dalla forte connotazione classica che si evince dall’uso della voce pulita da puro singer heavy metal e dal lavoro chitarristico, piazzato su un tappeto ritmico da bombardamento su Pearl Harbor ed un growl che spaventerebbe un grizzly.
Facile chiamare questo inferno metallico metalcore, ma nella musica del gruppo scandinavo chiunque abbia un minimo di esperienza in materia metallica riscontrerà ispirazioni thrash (nelle tempeste metalliche che attraversano brani come The Curse): l’heavy metal classico appare come uno spirito indomito nell’uso delle clean, che per il contesto risultano quanto mai originali, senza dimenticare il death metal di estrazione moderna e che si specchia in quello statunitense.
Hollow è qualcosa di unico nel panorama metalcore, thrash metal stile Pantera, con death moderno alla Lamb Of God si alleano con l’heavy metal classico, mentre un chorus evocativo tortura il sound che, ribellandosi, fugge sulle ali di ripartenze micidiali e devastanti.
Misery e Nightmare concludono l’album, la prima più moderna nell’approccio, la seconda classicamente metallica, seviziata dal growl e dalla potenza estrema degli strumenti portati al limite dai musicisti norvegesi.
Answers risulta senza dubbio il lavoro più originale nel genere degli ultimi tempi, con i Meltdown che si dimostrano una band in stato di grazia.

TRACKLIST
1. Answers
2. Blackbox Paradise
3. The Curse
4. Time Of War
5. Hollow
6. Mariana Trench
7. Misery
8. Nightmare

LINE-UP
Patrick Karlsen – vocals
Thomas Arntzen Dahl – vocals
Jørgen C. Hansen – guitar
Knut Elvenes – guitar
Robin Fagerland – drums
Morten Nilsen – bass

MELTDOWN – Facebook

Marianas Rest – Horror Vacui

Horror Vacui è l’ennesimo, stupefacente album di death doom partorito in Finlandia, terra nella quale il seme che dà quale frutto simili sonorità continua puntualmente a proliferare.

Dopo un demo d’assaggio risalente al 2014, i finlandesi Marianas Rest si presentano nuovamente al pubblico con questo ottimo primo full length intriso di umori malinconici.

Il death doom di una band finnica non può mai prescindere da quanto già fatto dai Swallow The Sun, ma da questa notevole base di partenza chi ha talento può muoversi con maggiore agio ricercando le soluzioni compositive ideali.
I Marianas Rest, rispetto ad altre band di settore, paiono propendere verso il death melodico più oscuro, almeno questa è l’impressione derivante dai brani più mossi, esprimendo il loro dolente sentire in alcuni brani chiave posizionati al centro della tracklist.
Inframmezzati da drammatici samples, i brani oscillano tra ritmi che, restando nella terra dei mille laghi, possono riportare agli Insomnium (non a caso in Nadir presta la sua voce il loro vocalist Niilo Sevänen) e, appunto, momenti definibili più propriamente death doom, i quali a mio avviso rappresentano i picchi dell’album, rispondenti a gemme di rilucente dolore quali For The Heartless e A Lonely Place To Die.
Indubbiamente quest’opera prima dei Marianas Rest colpisce per la maturità compositiva e, soprattutto, per il perseguimento privo di indugi di un obiettivo ben preciso, quello di proporre un sound malinconico, drammatico ma nel contempo ricco di aperture ariose e dotate di un certo brio; come detto il risultato è eccellente e, francamente, riesce difficile scovare un solo difetto ad un disco che coinvolge dalla prima all’ultima nota, grazie ad un approccio che mette sempre in primo piano uno spiccato senso melodico.
In una prova d’assieme notevole, una nota di merito va alla buona interpretazione vocale di Jaakko Mäntymaa e al lavoro tastieristico misurato ed elegante di Aapo Koivisto, il più conosciuto di questo manipolo di musicisti in virtù della sua militanza negli ottimi Omnium Gatherum.
Horror Vacui è l’ennesimo, stupefacente album di death doom partorito in Finlandia, terra nella quale il seme che dà quale frutto simili sonorità continua puntualmente a proliferare.

Tracklist:
1.The Millennialist
2.Nadir
3.For The Heartless
4.Hurts Like Hell
5.A Lonely Place To Die
6.Chokehold
7.Place Of Nothing
8.Vestigial

Line up:
Harri Sunila – Guitars
Nico Mänttäri – Guitars
Jaakko Mäntymaa – Vocals
Nico Heininen – Drums
Harri Vainio – Bass
Aapo Koivisto – Keyboards

MARIANAS REST – Facebook

Kreator – Gods Of Violence

Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, i Kreator danno alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera.

Jens Bogren consiglia a Petrozza di mettere nelle mani dei nostri Fleshgod Apocalypse la intro del nuovo album, Apocalypticon.

Ne esce un pezzo cupo, marziale, apocalittico, che ben presenta Gods Of Violence, quattordicesimo album della più grande band thrash europea ed uno dei gruppi più importanti della scena metal mondiale.
Mille Petrozza è sempre sul ponte di comando e, come il vino, più invecchia più viene buono, mentre un altro tassello e stato giunto a quel monumento alla musica estrema di nome Kreator.
Il suo leader non si è mai seduto sugli allori di una popolarità che poteva tranquillamente tenere a bada con album tutti uguali, facendo il compitino sufficiente a far gioire gli amanti del thrash old school.
D’altronde, gli esperimenti del troppo sottovalutato Renewal e del gotico Endorama, avevano dimostrato all’epoca delle uscite (rispettivamente 1992 il primo e 1999 il secondo, in compagnia di quel genio dark di Tilo Wolff) di che pasta fosse fatto il musicista tedesco, poco incline ad assoggettarsi ai cliché del thrash metal.
Dopo cinque anni dal notevole Phantom Antichrist, i Kreator tornano con un album entusiasmante che li inserisce definitivamente nell’eletta schiera di quel pugni di band che hanno fatto la storia della musica estrema.
Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, la band tedesca dà alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera metal totale dove la band gioca non solo con il genere prediletto, ma anche con il power ed il death metal melodico, facendo impallidire tre quarti della Scandinavia odierna ed una buona fetta del loro paese d’origine, patria del power alla Blind Guardian/Grave Digger,
Registrato ai Fascination Street, Gods Of Violence deflagra in una tempesta di metal estremo, epico e melodico, e le armi usate dal gruppo sono bordate di power metal, sfuriate thrash e tanta melodia, come se i Kreator si fossero ritrovati in studio a bere due birre e jammare con Blind Guardian, Iron Maiden, In Flames (i primi, quelli metal) e Grave Digger: ne esce un album spettacolare, dove Petrozza canta con una aggressività spaventosa, in un’atmosfera di totale distruzione.
E qui sta il bello, perché Gods Of Violence, pur essendo un album estremo e di una forza spaventosa, riesce a mettere in evidenza l’aspetto melodico alla perfezione, come nella stupefacente Fallen Brother o nel singolo Satan Is Real, anche se il meglio questo lavoro lo dà nelle atmosfere da battaglia del il trittico World War Now, Totalitarian Terror e nella classicheggiante Hail To The Hordes, brano sanguigno che vi faranno sembrare gli ultimi trent’anni di epic metal sigle per cartoni animati.
Un album bellissimo e appagante, una vera e propria prova di forza per un gruppo che vive attualmente una seconda giovinezza e si piazza di diritto tra gli dei del metallo.

TRACKLIST
01. Apocalypticon
02. World War Now
03. Satan Is Real
04. Totalitarian Terror
05. Gods Of Violence
06. Army Of Storms
07. Hail To The Hordes
08. Lion With Eagle Wings
09. Fallen Brother
10. Side By Side
11. Death Becomes My Light

LINE-UP
Mille Petrozza – Vocals / Guitar
Sami Yli-Sirniö – Guitar
Christian Giesler – Bass
Ventor – Drums

KREATOR – Facebook

Vomit Angel – Sadomatic Evil 12″

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Alcol e metal degenerante sono una delle poche cose che riescono a rendere felici i Vomit Angel e noi con loro, deliziati da questo assalto sonoro di 8 pezzi in diciannove minuti. Il suono del duo è fortemente debitore della vecchia scuola sudamericana del black death, dove il suono grezzo e la voce tagliente e gorgogliante diventano un pregio importante. Per gli amanti delle cronache metal i due che rispondono al nome Vomit Angel sono stati membri fondatori dei Sadogoat, per poi confluire nei Sadomator, i quali hanno pubblicato tre importanti album proprio su Iron Bonehead, una delle etichette principali per il metal potente, distorto e degenere. Chi ama il genere rimarrà folgorato da questo dodici pollici, che risponde a tutti i crismi del genere. Ci sono più cose in questi diciannove minuti che in certi dischi da due ore. Riffoni, conversazioni in growl e batteria scalciante, questi sono i Vomit Angel e va benissimo così.

TRACKLIST
1. Sadomator
2. Time Travel
3. Cotard
4. Voices in the Wind
5. Host of Darkness
6. Time of the Moon
7. Blasting Black Goat Attack
8. Female Goat Perversion

LINE UP
Lord Titan – Drums, Vocals (backing)
Necrodevil – Guitars, Vocals

IRON BONEHEAD PRODUCTIONS – Facebook

Siege – Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment

La band, quando trasforma l’agonia in musica, tocca territori brutali destabilizzanti e la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato

Brutal death metal, tecnico e progressivo che alterna momenti estremi velocissimi e devastanti ad altri più ragionati, quasi intimisti, come se la lunga agonia prima della morte lasciasse attimi in cui il dolore si attenua e faccia sembrare terminate le soferenze.

Queste sono le atmosfere racchiuse in Spirit of Agony Pt. 1: Nailed Torment, secondo full length dei Siege, band estrema lombarda:  trattasi della prima parte del concept composto da Rob (chitarra e voce), Angel (batteria) e Jesus (basso), con il secondo capitolo già preventivato per la seconda metà del nuovo anno, e l’argomento non può che essere incentrato sul dolore e l’agonia, descritti per mezzo di un death metal feroce e distruttivo, tecnicamente ineccepibile, progressivo nel suo andamento e assolutamente mai scontato, specialmente nelle ritmiche sempre in continua evoluzione.
La band quando trasforma l’agonia in musica tocca territori brutali destabilizzanti, la violenza sprigionata è sempre supportata da un sound mai scontato, così che la mezzora di death metal che ci propone non lascia dubbi sul valore del proprio songwriting.
Un album che va ascoltato come se fosse un lungo brano estremo ma che ha in Gone, Spirit Of Agony e la conclusiva The Neb i momenti più alti sia a livello musicale che di atmosfere.
Se volete dei riferimenti direi che il death metal americano è il genere più accreditato per spiegare la musica dei Siege, con i Death come ispiratori delle atmosfere progressive ed il brutal in generale nel saper descrivere il dolore e la sofferenza.
Non ci rimane che aspettare il secondo capitolo e fare i complimenti al trio nostrano.

TRACKLIST
1.Prelude To Agony
2.Evil Ride
3.Mr. Skortikon
4.Black Horizon
5.Gone
6.Spirit Of agony
7.As The Knife penetrated brain
8.The Neb

LINE-UP
Rob – Guitars & Vocals
Angel – Drums
Jesus – Bass

SIEGE – Facebook

Cryptic Realms – Enraptured by Horror

Se non siete fans accaniti del genere direi che potreste tranquillamente passare oltre, l’album non offre grossi spunti e si attesta sul compitino svolto in modo sufficiente dal gruppo ma nulla più.

Death metal old school per questa multinazionale congrega di zombie che, con il monicker Cryptic Realms, debutta con questo marcissimo full length dal titolo Enraptured By Horror.

Kostas Analytis (Grecia), Tersis Zonato (Brasile), Victor Varas (Mexico) e Uriel Aguillon (U.S.A./Mexico) compongono questa banda internazionale del metal estremo, tutti già al lavoro con gruppi più o meno famosi dell’underground estremo come Necrosis, Abyssus, Offal e Agnus Dei, e dallo scorso anni impegnati tutti insieme in questo progetto che ha già dato alle stampe un demo ed uno split.
Death metal vecchia scuola, si diceva, con gli Obituary a fare da padrini ai banchetti cannibali dei quattro deathsters, anche per il growl di Analytis, molto simile a quello del becchino John Tardy.
Il sound di conseguenza viaggia sui binari del death metal statunitense, alternando mid tempo ed accelerazioni, la produzione in linea con lo spirito vintage del progetto è scarna e diretta, mentre si respirano continuamente le esalazioni di putrida decomposizione, lasciata dai cadaveri sparsi per i vari brani che compongono Enraptured by Horror.
Se non siete fans accaniti del genere direi che potreste tranquillamente passare oltre, l’album non offre grossi spunti e si attesta sul compitino svolto in modo sufficiente dal gruppo ma nulla più.

TRACKLIST
1.Enraptured by Horror
2.Doomed Cathedrals
3.In Mortal Distress
4.Total Demise
5.Sinister Force Descends
6.Vulgar Exhumation
7.Begging to Be Dead
8.Act of Derangement

LINE-UP
Victor Varas – Bass
Tersis Zonato – Guitars (lead)
Uriel Aguillon – Guitars, Drums
Kostas Analytis – Vocals

http://www.facebook.com/thecrypticrealms

Nidingr – The High Heat Licks Against Heaven

Per i Nidingr un black death di sicuro spessore, piuttosto parco di aperture melodiche ma asciutto, essenziale e di pregevole fattura tecnica.

Dei norvegesi Nidingr si rinvengono le prime tracce circa vent’anni fa, quando Teloch (oggi chitarrista anche nei Mayhem) vi diede vita quale suo progetto solista, per poi assumere la forma di band vera e propria solo nel 2005, con la pubblicazione del primo full length Sorrow Infinite And Darkness.

The High Heat Licks Against Heaven, che segue Wolf-Dather del 2010 e Greatest Of Deceivers del 2012, è il nuovo lavoro di questo gruppo in grado di proporre un black death di sicuro spessore, piuttosto parco di aperture melodiche ma asciutto, essenziale e di pregevole fattura tecnica.
L’andamento del lavoro verte per lo più su ritmi sostenuti, avvolti da un mood algido, stemperati però da mid tempo caratterizzati da pulsioni industrial (Gleinir), da incursioni con clean vocals di gran pregio (Ash Yggdrasil, con Garm quale ospite) o cristallini vocalizzi femminili (la title track, qui con il contributo di Myrkur).
Proprio questi brani appaiono i più peculiari, forse perché vanno a spezzare una certa tetragonia che si rivela, di norma, funzionale alla causa grazie a tracce dalla feroce qualità quali Hangagud o Sol Taker; nel complesso l’intero album merita la dovuta attenzione perché, pur senza tentare voli pindarici, i Nidingr cercano di portare il loro black death su un piano più elevato, andando talvolta a lambire territori avanguardisti, dando una dimostrazione di competenza e conoscenza della materia da primi della classe.
The High Heat Licks Against Heaven non assurge però all’eccellenza perché, come detto, troppo spesso si rivela eccessivamente freddo, con i Nidingr che non sempre riescono sempre nell’intento di coinvolgere del tutto l’ascoltatore: questo particolare corrisponde al gap da colmare nella prossima occasione per raggiungere un tale obiettivo.

Tracklist:
1. Hangagud
2. Surtr
3. The Ballad Of Hamther
4. On Dead Body Shore
5. Gleipnir
6. Sol Taker
7. Ash Yggdrasil
8. Heimdalargaldr
9. Valkyries Assemble
10. Naglfar Is Loosed

Line-up:
Cpt. Estrella Grasa – Vocals
Teloch – Guitars
SIR – Bass
Myrvoll – Drums

NIDINGR – Facebook

Terrifier – Weapons of Thrash Destruction

Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament e di tutta la scena statunitense, questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

La prima bomba thrash metal proveniente dall’underground metallico targato 2017 è dei canadesi Terrifier: il loro secondo album è un’ autentica esplosione made in Bay Area.

Fresco di firma per la Test Your Metal, il gruppo torna dopo quasi cinque anni dal precedente full length più in forma che mai, con questa botta di vita thrash metal, pura nitroglicerina in musica, dalle ovvie influenze statunitensi, derivativa quanto volete ma perfettamente in grado di farvi a pezzi a suon di mazzate metalliche.
Non esiste tregua ne respiro, Weapons of Thrash Destruction scaraventa al muro, immobilizza il nemico e lo massacra di fendenti senza soluzione di continuità, veloci, potenti e letali.
L’album in cuffia a volume critico è un’autentica gioia per le orecchie malandate degli amanti del thrash americano di matrice old school, non manca niente per non fare prigionieri ai ritmi infernali di vere bombe come l’opener Reanimator, la seguente Deceiver e via una sotto l’altra tutte le nove tracce che vanno a comporre l’album di questi guerrieri indomiti del thrash metal.
Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament, e tutta la scena statunitense questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

TRACKLIST
1.Reanimator
2.Deciever
3.Nuclear Demolisher
4.Violent Reprisal
5.Skitzoid Embolism
6.Drunk as Fuck
7.Bestial Tyranny
8.Riders of Doom
9.Sect of the Serpent

LINE-UP
Chase Thibodeau – Vocals
Rene Wilkinson – Guitar
Brent Gallant – Guitar
Kyle Sheppard – Drums
Alexander Giles – Bass

TERRIFIER – Facebook

Dyrnwyn – Ad Memoriam

I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa

I romani Dyrnwyn compiono un capolavoro con questo loro ep Ad Memoriam, dopo il demo del 2013 Fatherland.

Nell’ep vengono rievocate solennemente le gesta di Roma e specialmente dell’esercito romano, braccio armato nella conquista di quello che fu l’impero: se non si parla delle sue gesta e della complessità che aveva ci pensano di Dyrnwyn con un disco clamoroso. Il suono è un folk metal che, a seconda della necessità narrativa, diventa folk, nel momento in cui la storia viene cullata sulle ali del ricordo, o metal nel ricordare il ferro delle legioni romane. La commistione dei generi riesce perfettamente e musicalmente le canzoni sono pazzesche, con un perfetto equilibrio di melodia e cattiveria. Riesce anche molto bene il gioco fra voce pulita e voce in growl, il tutto in italiano. Il risultato è un disco che rievoca in maniera potentissima Roma, la sua gloria, e le sue battaglie. Questa rievocazione non è la solita vuota riproposizione di impeto guerresco, ma un’accurata e sentita ricostruzione di ciò che effettivamente fu. I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa, sapendo che molto probabilmente Roma non l’avrebbero mai più rivista. Ad Memoriam mostra chiaramente, usando alla perfezione il linguaggio del folk metal, il motivo di tutto ciò: la gloria imperitura di Roma, questi ragazzi e questi uomini combattevano per una cosa che noi non ci immaginiamo nemmeno, è qualcosa di incomprensibile perché non lo abbiamo dentro. La musica e i testi del gruppo creano un incredibile empatia tra noi ed i soldati, tra noi e la Roma che fu. E questa Roma è necessariamente pagana, come cantano i Dyrnwyn, perché quando muore il paganesimo muore anche l’idea stessa di Roma, e non c’è storico in buona fede che lo possa negare. Questo ep dovrebbe essere fatto sentire nelle scuole, perché ha un valore storico immenso, ed è a dir poco trascinante. Teutoburgo è una canzone che ti fa sentire lì, in quella foresta germanica, dove furono annientate intere legioni e non solo. Per farvi capire come erano i romani, dopo questo delirio di battaglia, combatterono i germani per sette anni, prima di mettere il fiume Reno come confine a nord. I romani erano dei figli di puttana immensi, in questo disco c’è tutta la loro essenza e questo ep entra nel pantheon del folk metal italiano,che sarà anche limitato, però riserva chicche come questa e Ferro Italico dei Draugr, di cui i Dyrnwyn sono giustamente grandi fan e debitori.

TRACKLIST
1.Ad Memoriam
2.Sangue Fraterno
3.Sigillum
4.Tubilustrium
5.Ultima Quiete
6.Teutoburgo

LINE UP
Ivan Cenerini – basso
Alessandro Mancini – chitarra solista
Ivan Coppola – Batteria
Michelangelo Iacovella – tastiera
Daniele Biagiotti – voce

DYRNWYN – Facebook

Hour Of Penance – Cast The First Stone

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance.

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance, a distanza di tre anni dal precedente e bellissimo Regicide.

Il gruppo ha cambiato le carte in tavola tornando al sound più quadrato e diretto di Sedition, non un male, chiariamolo, anche perché il talento compositivo della band è alto e anche questo lavoro brilla per un’ approccio brutale e devastante ma valorizzato da ottimi inserimenti melodici.
Meno articolato dunque e più old school rispetto al predecessore, Cast The First Stone è un attacco estremo a suon di tellurici bombardamenti, mezz’ora abbondante nel genere di scuola americana, ma con ben impressa la firma Hour Of Penance.
Se in Regicide spiccava l’aspetto tecnico, con questo lavoro il gruppo punta sull’impatto, grazie ad una sezione ritmica micidiale ed il gran lavoro delle chitarre che non sbagliano un colpo, con inserti melodici perfetti e riff pesanti come carri armati.
Un album da fagocitare tutto d’un fiato, un muro estremo inviolabile che gli Hour Of Penance costruiscono con una facilità disarmante e in cui gli indistruttibili mattoni portano il nome di Cast The First Stone, Burning Bright e Horn Of Flies, ma si potrebbero nominare tutte le tracce visto l’enorme potenziale della tracklist nel suo insieme.
Da parte della band italiana un altro ottimo lavoro che non mancherà di soddisfare chi, in generale, predilige il brutal death di scuola americana.

TRACKLIST
1.XXI Century Imperial Crusade
2.Cast the First Stone
3.Burning Bright
4.Iron Fist
5.The Chains of Misdeed
6.Horn of Flies
7.Shroud of Ashes
8.Wall of Cohorts
9.Damnatio Memoriae

LINE-UP
Giulio Moschini – Guitars ,Backing Vocals
Marco Mastrobuono – Bass
Paolo Pieri – Vocals, Guitars
Davide “the Bomber” Billia – Drums

HOUR OF PENANCE – Facebook

ART OF ANARCHY

Il video di The Madness, tratto dall’album omonimo di prossima uscita.

Il video di The Madness, tratto dall’album omonimo di prossima uscita.

L’attesa è finita! È in arrivo “The Madness”, secondo album e ultima fatica in studio degli ART OF ANARCHY, la super band che vede fra le sue file lo shredder delle sei corde Ron “Bumblefoot” Thal ,ex-Guns ‘N’ Roses e John Moyer, bassista dei Disturbed. “The Madness” vede debuttare dietro al microfono Scott Stapp, storico cantante dei Creed. L’album sarà pubblicato il 24 marzo 2017 su Century Media Records e come anteprima la band ha reso disponible il video della titletrack “The Madness”:

Capuchin Punks – Metal Dalla Cripta Dei Monaci

“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.

Ci sono o ci fanno i Capuchin Punks?

Il quintetto americano proveniente dal Missouri per il suo debutto usa un titolo in lingua italiana e prende ispirazione da un luogo sacro ubicato nella nostra capitale.
Metal Dalla Cripta Dei Monaci si riferisce, infatti, alla cripta che si trova sotto la chiesa di santa Maria della Concezione a Roma, costruita dai frati cappuccini, una tomba decorata con i resti dei loro fratelli religiosi.
Titolo ed ispirazione così originale non vanno però di pari passo con la musica prodotta dal gruppo, un miscuglio neanche troppo riuscito di heavy metal, hard rock e punk, con qualche atmosfera rallentata dai richiami sabbatiani, prodotto che sembra arrivare davvero dalla cripta e con una cantante monocorde che appiattisce il sound non certo eccelso del gruppo statunitense.
Il punk rock è forse il genere in cui la band riesce ad essere più convincente, poi vine proposto un minestrone di generi che si annullano l’un l’altro senza lasciare traccia: peccato, perché l’idea iniziale non era male, ma quello che si ci aspettava era un qualcosina di più organizzato.
Accompagnato da una copertina davvero brutta, con cinque scheletri vestiti da monaci, l’album non decolla, rimanendo fermo sulla pista ad attendere che il motore si spenga ed il silenzio torni a regnare.
“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.
Lasciamo riposare in pace i monaci e passiamo oltre.

TRACKLIST
1.Rise of the Capuchins​
2.​Jet Black Chevette​
3. Martigney Creek​ ­
4.The War​
5.Dust and Ash​
6.One of Them
7.My Addiction​
8.Former Crowns​
9.Better Not Ask

LINE-UP
Donna Katherine -​ ­Vocals
Danny Nichols​­ – Guitar
Isaac Bryan​­ – Guitar
Josh Sanderson -​­ Bass, Guitar
Matt Bryan ​­- Drums

http://www.facebook.com/capuchinpunks/?fref=ts

ABORYM

Interloquire con Fabban non è mai banale, così come non lo sono i dischi degli Aborym: l’ultimo Shifting.Negative è un’opera che, inevitabilmente, spariglia le carte in un ambiente musicale talvolta rannicchiato su sé stesso.
Al musicista pugliese va dato atto di non essere certo uno che misura le parole col bilancino del farmacista e, se spesso e volentieri non ci si trova d’accordo con le sue affermazioni (per esempio, la mia visione riguardo al black metal e a chi lo suona è decisamente diversa), non si può non apprezzarne la franchezza e la lucidità. Alle domande ha risposto anche il chitarrista Dan V, rendendo il tutto, se possibile, ancor più interessante …

MetalEyes Credo che ogni musicista abbia sempre la perfetta percezione di quello che è l’effettivo valore delle proprie opere, al di là di quelle che possano essere le sue dichiarazioni di facciata: quali sono le vostre reali aspettative riguardo all’accoglienza nei confronti di Shifting.Negative, confrontandole anche con i riscontri ricevuti in passato dagli Aborym ?

Fabban Le aspettative sono state appagate nel momento in cui ho ascoltato il master del disco che mi ha inviato Marc Urselli. Sull’utima nota di Big H ho buttato giù il mio bicchiere di whiskey, cosa che faccio sempre ogni qual volta che chiudo un disco. Devo essere sincero: mi aspettavo pessimi feedback, soprattutto da parte di radio, magazines, web-mag e fanzines, soprattutto perchè Agonia Records lavora in promozione sui classici canali di musica estrema. Mi aspettavo di vedere questo disco annichilito da recensioni di merda invece ho letto grandi cose su Shifting.negative. Ho letto grandi cose da parte dei nostri fans, ho letto grandi cose da parte di nuovi fans, ho constatato con enorme piacere quanto questo disco sia piaciuto alle donne e mi hanno fatto enormemente piacere i commenti di diversi musicisti con cui sono in contatto, produttori, sound-designers e sound-engineers di grossi studi di registrazione inglesi, americani, tedeschi… Ovviamente il disco è stato stroncato in alcuni casi, ma stiamo parlando di gente che si è improvvisata a critico musicale su webzine amatoriali, sai quelle piccole entità editoriali che osannano tutto ciò che è black metal con una cultura musicale pari a zero. Pertanto come se non esistessero. Va bene così.

Dan V Sapevamo di aver inciso un disco di rottura con il vecchio, Fab ed io ne abbiamo parlato spesso, ci confrontavamo su quelli che secondo noi sarebbero stati gli scenari possibili.
Da un lato ci aspettavamo di perdere alcuni fan affezionati più alle sonorità black, d’altro canto la speranza era di affacciarsi ad un pubblico più ampio ed eterogeneo, e per adesso i riscontri che stiamo avendo sembrano confermare in parte questo pronostico. Se avessi il dono della premonizione, come suggerisci tu nella domanda, probabilmente mi occuperei più di lottomatica che di musica.

ME Con questo lavoro il percorso evolutivo degli Aborym ha raggiunto a mio avviso il suo punto più alto: secondo voi ci sono margini ulteriori per andare oltre e, se sì come immagino, spingendovi in quale direzione?

D Sono d’accordo con te dal punto di vista della maturità che abbiamo raggiunto con Shifting.negative. E’ anche il mio album preferito di Aborym, e non necessariamente perché è il primo in cui sono coinvolto personalmente, eh eh In realtà per certi versi crediamo sia una specie di nuovo inizio, un punto di svolta. Fab ed io ci siamo trovati subito d’accordo sul voler provare qualcosa di nuovo per noi, entrambi ammiriamo gli artisti che riescono ad evolvere continuamente non riproponendo necessariamente un restyling di un determinato lavoro, che magari ha riscontrato i favori di pubblico e critica. E’ difficile pronosticare in che direzione ci muoveremo, sicuramente proseguiremo in questa nuova strada , ma posso dirti che già solo da quando ne discutevamo insieme durante le registrazioni di Shifting.negative (meno di un anno fa) ad oggi, le prospettive e quello che immaginavamo sarebbe stato il nuovo sound, sono cambiate costantemente. Come sempre, bisognerà aspettare di avere in mano il prossimo album.

F Smetterò di fare musica nel momento in cui mi renderò conto di non poter andare oltre. Non so in quale direzione andremo, di sicuro non torneremo indietro. Prevedo grandi cose per il futuro, in considerazione del fatto che ora c’è una line-up completa, ci sono 5 musicisti, 5 professionisti; abbiamo un producer, Andrea Corvo, che ci segue in fase di prove, in pre-produzione, recording e post-produzione; abbiamo uno staff di professionisti che ci seguono (Teo di Braingasm, Marc Urselli, Guido Elmi); abbiamo il nostro studio, Synthesis Studios, dove possiamo lavorare con le nostre macchine, una regia, la nostra strumentazione, senza limiti. Anche di notte. Queste sono le premesse.

ME So che si tratta di un quesito al quale non è sempre facile rispondere, ma sono curioso di sapere come prende vita la fase compositiva negli Aborym. Partite con un obiettivo ben definito e quello perseguite finché non viene ottenuto il risultato prefissato, oppure vi affidate maggiormente all’istinto e alle sensazioni del momento, in una sorta di costante work in progress?

F Dipende. Io lavoro molto con le demo in fase di pre-produzione. A volte le idee arrivano da un testo… e da un concetto quindi, che in alcuni casi decido di approfondire e di spostare su un tappeto musicale. In altri casi alcuni brani prendono forma durante vere e proprie sessioni di improvvisazione, jam session quindi… Le macchine, i softwares, i synth e il mondo dell’Eurorack mi permettono di poter fissare idee con una certa immediatezza, quindi allo stesso modo ho la possibilità di plagiare, combinare, smontare, rimontare, patchare, fare morphing, equalizzare fino ad ottenere delle demo. Queste demo sono il punto di partenza, gli input che consegno agli altri, ai fonici e ai produttori e su queste demo si inizia a lavorare insieme. Su Shifting.negative, rispetto ai dischi precedenti, ho lasciato molto spazio a soluzioni accidentali, a cose capitate casualmente, soprattutto sui modulari. Sbagliando, ricominciando da capo, sbagliando ancora… fino ad ottenere qualcosa che suonava. Io dico sempre: se una cosa suona bene, usala.

D Ho conosciuto Fab un paio di mesi prima di entrare in studio, lui aveva in mano i dieci pezzi che sarebbero diventati Shifting.negative, cui mancavano le chitarre. La mattina del primo giorno di riprese (chitarra) entro in macchina e Fab mi fa “ti do una buona notizia, le chitarre le fai tutte te; contento?” . Fino a quel momento non era ancora chiaro (a me) quale sarebbe stato l’assetto definitivo del gruppo; sapevo ci sarebbero state molte collaborazioni ma non avevo idea se sarei stato l’unico chitarrista a scrivere ed arrangiare le parti. Shifting.negative è praticamente composto per intero da Fabban in un periodo in cui la vecchia line-up iniziava a scricchiolare, probabilmente è stato uno dei motivi per cui ha deciso di occuparsi personalmente di tutto. Leggo spesso di lui appellativi del tipo “mastermind” : ora so perché.
Con la formazione attuale l’idea è quella di ritornare a fare “gruppo”, a scrivere ed arrangiare in sala nel più tradizionale dei modi. Fab resta comunque uno dei compositori più incontinenti che conosco, quindi so che ha sempre tra le mani del materiale appena sfornato, il che non lo nascondo, oltre che essere molto stimolante infonde anche una certa tranquillità.

ME Mi ha sorpreso piacevolmente scoprire che alla realizzazione di Shifting.Negative avrebbe preso parte Davide Tiso, un musicista che personalmente ritengo fra i più talentuosi in circolazione, anche se l’impressione è che non sempre sia riuscito ad esprimere del tutto il suo potenziale: quanto è stato importante il suo contributo, nonostante le sue parti siano state registrate al di là dell’oceano?

F Un po’ tutti in Aborym siamo suoi grandi fans. Personalmente lo considero un autentico genio e sono stato felicissimo di aver ospitato Davide su questo disco. Ha registrato poche cose, ma mirate, studiate, e di forte impatto. La cosa è nata in via del tutto casuale… Karyn, sua moglie, era ospite a casa mia per qualche giorno. Era in giro in Italia per lavorare ad un documentario e così ho avuto modo di parlare con Davide, che ogni tanto telefonava da San Francisco. Non lo sentivo da anni. E’ stato bello.

D Ho sempre stimato moltissimo Davide per le sue doti chitarristiche e compositive. La cosa che più mi piace di lui è la personalità e la voce unica che ha sviluppato sulla chitarra; quando riesci a riconoscere un musicista dalla prima nota che suona, si può dire che quel musicista ha raggiunto l’obiettivo forse più importante, a mio avviso. Mi sarebbe piaciuto averlo con noi in studio, le parti di chitarra che ha composto mi hanno fatto l’effetto del “ecco, questa è una soluzione a cui non avrei mai pensato“. Il tempo e la distanza sono stati per certi versi un po’ limitanti, soprattutto nell’economia di un disco così strutturato e complesso che richiedeva una costante presenza e un confronto continuo in fase di arrangiamento/recording. Magari in futuro avremo tempo e disponibilità per poter collaborare più a stretto contatto, anche solo in studio, sono certo che Davide avrebbe modo di impreziosire ulteriormente il sound di Aborym.

ME Nella lunga storia degli Aborym si sono succeduti molti musicisti, anche di grande nome, ma immagino che quelli attuali ti soddisfino in pieno, alla luce anche dei risultati ottenuti: pensi che siano finalmente le persone giuste per garantire una maggiore stabilità anche in proiezione futura?

F Io, da sempre, sono stato abituato ad essere autosufficiente. Ho sempre pensato che se voglio fare qualcosa devo contare sempre e comunque su me stesso e mi sono sempre fidato poco della gente, in generale. Quando in passato mi sono fidato di qualcuno sono sempre stato ricambiato con tanti calci su per il culo. Pertanto non consegno le chiavi di Aborym a nessuno. Ho sempre fatto in modo di essere autonomo, in tutto. Detto questo ora esiste un bel combo di musicisti, che sono anche ottimi amici, con cui posso lavorare e mi auguro che questa alchimia non si deteriori perché sento solo vibrazioni positive con questi ragazzi.

ME Le tematiche trattate negli ultimi lavori tratteggiano una realtà ostile ed opprimente per chi sia in grado di sviluppare i propri pensieri al di là dei beni effimeri e dei bisogni quotidiani: immagino che ciò sia frutto di una forma di reazione a tutto questo e, allora, vi chiedo se la trasposizione in musica di un tale sentire possa avere degli effetti catartici nei confronti di chi la compone e di chi ne fruisce.

F Non ho mai avuto la presunzione di voler profetizzare o deprogrammare qualcuno che legge le cose che scrivo. Io scrivo ciò che penso senza nessun fine specifico. Scrivo e basta. Sono le mie visioni, le mie paure, le mie sensazioni, le mie invettive e considerazioni. Considero un testo come considero la musica, metto le due cose sullo stesso livello, perché l’uno enfatizza l’altro e viceversa. Quando chi ascolta un disco è particolarmente ricettivo anche su quelli che sono i testi riesce a percepire la musica su un altro livello, con una certa completezza, e si crea empatia tra l’ascoltatore e il musicista.

D Uno dei motivi per cui mi ostino a fare musica, è quella sorta di stato meditativo in cui mi ritrovo quando suono. Non so spiegare bene le dinamiche coinvolte, non ho la presunzione di affiancare personaggi illustri che hanno detto molto di più e molto prima di me. Suono perché l’ho sempre fatto, perché mi sembra di stare meglio e sentirmi una persona migliore, e perché ci sono cose che non riesco davvero a dire con le parole. La prima volta che mi è capitato di scrivere un pezzo che parlava di un evento personale che ha cambiato la mia vita tanti anni fa si, avevo la percezione che quel suono risultante fosse stata la mia catarsi, che mi avrebbe aiutato a guarire. Negli anni le percezioni cambiano, mi sento più cauto su certi argomenti. Ciò che spero veramente, è che in un qualche modo chi ascolta Shifting.negative possa non solo immergersi nell’aspetto formale, inteso come forma, e cioè il linguaggio che abbiamo usato, dal songwriting alla scelta dei suoni; mi piace pensare che qualcuno da qualche parte del mondo possa ascoltare questo disco nella propria intimità casalinga magari, e scorgere non solo la realtà opprimente di cui parli, che è credo più o meno sotto gli occhi di tutti per certi versi, ma che possa anche intravedere la luce in fondo al tunnel. Questo perché credo che il compito della musica, ma dell’arte in generale, sia quello di descrivere sì il mondo che ci circonda, ma anche e soprattutto quello di suggerire una via, una strada, una soluzione. Ecco “soluzione” forse è una parola troppo pesante perché in ogni caso qui nessuno di noi ha mai eseguito un intervento a cuore aperto o annullato il debito pubblico dei paesi poveri, o rivelato le tre prove dell’esistenza di dio.

ME Devo ammettere d’essere stato colpito da un brano come Precarius, dalla potenza smisurata pur se racchiusa in un involucro per lo più soffuso: è stato scelto per essere accompagnato da un video proprio perché lo ritenete in qualche modo emblematico dell’umore dell’album , benché non ne sia in effetti la traccia più rappresentativa a livello strettamente musicale?

F Bartek, ovvero la persona che si occupa della promozione di Aborym e di questo disco, ha fortemente premuto per rilasciare “Precarious” come apripista. Io non ero molto d’accordo ma mi sono fidato della sua esperienza. Mi ha chiesto se fosse possibile realizzare un teaser video.. così ho pensato di girare delle sequenze a Taranto. Durante il montaggio mi sono accorto che musica e immagini funzionavano perfettamente così ho deciso di trasformare il teaser in un vero e proprio videoclip. Ho filmato tutti i luoghi in cui ho vissuto, le strade che percorrevo per andare a scuola, i luoghi di quella città che frequentavo la sera. Mentre filmavo mi sentivo bene… pochi minuti dopo mi sentivo male… poi di nuovo bene… Era un dondolare continuo tra stati d’animo discordanti: rabbia, malinconia, delusione, solitudine, ira, depressione, felicità… Ho cercato di parafrasare in immagini tutto questo, sulla musica e sul testo di “Precarious”. Il disagio e quel terribile senso di vuoto che provano in tanti, ogni giorno. Quella sensazione terribile che si prova quando hai la consapevolezza che quello che avevi non è più tuo. Quello che era non è più come prima. Quando realizzi che una cosa è bella solo quando l’hai persa.

ME Le personalità forti di solito provocano divisioni profonde nell’audience musicale: gli Aborym sono una di quelle band che, a giudicare da certi commenti che si leggono in rete, non lasciano indifferenti, provocando sentimenti di amore ed odio apparentemente in uguale misura; al riguardo vi chiedo cosa ne pensate di questo fenomeno, comune anche ad altre band o musicisti, che parrebbe essere un problema soprattutto italiano.

F Il mio compito è fare musica e dedico il mio tempo a questo. Queste storielline tutte italiane non mi hanno mai interessato. Penso che la musica possa essere amata e basta; non trovo molto sensato l’odio verso la musica… Se un disco o una band non ti piacciono non l’ascolti e basta… Perché odiare un disco o una band? Trovo la cosa veramente infantile e poco intelligente.

D Credo sia normale. Che la gente si esprima, intendo. Personalmente non sono un fan delle chiacchiere da bar, men che meno di quelle da bar virtuale, online. Ovviamente non mi aspetto che Shifting.negative debba piacere a tutti, ciò non toglie che il fenomeno del blogger sia qualcosa che, mio malgrado, non posso condividere. Internet era partito come cosa buona e giusta, come una fonte pressoché illimitata di informazioni e possibilità; troppo spesso ho come la sensazione che ci limitiamo solo ad usarlo come protesi del nostro ego, ed ecco che fioccano comunità intere di tuttologi e profeti, che millantano onniscienza e capacità di analisi fuori dal comune. Ecco, credo che se dedicassimo più tempo a noi stessi, leggendo un libro, ascoltando un disco, andando al cinema o facendo una passeggiata mano nella mano col proprio partner (e non mano nella mano col fottuto i-fuck) potremmo concederci il lusso di goderci la vita quella vera, e semmai impreziosirla col grande miracolo di interattività e comunicazione che apple e soci ci hanno “regalato” da qualche anno a questa parte. Del resto quando ci capita di imbatterci in una persona scostante o nervosa la prima raccomandazione che gli facciamo è di usare più spesso la zona pelvica no? Non credo sia una storia solo italiana, anche se devo ammettere che in qualche modo riusciamo sempre a distinguerci dagli altri. E non parlo di buone maniere…

ME In tutta sincerità, l’accostamento degli Aborym ai Nine Inch Nails è un qualcosa che ritenete lusinghiero o, piuttosto, alla lunga limitante o fuorviante?

D Che i NIN siano stati e siano una fonte di ispirazione non è un mistero; credo che dal punto di vista compositivo la differenza tra emulazione e “acquisizione” (ascoltare imparare metabolizzare) sia la chiave. Anche in questo senso credo, come spero, che chi ascolterà il disco possa riuscire a cogliere questo percorso: stando ai primi riscontri di critica e pubblico, sembra che ci siamo riusciti.

F Ho scoperto con enorme piacere che da quando è uscito Shifting.negative tutti si sono scoperti grandi conoscitori dei Nine Inch Nails ahahah ahha.. Sarà una casualità… eh ehh… Scherzi a parte, rispondo in questo modo: meglio essere avvicinanti ad una band come Nine Inch Nails che ai Mayhem o ai Cannibal Corpse o a centinaia di band che da decenni sono copie di copie di copie di copie… Inoltre, credo che in molti abbiano ibernato la band di Reznor negli anni ’90, perché gli ultimi lavori dei NIN non hanno grossi punti in comune con Shifting.negative… Ad ogni modo per me è un enorme complimento.

ME Nonostante faccia parte del tuo background musicale, da diverso tempo hai tagliato i ponti con il black metal e da tutto ciò che rappresenta: questo perché lo ritieni un genere a suo modo anacronistico o piuttosto perché non condividi l’approccio attuale di chi continua a suonarlo ?

F E’ una moda, per lo più adolescenziale, destinata al dimenticatoio. La vera musica è altro, gli artisti che rimarranno impressi nella memoria nel futuro sono altri. Faccio fatica a visualizzare la band blackvomitkillchristfuckthisandfuckthat666 proiettata tra vent’anni… Tra vent’anni ricorderò altre band… continuerò a ricordare band come Pink Floyd, Massive Attack, Alice in Chains, gente come Brian Eno, Trent Reznor, Steven Wilson… Vedo un sacco di merda in giro, ci sono pochissimi nomi che potenzialmente potrebbero essere un valido ricambio a livello generazionale. Figuriamoci se parliamo di black metal e di quattro stronzi conciati da clown. La musica è altro. Non ho mai visto tanta ridicolaggine attitudinale e comportamentale come nel black metal e ultimamente mai così tanta scarsità di talento e di gusto musicale.

ME La storia degli Aborym ha preso il via quando eri appena maggiorenne e negli anni novanta hai anche scritto per alcuni dei più noti magazine di settore: si può affermare, quindi, che hai attraversato in varie vesti gli ultimi 25 anni di storia del metal nel nostro paese. Secondo te quale è lo stato di salute attuale del movimento, alla luce di quanto hai potuto toccare con mano in un lasso di tempo sicuramente significativo?

F Da quando esiste internet, o meglio da quando è stato concesso a tutti di poterne usufruire, tutto si è quintuplicato a discapito della qualità. Solo su facebook esistono milioni di band, molte delle quali non avrebbero neanche motivo di esistere, molte delle quali non avremo neanche la possibilità di conoscere… e magari tra queste ci sono i nuovi Kiss, i nuovi Motley Crue o i nuovi Ozric Tentacles. Tutto è divenuto troppo accessibile da un lato e assolutamente impenetrabile dall’altro. La qualità si è abbassata notevolmente e oggi chiunque è in grado di registrarsi un disco con il proprio Pc, disco che inizia a girare e che magari vende decine di migliaia di copie solo perché spinto su canali preferenziali. Sono scomparsi i cultori di musica e le grandi firme a livello giornalistico. Oggi chiunque è in grado di improvvisarsi giornalista o critico musicale, mettere su una webzine ed inanellare idiozie su idiozie, recensioni, critiche… decretando il successo o l’insuccesso di una band. Molti di questi non sono neanche in grado di scrivere in italiano correttamente. Internet ha iniziato a manufatturare e divulgare una quantità di imbecilli spaventosa. Inimmaginabile. Oggi, attraverso internet, giornali e major decidono cosa deve vendere e cosa no, cosa deve esplodere e cosa no, cosa deve diventare trend e cosa no. E la gente zitta li sotto, ad ingoiare con la bocca spalancata. Internet ha democraticamente spalancato tante bocche rimaste per anni in silenzio e ora c’è un chiasso assordante. Chiunque si sente libero di aprire la propria fottuta bocca standosene comodamente seduto davanti al Pc. Vedo poche cose interessanti e tanta merda li fuori.

ME Per finire non posso che chiedervi qualcosa sui programmi futuri degli Aborym , inclusa la possibile attività live per presentare dal vivo il magnifico Shifting.Negative.

F Abbiamo iniziato a provare insieme. Ci vorrà del tempo. Non so quanto, ma preferiamo fare le cose per bene. Di sicuro tra qualche mese ci sarà nuova musica di Aborym in giro. Questo è quanto al momento.

D E’ un periodo molto florido per Aborym, abbiamo moltissimo da fare; come ti anticipavo, la line-up è completa da pochi mesi, attualmente siamo impegnati su più fronti. Da un lato stiamo lavorando sul live, suonare e arrangiare il disco in formazione estesa è il primo obiettivo che ci eravamo proposti. Parallelamente siamo impegnati alla lavorazione di nuovo materiale, ci sono molte novità in cantiere, per ora non posso anticiparti nulla di ufficiale, ma molto probabilmente sentirete parlare di nuovo di pubblicazioni a nome Aborym nel corso di questo anno solare. E presto, dobbiamo ancora sistemare alcuni dettagli, saremo on the road, non vediamo l’ora di proporre Shifting.negative dal vivo e tastare con mano che effetto fa nella VITA REALE. A buon intenditor…

FromHell – March On Gravitation

March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite.

E’ ormai assodato che la nazione di provenienza di una band, spesso, assume più un valore statistico che non realmente indicativo del tipo di musica proposta o del suo valore intrinseco.

Anche ascoltando questo album dei FromHell, sfiderei chiunque ad indovinare che il duo, alle prese con questa buona interpretazione di un black metal epico e atmosferico, provenga dall’Indonesia e non da un qualsiasi paese nordeuropeo.
March Of Gravitation è il secondo full length per la band di Giacarta, che certo non si risparmia offrendo oltre settanta minuti di musica piuttosto coinvolgente e che si snoda fondendo idealmente il pagan di stampo europeo a certe aperture progressive-atmosferiche di matrice americana (in certi passaggi i FromHell possono ricordare gli Xanthocroid), il tutto inserito in un concept cosmico che ben si intuisce fin dai titoli dei brani.
Certamente la lunghezza del lavoro si rivela un’arma a doppio taglio, perché non è facile per nessuno mantenere elevata la qualità, alla luce della quantità di idee riversate, nonché la soglia di attenzione di chi ascolta, per un tempo così protratto.
Detto questo, March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite, a mio avviso insufficienti considerandone anche l’ampio utilizzo: purtroppo questo fa scemare il potenziale evocativo in più di un passaggio ed è un vero peccato visto il valore del songwriting.
Comunque il disco dovrebbe accontentare chi apprezza certe sonorità, anche perché i brani possiedono un tiro notevole e passaggi a tratti esaltanti: purtroppo certi momenti penalizzano il risultato d’insieme, lasciando più di una perplessità riguardo all’opportunità di determinate scelte.

Tracklist:
1. A Million Castor
2. Stellar Space
3. Hibernation Sun
4. Summoning Stars
5. The Abandoned Stargate
6. Rotary of Life
7. Conqueror of The Massive Star
8. Celestial Night

Line-up:
Dedi Sadikin – Vocals
Derick Prawira – Drums

FROMHELL – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.

Assai vasto è il mare magnum dello stoner nostrano e non solo, dato che è un genere che negli ultimi anni ha conosciuto notevole diffusione.

Partendo da questo presupposto bisogna anche dire però che molte delle band si assomigliano, dividendosi all’incirca per gruppi di influenza, con chi è più desertico, chi più sabbatico, chi più regina dell’età di pietra, però essere originali non é affatto facile. I Rudhen invece ci riescono molto bene, dando alle stampe un ep di stoner di derivazione desertica, ma con una forte anima psichedelica, e quasi prog in certi frangenti. Le canzoni dei Rudhen sono concepite come dei potenti viaggi da compiere, e la meta è quella che ognuno di noi preferisce e si crea. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità di espressione musicale, dove una stessa traccia può mutare in diversi e multiformi disegni di luce nelle ombre. Con i Rudhen si parte e non si sa dove si arriva, ed è questo il bello. Il gruppo nasce in Veneto e tra un pub e l’altro nel 2013 si mettono insieme, nel 2014 iniziano a suonare e subito riescono a creare interesse intorno a loro, ed ascoltandoli non si fa fatica a capirne il perché. Questo loro secondo ep è sicuramente il loro lavoro più maturo e, a livello compositivo, è assai notevole: il loro suono non annoia mai, anzi si ha voglia di annidarsi comodamente in questi corridoi di suono vitaminico ed arioso. I Rudhen, grazie alle loro diverse influenze ed al loro talento, emergono nettamente dal resto degli altri gruppi ed assicurano ottimo stoner e soprattutto un grande divertimento.
Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.
La provincia colpisce ancora molto forte.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo – Voice
Fabio Torresan – Guitar
Maci Piovesan – Bass
Luca De Gaspari – Drums

RUDHEN – Facebook

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