Wóddréa Mylenstede – Créda Beaducwealm

Questo è davvero un disco black metal al cento per cento, senza fronzoli e volontà di piacere.

Il black metal nasce nelle oscurità, trae linfa vitale dall’incontro con le tenebre, è quasi un dialogo con la nostra ombra.

Tra le tante cose che può essere il black metal vi è anche quella di musica ancestrale, di risveglio di antichi usi e credenze, che ci sono state tolte e cancellate per l’intervento di un qualcosa che non è mai stato completamente nostro. I Wóddréa Mylenstede sono un gruppo inglese proveniente dallo Yorkshire, e fanno un black metal grezzo, distorto e cantato in inglese antico. La lingua degli antichi inglesi era una lingua fortemente influenzata dall’occulto, dal rapporto che avevano i parlanti con uno o più mondi che non erano i nostri, ma che interagivano con noi. Gradualmente con la colonizzazione del cattolicesimo, esso stesso è diventato l’unico referente della gente, l’unica porta alla quale si doveva bussare per avere qualcosa. Invece vi sono alti mondi che premono e gli antichi inglesi lo sapevano benissimo. Nelle campagne dello Yorkshire si aggiravano e si aggirano tuttora strane creature, strani avvenimenti riportati da questo gruppo black metal odierno con una musica che sembra davvero provenire da un’altra dimensione, lamenti furiosi di voci distanti, il tutto con una musica marcia ed in bassa fedeltà che funzione benissimo. Il disco è oscuro, tormentato e fortemente underground e riporta il black metal dove deve stare, senza commercializzazione o hype. Antiche oscurità inglesi tornano nelle strade a loro care, richiamate dalla loro stessa lingua. Il mulino diabolico, questo vuol dire Wóddréa Mylenstede, ha scritto e cantato interamente il disco in inglese antico, e già solo per questo sono da premiare. In più questo è davvero un disco black metal al cento per cento, senza fronzoli e volontà di piacere. Il gruppo si era già segnalato per dei demo ma soprattutto con lo split con i portoghesi Black Cilice, che li aveva portati all’attenzione internazionale. Gli antichi stanno tornando.

TRACKLIST
1. Hreómóde Blódgéotend
2. Mearrweard Dócincel
3. Léafa Súslbana
4. Werbeámas Haeden Gilda
5. Beadurófan
6. Hygecraeft (Eardgiefu)

White Miles – The Duel

The Duel esalta il talento dei due musicisti d’oltralpe, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

Con il nome che ricorda i famosissimi White Stripes, un secondo album (questo The Duel) molto bello ed intenso, ed una storia drammatica da raccontare alle spalle, tornano sul mercato discografico gli White Miles, duo austriaco di dirty pole dance stoner blues rock, come lo chiamano loro, molto più semplicemente di rock blues stonerizzato, acido e moderno.

Un passo indietro è doveroso per raccontare cosa ha riservato il destino per la band: infatti, dopo il primo album (Job: Genius, Diagnose: Madness) il duo partì in tour a supporto di Courtney Love, mentre nel 2015 un’altra grossa opportunità si presentò al gruppo: aprire i concerti per il tour europeo degli Eagles Of Death Metal, ed è così che Medina Rekic (voce e chitarra) e Hansjörg Loferer (batteria e voce) furono testimoni dei tragici fatti del Bataclan di Parigi, uno dei più vili episodi di violenza che il mondo della musica e non solo può annoverare in questo assurdo incubo che stiamo vivendo in questi anni.
Torniamo alla musica suonata e a The Duel, un lavoro con una forte impronta blues, essenziale e scarno, vero e passionale, formato da un lotto di brani che affascinano, così colmi di elettricità drammatica e positiva, un disco che sprizza rock americano da tutti i pori, creato da una band nata nel mezzo delle alpi europee.
Chitarra e batteria, qualche linea di basso ed un gran talento per il genere, sporco e ubriaco di stoner, rende la proposta moderna quanto basta per entrare nei cuori dei fans dell’alternative rock, anche se Sickly Nerves, il bellissimo singolo Crazy Horse, Keep Your Trippin Wild e la stratosferica Insane To The Bone, picco emozionale dell’album, hanno in sé una carica blues rock che trasforma i brani di The Duel in esplosioni di musica del diavolo.
Le voci dei due musicisti si alternano con passionalità, rendendo i brani oltremodo sanguigni, le note che fuoriescono dagli strumenti grondano attitudine rock’n’roll, in un susseguirsi
di emozioni sopra le righe.
The Duel esalta il talento dei White Miles, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

TRACKLIST
1. Sickly Nerves
2. In The Mirror
3. Crazy Horse
4. Insane To The Bone
5. A Good Pennyworth
6. Coke On A Jetplane
7. A (n) Garde
8. Heid
9. Don’t You Know Him
10. River Of Gold
11. Keep Your Trippin Wild

LINE-UP
Medina Rekic – voce, chitarra
Hansjörg Loferer – batteria, voce

WHITE MILES – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Imago Octopus vede i Rudhen alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley

Il basso pulsante dell’opener Sorrow For Your Life ci introduce nel mondo dei Rudhen, band che trasforma il nostro nord est (loro sono di Crespano del Grappa, in provincia di Treviso) nell’assolato territorio desertico della Sky Valley.
Nato nel 2013, il gruppo arriva al suo secondo ep, uscito qualche mese fa, non prima di aver dato alle stampe il primo mini cd nel 2014.

Fondati da Luca De Gasperi (batterista) ed Alessandro Groppo (cantante), i Rudhen hanno trovato una line up stabile con l’entrata in formazione di Maci Piovesan al basso e Fabio Torresan alla sei corde.
Imago Octopus vede il quartetto alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley: il loro sound, lisergico e stonato acquisisce un tocco personale con l’aggiunta di ottime sfumature vintage, pescate dal decennio settantiano.
Si cammina sul territorio americano con un occhio al Regno Unito, in questi cinque brani che compongono Imago Octopus; la gola arida, il passo pesante sotto il sole che toglie il respiro, le visioni allucinate, effetto collaterale di erbe illegali, sono compagni di viaggio in questo tuffo nello stoner, aiutato non poco e in parti uguali, dal rock alternativo e dall’hard rock classico.
Ci si riempie di rabbiose atmosfere elettriche, e pesanti mid tempo dall’andamento altalenante, le songs non risparmiano drammatiche richieste d’aiuto, per ritrovare la strada perduta tra i solchi di Rust, Fliyng To The Mirror, dell’ arrembante Lost ed i ritmi dal sapore orientale della bellissima Arabian Drag.
Non sono pochi i riferimenti che si riscontrano all’ascolto dei brani, non mancano chiaramente i nomi principali della scena stoner americana come Kyuss e QOTSA, ma all’attenzione giungono piacevoli noti sabbathiane ed un velato ma importante richiamo al doom/stoner targato Rise Above (Lee Dorrian docet).
In conclusione un ep che, per gli amanti del genere, sarà sicuramente una piacevole scoperta ed un ottimo ascolto; aspettiamo dunque ulteriori sviluppi, magari con la consacrazione del gruppo sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo- Voice
Fabio Torresan- Guitar
Maci Piovesan- Bass
Luca De Gaspari- Drums

RUDHEN – Facebook

Cadaveric Fumes – Dimensions Obscure 12 “

Le quattro tracce danno l’impressione di un gruppo sempre in pieno controllo e con una forza compositiva fuori dal comune

Esordio sulla corta distanza per questo gruppo francese, fautore di un death metal molto atipico ed incentrato sul passato ma anche oltre.

La definizione death metal va un po’ stretta per una band che usa certamente il codice del death, ma le cui soluzioni sonore superano quelle canoniche.
Partendo dalle solide basi del genere, i Cadaveric Fumes sviluppano un suono che è molto originale e tocca diversi porti nel proprio peregrinare.
Ci sono persino ottimi residui di thrash metal in questo impasto sonoro e il death è molto simile a quello scandinavo dei fine ottanta, inizio novanta, con il suo caratteristico incedere.
Le quattro tracce danno l’impressione di un gruppo sempre in pieno controllo e con una forza compositiva fuori dal comune, tanto da dare anche un tocco black al loro suono. Un grande inizio per un gruppo da seguire.

TRACKLIST
01 Crepuscular Journey
02 Extatic Extirpation
03 Where Darkness Reigns Pristine
04 Swallowed Into Eternity

LINE-UP
Romain Gibet – Vocals
Wenceslas Carrieu – Guitar
Léo Brard – Drums
Reuben Muntrand – Bass

CADAVERIC FUMES – Facebook

Lebensnacht – A Raging Storm of Apocalypse

Se mai Mike Oldfield componesse un disco black metal, ecco come sarebbe il risultato

L’idea base è quella della fine di un viaggio per mare, visto che la copertina, assieme all’ intro Dark clouds gather, provocano un funesto sentire nel quale perdersi è l’unico modo per sopravvivere.

Grim alternato a stacchi puramente cascadian, riempiono la sorte di chi non soddisfatto continua l’ascolto con la seconda traccia The End is Near e, finalmente sceso dalla zattera , si accinge incerto a muovere i primi passi in questa foresta desolata . Lebensnacht ricorda Morgul nella scelta dei testi e quindi le tonalità aperte, per quanto semplici all’ascolto, che hanno un nucleo freddo e pronto a spiazzare in ogni momento. Tralasciando la terza traccia, che ha comunque un suo fascino, lascerei cadere l’accento su quanto segue, From fire to ice, il vero concept probabilmente dell’intero disco, per struttura e composizione del brano che mostra un interesse sibillino per il mutamento alchemico. Anche accendere un fuoco da naufraghi può riportare a lidi ben distanti dall’isola alla quale siamo approdati, meno tropicale, più siderale. Gli elementi sono due finora, quindi: acqua e fuoco. E cosa ci aspetteremo se non aria e terra? Decisamente scontato, al buio possiamo solo contemplare cosa c è attorno a noi, e dal basso. Il vuoto stellare fatto di piccoli insignificanti puntini che tornano sublimi ad una seconda occhiata, quando appunto il fuoco è diventato cenere e quindi ghiaccio. Il rituale è quasi concluso, con l’invocazione avvenuta in The Gate has opened, di lovecraftiana memoria, dove le tastiere evocano qualcosa di estremamente tragico e non reversibile. Into the cosmic eternity chiude a lutto la disperazione che celava forse l’unica possibilità ciclica di speranza, in un viaggio che, come scritto nell’inciso, non ha null’altro che memoria ciclica. Trionfale, seppure con qualche ascolto in più, ma per essere il quarto opus della serie, A Raging Storm of Apocalypse vince quanto di medio passa oggigiorno. Consigliato l’ascolto durante l’estate, nonostante la produzione sia figlia di un inverno ormai passato.

TRACKLIST
1.Dark Clouds Gather
2.The End Is Near
3.The Storm
4.From Fire To Ice
5.Frostbitten Ashlands
6.The Gate Has Opened
7.Into Cosmic Eternity

LINE-UP
Robert Brockmann – chitarra, tastiere, voce, suoni digitali
Martin “Lord Skull” Krell – batteria

LEBENSNACHT – facebook

WITCHES OF DOOM

Un interessante scambio di battute con i romani Witches Of Doom, autori di uno degli album più convincenti di questa prima metà del 2016.

iye Tra Obey ed il nuovo lavoro sono passati un paio d’anni, cosa è successo nel frattempo in casa Witches Of Doom?

In questi due anni abbiamo avuto modo di conoscerci e di amalgamarci di più, di poter sperimentare nuove idee, di lavorare sui suoni, ma soprattutto abbiamo fatto numerose date sia in Italia che all’estero, e questo è quello che ci ha fatto crescere maggiormente

iye Obey è stato, almeno per il sottoscritto, un esordio straordinario: voi siete soddisfatti dei riscontri ottenuti da pubblico ed addetti ai lavori?

Sicuramente non ci possiamo lamentare, le ottime recensioni che abbiamo ricevuto ci hanno reso orgogliosi del nostro lavoro, e ci hanno dato quell’ulteriore spinta in più e convinzione nei nostri mezzi. E’ stato ulteriormente emozionante ricevere attestazioni di stima e di apprezzamento per la nostra musica da musicisti del calibro di Tony Dolan (Venom Inc., E-mpire of Evil), con cui abbiamo anche suonato qui a Roma, e Paul Bento ( ex Carnivore – Type O Negative), che ci ha addiritura onorato di un suo assolo di chitarra sul nostro singolo New Years Day.

iye Non è mai facile per una band ripetersi su certi livelli dopo un lavoro pienamente riuscito, avete sentito una certa pressione al momento di scrivere i brani per il nuovo album?

Sapevamo da subito che dopo gli ottimi riscontri di Obey non potevamo permetterci di sbagliare, e questo un minimo di preoccupazione ce lo dava, ma la nostra fortuna è quella di essere molto prolifici nella scrittura dei brani, e questo ci ha permesso, prima di entrare in studio di registrazione, di fare una selezione. Abbiamo scelto i brani che ci divertivamo di più a suonare, visto che la passione e il divertimento sono alla base di tutto quello che facciamo

iye Deadlights conferma il vostro valore, ancora una volta il songwriting è di altissimo livello, senza restare ancorato al sound di Obey ma aggiungendovi con sagacia una base elettronica che gli conferisce un mood ancor più ottantiano: da dove giungono questi nuovi spunti ?

La differenza principale sta nel semplice fatto che le tastiere in Obey sono state aggiunte dopo aver già scritto tutti i brani, in quanto il nostro tastierista Eric è entrato in pianta stabile nel gruppo proprio mentre stavamo ultimando le registrazioni di Obey, mentre i pezzi di Deadlights nascono da subito con le tastiere e quindi abbiamo potuto dare sfogo a tutti nostri desideri di elettronica che nel primo disco avevamo dovuto parzialmente reprimere.

iye Nel nuovo album siete riusciti ad amalgamare, molto più che nel precedente, tutte le vostre influenze, mantenendo però intatta la componente stoner/doom che conferisce ai brani atmosfere ossianiche: quanto influisce sul vostro sound il dark rock delle band storiche?

Sicuramente, anche se ognuno di noi ha influenze e predilige ascolti dei generi più vari di musica, l’amore per il suono di band storiche quali Black Sabbath, Doors, Depeche Mode, The Cure, Joy Division, Bauhaus, Sister of Mercy, The Mission, The Cult, etc.etc. è quello che più ci unisce e che più abbiamo in comune

witchesbig

iye Come è nato un brano come I Don’t Want To Be A Star, quello che più si avvicina al mood di Obey con le sue atmosfere doorsiane che lo rendono la perfetta conclusione del lavoro?

I Don’t Want To Be A Star nasce da un mio giro di basso, l’ho proposto mentre stavamo provando altri pezzi, anche se non ne ero molto convinto, in quanto pensavo che si differenziasse troppo dal tipo di sound su cui stavamo lavorando in quel periodo. Invece agli altri del gruppo è piaciuto subito, e allora abbiamo incominciato a lavorarci in maniera più seria. La cosa bella è che tutta la seconda parte del brano è una sorta di jam session, ogni volta, sia che si tratti di prove, che di concerti, la improvvisiamo, e così anche la durata del brano è molto variabile

iye Dopo un secondo lavoro ancora di altissimo livello, quali sono i primi bilanci e le aspettative ?

Il disco è uscito da poco, tra l’altro al momento solo in formato digitale, la versione in cd uscirà entro fine maggio, e quindi è ancora troppo presto per fare dei bilanci, anche se devo dire che i primi riscontri sono più che positivi. Le nostre aspettative sono sicuramente alte, crediamo molto in quello che abbiamo fatto, sappiamo anche di avere un sound tutto nostro, che ci contraddistingue, speriamo quindi che sempre più persone vengano a vederci e acquistino il nostro disco

iye Con l’approssimarsi della stagione estiva ci sarà la possibilità di vedervi all’opera in qualche festival?

Al momento non abbiamo niente in programma, almeno in Italia, ma stiamo lavorando per cercare nuove date. I problemi sono essenzialmente due: uno lo hanno in comune tutte le band italiane che suonano pezzi originali, ovvero il sempre minor spazio concesso ai gruppi che suonano musica propria a favore invece delle cover band; il secondo invece si rifà alla risposta alla domanda precedente, ovvero avendo un sound tutto nostro spesso siamo fuori contesto, in quanto o troppo metal per festival rock, o al contrario troppo poco metal per i festival in cui magari suonano anche gruppi metal più estremi. Quindi alla fine ci rimane più facile suonare da soli o come headliner della serata.

iye Nel metal i gruppi italiani sono sempre stati visti come una realtà di serie B, ma negli ultimi anni la scena è cresciuta in modo esponenziale: vi ritrovate in effetti quale parte della scena metal nostrana oppure vi sentite più una band dal respiro internazionale?

Io direi tutte e due le cose, in quanto siamo comunque legati alle nostre origini e grati a gruppi quali ad esempio Lacuna Coil, Novembre, Sadist, Doomraiser, Foreshadowing, solo per citare i primi che mi vengono in mente, che portano in giro per il mondo il metal italiano, dando così anche a noi la possibilità avere una sorta di vetrina internazionale. Allo stesso tempo siamo consapevoli che il nostro è un sound più internazionale, fosse solo per tutti i messaggi di complimenti e richieste varie che riceviamo tutte le settimane dalle parti più sparse del mondo. Proprio per questo motivo, di comune accordo con la nostra etichetta la Sliptrick Records, abbiamo deciso di concentrare la fase iniziale della promozione di Deadlights negli Stati Uniti.

Dark Haunters – To Persevere Is Diabolical

I Dark Haunters impressionano per impatto, malignità e drammatica teatralità, sfumature importanti in un genere che, quando non spicca per originalità, convince eccome se risulta suonato con questa verve ed attitudine.

I Dark Haunters sono un gruppo abruzzese, nato sul finire del vecchio millennio, ma accompagnato in tutti questi anni da molte defezioni e conseguenti cambi di line up che ne hanno, fino ad ora, rallentato l’attività.

Un demo (The Haunter of the Dark) ed un ep, Aethernal Wile, uscito dieci anni fa, sono gli unici lavori firmati Dark Haunters, accompagnati da molte esibizioni live in compagnia di mostri sacri del metal nostrano come Extrema, Gory Blister ed Infernal Poetry.
Finalmente, negli ultimi anni, una trovata stabilità nella line up ha dato modo alla band di dedicarsi al primo lavoro sulla lunga distanza così che, sotto l’ala della Revalve, To Persevere Is Diabolical può vedere la luce.
Black metal sinfonico, con qualche spunto che spinge la band verso il death, un approccio che rimane devastante supportato da un gran lavoro della sezione ritmica, tastieroni che inondano di atmosfere magniloquenti e demoniache il metal estremo del gruppo, supportate dall’ottima prova al microfono del fratellino di Shagrath, Emanuele “Aramor Bizzarro, teatrale e vario nel suo cantico demoniaco, inducono a non fermarsi ad un ascolto distratto, ma a far proprie le note estreme di questo ottimo debutto.
Inutile girarci intorno, il sound della band abruzzese non si discosta molto dalla proposta dei Dimmu Borgir, ma viene manipolata con quel talento tutto italiano per le atmosfere oscure, riuscendo ad impressionare per impatto, malignità e drammatica teatralità, sfumature importanti in un genere che, quando non spicca per originalità, convince eccome se risulta suonato con questa verve ed attitudine.
Una quarantina di minuti bastano al gruppo per entrare di diritto tra le migliori novità del genere di questo nefasto 2016, gli amanti del metallo estremo sinfonico di matrice black troveranno di che godere tra le nere trame delle varie Blood Wolfen Hunger, Legend Of Pei Mei e The Tigress & The Prophecy, perciò niente scuse e dedicate un po’ di tempo a questo ottimo lavoro, ne vale la pena.

TRACKLIST
1. In Perseverance…
2. The Burning Eyes of Vengeance
3. Legend of Pai Mei
4. Blood Wolfen Hunger
5. In My Fortress
6. The Tigress & The Prophecy
7. Rising Through the Curse
8. …Towards the Realm

LINE-UP
Emanuele “Aramor Bizzarro – all vocals
Sergio Nallira – lead and rhythm guitars
Valerio Pietrunti – lead guitar
Christian “Maylord” Di Maria – keyboards
Giuseppe “Vrakor” Amadio – bass
Claudio Martella – drums

DARK HAUNTERS – Facebook

In Mourning – Afterglow

Gli In Mourning non deludono affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo

Gli svedesi In Mourning appartengono a quella categoria di band di ottimo livello che, nonostante una storia ultradecennale ed una discografia già abbastanza significativa per qualità e quantità, non hanno ancora raggiunto i picchi di popolarità che meriterebbero.

Autori di un death che si sviluppa costantemente tra pulsioni progressive, melodiche e doom, i quattro scandinavi pagano probabilmente la loro non semplicissima collocazione all’interno di una specifica frangia del genere: se, infatti, a tratti sembra di ascoltare una versione più moderna degli Opeth d’inizio millennio, gli appropriati rallentamenti pongono il sound verso una cupezza vicina agli October Tide (non cito a caso la band di Norrman, visto che sia l’ottimo vocalist Tobias Netzell che il bassista Pierre Stam ne hanno fatto parte in passato) mentre più di una volta è il trademark melodico tipicamente svedese a caratterizzare il sound, come viene brillantemente esplicitato dall’opener Fire and Ocean.
Il girovagare tra tutte queste pulsioni depone a favore di una certa ecletticità degli In Mourning, anche se permane un umore cupo di fondo, derivante da un trademark doom che non si manifesta più di tanto, però, tramite i caratteristici ed asfissianti rallentamenti.
La band svedese si rende protagonista di un lavoro eccellente nel suo complesso, con una serie di brani ficcanti che potrebbero far breccia un po’ in tutti quelli che amano sonorità robuste intrise nel contempo di melodie tecnica e di una giusta dose di malinconia; personalmente prediligo gli In Mourning quando spiegano le ali verso il death doom melodico, spesso vicino nel suo sentire agli Swallow The Sun (come avviene magistralmente nella conclusiva title track) e un po’ meno, invece, allorché sono gli influssi opethiani a prendere il sopravvento (Ashen Crow, soprattutto) ma, come detto, è solo una questione di gusto soggettivo.
Va detto, peraltro, che queste anime più di una volta si incontrano e la loro convivenza, per nulla forzata, produce frutti notevoli (The Call to Orion su tutte, ma riuscitissima è anche The Lighthouse Keeper) con buona continuità ed una mai scontata padronanza della tecnica strumentale, con menzione d’obbligo, oltre ai musicisti già citati, per i chitarristi Björn Pettersson e Tim Nedergård e per un pezzo da novanta della scena musicale svedese come il drummer Daniel Liljekvist, per oltre un decennio nei Katatonia.
In buona sostanza, questo ritorno dopo quattro anni dal precedente album, da parte degli In Mourning, non delude affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo: insomma, da accaparrarsi e goderne pressoché a scatola chiusa …

Tracklist:
1. Fire and Ocean
2. The Grinning Mist
3. Ashen Crown
4. Below Rise to the Above
5. The Lighthouse Keeper
6. The Call to Orion
7. Afterglow

Line-up:
Pierre Stam – Bass
Tobias Netzell – Guitars, Vocals
Björn Pettersson – Guitars
Tim Nedergård – Guitars
Daniel Liljekvist – Drums

IN MOURNING – Facebook

Black Royal – The Summoning PT.2

Un disagio che si può toccare, una caduta nell’abisso del male di vivere da cui non si torna più indietro, l’altra faccia della Finlandia da cartolina e ha l’espressione di un demone perverso.

Finlandia, la terra dei mille laghi, chilometri di lande immerse nel freddo e in una splendida desolazione, per molti stranieri il paradiso, ma per chi ci vive può diventare qualcosa di vicino all’inferno.

Suicidi, alcolismo ed una predisposizione per la depressione e l’occultismo non sono rari, specialmente fuori dalle città.
La musica aiuta non poco e non è un caso che dai paesi scandinavi arrivino molte delle migliori realtà del metal degli ultimi venticinque anni.
I Black Royal sono un gruppo di Tampere, cittadina che ha dato i natali ad un numero altissimo di band, la loro musica esprime e descrive tutto il disagio di chi vive la realtà finlandese, lontana, molto lontana da renne e paesaggi natalizi e molto più vicina ad una provincia disastrata, che ricorda quella americana di Non Aprite Quella Porta.
The Summoning PT.2, come da titolo, segue il primo capitolo uscito lo scorso anno, trattasi di due EP che danno il via alla carriera della band, devota allo stoner/death, un sound che incorpora in parti uguali, sonorità doom settantiane, il più attuale stoner ed il death metal che non può non guardare allo storico estremismo di cui i paesi scandinavi sono famosi.
Licenziato dalla Armless Stranger, questo monolitico pezzo di metallo incandescente, lavico ed estremo ci consegna un gruppo con tutte le potenzialità per diventare una band di culto nella scena underground.
Il loro sound alimentato dal calore insopportabile dell’inferno e dalla potenza inesauribile della lava vulcanica che distrugge ogni cosa al suo passaggio, risulta una creatura abominevole, rabbiosa e cattivissima.
Denuncia sociale, occultismo e culto del bere, un miscuglio pericolosissimo che detona in queste cinque esplosioni, più intro, pesantissime, monolitiche ed a tratti disturbanti.
Black Sabbath ed Entombed drogati di stoner/sludge, un’alchimia di suoni ed umori devastanti che escono prepotentemente dai solchi delle varie, Scorn The Saint, Reclaim The Throne e Demonspawn, un disagio che si può toccare, una caduta nell’abisso del male di vivere da cui non si torna più indietro, l’altra faccia della Finlandia da cartolina e ha l’espressione di un demone perverso.

TRACKLIST
01. Purgatory
02. Scorn The Saint
03. Reclaim The Throne
04. Fireball
05. The Summoning
06. Demonspawn

LINE-UP
Jukka – Drums
Toni – Guitars, Vocals (backing)
Riku – Vocals
Pete – Bass, Vocals

BLACK ROYAL – Facebook

Bologna Violenta – Discordia

Discordia è Bologna Violenta, una persona che bestemmia come noi, ma che le sue paure le mette in musica veloce, e questo è il suo disco più bello.

Nicola Manzan è uno, se non l’unico, musicista italiano veramente originale, e che ha creato nel suo piccolo un qualcosa molto simile a John Zorn.

Discordia è il primo lavoro che crea a quattro mani con Alessandro Vagnoni, degno compare di rumore. Nicola è un musicista che vede e crea cosa dove le persone comuni vedono solo rumore. Le sue sinapsi e quindi le sue mani hanno una visione particolare e totalmente distopica rispetto alla musica comune. Qui non c’è agibilità o fruizione musicale, ma solo la pienezza e la completezza del suono. Se si dovesse trovare una stupida definizione del suono di Bologna Violenta in questo disco, poiché ogni suo lavoro è differente dal precedente e dal successivo, azzarderei un cinematic grind pop core, che significa che dovete ascoltarlo e farvi una vostra idea. Discordia è una sinfonia italiana, un incubo nella misura in cui lo è questo paese, dopo Uno Bianca del 2014, che è forse il suo migliore disco, e certamente un’opera di cui il pubblico non ha capito un emerito cazzo, l’unico tentativo riuscito di raccontare l’essenza dell’orrore dei fratelli Savi e coperture. Bologna Violenta qui suona anche, come lui stesso ammette, brani lunghi che sembrano canzoni, ma non lo sono in pieno, perché le creazioni di Nicola sono molto di più che canzoni. Sono paure, ansie, fobie, orgasmi e gioie. Addirittura questo lavoro lo vedo vicino a gruppi come i Fleshgod Apocalypse, fatte le dovute distinzioni metalliche. Discordia è Bologna Violenta, una persona che bestemmia come noi, ma che le sue paure le mette in musica veloce, e questo è il suo disco più bello.

TRACKLIST
1.Sigle di telefilm
2.Il canale dei sadici
3.Incredibile lite al supermercato
4.Un mio amico odia il prog
5.Il tempo dell’astinenza
6.Leviatano
7.Chiamala rivolta
8.L’eterna lotta tra il bene e le macchine
9.I postriboli d’oriente
10.Binario morto
11.Discordia
12.Lavoro e rapina in Mongolia
13.Il processo
14.Passetto
15.I felici animali del circo
16.Colonialismo

LINE-UP
Nicola Manzan – Chitarra, violino, viola, violoncello, sintetizzatori, programmazione.
Alessandro Vagnoni – Batteria, basso.

http://www.facebook.com/bolognaviolenta

Obsidian Sea – Dreams, Illusions, Obsessions

Dreams, Illusions, Obsessions è un buon modo per scorprire una nuova band in un genere avaro di sorprese

Uno sguardo sempre più approfondito sulla scena metallica bulgara, dopo realtà alle prese con il black metal e l’ hard & heavy, ci induce a rallentare il battito del nostro cuore, così come le bacchette sulle pelli ed immergerci nelle atmosfere messianiche della musica del destino con gli Obsidian Sea, band proveniente dalla capitale Sofia.

Il trio, dopo il primo demo targato 2010, si presenta con il secondo full length, successore del debutto licenziato tre anni fa ed intitolato Between Two Deserts.
Siamo al cospetto di un gruppo che fa del doom classico il suo credo: onirico, sabbathiano ed assolutamente old school, che nel genere significa zero sfumature stonerizzate, incedere lento, chitarroni heavy e voce cantilenate in odore di messa, nera come la pece.
In Dreams, Illusions, Obsession, il doom classico è onorato con buon impatto, le atmosfere rimandano ai gruppi storici che hanno fatto grande la musica del destino, partendo dai Sabbath per passare ai gruppi della Hellhound, la label tedesca che nel decennio degli anni novanta licenziò i capolavori di Saint Vitus, Count Raven, The Obsessed e Revelation.
Non ci si discosta dal sound classico, anche se i brani sono ottimi esempi di genere, con un’aura messianica che trasforma l’album in una lunga celebrazione del sound caro a chi al fato rende omaggio, lunghe e lente cantilene che la potenza di solos heavy ben incastonati nell’economia dei brani portano indietro nel tempo, così che dai novanta passare al periodo settantiano è un attimo.
La buona produzione, il cantato perfetto per il genere e due o tre brani davvero belli (Confession, Mulkurul e la conclusiva Somnambulism) alzano la media di questo lavoro, consigliato senza riserve ai doomsters dai gusti classici e vintage.
Dreams, Illusions, Obsessions è un buon modo per scoprire una nuova band in un genere avaro di sorprese, approfittatene.

TRACKLIST
1. The Trial of Herostratus
2. Confession
3. Child in the Tower
4. Mulkurul
5. The Fatalist
6. Somnambulism

LINE-UP
Bozhidar Parvanov – Drums
Anton Avramov – Vocals, Guitars
Ivaylo Dobrev – Bass

OBSIDIAN SEA – Facebook

John Holland Experience – John Holland Experience

Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

Trio della fertile provincia cuneese nato in una cantina nel 2013, quando hanno unito le forse Alex Denina, Simone Calvo che abbiamo già avuto modo di ammirare nei Flying Disk e Francesco Martinat.

Questo trio fa un noise stoner molto bello e vario, con una forte attitudine punk, senza disdegnare ottime aperture melodiche. Il disco è condiviso in download libero e presenta molte sorprese, tra le quali spiccano la solidità e la capacità di cambiare registro, come quella di cambiare repentinamente velocità, il tutto con testi intelligenti e con un gusto beat anni sessanta. I John Holland Experience funzionano molto bene, si fanno ascoltare molto bene e sono anche originali, con quel senso della musica e della vita che solo la gaudente provincia cuneese ti sa dare. Un disco molto interessante coprodotto da tante etichette in 500 cd e in free download. Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

TRACKLIST
01. Intro
02. Malvagio
03. Elicottero
04. Revival
05. Canzone D’Amore
06. Festa Pesta
07. Tieni Botta
08. Ti Piace

LINE-UP
Simone Calvo : voce, basso
Alex Denina : batteria
Francesco Martinat : voce, chitarra

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Mørknatt – Witchcraft of Domination

I tre musicisti ci sanno fare e si sente, l’atmosfera è pregna di grondante metallo evil, tra parti velocissime e cadenzate marce verso l’abisso.

Le vie di Lucifero sono infinite, dalle terre scandinave il verbo maligno portato con tanto ardore dalle orde black metal nate in quei freddi, desolati ed oscuri luoghi, hanno infestato la vecchia Europa e prima di attraversare l’atlantico, destinazione nuovo continente, si sono impossessate di molte anime nelle terre latine, tra cui la Spagna.

E proprio a Tarragona, in terra spagnola, che il seme putrido e demoniaco dei servi di Satana ha dato i natali a questo mefistofelico e blasfemo bombo chiamato Mørknatt, trio fondato dal chitarrista Kongen av Slanger, a cui si sono aggiunti altri due demoni, Kunstdood alle pelli e Fenrir ad urlare nel microfono nefandezze contro religione e genere umano.
Witchcraft of Domination è il debutto, un ep di quattro brani con tanto di copertina che riprende a grandi linee l’artwork dello storico Fuck Me Jesus, ep dei devastanti maestri Marduk, uscito nel lontano 1991, in piena gloria per il genere satanico per eccellenza.
Black metal old school anche nel sound dei nostri, un violento inno al male che non manca di stupire per l’ottimo lavoro della sei corde, neanche troppo distante dai maestri Dissection.
Quindi tra i solchi delle terribili Calanda Of Antichrist, la magnifica Serpents e l’inno al male Ave Leviathan troverete black metal di scuola nordica, perfido e distruttivo, un assalto ben congeniato e valorizzato da un’ottima produzione.
I tre musicisti ci sanno fare e si sente, l’atmosfera è pregna di grondante metallo evil, tra parti velocissime e cadenzate marce verso l’abisso.
L’ep funge da anticipazione per il primo lavoro sulla lunga distanza che si intitolerà Victorious Satan e che dovrebbe uscire in questi mesi, date un ascolto a questo lavoro e mettetevi comodi in attesa del full length, il gruppo merita sicuramente l’attenzione dei blacksters più ortodossi.

TRACKLIST
1. Calanda of Antichrist
2. Satanic Sex
3. Serpents
4. Ave Leviathan

LINE-UP
Fenrir – Vocals
Kunstdood – Drums
Kongen av Slanger – Guitars, Bass

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Morth – Towards the Endless Path

Lungo ed epico viaggio nel black metal dal taglio melodico, l’album si sviluppa per più di un’ora immerso nel leggendario mondo di una terra di mezzo raccontata attraverso lunghi mid tempo tastieristici

Morth è il monicker di questa one man band attiva dal 2002 proveniente dalla Bulgaria e fondata dal polistrumentista Erilyne, musicista attivo in molte band della scena estrema del suo paese.

Towards The Endless Path è il primo full length e segue il demo uscito un paio di anni fa e che ha dato il via alla discografia di Morth.
Lungo ed epico viaggio nel black metal dal taglio melodico, l’album si sviluppa per più di un’ora immerso nel leggendario mondo di una terra di mezzo raccontata attraverso lunghi mid tempo tastieristici, con la gracchiante voce di questo menestrello del male ed accompagnata da un’aura epica.
Il musicista bulgaro se la cava sia con gli strumenti che con un songwriting che pur essendo prolisso mantiene una buona tensione e non stanca.
Qualche lacuna in fase di produzione non inficia la riuscita globale dell’album che alterna black, heavy e dark metal con buona ispirazione.
Orchi, maghi e stregoni ci attendono tra le montagne incantate di questa terra di fantasia, tra valli verdeggianti e cime innevate, il mood dell’album riporta alla mente opere come Il Signore Degli Anelli o Il Trono Di Spade, mondi di guerre, magia e lotte secolari tra il bene ed il male.
La sei corde richiama l’heavy metal classico, qualche rallentamento atmosferico il dark metal, mentre le sempre presenti armonie tastieristiche danno al sound un taglio epico ed oscuro.
I brani superano per gran parte i dieci minuti di durata, perciò l’ascolto necessita di concentrazione e l’album più giri nel lettore per essere fatto proprio, ma il risultato è soddisfacente, specialmente per gli amanti del genere.
Mortiis, Summonning ed Immortal sono i gruppi che maggiormente escono dai solchi di brani dalla riuscite atmosfere epic fantasy come Dark Dawn Arise, Shadows from Ancient Battles e Towards the Endless Path of War; non fatevi spaventare dalla durata dell’opera e provate ad immergervi nel mondo di Morth.

TRACKLIST
1. Cold Moonlight Mysticism
2. Dark Dawn Arise
3. Echoes of Ancient Winds
4. Shadows from Ancient Battles
5. The Black Fog of Times
6. Towards the Endless Path of War

LINE-UP
Erilyne – All instruments, Vocals

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Solinaris – Deranged

Deranged risulta un album piacevole, specialmente nelle parti dove il metal estremo lascia che le ottime parti progressive prendano il sopravento

Debutto sulla lunga distanza per questa band estrema proveniente dal Quebec, fondata nel 2012 dal cantante e tastierista Eric Labrie e dal chitarrista Bernard Giroux, raggiunti da Jean-Daniel Villeneuve all’altra chitarra, Jonathan Piché al basso e Lucas Biron alle pelli.

Il gruppo nel 2015 finisce di registrare Deranged, uscito solo ora e licenziato sotto l’ala della Cimmerian Shade Recordings.
La proposta dei canadesi è un death metal tecnico e progressivo, dove da copione le sfuriate estreme lasciano spazio a fughe verso lidi jazz, fusion in un altalenante cambio di atmosfere.
Molto importante nel sound le armonie acustiche, punto di forza di Deranged, mentre nelle parti estreme una produzione leggermente deficitaria non valorizza appieno l’enorme mole di lavoro dei Solinaris.
La prima parte del cd sfoga quasi tutta la sua vena estrema, la title track, Torture Chronicles e Blind torturano i padiglioni auricolari con sferzate estreme tecnicissime, stacchi e ripartenze care ai gruppi dediti al genere, mentre il cuore dell’album è lasciato in mano alle atmosfere progressive di Chloroform e Field of Trees, dove la sei corde di Giroux prende in mano il sound e ci conduce in lidi acustici dalle reminiscenze folk.
Si riparte in quarta per un finale in crescendo, gli ultimi tre brani con in testa la conclusiva Red Rain tornano a far male, non rinunciando ad un finale atmosferico.
Deranged risulta un album piacevole, specialmente nelle parti dove il metal estremo lascia che le ottime parti progressive prendano il sopravento, un debutto tutto sommato positivo per i Solinaris.
Se siete amanti del genere e di gruppi come Cynic, Atheist e Pestilence, un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1.Intro
2.Deranged
3.Torture Chronicles
4.Blind
5.Murder
6.Chloroform
7.Field of Trees
8.November
9.Phobopath
10.Red Rain

LINE-UP
Eric Labrie – Vocals and keys
Bernard Giroux – Acoustic guitars and solos
Jean-Daniel Villeneuve – Electric guitars and solos
Jonathan Piché – Fretless bass
Lucas Biron – Drums
Alexandra Lacasse – Saxophone

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