Bizarre – Inner Necropolis

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

I Bizarre sono una nuova band spagnola, composta da membri di altri devastanti e quanto mai eccellenti gruppi che gravitano nell’underground metallico come Onirophagus, Famishgod e Elderdawn; Inner Necropolis è il loro debutto in formato ep, un sanguinario ed oscuro platter dove il death metal scandinavo si nutre di atmosfere oscure e brutali, prendendo ispirazione dalle cult band della scena finlandese come Adramelech e Demigod, ed in parte da nomi di punta del death metal classico come Avulsed e Grave.
Oscuro, pesantissimo e mai troppo veloce, il sound si arricchisce come da tradizione di uno splendido lavoro chitarristico, vario e straordinariamente pregno di brutali melodie (Obsezen ed Evilead) creando atmosfere di malvagio e apocalittico metallo di morte, con la sezione ritmica che alterna pesanti parti monolitiche e rabbiose accelerazioni (Uretra alle pelli e Funedëim al basso e mostro primordiale al microfono).
Tecnica al servizio del sound, produzione perfetta e tanto metal estremo dall’alta qualità, fanno di Inner Necropolis un gran bel lavoro, i brani sono uno più bello dell’altro, un’assoluta goduria per deathsters sparsi per il mondo.
Damp Earth, il lento incedere di Moldy And Decomposed e Fleshless, la furia distruttrice della title track, vi faranno rotolare giù per l’oscuro abisso dove vi aspetta la creatura Bizarre, un mostro di violenza sonora, animata da queste cinque perle più intro di cui si compone il suo crudele e malvagio cuore.
Inner Necropolis è un antipasto succulento prima del piatto forte, un full length sicuramente atteso dai death metal fans.

TRACKLIST
1. Dying Existence
2. Damp Earth
3. Asphyxiating Dark Memories
4. Moldy And Decomposed
5. Fleshless
6. Inner Necropolis

LINE-UP
Funedëim – Vocals, Bass
Obsezen – Guitars
Evilead – Guitars, Vocals
Uretra – Drums

BIZARRE – Facebook

From The Depths – From The Depths

La loro proposta era un death metal con tracce di thrash e uno strano incedere hardcore.

Edizione in vinile del debutto di un gruppo che altrimenti andrebbe dimenticato.

Nati nella fertile scena metal di Cleveland dei primi anni novanta, i From The Depths sono stati attivi tra il 1994 e il 2000. La loro proposta era un death metal con tracce di thrash ed uno strano incedere hardcore. Molto veloci e marci, i From The Depths sono stati uno dei migliori gruppi di quegli anni. Uscito originariamente su Unisound, questo disco ben rappresentava quanto di innovativo aveva da offrire il death metal di marca americana. Alla voce vi era Jim Konya, una leggenda della scena metal, sfortunatamente deceduto a settembre del 2015. La sua voce dava un’impronta speciale la gruppo, e questo lo si può sentire benissimo nel disco. Il suono è davvero particolare e caratteristico di quell’epoca, che è stata il periodo d’oro di un certo death metal, quello più legato alla contaminazione. I From The Depths sono un gruppo originale ed unico, ed il loro death metal è uno dei migliori mai esportati dal suolo americano. L’atmosfera che riescono a creare coinvolge e gasa l’ascoltatore, dato che possiamo riconoscere all’interno di essa molti degli elementi che portano ad amare il death metal.
Essendo fuori catalogo da molto tempo, l’operazione di recupero della Hells Headbangers è doppiamente meritevole, poiché oltre a riportare a galla un disco notevole, ne fa un’ottima edizione, con un bel ricordo di Jim Konya.

TRACKLIST
1.Dawn of the Crimson Harvest
2.And They Shall Rise Again
3.It Lurks
4.Autumn Colored Day
5.The Wraths of the Other Realms
6.From the Depths
7.Intro – Into Mystery and Beyond
8.The Magic of the October Moons
9.The War of the Captive Spirits
10.Fuck That Witch
11.Curse of the Scarecrow
12.Bring Forth the Detractor
13.Apparitions of Myself
14.Outro – The Echoes of Distant Dreams

LINE-UP
Jim Konya – Vocals
Wayne Richards – Bass
Rob Newlin – Drums
Matt Sorg -Guitars
Duane Morris – Guitars, Vocals

HELLS HEADNBANGERS – Facebook

DevilDriver – Trust No One

I DevilDriver si confermano come una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità

Tornano i DevilDriver dell’arcigno Dez Fafara, uno dei personaggi più veri dell’ultimo ventennio metallico statunitense, con i Coal Chamber prima e dal 2003 anche sul ponte di comando di questa temibile macchina estrema.

La band californiana è un rullo compressore, magari non potrà vantare il classico disco capolavoro, ma la sua discografia ha mantenuto nel corso degli anni e per ben sette full length una buona qualità sommata ad un impatto che si conferma di tutto rispetto anche su questo ultimo album, il secondo per Napalm Records.
In seno al gruppo non mancano novità importanti, infatti la line up è stata rivoluzionata di ben tre quinti, risparmiando solo il fido chitarrista Mike Spreitzer, ma il sound del gruppo non mancherà di far felici gli amanti dei classici suoni del nuovo millennio.
Trust No One, come i suoi predecessori, continua imperterrito a solcare la strada ormai battuta dal leader, i DevilDriver sono una perfetta macchina metallica che scarica, su pesantissime ritmiche core fumanti di groove, solos melodici che a tratti ricordano i gruppi melodic death metal scandinavi, con Fafara che sbraita rabbioso con la sua personale timbrica catarrosa e ruvida, forte di refrain che si avvicinano al new metal più pesante ed estremo.
E la macchina corre forte e veloce, fa spallucce ai problemi di line up, trova nuova benzina e nuove energie e, a fronte degli anni che passano, ci regala un ennesimo monolite di metallo estremo e moderno, cattivo e dannatamente coinvolgente, una bestia feroce che morde, azzanna, vi lacera le carni con le sue fameliche zanne, si nutre di possenti ritmiche e melodie chitarristiche oliate a dovere, per una tempesta di suoni e note metalliche.
Trust No One non porta nessuna novità sonora in seno al sound del gruppo statunitense, la formula ben collaudata ed il mestiere fanno di Testimony Of Truth, My Night Sky, l’esplosiva Daybreak e la conclusiva e devastante For What It’s Worth un’apoteosi di fughe in doppia cassa, laceranti solos, bombardamenti ritmici e sguaiati, violenti inni di rabbioso metallo.
I DevilDriver si confermano una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità; gli anni passano ma l’energia e la rabbiosa attitudine rimangono le stesse e tanto basta, bravo Dez.

TRACKLIST
01. Testimony Of Truth
02. Bad Deeds
03. My Night Sky
04. This Deception
05. Above It All
06. Daybreak
07. Trust No One
08. Feeling Ungodly
09. Retribution
10. For What It’s Worth

LINE-UP
Dez Fafara – Vocals
Mike Spreitzer – Guitars
Austin D’Amond – Drums
Neal Tiemann – Guitars
Diego “Ashes” Ibarra – Bass

DEVILDRIVER – Facebook

Suffer In Paradise – This Dead Is World

Una bellissima sorpresa questo album dei Suffer In Paradise, autori di un funeral doom dal notevole impatto emotivo.

Una bellissima sorpresa questo album dei Suffer In Paradise, autori di un funeral doom dal notevole impatto emotivo.

Il trio russo attinge soprattutto alle sonorità degli Ea per l’afflato melodico, di Skepticism/Profetus per il tocco tastieristico, ricordando a tratti anche gli Ordog di Remorse, e l’esito finale avvince ed affascina nonostante la palese derivatività del sound proposto.
Ma nel funeral, più che in altri generi, non è così importante fare le cose per primi, lo è molto di più farle per bene, ovvero esprimendo la propria sensibilità in modo da coinvolgere emotivamente l’appassionato (al quale, di fronte ad un disco che sa toccare le giuste corde , dell’originalità non può fregare di meno).
This Dead Is World riprende due dei brani presenti sull’unico segnale di vita discografica fornito in precedenza, ovvero il demo auto intitolato risalente al 2010.
Tempi lunghi ma risultati efficaci, quindi, e qui ci sono tutte le carte in regola per tessere trame dolenti ed evocative nel corso di più di un’ora, durante la quale le tastiere creano il tappeto sonoro ideale per poggiarvi un ben delineato lavoro chitarristico.
Un brano meraviglioso come Somnambula depone insindacabilmente a favore del talento compositivo dei Suffer In Paradise, i quali compongono il disco che quelli come me vogliono ascoltare quando vanno alla ricerca di una consolatoria catarsi, tenendosi alla larga da sperimentazioni e tentazioni droniche, da assimilarsi invece con altro spirito, e lasciando spazio ad un sound lineare quanto efficace.
In attesa del ritorno sulla scena dei nomi di punta, questo lavoro è un ottima panacea e dovrebbe rivelarsi senz’altro gradito a chi apprezza le band citate in precedenza.

Tracklist:
1. This Dead Is World
2. Somnambula
3. Suffer in Paradise
4. Insect
5. Archetype
6. Cantus Cycneus

Line-up:
A.V. – Guitars, Vocals
Defes Akron – Keyboards, Drum programming
R. Pickman – Bass

Naked Star – Bloodmoon Prophecy

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

I Naked Star sono un duo composto da Tim Schmidt (Seamount) alle prese con tutti gli strumenti e Jim Grant vocalist dei Vampyromorpha, Bloodmoon Prophecy è il primo lavoro in formato ep (licenziato dalla Voice Of Azram in edizione limitata in vinile ed in supporto digital) di questa nuova creatura, nata direttamente da una costola di un caprone demoniaco con un sound che pesca a piene mani dal doom occulto delle cult band settantiane, reso potentissimo ed annichilente da massicce dosi di watt, uscite dagli altoparlanti impiantati all’inferno.
Tre brani, tre mid tempo senza soluzione di continuità e compromessi, solo un incedere cadenzato e distruttivo che porta alla dannazione eterna, danze blasfeme sotto una luna rossa di sangue marcio, spettatrice di delitti e messe alla gloria del signore degli inferi.
Occultismo, fantascienza, profezie di morte e possessioni di demoni crudeli, questo tratta Bloodmoon Prophecy, ed il sound che accompagna testi urlati rabbiosamente alla luna dal vocalist non può che essere un monolito di metallo nero e pesantissimo, un caos primordiale e soffocante che ha nei dieci minuti di deliro sabbatico della titletrack il suo apice, anche se Follow The Iron Cross e Bury Me A Demon non mancano di preparare l’ascoltatore al suo tragico e prevedibile destino.
Pensando ad un full length di pari livello, prepariamoci alla venuta di alieni luciferini ed al massacro che ne conseguirà, i Naked Star saranno sacerdoti, cantori e testimoni della prossima apocalisse.

TRACKLIST
1. Follow The Iron Cross
2. Bury Me A Demon
3. Bloodmoon Prophecy

LINE-UP
Tim Schmidt – All Instruments
Jim Grant – Vocals

NAKED STAR – facebook

Slammin’ Thru – Things to Come

Things To Come ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.

Torna a far parlare di se uno dei generi più amati/odiati nel mondo metallico, il prog metal e lo fa con l’esordio sulla lunga distanza dopo oltre un decennio di attività degli spagnoli gli Slammin’ Thru.

Il prog metal dei nostri è quanto di più classico si possa ascoltare, con i Dream Theater ed i Queensrÿche a fare da muse ispiratrici e l’esibizione di una discreta tecnica individuale che non disdegna qualche ritmica power e sfumature progressive di settantiana memoria.
Ricami, atmosfere e sfumature che giocano a nascondino dentro il sound di Things To Come, che ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.
Metallo tecnico su cui il songwriting poggia le sue fondamenta, una buona grinta che fa dell’album un ascolto sufficientemente piacevole anche per i true defenders che non hanno dimenticato i primi lavori della prog metal band di Seattle degli ormai ex Geoff Tate (al quale il vocalist David deve non poco) e Chris De Garmo, sono le virtù principali di questo primo lavoro dal quale, proprio perché arriva dopo molti anni, ci si poteva attendere qualcosa di più.
La produzione non aiuta certo le canzoni ad esplodere, con la voce relegata in secondo piano e la musica che esce leggermente ovattata, un peccato mortale per un disco del genere.
Tra i brani che compongono il cd si segnalano la title track e la bellissima Pariah, il resto fila via senza sorprendere più di tanto gli ascoltatori più esigenti.
Un lavoro sufficiente per dare un reale avvio ad una carriera che auspichiamo più ricca di uscite, magari correggendo i difetti riscontrati in questa occasione.

TRACKLIST
1. Metallic Leaves
2. Things To Come
3. Disguised Queen
4. Break
5. Undisclosed
6. Pariah
7. Seeing Eye

LINE-UP
David – Vocals
Alberto – Guitar
Óscar – Guitar
Guts – Bass
Adrián – Drums
Axel – Keyboards

SLAMMIN THRU

Sepvlcrvm – Vox In Rama

Il rito dei Sepvlcrvm è un convolgere piani diversi della nostra esistenza.

Cosmogonie di una musica che si fa contemporaneamente religione e logos.

Il duo che risponde al nome Sepvlcrvm arriva al secondo disco, dopo Hermeticvm del 2010. Con quest’ultimo avevano fatto un deciso ingresso nella musica rituale, o nel rito musicale qual dir si voglia. I droni si allacciano ad una intelaiatura di improvvisazioni con un gusto kosmische. Il rito dei Sepvlcrvm è un coinvolgere piani diversi della nostra esistenza. Il duo opera una seria ricerca esoterica sia musicale che religiosa, perché l’aspetto ritualistico della musica è quello più antico, e qui viene recuperato in toto. Le cinque canzoni in realtà sono due, poiché I e III sono più intermezzi funzionali alle due tracce più lunghe II e IV che vanno oltre i venti minuti. Il percorso dei Sepvlcrvm è un continuum di passaggi debitori ad un sapere antico che abbiamo rifiutato, svendendolo per una falsa sapienza. In questo disco ognuno può ricercare ciò che vuole, ma l’unica condizione è lasciarsi andare a questo flusso, questa forza che nasce e che sembra inerte, ma in realtà è fortissima. Vox In Rama è un’esperienza che si fonda sull’immutabilità e la forza di credenze e coscienze pagane forti come querce. Non ci sono molti paragoni per i Sepvlcrvm, se non loro stessi. Ad impreziosire il tutto l’artwork è a cura di Marco Castagnetto.

TRACKLIST
I
II
III
IV

LINE-UP
Marcvs F
Marcvs Ioannes

SEPVLCRVM – Facebook

Bardus – Stella Porta

Il ritorno dei Bardus non delude in nessuna occasione, ma, allo stesso tempo, non esalta come ci si sarebbe aspettati

A tre anni di distanza da “Solus” gli americani Bardus, formazione di Philadelphia composta da Justin Tuck, Kyle Pierce e Ari Rosenberg, ritornano con Stella Porta. Il nuovo lavoro, pubblicato per Solar Flare Records, affonda le radici in energiche sonorità a cavallo fra hard rock, sludge e noise.

I due minuti stringati di Smoke Bath, guidati dai colpi secchi di batteria e dal gridare furente, lasciano che a seguire siano le chitarre graffianti di Monolith (seconda parte più cupa e meditata) e l’estremizzarsi, fra fiammate e momenti sempre più angoscianti, di Sky King.
Transcendence, provando a dar vita a paesaggi tetri e fangosi, procede pesante su tempi lenti, mentre il cadenzato urlare di Haze si contrappone allo spigliato procedere di Oracle (in rapido rallentamento) e al ringhiare conclusivo della furente Clandestine.
Il ritorno dei Bardus non delude in nessuna occasione, ma, allo stesso tempo, non esalta come ci si sarebbe aspettati. I sette brani proposti, infatti, nonostante siano carichi di elettricità e vigore, non riescono mai a schiaffeggiare veramente, limitandosi, piuttosto, a ringhiare senza mordere. Un band interessante che, però, sembra abbia scelto di suonare con sufficienza.

TRACKLIST
01. Smoke Bath
02. Monolith
03. Sky King
04. Transcendence
05. Haze
06. Oracle
07. Clandestine

LINE-UP
Justin Tuck
Kyle Pierce
Ari Rosenberg

BARDUS _ Facebook – BARDUS – Facebook

Lightless Moor – Hymn For The Fallen

Il secondo lavoro dei Lightless Moor non può che meritarsi l’etichetta di opera riuscita, costituendo un enorme passo avanti per il gruppo

Vero è che alla nostrana WormHoleDeath non si può negare un fiuto incredibile nel pescare, nel metal estremo in giro per il mondo, talenti che impreziosiscono l’underground e non sono neppure pochi i generi che la label colma di opere davvero interessanti, sempre con un orecchio attento ai suoni più violenti ma anche madrina di un ormai folto numero di gothic metal band sopra le righe.

In questo anno solare l’etichetta di Carlo Bellotti ci ha deliziato con una manciata di lavori bellissimi e soprattutto mai banali, a conferma di ciò arriva questo ottimo Hymn For The Fallen, seconda prova sulla lunga distanza per gli italiani Lightless Moor.
Ormai attiva da più di dieci anni, la band sarda esordì nel 2006 con l’ep Renewal, che li portò alla firma con Worm e al primo lavoro (The Poem – Crying My Grief to a Feeble Dawn), recensito su queste pagine tre anni fa e che faceva intravedere le ottime potenzialità del gruppo capitanato dalla sublime Ilaria Falchi.
Preciso che il sottoscritto predilige le sonorità che guardano ai maestri dei primi anni novanta, diciamo old school, lasciando in disparte le patinate e bombastiche parti sinfoniche care alle band di oggi, a favore di un approccio più gotico e doom, proprio come nelle corde dei primi The Gathering, Celestial Season e Within Temptation e come molti dei gruppi sotto l’ala della label fiorentina.
Hymn For The Fallen continua l’ascesa della band, migliorata di molto dal primo lavoro e sapiente nel proporre il proprio sound, non dimenticando qualche spunto e sfumatura ruffiana che aumenta l’appeal di alcuni brani, pur mantenendo le caratteristiche del genere proposto.
La Falchi è splendida nel proporre con la sua voce, ripulita in parte dalla verve operistica, tutte le atmosfere decadenti di Hymn For The Fallen, duettando con la “bestia” Federico Mura, dal growl profondo e feroce, creando un contrasto dall’alto tasso emozionale e incantando quando il gruppo concede sprazzi di gothic sinfonico.
L’album procede in linea con queste caratteristiche, più di un’ora di musica immersi nel mondo decadente e raffinato dei Lightless Moor dove non mancano songs oscure e contornate da lucida disperazione, altre dove un lieve mood sinfonico alleggerisce il pesante fardello ritmico, altre dove sfumature elettroniche e moderne avvicinano il gruppo a sonorità care ai Lacuna Coil, ma sempre rimanendo nei confini del gothic doom di storica memoria.
Le asce non mancano di graffiare, valorizzate dal gran lavoro di Federico Mura e Alberto Mannucci Pacini, le sezione ritmica a tratti forma un muro sonoro che lentamente ma inesorabilmente avanza e travolge (Giuseppe Siddi al basso e Stefano Spanu alle pelli) mentre i tasti d’avorio legano e avvolgono il sound con ricami melanconici e suadenti.
L’opener Fairytales of Lies, The Rain that Clears My Sins Away, When My Mind Sleeps e The Cascade and the Shadow possono essere certamente considerate come le canzoni più significative dell’album, anche se Hymn For The Fallen va assaporato in tutta la sua oscura e melanconica bellezza.
Il secondo lavoro dei Lightless Moor non può che meritarsi l’etichetta di opera riuscita, costituendo un enorme passo avanti per il gruppo: non lasciatevelo sfuggire.

TRACKLIST
1. Fairytales of Lies
2. Deadly Sin
3. The Unlocked Door to the Other World
4. The Rain that Clears My Sins Away
5. Qualcosa Vive Attraverso
6. The Greatest Lie
7. When My Mind Sleeps
8. King with the Sulphur Crown
9. In Death She Comes
10. A Dream Written in the Sand
11. The Cascade and the Shadow
12. Deviances

LINE-UP
Ilaria Falchi – Vocals
Federico Mura – Guitars, Vocals
Alberto Mannucci Pacini – Guitars
Giuseppe Siddi – Bass
Edoardo Fanni – Keyboards
Stefano Spanu – Drums

LIGHTLESS MOOR – Facebook

Blizzen – Genesis Reversed

Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

Puro heavy metal old school racchiuso in questo buon Genesis Reversed, primo lavoro sulla lunga distanza dei tedeschi Blizzen, giovane band attiva da un paio di anni e con già due lavori alle spalle, il primo demo omonimo e l’ep Time Machine dello scorso anno.

L’album si sviluppa su una raccolta di brani che pescano a piene mani dalla new wave of british heavy metal, ed in parte dal power/speed, lasciato a qualche ritmica più veloce e sostenuta, poi Genesis Reversed è tutto un susseguirsi di piacevoli cliché direttamente dagli anni ottanta.
I Maiden sono i padrini di una buona fetta del songwriting del gruppo, così come la vena epica di Warlord e Stomwich fa del disco un buon esempio di metal melodico e dalle reminiscenze epiche.
E Giove aiuta il gruppo a vincere la sua battaglia (come illustrato dalla copertina che dice molto sul mood imperante nell’album), con le chitarre che richiamano ritmiche di quel metal vecchio stampo ancora nei cuori di molti fans, con la voce melodica e le ritmiche che alternano mid tempo a fughe con qualche accelerazione convincente.
Il lavoro fila liscio fino alla fine, i brani scivolano tra solos maideniani e cori epici, la produzione in linea con le sonorità proposte risulta senza infamia e senza lode e la band non fa mancare qualche scintilla metallica che alza il valore dell’intera opera come nelle piacevoli metal songs The Beast Is on Your Back , The World Keeps Still e Bestride the Thunder.
Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

TRACKLIST
1. Intro – Anthem To A Distant Star
2. Trumpets Of The Gods
3. Masters Of Lightning
4. The Beast Is On Your Back
5. Hounded For Good
6. Genesis Reversed
7. Gone Wild
8. The World Keeps Still
9. Devil In Disguise
10. Bestride The Thunder
11. Skid Into Death

LINE-UP
Daniel Stecki – Vocals, Bass
Andi Heindl – Guitar
Marvin Kiefer – Guitar
Gereon Nicolay – Drums

BLIZZEN – Facebook

Grimness – A Decade Of Disgust

Ristampa celebrativa del primo album dei Grimness.

Ristampa celebrativa del primo album di questa band romana di black death metal.

La loro prima uscita discogafica fu nel 2002 con l’ep autoprodotto Dogma, poi fu la volta di Increase Humanity Disgust, che è stato ristampato ora con l’ep Dogma dentro, un nuovo artwork, una versione live di una canzone e un altro inedito tratto dalle registrazioni di Trust in Decay. Questo debutto è un grandissimo album di black death, di grande potenza, ottima tecnica e melodia. Per fare un paragone improprio, tutti vorrebbero ascoltare un nuovo album dei Satyricon che suonasse prprio così. In questi anni i Grimness hanno suonato molto e prodotto un altro grande disco, ma il loro primo album a mio avviso è davvero di un altro livello, e perderselo in questa nuova edizione sarebbe un vero peccato. A Decade Of Disgust è un lavoro che testimonia un momento magico per il genere, come di un gusto che si è un po’ perso, ovvero quello di saper fondere due ma anche tre generi insieme senza perdere la propria originalità e nemmeno il senso di ciò che si vuole esprimere.
Questo è un grande disco di un gruppo che merita molto per ciò che ha seminato, soprattutto dentro le nostre orecchie.

TRACKLIST
1-Introspection of the engine
2-Dimension Evil
3-Katharsis in Vain
4-Slay the Demiurge
5-From the cosmic chaos
6-Nihil addiction
7-Blood calls blood
8-N.d.e
9-Outroofthebody
10-A new version of reality
11-Evil in men
12-At night’s dawn
13-River of the damned
14-Punishment
15-Proud to be damned

LINE-UP
Valerio Di Lella – vocals and guitars.
Jonah Padella – drums.
Andrea Chiodetti- guitars.
Giulio Moschini- bass.

GRIMNESS – Facebook

Grand Magus – Sword Songs

We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus….unitevi al coro.

Sword Songs, nuovo lavoro degli svedesi Grand Magus è più di quanto heavy metal si può ascoltare quest’anno, epico, guerresco, esaltante ed attraversato da uno spettacolare sentore manowariano.

La band di JB Christoffersson taglia definitivamente i ponti con lo stoner/doom e le reminiscenze Spiritual Beggars (ex gruppo di JB e Ludwig Witt) per inoltrarsi nelle lande dove dei e uomini combattono una guerra che dura da quando esistono il sole e la luna, e le canzoni che raccontano di spade, scudi spezzati ed eroici guerrieri trovano in quest’opera una delle massime espressioni.
Una band prolifica i Grand Magus, dall’alba del nuovo millennio con le vele spiegate ha fatto rotta verso il Valhalla del metal mondiale con una serie di album rocciosi di cui, probabilmente, Iron Will del 2008 era, fino ad ora, il picco più alto, con un sound perfettamente bilanciato tra la granitica forza dello stoner/doom e l’epicità del metal tradizionale.
Sword Songs è composto da nove inni metallici che rinverdiscono le gesta di Manowar ed in parte Bathory, un sanguinario quadro dove i colori predominanti sono il rosso del sangue ed il grigio dell’acciaio, di cui le spade sono forgiate.
Sword Songs è tutto un susseguirsi di mid tempo, chorus epici che si ripetono all’infinito, solos che emanano sentore di punte affilate che si fanno spazio tra le carni, inni di guerra da cantare quando il nemico è in ritirata o sotto un palco, messo a ferro e fuoco dai tre guerrieri svedesi in preda a deliri di conquista.
Dopo la monolitica opener Freja’s Choice, un muro di watt innalzato dal gruppo come il castello di Grande Inverno ci travolge con l”epicità di Varagian e della seguente Forged In Iron – Crowned In Steel, dove i Manowar vengono sedotti dalla vergine di ferro per uno dei brani cardine di questo lavoro, heavy metal epico alla massima potenza.
Ci si destreggia tra lo scontro cercando di rimanere vivi, mentre gli inni metallici si sprecano, così come l’alternanza tra attimi di velocità e monolitica potenza, (Master Of The Land, Frost And Fire), così che l’album continua a mantenere forte l’atmosfera fiera instaurata dal primo minuto dell’opener.
Every Day There’s A Battle To Fight chiude l’opera, una marcia verso la gloria, un esaltante inno metallico che il gruppo guerriero intona mentre il campo di battaglia si avvicina e si può sentire l’alito fetido del nemico davanti a noi.
Un lavoro clamoroso che sarà divinizzato da tutti i true defenders, pregno di quel metal tradizionale troppe volte sottovalutato e che rilancia alla grande i Grand Magus come band di culto nel panorama heavy mondiale; un disco che ha nella propria tracklist brani che diventeranno classici nella discografia del gruppo e soprattutto in sede live.
We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus … unitevi al coro.

TRACKLIST
01. Freja’s Choice
02. Varangian
03. Forged In Iron – Crowned In Steel
04. Born For Battle (Black Dog Of Brocéliande)
05. Master Of The Land
06. Last One To Fall
07. Frost And Fire
08. Hugr
09. Everyday There’s A Battle To Fight

LINE-UP
Fox – Bass, Vocals (backing)
JB – Guitars, Vocals (lead)
Ludwig – Drums

GRAND MAGUS – Facebook

Into Coffin – Into Pyramid of Doom

Gli Into Coffin si rivelano buoni interpreti di sonorità aspre e rallentate che restituiscono sensazioni positive grazie ad un’esecuzione senza fronzoli ma sempre precisa.

Dopo un demo uscito lo scorso anno, i tedeschi Into Coffin esordiscono con questo full length a base di un death doom aderente all’ortodossia del genere, soprattutto per quello che ne riguarda gli aspetti più ruvido e meno melodici.

I ragazzi dell’Assia vanno ad inserirsi alla perfezione nel punto in cui la pesantezza del classic doom si interseca con la virulenza del death, prendendo come possibile riferimento una band come gli Winter, ma arricchendone ulteriormente il sound con più di una sfumatura di stampo black.
Gli Into Coffin nel complesso si comportano decisamente meglio di altre realtà simili trattate di recente, come i connazionali The Fog o i redivivi olandesi Spina Bifida, perché si rivelano buoniinterpreti di sonorità aspre e rallentate che restituiscono sensazioni positive grazie ad un’esecuzione senza fronzoli ma sempre precisa e valorizzata da una buona produzione.
Chiaramente, Into Pyramid of Doom è un lavoro che, al netto di qualche tentazione ambient, tende ad essere piuttosto uniforme nel suo cupo incedere, un aspetto questo che viene accentuato anche dall’attenzione posta dagli Into Coffin più all’impatto sonoro che non alla creazione di atmosfere accattivanti; ne deriva che il gradimento di un lavoro come questo dipende molto dal gusto personale, per cui chi è più propenso al doom-death melodico può anche trascurare questo disco mentre, al contrario, chi predilige sonorità più dirette e limacciose potrebbe trovare non poca soddisfazione.
Peraltro i nostri non si limitano a proporre partiture bradicardiche ma, sovente, si lanciano in efficaci accelerazioni che, se non si possono definire effettivamente elementi peculiari o sintomatici di una particolare varietà compositiva, riescono nell’intento di rompere, almeno in parte, il monolitico incedere dell’album.
Come brano da ascoltare per farsi un’idea più precisa della proposta consiglierei la conclusiva Black Ascension, traccia che in poco più di dieci minuti esibisce in maniera esauriente lo spettro sonoro entro il quale si muove la band tedesca.
Into Pyramid of Doom non è un’opera che lascerà il segno negli anni a venire ma non è neppure trascurabile, alla luce della competenza e della convinzione esibita nel corso del lavoro dagli Into Coffin.

Tracklist:
1. The Entrance
2. Stargate Path
3. Into a Pyramid of Doom
4. The Deep Passage for the Infinity of the Cosmo
5. Black Ascension

Line-up:
G. – basso, voce
S. – chitarra, voce
J. – batteria

INTO COFFIN – Facebook

Buffalo Summer – Second Sun

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.

Irresistibile, assolutamente irresistibile, un concentrato di hard rock settantiano, dove il blues ci mette lo zampino e trasforma questi quaranta minuti di musica in una totale e travolgente immersione in quelle note immortali create dal dirigibile zeppeliniano e dai Bad Company, con un pizzico di hard rock metallizzato di scuola Whitesnake e southern alla Lynyrd Skynyrd, vi basta?

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.
Il gruppo gallese torna un album di rock come si faceva un po’ di anni fa, composto in primo luogo da belle canzoni dai ritmi trascinanti e dai riff corposi, pregni di quel groove, figlio del blues ma amico, molto amico, del sound con cui si muovono le band odierne.
Poi, quando la sei corde di Jonny Williams si mette il cinturone ed il cappello da cowboy (Levitate), i brividi scorrono lungo la pelle come l’acqua nel letto del Mississipi, ed il gruppo britannico si trasforma in una rock’n’roll band sudista da applausi.
Un quartetto che vede, oltre all’axeman, Andrew Hunt a rinverdire i fasti della coppia Plant/Rodgers, ed una sezione ritmica che più sanguigna non si può (Darren King al basso e Gareth Hunt alle pelli).
Difficile trovare una canzone che non vi farà saltare dal vostro divano in preda a convulsioni rockettare, presi e sballottati da brani micidiali come la coppia d’apertura Money/Heartbreakin’ Floorshakin’, stupendi affreschi di hard rock blues, mentre la zeppeliniana As High As The Pines risulta una clamorosa song dal mood settantiano.
Non rimane per voi che fare spallucce a qualsivoglia istinto modernista e buttarvi nelle atmosfere impolverate dalla sabbia che si alza al passaggio di questa tromba d’aria rock southern blues, partita dal Galles, passata per gli States e ormai al massimo della sua forza nel far danni in tutto il globo.
Il riff di Priscilla è più di quanto vicino agli zep in versione southern si possa immaginare, così come la conclusiva Water To Wine profuma di strade da percorrere con il sole negli occhi e la voglia di rock’n’roll style.
Prodotto da Barret Martin (Screaming Trees, Queens Of The Stone Age), Second Sun è un album bellissimo, che raccoglie l’eredità del sound delle band storiche di cui si nutre e lo porta con forza e fierezza nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Money
2.Heartbreakin’ Floorshakin’
3.Make You Mine
4.Neverend
5.As High As The Pines
6.Light Of The Sun
7.Levitate
8.Into Your Head
9.Little Charles
10.Priscilla
11.Bird On A Wire
12.Water To Wine

LINE-UP
Jonny Williams-Guitar
Andrew Hunt-Vocals
Darren King-bass
Gareth Hunt-drums

BUFFALO SUMMER – Facebook

Old Pagan – Ogdrun Jarhar

Un disco di black metal come si deve, forse un po’ ripetitivo in certe soluzioni, ma comunque al di sopra della media.

Old Pagan è una one man band di black metal formata da Machosis, ex mebro degli ora defunti Pagan Winter, e proviene dalla zona di Saarbrucken in Germania.
Il progetto nasce nel 1996, e ha pubblicato in questi venti anni molti dischi. Il suo black metal è debitore della prima ondata di questo genere, è duro ossessivo e misantropo, senza però disdegnare qualche buon intarsio melodico.
Questo nuovo disco è una discesa agli inferi, una veloce ripassata di tutto ciò che può farci paura e violenza senza i vincoli giuridici del vivere in società. Machosias, oltre ad essere un ottimo batterista e musicista, è una persona che conosce la vera essenza del genere e lo trasmette ai posteri. Un disco di black metal come si deve, forse un po’ ripetitivo in certe soluzioni, ma comunque al di sopra della media.

TRACKLIST
1.Ogdrun Jarhar
2.Amon Ramah
3.Dark Chaos
4.Malditz
5. Christ Termination
6.Endless Agony
7. Seven Gods Of Chaos
8.Leichengott (Secrets Of The Moon cover)

OLD PAGAN – Facebook

Humanitas Error Est – Human Pathomorphism

La loro potenza è notevole, ed in alcuni passaggi si scorgono con piacere i migliori Satyricon.

Progetto nato nel 2013 in Germania, con membri di gruppi come Lebenssucht e Goatfuck e Valgaldrar.

La missione è fare un black pagan metal il più possibile spinto verso la misantropia e le peggiori pulsioni anti religiose e direi che ci riescono molto bene. Il suono è molto aggressivo, con forti legami con la seconda ondata del black metal. La loro potenza è notevole, ed in alcuni passaggi si scorgono con piacere i migliori Satyricon. Ogni musicista qui è coinvolto per fare male, per essere lupi fra le pecore, per tradurre in musica l’odio che muove i passi di certi persone. Gli Humanitas Error Est però non sono solo questo ma molto altro, perché hanno un’ottima capacità di composizione che permette loro di tenere molto alta la tensione per tutto il disco.
Un ottimo disco di nera misantropia.

TRACKLIST
1.Destroyer Of Worlds
2.Quod Homo Appellatur Morbus Est
3.Pain Feeder
4.Jagdzeit
5.My Sexual Benediction
6.Raping Religions
7.One Piece Human
8.Die Macht Deines Glaubens
9.Skinning Alive
10.Bestial Penetration
11.Human Pathomorphism

LINE-UP
S CAEDES – vocals
GHOUL – vocals
TSAR – guitar
VOID114 – guitar
ROGAN – bass
AHEPHAÏM – drums

HUMANITAS ERROR EST – Facebook

Cepheide – Respire

I Cepheide raffigurano in maniera credibile una dimensione di afflizione e disperazione che si staglia su un tappeto atmosferico di buona fattura.

Ancora dalla fertile Francia arrivano i Cepheide, band che, con questo Respire, giunge alla seconda uscita dopo il demo d’esordio De silence et de suie, pubblicato nel 2014.

I parigini sono autori di un black metal molto atmosferico che sconfina spesso e volentieri nel depressive, aiutato in questo dalle urla costanti che, più che declamare testi, assumono alla fine la funzione di vero e proprio strumento aggiuntivo.
Tutto ciò raffigura in maniera credibile una dimensione di afflizione e disperazione che si staglia su un tappeto melodico di buona fattura: il lavoro si rivela così molto interessante per la sua intensità anche se, per converso, alla lunga potrebbe pagare dazio a causa della sua uniformità espressiva.
Per sfuggire a questo rischio bisogna considerare Respire (uscito in origine come autoproduzione nel 2015 e riedito oggi dalla Sick Man Getting Sick Records in formato vinilico) quasi come una sorta di flusso sonoro volto a disegnare lo stato d’animo di chi, su questa terra, ha rinunciato a scendere a patti con il modo circostante e, soprattutto, con se stesso.
I due lunghissimi brani, che brillano per un’intensità a tratti spasmodica, differiscono parzialmente in quanto Le souffle brûlant de l’immaculé possiede un incedere più apocalittico ed in qualche modo aderisce agli stilemi del black metal nella sua forma più cupa e depressiva, mentre La chute d’une ombre esibisce passaggi ambient e, anche quando riesplode la furia ritmica, si ammanta di una certa aura cosmica.
Respire è un lavoro decisamente intrigante, anche se non per tutti, in virtù dei suoi pregi, rappresentati in primis dall’elevato impatto emotivo, che superano di gran lunga i difetti, tra i quali si segnala invece una produzione non proprio limpidissima.
I Cepheide hanno posto le basi per produrre prossimamente qualcosa in grado di lasciare un segno profondo, perché il malessere e la disperazione che vengono espressi in quest’opera, ancora perfettibile, assumono quei tratti tangibili che band appartenenti allo stesso segmento stilistico non riescono ad esibire con analoga profondità.

Tracklist:
1. I. Le souffle brûlant de l’immaculé
2. II. La chute d’une ombre

Line-up:
Thomas Bouvier
Gaétan Juif

CEPHEIDE – Facebook

CEPHEIDE – Bandcamp

Epidemia – Leprocomio

Dalle viscere di Quito tornano ad infettare i nostri padiglioni auricolare con il virus nauseabondo e mortale del death metal i terrificanti Epidemia

Dalle viscere di Quito, capitale dell’Ecuador, tornano ad infettare i nostri padiglioni auricolare con il virus nauseabondo e mortale del death metal i terrificanti Epidemia, band attiva già dai primi anni del nuovo millennio.

Dieci anni sono passati dal primo album, Mutilador de cuerpos uscito nel 2006, poi solo un paio di demo ed una compilation fino al concepimento di questo nuovo e brutale assalto sonoro dal suggestivo e quanto mai malsano titolo di Leprocomio.
Uno zombie che si nutre delle carni piagate dei malati terminali di una malattia terribile, una clinica degli orrori dove l’inferno è di casa ed il death metal old school dai rimandi brutal fa da colonna sonora al banchetto a base di arti smembrati, vesciche putrefatte e sangue marcio, questo è, se volete il concept di questa band estrema che spacca come non mai.
Un sound oscuro e tremebondo, velocità e mid tempo, un growl animalesco e chitarre che sanguinano sotto l’emorragia che si manifesta, causata dal maltrattamento subito dai due axeman sudamericani.
Il quintetto non si fa pregare, recupera tutta la sua dirompente forza e ci massacra con questo tsunami di metal estremo, debitore dei nomi storici del death, ma dall’assoluta compattezza, dall’enorme impatto e da un’attitudine che non sfigura di certo al cospetto di act più famosi.
Trentacinque minuti di tempesta metallica, compatta come un monolite di insana violenza, questo è Leprocomio che la Satanath Records immette sul mercato confermandosi label attenta alle realtà estreme in giro per il globo.
Massiccio e brutale, il sound del gruppo si avvicina per impatto alle meraviglie estreme di gruppi come Cannibal Corpse, Dying Fetus e Suffocation; inutile menzionarvi un brano rispetto ad un altro, immergetevi in questo armageddon di suoni e brutalità clamorosamente splatter, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1. Leprocomio
2. Retribución homicida
3. Redención del engendro
4. Miseria introspectiva
5. Agonistes en el inframundo
6. Cadáveres poseídos
7. Necroticismo
8. Existencia repulsiva

LINE-UP
Daniel Villareal – Drums
Adrian Salazar – Vocals
Daniel Murillo – Bass
Juan Carlos Cahuasquí – Guitars
Roberto Amores – Guitars (lead)

EPIDEMIA – Facebook

Weird Light – Doomicus Vobiscum

Il loro doom è forse il migliore mai suonato nell’esagono, ed è una versione molto classica fra Candlemass e i primi Reverend Bizzarre, con una voce stentorea e riff lenti e potenti.

Ristampa del segreto meglio custodito della scena doom francese, i Weird Light.

Attivi solo per poco tempo, i Weird Light prima di sciogliersi avrebbero dovuto incidere un disco per la Shadow Kingdom che purtroppo non è mai uscito Questa ristampa contiene i due pezzi del demo del 2007, più altrettanti inediti. Il loro doom è forse il migliore mai suonato nell’esagono, ed è una versione molto classica fra Candlemass e i primi Reverend Bizzarre, con una voce stentorea e riff lenti e potenti. La registrazione e la produzione non sono il massimo ma bastano per rendere l’idea del gruppo. I Weird Light accompagnano l’ascoltatore nei meandri di umide catacombe, fra altari dimenticati e ossa di morti maledetti.
Questa ristampa colma un buco, una mancanza che solo in parte può essere riempita da queste quattro magnifiche canzoni. Un grandissimo gruppo

TRACKLIST
01. Obsidian Temple
02. GogMagog ( Under The Trumpets Of D. )
03. Conspiracy Of The Dead
04. Stare In The Dark

SHADOW KINGDOM – Facebook

Deathstorm – Blood Beneath the Crypts

I Deathstorm il loro mestiere lo sanno fare bene, attitudine ed impatto non mancano, così come una buona produzione che dell’album ne valorizza il sound.

Conosciuto fino al 2010 come Damage, questo gruppo austriaco ha trovato un nuovo monicker ed una buona continuità di uscite discografiche e, oggi, sotto l’ala della High Roller Records licenzia il suo secondo lavoro sulla lunga distanza.

Dal primo ep nel 2011 a cui sono seguiti altri due lavori minori (un split ed il precedente The Gallows EP dello scorso anno) la band di Graz ha dato alle stampe il primo full length, As Death Awakes, un concentrato di thrash metal teutonico dai rimandi old school.
Ovviamente il nuovo lavoro non cambia di una virgola la strada intrapresa dal quartetto, suonare il più veloce e truculento possibile, così come hanno fatto per anni i nomi storici del genere.
La triade Sodom-Kreator-Destruction ispira le note estreme che fuoriescono dal sound dei Deathstorm, un discreto esempio di thrash metal old school, feroce e senza compromessi.
Un assalto senza soluzione di continuità questo Blood Beneath The Crypts, una trentina di minuti cavalcando lo stallone estremo che corre velocissimo travolgendo ogni cosa al suo passaggio.
Pochi mid tempo, quindi, e tanta furia, sono le peculiarità dell’album, chiaro che il genere è quello e l’ascolto è consigliato ai soli amanti del vecchio thrash metal europeo, sensazione confermata da brani dall’impatto frontale devastante come l’opener Deathblow, Murder of a Faceless Victim, la splendida e potentissima I Conquer e la conclusiva I Saw the Devil.
I Deathstorm il loro mestiere lo sanno fare bene, attitudine ed impatto non mancano, così come una buona produzione che dell’album ne valorizza il sound.
Se siete fans dei suoni old school e della scuola europea cresciuta negli anni ottanta, Blood Beneath The Crypts è senza dubbio un ascolto consigliato.

TRACKLIST
1. Deathblow
2. Splendid Mutilation
3. Murder of a Faceless Victim
4. Immortalized Sinner
5. I Conquer
6. Enter the Void / Dunwich
7. Verdunkeln
8. I Saw the Devil

LINE-UP
Mac – Bass, Vocals
Ferl – Guitars (lead)
Steindl – Guitars (rhythm)
Mani – Drums

DEATHSTORM – Facebook/a>

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