Ravensire – A Stone Engraved in Red

I Ravensire regalano un altro buon esempio di heavy metal old school, epico ed incentrato su riff scolpiti nella roccia, cavalcate dai natali maideniani ed impatto hard & heavy che richiama il sound di Heavy Load e Slough Feg.

Dei Ravensire vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita di The Cycle Never Ends, secondo lavoro su lunga distanza dopo il debutto rilasciato nel 2013 ed intitolato We March Forward.

Il quartetto proveniente da Lisbona, ora formato da Nuno (chitarra), Rick (basso e voce), Mário (chitarra) e Alex (batteria), regala un altro buon esempio di heavy metal old school, epico ed incentrato su riff scolpiti nella roccia, cavalcate dai natali maideniani ed impatto hard & heavy che richiama il sound di Heavy Load e Slough Feg.
Come nell’album precedente sono le atmosfere epiche a farla da padrone, in brani che alternano cavalcate di heavy metal classico e mid tempo epic metal, dove il gran lavoro delle due chitarre si staglia su otto brani che fin dall’opener Carnage at Karnag sono pregne di atmosfere fiere ed evocative.
Licenziato dalla Cruz del Sur Music, A Stone Engraved in Red risulta un’opera suggestiva, tra inni alla gloria metallica, solos che illuminano il campo di battaglia, ritmiche che danno il tempo a marce ed assalti verso la gloria o la morte, mentre tutto si colora di rosso del sangue di chi soccombe al suo nemico.
I Ravensire hanno trovato la loro definitiva strada: il loro sound, pur derivativo. non manca di potenza e forza metallica e le atmosfere epiche che incontrano il classico heavy metal anni ottanta sono racchiuse in una serie di brani in cui l’acciaio diventa rosso per la potenza di fuoco espressa da tracce come la splendida After The Battle, brano che riassume il credo musicale di questi portoghesi.

Tracklist
1. Carnage at Karnag
2. Thieves of Pleasure
3. Gabriel Lies Sleeping
4. Dawning in Darkness
5. Bloodsoaked Fields
6. After the Battle
7. The Smiting God
8. The Games of Titus

Line-up
Nuno – Guitars
Rick – Bass / Vocals
Mário – Guitars
Alex – Drums

https://www.facebook.com/Ravensire

The Lord Weird Slough Feg – New Organon

New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.

Tornano Mike Scalzi ed i suoi Slough Feg, con il monicker completo The Lord Weird Slough Feg ed un nuovo album, il decimo di una lunga carriera iniziata nel 1990 a San Francisco.

Il quartetto statunitense con al timone il suo capitano viaggia spedito nelle acque sicure di un sound collaudato che all’epic metal unisce elementi folk, ritmiche per nulla scontate e progressive a supportare tematiche di stampo fantasy.
La band, dal monicker ispirato ad una creatura leggendaria presente nei poemi epici e mitologici irlandesi, rilascia un ottimo lavoro che ne conferma lo status di band di culto, permettendo di arrivare alla doppia cifra in quanto a full lenght con degli album migliori.
New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.
Fin dall’inizio si viene catapultati dal quartetto statunitense in un mondo metallico in cui sua maestà il riff è signore e padrone di un sound che, come da tradizione, è legato all’heavy doom settantiano, pur con la sua forte caratteristica epica che aggiunge sfumature ed ispirazioni di stampo Manilla Road.
L’anima progressiva valorizza il tutto e New Organon risulta un altro ottimo lavoro targato The Lord Weird Slough Feg, grazie ad una serie di brani bellissimi come The Apology, Uncanny e la solare Coming of Age in the Milky Way, folk metal song che disegna nella mente degli ascoltatori piazze popolate di castelli nei giorni di festa.
Un gran bel lavoro questo nuovo capitolo della saga del gruppo di San Francisco che si conferma un valido riferimento per gli amanti dell’epic/heavy/folk metal.

Tracklist
1. Headhunter
2. Discourse on Equality
3. The Apology
4. Being and Nothingness
5. New Organon
6. Sword of Machiavelli
7. Uncanny
8. Coming of Age in the Milky Way
9. Exegesis / Tragic Hooligan
10. The Cynic

Line-up
Mike Scalzi – Vocals / Guitar
Adrian Maestas – Bass
Angelo Tringali- Guitar
Jeff Griffin – Drums

THE LORD WEIRD SLOUGH FEG – Facebook

Thronehammer – Usurper of the Oaken Throne

L’album riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.

Un’opera straordinariamente epica ed evocativa, un lungo incedere doom/sludge che non conosce pause ma continua imperterrito nella sua marcia in direzione dell’Olimpo, mentre l’esercito avanza inesorabilmente verso la vittoria o la sconfitta e le note di questo monumentale lavoro accompagnano il passo cadenzato dei guerrieri.

I Thronehammer sono un trio che unisce musicisti provenienti da Germania e Regno Unito e dopo un demo ed uno split, insieme ai Lord Of Solitude, licenziano tramite The Church Within questo monolitico e pesantissimo primo album, intitolato Usurper of the Oaken Throne.
Sette brani per quasi ottanta minuti di musica del destino, davvero suggestiva, pesantissima ed epica al punto di sbaragliare qualsiasi gruppetto tutto scudi e spadoni.
In questo lavoro la parte evocativa ed epica del sound si amalgama perfettamente ad un potentissimo doom/sludge, spesso reso ancora più solenne da tastiere debordanti: la potenza della parte ritmica entra in contatto con un cantato evocativo che accentua l’aspetto epico/guerresco del sound in brani che per lo più superano abbondantemente i dieci minuti.
I diciassette minuti (appunto) dell’opener Behind The Wall Of Frost ci calano in un’atmosfera in cui predomina la forza evocativa di una musica che riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.
Il risultato è un lavoro pesantissimo, da affrontare con la dovuta pazienza, cercando di entrare nel mondo creato da Kat Shevil Gillham, Stuart Bootsy West e Tim Schmidt senza perdere nemmeno una nota del loro notevole lavoro.

Tracklist
1.Behind the Wall of Frost
2.Conquered and Erased
3.Warhorn
4.Svarte Skyer
5.Thronehammer
6.Usurper of the Oaken Throne

Line-up
Stuart Bootsy West – Guitars, Synthesizer
Tim Schmidt – Bass, Drums
Kat Shevil Gillham – Vocals

THRONEHAMMER – Facebook

Kull – Exile

Questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia del metal degli ultimi 25 anni, ascoltando questo album d’esordio dei Kull si troverà a pensare d’essersi imbattuto in una band clone dei Bal-Sagoth.

L’impressione sarebbe più che giustificata, se non fosse che questo gruppo ha tutti i diritti di riprendere in maniera fedele quelle sonorità epiche e magniloquenti trattandosi, di fatto, degli stessi Bal-Sagoth con un diverso vocalist al posto del declamatorio fondatore Byron Roberts.
Il perché i fratelli Maudling (accompagnati dall’altro membro storico Alistair MacLatchy e da Paul Jackson, entrato nella band dopo l’uscita dell’ultimo full length) non abbiano utilizzato il monicker originale non è dato saperlo, ma è probabile che possa avere a che fare con diritti sul suo utilizzo: fatto sta che questo Exile lo si può considerare lecitamente sia l”esordio dei Kull sia il settimo album dei Bal-Sagoth.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa, si può dire che il lavoro mantiene in pieno le caratteristiche ben conosciute da chi ama e da chi odia la storica band, per cui l’effetto divisivo resta tale e quale; quel che cambia è che Tarkan Alp è vocalist più tradizionale di Byron, nel senso che interpreta i brani con un più canonico e vario approccio da cantante black metal, optando per l’evocativo recitato utilizzato continuativamente dal predecessore solo a tratti.
Se vogliamo, questo fa pendere l’ago della bilancia a favore di quel minimo di discontinuità che conferisce ai Kull lo status di band a sé stante, anche se è è innegabile che a cavalcate come Vow of the Exiled, A Summoning to War o Aeolian Supremacy, per non parlare dell’intro strumentale Imperial Dawn, bastano poche note per svelare agli ascoltatori chi si nasconda dietro ai Kull.
Exile nel complesso appare più ruvido (persino troppo, sentendo un brano come Of Stone and Tears) rispetto alle uscite dei Bal-Sagoth del nuovo millennio, complice anche il trademark vocale di Alp e una minore predominanza della tastiere di Jonny Maudling, nonostante questo resti lo strumento che fa e disfa all’interno dell’opera; nel complesso questo rende il tutto più vicino per impatto a Starfire Burning upon the Ice-Veiled Throne of Ultima Thule che non a The Power Cosmic, cosa che a un fan della prima ora dei Bal-Sagoth come il sottoscritto non può che far piacere.
In definitiva, questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Tracklist:
01. Imperial Dawn
02. Set-Nakt-Heh
03. Vow of the Exiled
04. A Summoning to War (Dea Bellorum Invicta)
05. Horde’s Ride
06. An Ensign Consigned
07. Pax Imperialis
08. By Lucifer’s Crown (Lapis Exillis)
09. Of Stone and Tears
10. Aeolian Supremacy: Wrath of the Anemoi
11. Of Setting Suns and Rising Moons

Line-up:
Tarkan Alp – Vocals
Chris Maudling – Guitars
Jonny Maudling – Keyboards/synths
Alistair MacLatchy – Bass
Paul “Wak” Jackosn – Drums

KULL – Facebook

Amon Amarth – Berserker

Berserker è un album che guarda al passato remoto della musica che ha sempre ispirato il gruppo svedese, l’heavy metal classico, che qui è portato ad un livello epico ed estremo in grado di lasciare un segno deciso, grazie ad una raccolta di brani che nella sua prima parte trova davvero pochi ostacoli.

Gli Amon Amarth quanto prima troveranno il giusto tributo nella nostra rubrica “Dischi Fondamentali” con il loro capolavoro, Once Sent from the Golden Hall, uno degli album cardine per quanto riguarda un genere come il death metal epico e melodico che il gruppo di Johan Hegg ha contribuito a rendere popolare tra i fans del metal estremo di matrice scandinava.

Altri tempi (era il 1998) ed altra storia, ora la band svedese, all’undicesimo album in carriera, è volata a Los Angels e ha registrato il nuovo Berserker con l’aiuto di Jay Ruston (Anthrax, Stone Sour).
Berserker, album dai suoni cristallini, confezionato per fare il definitivo botto commerciale, è un lavoro che dividerà gli amanti del gruppo di Stoccolma, risultando troppo patinato per alcuni o spettacolare in ogni dettaglio per altri.
La verità non dista molto da approva la nuova fatica del combo, perché Berserker è un lavoro che, nel suo genere, è di facile ascolto, ricco di melodie heavy, epico e possente per non deludere fino in fondo gran parte dei vecchi fans,
Se vogliamo trovare un difetto, quello è nella sua sua durata di quasi un’ora, ma per il resto lasciarsi travolgere dal sound odierno creato dagli Amon Amarth è più quanto un amante del death epico e melodico possa sperare questi tempi.
In sostanza, Berserker è un album che guarda al passato remoto della musica che ha sempre ispirato il gruppo svedese, l’heavy metal classico, che qui è portato ad un livello epico ed estremo in grado di lasciare un segno deciso, grazie ad una raccolta di brani che nella sua prima parte trova davvero pochi ostacoli.
Crack The Sky, Valkyria, Raven’s Flight, The Berserker At Stamford Bridge spiccano in una raccolta di brani che farà ancora una volta scorrere il sangue per i colpi inferti dagli spadoni degli Amon Amarth.

Tracklist
01. Fafner’s Gold
02. Crack The Sky
03. Mjolner, Hammer Of Thor
04. Shield Wall
05. Valkyria
06. Raven’s Flight
07. Ironside
08. The Berserker At Stamford Bridge
09. We Can Set Our Sails
10. When Once Again
11. Wings Of Eagles
12. Into The Dark

Line-up
Johan Hegg – vocals
Olavi Mikkonen – guitar
Johan Söderberg – guitar
Ted Lundström – bass
Jocke Wallgren – drums

AMON AMARTH – Facebook

Númenor – Chronicles from the Realms Beyond

Nuova veste e due bonus track per Chronicles from the Realms Beyond, ultimo album degli epic power metallers serbi Númenor

I Númenor son un gruppo epic power metal originario di Belgrado ed attivo dal 2009.

La discografia della band serba, dopo una manciata di ep e split ha preso il volo nel 2013 con la pubblicazione del primo lavoro sulla lunga distanza intitolato Colossal Darkness, seguito da altri due lavori, Sword and Sorcery e Chronicles from the Realms Beyond del 2017.
Ciò di cui parliamo è appunto la riedizione di quest’ultimo bellissimo lavoro, che prevede due bonus track (The Hour of the King e Lords of Chaos), un nuovo libretto ed una nuova copertina creata dall’artista serbo Bob Zivkovic.
L’album vede la partecipazione della session vocalist dei Therion Sandra su due brani (Moria e Beyond the Doors of Night) e l’entrata in formazione del nuovo batterista Marko Milojevic.
Chronicles from the Realms Beyond è un ottimo esempio di metallo epico, dal taglio heavy/power in cui non manca quel tocco sinfonico e black.
Prendendo spunto dalle tematiche fantasy tanto care al genere, l’album parte con l’opener Heart Of Steel proseguendo per sentieri che portano inevitabilmente alla gloria o alla morte.
L’alternanza tra più voci, che passano tra toni evocativi ed altri tipicamente metal e scream black, rende l’ascolto ancora più vario ed interessante con i brani che passano dall’epic sinfonico di Beyond the Doors of Night, al mid tempo dal taglio black metal di Lords Of Chaos, i due punti estremi della musica dei Númenor.
Un lavoro che merita sicuramente l’attenzione degli amanti del genere, tra Blind Guardian, Brimstone e le più classiche band epic metal.

Tracklist
1. Heart of Steel
2. Carven Stone
3. Withing Hour
4. Beyond the Doors of the Night
5. Moria
6. The Hour of the King
7. Lord of Chaos
8. Over the Mountains Cold
9. The Last of the Dragonlords
10. Realms Beyond (Instrumental)

Line-up
Despot Marko Miranovic-Vocals
Srdjan Brankovic-Guitars, Bass
Mladen Gosic-Keyboards
Marko Milojevic-Drums
Zeljko Jovanovic-Second Vocals

NUMENOR – Facebook

Grand Magus – Wolf God

Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove per i Grand Magus, tanto di cappello.

Il ritorno dei Grand Magus si intitola Wolf God, atteso dai fans e dagli addetti ai lavori come una delle più importanti uscita dell’anno, almeno per quanto riguarda l’anima più epica del metal odierno.

Perché, parliamoci chiaro: il trio svedese con le sonorità doom/stoner di inizio carriera non ha più nulla a che spartire, perché la band è quanto di più heavy metal si possa trovare in giro oggigiorno, una potentissima e travolgente macchina da riff, scolpiti sulle montagne e cresciuti tra le foreste dove regna il dio lupo.
Ovvio che i mid tempo su cui è strutturato gran parte dell’album porta inevitabilmente a qualche passaggio più rallentato ed evocativo, ma i Grand Magus continuano nel loro dinamismo compositivo che ha caratterizzato l’ultimo periodo, con picchi epici che ne fanno i sovrani del genere (Dawn Of Fire).
La produzione cristallina e potente esalta le caratteristiche dei brani, ed una tracklist impeccabile rende Wolf God un’altra montagna metallica targata Grand Magus: epica, dalle linee melodiche perfettamente inserite in un contesto metallico possente, in cui la voce di Janne JB Christoffersson sembra nata per questo sound.
La virtù maggiore della proposta dei Grand Magus è proprio quella di risultare personale e riconoscibile in un genere tradizionale come l’heavy epic metal, grazie a quel tocco che viene dal passato remoto dei musicisti coinvolti (va ricordato che JB Christoffersson e Ludwig Witt hanno militato negli Spiritual Beggars).
La band svedese si conferma tra i sovrani del genere e rimane poco da scrivere davanti a brani di una forza metallica sovrumana come Wolf God, A Hall Clad In Gold, l’epica To Live and Die in Solitude e la distruttiva e motorheadiana He Sent Them All to Hel: anche Wolf God si inserisce in una discografia con pochi eguali a livello qualitativo e, considerando che siamo arrivati all’album numero nove, tanto di cappello.

Tracklist
01. Gold and Glory
02. Wolf God
03. A Hall Clad in Gold
04. Brother of the Storm
05. Dawn of Fire
06. Spear Thrower
07. To Live and Die in Solitude
08. Glory to the Brave
09. He Sent Them All to Hel
10. Untamed

Line-up
Janne JB Christoffersson – Vocals, Guitars
Mats Fox Hedén Skinner – Bass
Ludwig Witt – Drums

GRAND MAGUS – Facebook

Vultures Vengeance – The Knightlore

Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova su lunga distanza.

Anche per i romani Vultures Vengeance è arrivato il momento del debutto su lunga distanza dopo il primo demo ed un paio di ep (Where The Time Dwelt It uscito nel 2016 e Lyrids: Warning From The Reign Of The Untold pubblicato lo scorso anno) che ne avevano caratterizzato la discografia in questi primi dieci anni di attività.

Il quartetto capitanato dal leader e fondatore Tony T. Steele, impegnato in veste di chitarrista e cantante, lancia il suo grido di guerra tramite otto canzoni pregne di atmosfere epiche che si rifanno alla tradizione metallica anni ottanta, tramite un epic metal duro e puro, una manna per i defenders legati al genere.
Dimenticate quindi soluzioni care al power metal, The Knightlore ci presenta un sound ispirato dalla new wave of british heavy metal e dall’epic di Citith Ungol e Manilla Road, convincente ed orgogliosamente old school.
Fin dall’opener A Great Spark from the Dark la band ci scaraventa in un mondo parallelo, dove onore, sangue ed eroi trovano la loro ideale dimensione, raccontati per mezzo di un sound classico che non farà prigionieri tra gli amanti del genere e dei gruppi citati.
Un songwriting di livello e il gran lavoro strumentale non fanno che confermare le ottime sensazioni che avevano destato i lavori precedenti e i Vultures Vengeance ne escono alla grande anche dalla prova sulla lunga distanza, mentre le chitarre continuano a sanguinare come spade estratte dai corpi dei guerrieri nemici.
Pathfinder’s Call, la title track, la furiosa Dead Men and Blind Fates riecheggiano epiche e metalliche contribuendo a rendere The Knightlore un’opera consigliata a tutti gli amanti del genere.

Tracklist
1. A Great Spark from the Dark
2. Fates Weaver
3. Pathfinder’s Call
4. The Knightlore
5. Lord of the Key
6. Dead Men and Blind Fates
7. Eye of a Stranger
8. Chained by the Night

Line-up
Tony T. Steele – Vocals / Guitars
Matt Savage – Bass
Tony L.A. Scelzi – Guitars
Matt Serafini – Drums

Evangelist – Deus Vult

Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Il cavaliere crociato in ginocchio su un tappeto di resti umani, stanco per le decine di battaglie rende grazia al signore, ancora vivo e pronto per portare la sua parola in terre ostili.

La colonna sonora che rende viva questa immagine non può che essere un potente ed epico esempio di doom metal classico e declamatorio, notevole nelle parti in cui la chitarra si erge a protagonista di solos ispirati, mattatrice di questo ultimo lavoro della misteriosa band chiamata Evangelist.
Poche informazioni provengono dal gruppo polacco, arrivato con Deus Vult al terzo full length in dieci anni di attività, un album classico ed estremamente evocativo in cui non mancano gemme doom di elevato spessore come Memento Homo Mori, Prophecy e la conclusiva Eremitus (Keeper Of The Grail).
Siamo nel doom metal ispirato da Candlemass e Atlantean Codex, potente e ben strutturato dal duo di Cracovia che rimane nell’ombra lasciando alla musica il compito di catturare i fans del genere.
Come accennato il ruolo della chitarra solista è preponderante nell’economia dei brani, ispirata ed emozionale quanto basta perché si possa credere che sanguini come la punta della spada conficcata nel cuore degli infedeli.
Album consigliato agli amanti del doom classico, Deus Vult porta avanti la tradizione dei maestri svedesi e chiudendo gli occhi vi sarà chiara la sensazione di essere al cospetto del saio di Messiah Marcolin.

Tracklist
1.God Wills It!
2.Memento Homo Mori
3.Heavenwards
4.Prophecy
5.The Passing
6.The Leper King
7.Eremitus (Keeper of the Grail)

EVANGELIST – Facebook

Dungeon Wolf – Slavery Of Steel

Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

I tre Dungeon Wolf, capitanati dal cantante e chitarrista Deryck Heignum, provengono dalla Florida, terra tradizionalmente metallica, specialmente per quanto riguarda la parte estrema della nostra musica preferita, qui invece madre di un gruppo dedito ad un metal tradizionale tra velleità epic, qualche spunto tecnico lodevole, ma tanta approssimazione riguardo al songwriting ed alla voce del leader, che quando si affida al falsetto lascia alquanto a desiderare, un difetto non da poco in un genere nel quale l’interpretazione vocale fa la differenza.

Slavery Of Steel è composto da otto brani per una quarantina di minuti di epico metallo scolpito nella roccia, vario nelle ritmiche, tecnicamente buone, e nei solos che in alcuni casi rasentano lo shred, mettendo in risalto la bravura di Heignum con il proprio strumento, molte volte andando leggermente oltre a quello che richiede il brano.
L’album quindi non è sicuramente esente da difetti, migliorabili con il tempo, ma ad oggi purtroppo causa del poco appeal che brani comunque fortemente epici come l’opener Hidden Dreams o Worker Metal Night riescono ad avere sull’ascoltatore.
Il metal old school dei Dungeon Wolf è pervaso da una forte componente epico guerresca che ricorda Cirith Ungol e Manowar ma si presenta con un gap non indifferente già dalla buffa copertina, con un improbabile cavaliere medievale munito di spadone d’ordinanza e chitarra, ed una sbornia da far passare prima che inizi la battaglia.
Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

Tracklist
1. Hidden Dreams
2. Last Alive
3. Slavery or Steel
4. Borderlands
5. While the Gods Laugh
6. Dark Child
7. Worker Metal Might
8. Lord of Endless Night

Line-up
Deryck Heignum – Vocals/Guitar
Stan Martell – Bass
Austin Lane – Drums

DUNGEON WOLF – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Hexenklad – Spirit Of Stone

Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata.

Dal 2014 i canadesi Hexenklad macinano folk metal con forti influenze black, per un suono molto pesante ed interessante, con ottime parti melodiche.

Il Canada, con le sue immense foreste e gli ancora più grandi spazi, è la culla naturale per un gruppo folk metal, ed infatti il chitarrista Steve Grund (SIG:AR:TYR, ex-Battlesoul), fondatore del gruppo insieme al batterista Sterling Dale, ha preso la drastica decisione di vivere nelle foreste di Bancroft nell’Ontario. Componendo in quello spazio libero dal materialismo e dalla vita da città, la musica è sgorgata fuori ed è andata a comporre il debutto Spirit Of Stone. Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata. I momenti migliori del disco emergono quando le melodie si aprono e il gruppo canadese regala il meglio con canzoni che coniugano musica pesante e tastiere molto ben congegnate. La voce di Timothy Voldemars Johnston è adatta al progetto musicale del gruppo e contiene in sé un’innata epicità. I tempi del disco sono tutti giusti e non c’è nulla di forzato o di fuori contesto, ma anzi si produce un folk black epic metal di grande presa e sostanza, in una formula molto personale ed originale, dove sono presenti riferimenti a gruppi come i tedeschi Falkenbach, andando poi oltre. In definitiva, il gruppo dell’Ontario è una delle migliori cose uscite ultimamente nel panorama folk metal, anche se il loro debutto è solo del 2017, e recentemente hanno reso noto che stanno lavorando al secondo episodio di una carriera che ha tutti gli elementi per essere ottima.

Tracklist
1.In This Life or the Next
2.To Whom Veer Sinistral
3.At the Ends of Existence
4.Returned
5.At Dusk
6.In Waking Tymes
7.Path to Ruin
8.An Offering

Line-up
Michael Grund – Guitars
John Chalmers – Guitars/Engineer
Timothy Voldemars Johnston – Vocals
Clare B – Keyboards
Jon Kal – Bass
Andrew C – Drums

HEXENKLAD – Facebook

Gates Of Doom – Forvm Ivlii

Un ep di tre brani incentrato sulla storia del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black.

Epic melodic death metal molto suggestivo quello dei nostrani Gates Of Doom, quintetto ispirato dalla scena svedese, in particolare dagli Amon Amarth, anche se il gruppo friulano scaglia frecce dalle piume di diversi colori, rendendo il sound piacevolmente vario e personale il giusto per distinguersi dagli storici esponenti nord europei.

Nata nel 2012 per volere del chitarrista Manuel Scapinello e del batterista Davide Zago, la band ha subito negli anni molti cambi di line up dando vita al primo ep omonimo nel 2015e tornando, quindi, dopo tre anni con Forvm Ivlii, ep di tre brani incentrato sulla storia della nascita del Friuli in epoca romana, raccontata tramite un metal estremo epico e melodico, senza rinunciare a sfumature atmosferiche che vanno dal folk all’acustico per poi travolgerci con furiose impennate death/black degne di una tempesta di neve sulle Alpi Carniche.
Una ventina di minuti registrati, mixati e prodotti da Davide Zago, un assalto sonoro che ha nelle melodie sempre presenti l’arma in più dei Gates Of Doom, notevoli quando le due chitarre affilano le lame e affondano il colpo con cavalcate epiche che ricordano ovviamente gli Amon Amarth; perfetto l’uso della voce , con il growl e lo scream a penetrare gli scudi nemici e parti recitate ed evocative a rendere l’atmosfera ancora più epica e solenne.
Così si sviluppano i tre brani presenti, tutti molto ben strutturati e di notevole impatto: ora manca solo per la band di tuffarsi nella mischia e per poi alzare sulla cime delle montagne il primo album su lunga distanza, un passaggio naturale per entrare di prepotenza nella scena estrema nostrana per la porta principale.

Tracklist
1. Forvm Ivlii
2. Under the grey Mountains
3. Limes

Line-up
Stefano Declich – Vocals
Manuel Scapinello – Guitar
Samuele Nonino – Guitar
Vittorio Serra – Bass
Giulia Zuliani – Drums

GATES OF DOOM – Facebook

Battleroar – Codex Epicus

I Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.

Si torna a parlare di epic metal con il nuovo album dei greci Battleroar, band che ha nelle sue fila il guerriero Gerrit Mutz, inesauribile vocalist dietro al microfono dei Sacred Steel.

Il nuovo album si intitola Codex Epicus, è stato registrato ai Devasoundz Studios di Atene e vede in veste di ospite il cantante e chitarrista dei Manilla Road Mark Shelton, protagonista assoluto sulla splendida Sword Of The Flame, brano oscuro, evocativo e picco qualitativo di questo ultimo lavoro.
Il quinto album nella storia del gruppo non si discosta più di tanto dai suoi predecessori, i Battleroar sanno maneggiare la materia con sagacia e Codex Epicus non delude le aspettative dei fans dell’epic metal con una serie di brani in linea con le caratteristiche peculiari del genere.
Più ruvido rispetto a Blood Of The Legends, precedente album che aveva nel violino di Alex Papadiamntis l’arma in più per rendere ancora più malinconico ed evocativo il sound, Codex Epicus è un ottimo album che possiede tutti i crismi per non deludere i tanti epic metallers sparsi per il mondo, in attesa che la battaglia abbia inizio tra gesta eroiche e gloria perenne.
I brani lenti, epici ed evocativi sono i più gettonati dalla macchina metallica Battleroar, e The Doom Of Medusa è l’altra perla di questo lavoro, con un Mutz all’altezza della sua fama, interpretativo come forse non lo era mai stato sull’album precedente.
Il corno saluta la marcia degli eroi in Palace Of The Martyrs, mentre il crescendo di Enchanting Threnody, epica cavalcata heavy metal, è il terzo gioiellino racchiuso in questo ottimo lavoro targato Battleroar.
Promosso a pieni voti, Codex Epicus non raggiunge i livelli del bellissimo To Death and Beyond… (2008), ma non tradisce sicuramente le attese degli amanti di queste sonorità: alzate le spade e rendete gloria ai Battleroar.

Tracklist
1. Awakening the Muse
2. We Shall Conquer
3. Sword of the Flame
4. Chronicles of Might
5. The Doom of Medusa
6. Palace of the Martyrs
7. Kings of Old
7. Enchanting Threnody
8. Stronghold (CD BONUS TRACK)

Line-up
Gerrit Mutz – Vocals
Kostas Tzortzis – Guitar
Michael Kontogiorgis – Guitar
Sverd – Bass
Greg Vlachos – Drums

BATTLEROAR – Facebook

Amorphis – Queen Of Time

Queen Of Time è l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Gli Amorphis appartengono a quel novero di gruppi che godono di uno status collocabile a metà strada tra il mainstream e l’underground, trattandosi di una band dalla storia lunga che, magari, non raccoglie consensi oceanici ma comunque in grado di attrarre un numero importante di appassionati, sovente anche al di fuori degli abituali fruitori del metal.

Quello della band finlandese è ormai un trademark consolidato, qualcosa che per qualcuno potrà anche apparire ripetitivo ma che, alla luce della qualità media dei dischi pubblicati, alla fine riduce tutti questi discorsi a semplice aria fritta.
Indubbiamente l’ingresso di un cantante versatile come Tomi Joutsen, a partire da Eclipse nel 2006, ha contribuito a stabilizzare il sound in un death melodico dai richiami epici e folk, perfettamente oliato e incapace di deludere.
Ad ogni buon conto, anche per cercare di tacitare i critici per partito preso, gli Amorphis con questo loro ultimo Queen Of Time hanno provato con un certo successo ad inserire qualche elemento nuovo nel loro sound, pur senza stravolgerlo: ne consegue, così, un lavoro vario nel quale troviamo parti di sax, aperture corali e sinfoniche, duetti con voci femminili, il tutto all’interno di brani che, in diversi chorus, rimandano ai fasti di Eclipse e Silent Waters.
Varietà nella continuità è, quindi, ciò che in sintesi propone il gruppo finnico, il quale, recuperato lo storico bassista Olli Pekka Laine (di recente protagonista anche con i suoi Barren Earth) mantiene un assetto consolidato che consente di sfornare a getto continuo riff e chorus trascinanti, di presa immediata ma non banali, sintomatici di una classe superiore alla media.
Ne scaturiscono dieci brani intensi ed orecchiabili, ruvidi e melodici nel contempo, e interpretati da uno Joutsen ineccepibile (nella speciale classifica combinata clean vocals/growl, oggi Tomi è superato forse dal solo Jon Aldarà), con il supporto di una band precisa come un orologio svizzero e gratificata da un sound di rara pulizia.
Posto che ai campioni del calcio non chiediamo di segnare solo di tacco e in rovesciata, o a quelli del ciclismo di fare le salite su una ruota, così da quelli della nostra musica mi pare lecito che si esigano solo belle canzoni e questo compito essenziale, ma certo non banale, viene assolto al meglio dagli Amorphis, in virtù di una tracklist di rara solidità, priva di punti deboli e con almeno quattro brani meravigliosi: l’opener The Bee, a suo modo un classico, Daughter of Hate, dal refrain indimenticabile all’interno di una struttura piuttosto cangiante, la superhit Amongst Stars, con il duetto tra Joutsen e la divina Anneke van Giersbergen, e la conclusiva Pyres on the Coast, traccia che non è affatto tipica per gli Amorphis, in quanto va ad intrecciare modernismi a pulsioni sinfoniche senza mai smarrire la bussola.
Concludo facendo notare che non è così scontato trovare band capaci di fornite simili prove di efficienza alla quattordicesima prova su lunga distanza, all’interno di una discografia pressoché priva di passi falsi (forse il solo Far From The Sun appare, a posteriori, più debole degli altri lavori): questo splendido Queen Of Time è, quindi, l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Tracklist:
1. The Bee
2. Message in the Amber
3. Daughter of Hate
4. The Golden Elk
5. Wrong Direction
6. Heart of the Giant
7. We Accursed
8. Grain of Sand
9. Amongst Stars
10. Pyres on the Coast

Line-up:
Tomi Joutsen – Vocals
Esa Holopainen – Guitar
Tomi Koivusaari – Guitar
Olli-Pekka Laine – Bass
Santeri Kallio – Keyboards
Jan Rechberger – Drums

AMORPHIS – Facebook

Gungnir – Ragnarök

Qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene nel quarto d’ora scarso di black epico offerto in questo ep.

I Gungnir sono una band greca votata ad un black metal in linea con l’offerta di qualità normalmente in arrivo dalla penisola ellenica.

Il gruppo è formato da un trio che, fin dal monicker prescelto e dallo stesso titolo del lavoro, dimostra d’avere le idee quanto mai chiare sul tipo di sound da perseguire, ovvero un viking black molto epico ed ispirato: questo ep d’esordio, Ragnarök, è piuttosto breve, con i suoi tre brani più intro ed outro, ma appare abbastanza esaustivo relativamente alla linea stilistica intrapresa dai Gungnir.
Our Swords for Thor, infatti, si snoda in linea con quanto fatto di recente e nel migliore dei modi dai connazionali Lloth, e questo è già di per sé un buon segnale: si tratta di una traccia intensa, epica e melodica alla quale non manca nulla per trascinare l’audience in sede live, e lo stesso si può dire tranquillamente anche per The Wanderer (forse ancora più melodica ed evocativa) e Fenrir (l’episodio più aspro del terzetto).
Del resto qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene in questo quarto d’ora scarso, esibendo i presupposti necessari per ritenere che il tutto possa riuscire anche per l’intera durata di un full length.

Tracklist:
1.Intro
2.Our Swords for Thor
3.The Wanderer
4.Fenrir
5.Outro

Line-up:
Ithonas – Vocals
Jim Havok – Bass, Guitars, Keyboards, Vocals
Yngve – Guitars, Drums, Vocals

GUNGNIR – Facebook


2016:

Xanthochroid – Of Erthe and Axen Act I

Of Erthe and Axen Act I è diverso dal suo predecessore, ma resta comunque un altro capolavoro rilasciato da questa band di un livello talmente superiore alla media da rendere persino irritante il fatto che non abbia ancora raggiunto il meritato successo planetario.

Per uno che ha considerato Blessed He with Boils uno dei dischi più belli pubblicati in questi decennio, il ritorno al full length degli Xanthohchroid è stata senza dubbio una splendida notizia che nascondeva però anche un sottile filo di inquietudine.

Infatti, il timore che questi giovani e geniali musicisti americani potessero aver smarrito la loro ispirazione in questi lunghi cinque anni era un qualcosa che ha aleggiato fastidiosamente a lungo nei miei pensieri, spazzato via fortunatamente dalle prime note di Of Erthe and Axen Act I, nelle quali persiste quella stessa e unica vena melodica e sinfonica.
Per parlare di questo nuovo parto degli Xanthohchroid è fondamentale partire dal fondo, non del disco ma delle note di presentazione: infatti i nostri, in un una postilla che in un primo tempo mi ero anche perso, raccomandano ai recensori di valutare l’album quale effettiva prima parte di un’opera che vedrà uscire la sua prosecuzione ad ottobre, e, pertanto, il fatto che il sound possa apparire molto meno orientato al metal e più al folk è motivato da un disegno complessivo che prevede un notevole rinforzo delle sonorità in Of Erthe and Axen Act II.
Tutto ciò è molto importante, perché si sarebbe corso il rischio di accreditare la band di una sterzata dal punto di vista stilistico che, invece, dovrà essere eventualmente certificata come tale solo dopo l’ascolto del lavoro di prossima uscita; detto ciò, appare evidente come quelle audaci progressioni, che fondevano la furia del black metal con orchestrazioni di stampo epico/cinematografico, in Act I siano ridotte all’osso, lasciando spazio ad una componente folk e acustica dal livello che, comunque, resta una chimera per la quasi totalità di chiunque provi a cimentarvisi.
Infatti, i brani che riportano in maniera più marcata ai suoni di Blessed He with Boils sono una minoranza, rappresentata essenzialmente da To Higher Climes Where Few Might Stand, The Sound Which Has No Name, e parzialmente, The Sound of Hunger Rises, laddove si ritrova intatta quella potenza di fuoco drammatica e melodica che rende gli Xanthochroid immediatamente riconoscibili in virtù di una peculiarità che non può essere in alcun modo negata; per il resto, Of Erthe and Axen Act I si muove lungo i solchi di un folk sempre intriso di una malinconia palpabile e guidato dall’intreccio delle bellissime voci di Sam Meador (anche chitarra acustica e tastiere), della moglie Ali (importante novità rispetto al passato) e di Matthew Earl (batteria e flauto).
Detto così sembra può sembrare che questo disco sia di livello inferiore al precedente ma cosi non è: anche nella sua versione più pacata e di ampio respiro la musica degli Xanthochroid mantiene la stessa magia e, anzi, potrebbe persino attrarre nuovi e meritati consensi, rivelandosi per certi versi meno impegnativa da assimilare; quel che è certa ed immutabile è la maturità compositiva raggiunta da una band che si muove ad altezze consentite solo a pochi eletti, andando a surclassare per ispirazione persino quelli che potevano essere considerati inizialmente degli ideali punti di riferimento come gli Wintersun.
Of Erthe and Axen continua a raccontare le vicende che si susseguono in Etymos, mondo parallelo creato da Meador e che nel notevole booklet è illustrato con dovizia di particolari, con tanto di cartina geografica: la storia narrata in questo caso è un prequel rispetto a Blessed He with Boils, ma questi sono particolari, sebbene importanti, destinati a restare in secondo piano rispetto al superlativo aspetto musicale
La formazione odierna ridotta a quattro elementi (assieme ai tre c’è anche Brent Vallefuoco, che si occupa delle parti di chitarra elettrica infarcendo l’album di magnifici assoli) risulta un perfetto condensato di talento e creatività che trova sbocco sia nei già citati episodi più robusti, sia nelle perle acustiche rappresentate da To Lost and Ancient Gardens, In Deep and Wooded Forests of My Youth (per la quale è stato girato dallo stesso Vallefuoco un bellissimo video) e la stupefacente The Sound of a Glinting Blade, che vive di un crescendo emotivo e vocale destinato a confluire nel furente incipit sinfonico della conclusiva The Sound Which Has No Name, andando a creare uno dei passaggi più impressionanti del lavoro.
Se a un primo ascolto l’apparente tranquillità che pervade il sound poteva aver lasciato un minimo di perplessità, il ripetersi dei passaggi nel lettore conferma ampiamente che il valore degli Xanthochroid non è andato affatto disperso, anzi: Of Erthe and Axen Act I è diverso dal suo predecessore, ma resta comunque un altro capolavoro rilasciato da questa band di un livello talmente superiore alla media da rendere persino irritante il fatto che non abbia ancora raggiunto il meritato successo planetario.
Al riguardo, è auspicabile che l’uscita ravvicinata delle due parti di Of Erthe and Axen possa consentire di mantenere viva per più tempo l’attenzione sugli Xanthohchroid, rimediando a questa evidente stortura.

Tracklist:
01. Open The Gates O Forest Keeper
02. To Lost and Ancient Gardens
03. To Higher Climes Where Few Might Stand
04. To Souls Distant and Dreaming
05. In Deep and Wooded Forests of My Youth
06. The Sound of Hunger Rises
07. The Sound of a Glinting Blade
08. The Sound Which Has No Name

Line-up:
Sam Meador – Vocals, Keyboards, Guitars (acoustic)
Matthew Earl – Drums, Flute, Vocals (backing)
Brent Vallefuoco – Guitars (lead), Vocals
Ali Meador – Vocals

XANTHOCHROID – Facebook

Holy Shire – Midgard

Interessante debutto per i lombardi Holy Shire,che si allontanano dai soliti clichè symphonic per un album folk/epic metal d’autore.

Interessante debutto sulla lunga distanza per i milanesi Holy Shire, freschi di firma con Bakerteam e autori di un album che di questi tempi riesce ad essere originale, allontanandosi dai soliti clichè power, gothic e symphonic cari a molte band della scena, mostrando un approccio più ottantiano, meno pomposo ma altrettanto riuscito.

Fondato nel 2009, con all’attivo un demo ed un Ep (“Pegasus” – 2011), il gruppo è composto da ben otto elementi; Midgard, che si rifà per la maggior parte, a livello di tematiche, alla saga “Il trono di spade”, opera Fantasy di George R.R Martin, è un’opera prima affascinante e molto raffinata. Di non semplice lettura, il lavoro come detto è spogliato da tutti quegli elementi che caratterizzano le classiche opere che tanto vanno di moda in questi tempi, qui l’heavy metal dalla forte epicità è levigato da una spiccata connotazione folk cantautorale e da tanto Rock; i suoni, mai troppo magniloquenti nelle orchestrazioni, rendono il disco sognante, maturo nel saper trasmettere le atmosfere senza forzare la mano, arrivando all’ascoltatore in modo genuino. Gli Holy Shire sanno anche essere incisivi, infatti chitarre metalliche e ritmiche più heavy sono protagoniste in brani potenti ed epici come l’opener Bewitched, The Revenge of The Shadow e Holy War, mentre il flauto e le tastiere ricamano melodie che si fanno a tratti incantevoli nelle magnifiche Winter Is Coming e Holy Shire. Buone le voci delle vocalist e di spessore le prove dei musicisti, in particolare quella di Ale che coinvolge con il suono del suo flauto, strumento protagonista indiscusso di tutto il lavoro e che, a tratti, riprende sonorità provenienti direttamente dagli anni ’70 (Jethro Tull). È indubbio che l’epic metal ottantiano faccia parte del background della band, così come penso siano ascolti abituali per il gruppo quelli di cantanti folk come Loreena McKennitt, elemento che contribuisce a fornire quel tocco di originalità rendendo quello che poteva essere un “semplice” album metal un lavoro d’autore. Complimenti alla band, quindi, così come alla Bakerteam per aver dato fiducia ad un gruppo dalle sonorità leggermente fuori dagli schemi abituali. Senza ombra di dubbio, buona la prima.

Tracklist:
1. Bewitched (My Words Are Power)
2. Winter Is Coming
3. Gift of Death
4. Overlord of Fire
5. Holy Shire
6. The Revenge of the Shadow
7. Beyond
8. Holy War
9. Midgard

Line-up:
theMaxx – Drums
Reverend Jack – Keyboards
Aeon – Vocals (lead)
Ale – Flute
Andrew Moon – Guitars (lead)
Ed Gibson – Guitars (rhythm)
Piero Chiefa – Bass
Sisiki – Vocals (choirs)

HOLI SHIRE – Facebook