Druknroll – Unbalanced

Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.

Vi avevamo parlato dei Druknroll lo scorso anno, in occasione dell’uscita dell’ep Bad Math, mini album di tre brani che seguiva un cospicua discografia composta da una manciata di full length ed altrettanti lavori minori sparsi in una dozzina d’anni.

Il progetto, nato come one man band del musicista russo che gli dà il nome, licenzia tramite Metal Scrap Unbalanced, album che conferma le notevoli potenzialità di quella che ad oggi risulta una band a tutti gli effetti con Drunknroll ad occuparsi di chitarra, basso tastiere e batteria, il singer Horror, Knip alle prese con chitarra, batterie e diavolerie elettroniche e Denys Malyuga alla chitarra solista.
Il gruppo, dal sound particolare, ci investe con una serie di brani personali e vari, estremi e melodici, moderni e dalle sfumature industriali su tappeti di ritmiche thrash violentissime, alternate a melodie di estrazione melodic death.
Ne esce un album sicuramente originale e progressivo, composto da dieci brani, compresi i tre che formavano il precedente ep in cui thrash metal moderno di scuola Strapping Young Lad, Voivod, industrial (Ministry) e melodic death metal (Soilwork) si uniscono per travolgere l’ascoltatore con una cascata di note a formare brani fuori dai soliti schemi, con l’arma in più chiamata Horror alla voce (perfetto in ogni passaggio e vario nella sua interpretazione così come il sound) ed un songwriting ispirato.
Non ci si riposa, il gruppo tiene l’ascoltatore in tensione passando da un genere all’altro o riuscendo ad amalgamare influenze ed ispirazioni in un solo sound per formare brani devastanti, potentissimi e pregni di cambi di tempo e varianti progressive.
Oltre al trio di canzoni presenti in Bad Math (Bad Math, On The Hook e The Heroes of the War), la title track, Philosophy Of Life e Mirror vi lasceranno senza fiato, originali ed estreme composizioni all’interno di un lavoro straordinario.
I Druknroll meriterebbero sicuramente più attenzione, la loro proposta risulta personalissima, amalgamando generi ed influenze all’apparenza lontane ma perfettamente unite nel puzzle musicale di Unbalanced.

Tracklist
1. Hundred
2. Unbalanced
3. Bad Math
4. It’s Not My Way
5. Philosophy of Life
6. On the Hook
7. Eternal Confrontation
8. Mirror
9. The Heroes of the War
10. Dark Matter

Line-up
Druknroll – guitars, bass, keys, drums
Horror – vocal
Knip – guitar, sound effects,drums
Denys Malyuga – solo-guitar

DRUKNROLL – Facebook

Nergard – Memorial For A Wish

Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Memorial For A Wish uscì nel 2013 e fu ennesima metal opera in un periodo in cui album di questo genere spuntavano come funghi dopo le piogge di fine agosto.

Andreas Nergård, musicista e compositore norvegese, ha ripreso in mano l’opera riscrivendo e ri-registrando la maggior parte delle tracce, e tramite la Battlegod Productions ne licenzia questa nuova versione.
Memorial For A Wish racconta tramite un raffinato esempio di power metal progressivo ed altamente melodico del giovane Peter O’Donnel che, nella Dublino del 1890, viene ingiustamente condannato a vent’anni di prigione lasciando la moglie incinta che morirà di parto durante la prigionia.
Come in tutte le metal opere che si rispettino anche Nergard si circonda di ospiti, specialmente per quanto riguarda il canto, con una serie di singer di cui la metà fanno parte della crema del metal classico internazionale come Ralph Scheepers, Michele Luppi, Nils K. Rue dei Pagan’s Mind, Goran Edman, Mike Vescera e Tony Mills.
Power metal, sprazzi di hard rock melodico e progressive sono gli ingredienti per esaltare il sound di cui è composto Memorial For A Wish e le sue nove composizioni che, se non raggiungono le vette di opere più famose come quelle dei vari Avantasia, Ayreon, Trans Siberian Orchestra e Genius (ma potrei citarne all’infinito), non manca di momenti atmosfericamente intensi e drammatici, raccontati con un metal che, anche nei momenti più duri, non manca di un tocco raffinato valorizzato da bellissimi duetti tra gli assi dietro al microfono.
Ottimo il lavoro sui solos chitarristici, affidato a Helge Engelke dei Fair Warning e Stig Nergard dei Tellus Requiem, e di buona qualità il songwriting che lascia trasparire qualche ingenuità ma che tiene botta per quasi un’ora di melodie e graffianti momenti heavy.
Se cinque anni fa non vi siete imbattuti in Andreas Nergård e la sua opera, questa riedizione vi permette di rimediare e fare la conoscenza di un ottimo album.

Tracklist
CD 1: “Memorial for a Wish” 2018 version
1. Angels
2. The Haunted
3. Hell On Earth
4. Stay
5. A Question Of God
6. An Everlasting Dreamscape
7. Nightfall
8. Requiem
9. Inside Memories

CD 2: “Memorial for a Wish” 2013 version
1. Twenty Years In Hell
2. A Question Of God
3. Is This Our Last Goodbye
4. Hell On Earth
5. An Everlasting Dreamscape
6. Nightfall
7. Angels
8. Requiem

Line-up
Andreas Nergård – Composer, Drums, Bass, Keyboards
Age Sten Nilsen – Vocals
Ralf Scheepers – Vocals
Goran Edman – Vocals
Mike Vescera – Vocals
Nils K. Rue – Vocals
Michele Luppi – Vocals
Andi Kravljaca – Vocals
David Reece – Vocals
Tony Mills – Vocals
Ole Martin Moe Thornes – Vocals
Sunniva Unsgard – Vocals
Helge Engelke – Guitar Solos
Stig Nergard – Guitar Solos

NERGARD – Facebook

Wandering Vagrant – Get Lost

Gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.

Gli Wandering Vagrant sono una band nata per volere del musicista umbro Alessandro Rizzuto, il cui intento dichiarato è quello di offrire agli ascoltatori una forma di progressive coinvolgente e sfrondato da tecnicismi.

Con questo album d’esordio intitolato Get Lost l’obiettivo sembrerebbe ampiamente raggiunto perché, pur non rinunciando alle caratteristiche tipiche di un sound che per sua natura è instabile e cangiante, gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.
Intanto appare riuscito il connubio tra la voce maschile di Rizzuto e quella femminile fornita dalla tastierista Francesca Trampolini, le quali si completano naturalmente in diversi frangenti, mentre il lavoro strumentale è altrettanto efficace e ben focalizzato alla resa della forma canzone, anche nei momenti in cui la band lascia sfogare comunque le proprie capacità tecniche; è emblematico, in tal senso, un brano come l’opener Human Being As Me, nel quale la ruvidità e la ritmica incisiva del prog metal va di pari passo con brillanti intuizioni melodiche, andando ad anticipare temi e strutture che si ripeteranno con puntualità pari alla freschezza nel corso dell’intero lavoro.
Il successivo lungo brano, The Hourglass, alza ancor di più il tiro, mettendo sul piatto tutto il background musicale del leader, il cui frutto è un’esibizione di progressive dall’animo antico ma rivestito di modernità nella misura necessaria per non snaturarne l’identità: se ci deve essere un’influenza più evidente di altre, personalmente vi ritrovo quella dei migliori Porcupine Tree, ovvero, per quanto mi riguarda, quelli più vigorosi e meno stucchevoli di In Absentia, ma tale accenno non deve rivelarsi fuorviante perché, come detto, Get Lost possiede una sua identità, per quanto sia possibile esprimerla in un genere che tra miriadi di rivoli e variazioni sul tema entra nelle nostre case da oltre mezzo secolo.
Così il prog metal di matrice statunitense di Struggle non stona affatto a fianco della delicatezza acustica di Forgotten o del caleidoscopico ed inquieto incedere delle due parti della title track, per finire con il notevole crescendo screziato di elettronica del conclusivo strumentale Home.
Get Lost è una delle sempre più frequenti e gradite sorprese che ci riserva il panorama rock/metal undeground italiano e l’augurio agli Wandering Vagrant è quello di poter raccogliere consensi ed attenzioni che, alla luce del valore di questo loro esordio, appaiono quanti mai meritati.

Tracklist:
1.Human Being As Me
2.The Hourglass
3.Struggle
4.Forgotten
5.Get Lost, Pt. 1 (Fade Away)
6.Get Lost, Pt. 2 (The Hunger)
7.Home

Line up:
Alessandro Rizzuto – Vocals, Guitars
Christian Bastianoni – Guitars, Backing vocals
Francesca Trampolini – Keyboards, Backing vocals
Michele Carlini – Basso
Marco Severi – Batteria

WANDERING VAGRANT – Facebook

Ostura – The Room

Gli strumenti tradizionali e classici guidano la musica verso territori inesplorati e la forza del metal, come tempeste di sabbia nel deserto, si unisce alle orchestrazioni ed alle atmosfere suggestive di cui è composto The Room per un risultato sbalorditivo, avvicinandosi alla perfetta sintesi di quanto abbiamo ascoltato in questi anni in campo sinfonico e metallico.

Certo che ci vuole del coraggio per affermare che quello che esce oggi in ambito rock/metal non sia all’altezza delle opere passate, specialmente quando ci si finge sordi e si ignorano lavori di livello altissimo come The Room, ultima fatica e capolavoro della progressive symphonic metal band libanese Ostura.

Il gruppo, formato nel 2009 ed arrivato al secondo album dopo il debutto Ashes of the Reborn, licenziato nel 2012, è formato da cinque musicisti che si fanno accompagnare in questa nuova avventura musicale da una serie di ospiti internazionali di assoluta garanzia di qualità come Arjen Anthony Lucassen, Marco Sfogli e Ozgur Abbak alla chitarra, Michael Mills alla voce, Thomas Lang alla batteria, Dan Veall al basso,  Yamane Al Hage e Jokine Solban al violino, Nobuko Miyazaki al flauto, Mohannad Nassr all’oud e Roger Smith al violoncello, ai quali si aggiungono due orchestre, la City of Prague Philharmonic Orchestra e la The Lebanese Filmscoring Ensemble.
Un mastodontico lavoro di oltre settanta minuti di musica progressiva che ingloba qualsiasi tipo di spirazione arrivi ai musicisti, dal power metal alla musica orientale, dal symphonic metal all’industrial, in un susseguirsi di sorprese pescate dal cilindro musicale del gruppo come farebbe un prestigiatore per intrattenere gli astanti, rapiti dall’eleganza dei movimenti in un clima di magia.
The Room ha un taglio cinematografico, un suono bombastico e pieno, un approccio progressivo senza assomigliare troppo ad alcuna band, ma che se vogliamo si avvicina più alle colonne sonore e per l’approccio vario ed originale alle ultime produzioni dei Pyogenesis, però in un ambito molto più sinfonico.
Gli strumenti tradizionali e classici guidano la musica verso territori inesplorati e la forza del metal, come tempeste di sabbia nel deserto, si unisce alle orchestrazioni ed alle atmosfere suggestive di cui è composto The Room per un risultato sbalorditivo, avvicinandosi alla perfetta sintesi di quanto abbiamo ascoltato in questi anni in campo sinfonico e metallico.
Le sfumature prese dalla musica tradizionale e gli elementi progressivi aggiungono ulteriore poesia ed atmosfere suggestive a momenti di una bellezza straordinaria, come i dodici minuti di Duality o le trame classiche di Let There Be o della spettacolare The Sourge.
Cori epici, sontuose parti orchestrali, metal tra forza power e ricami progressivi, musica elettronica e folk, in questo lavoro c’è di tutto e di più, perfettamente plasmato in un unico sound, e per quanto mi riguarda sarà difficile fare meglio nel genere per quest’anno.

Tracklist
1.The Room
2.Escape
3.Beyond (The New World)
4.Let There Be
5.Erosion
6.Only One
7.Mourning Light
8.Deathless
9.Darker Shade of Black
10.The Surge
11.Duality
12.Exit the Room?

Line-up
Elia Monsef – Vocals, Production, Media
Danny Bou-Maroun – Keyboards, Orchestration, Production
Youmna Jreissati – Vocals
Alain Ibrahim – Guitars
Alex Abi Chaker – Drums (Live)

OSTURA – Facebook

Tesseract – Sonder

Il nuovo album Sonder riappacifica in parte i Tesseract con i loro detrattori, farà sicuramente storcere il naso ai vecchi fans, ma è indubbio che la strada intrapresa sia quella giusta, almeno dal punto di vista commerciale.

Tornano i Tesseract, una delle più famose progressive metal band odierne, tacciati di tanta tecnica e poche emozioni nei primi lavori che avvicinavano il gruppo inglese al djent, tanto da essere definiti tra i precursori del genere.

Da Polaris in poi le cose sono leggermente cambiate: il ritorno dietro al microfono del singer Daniel Tompkins è coinciso con un importante ammorbidimento del sound, non più mero esercizio tecnico di scuola moderna .
Il nuovo album riappacifica in parte i Tesseract con i loro detrattori, farà sicuramente storcere il naso ai vecchi fans, ma è indubbio che la strada intrapresa sia quella giusta, almeno dal punto di vista commerciale.
Sonder, parola proveniente dal Dizionario Dei Dolori Oscuri di John Koenig e usata come titolo dai Tesseract, accentua l’atmosfera intellettuale della proposta dei gruppo, che dall’opener Luminary in poi ci fa partecipe di un viaggio nello spazio alla ricerca di un senso alle nostre esistenze per poi ritrovarci dentro il nostro corpo, anime imprigionate e sole, i cui confini sono delimitati dalla nostra pelle.
Tutto questo affannarsi in tale ricerca porta ad un sound molto melodico, solo in parte spazzato da tempeste di tecnico metallo moderno per poi ritornare in un mood pinkfloydiano neanche troppo originale, in verità.
Tutto è perfetto, pure troppo, e se la fredda lucidità con cui il gruppo ci concede queste nuove otto tracce, non è nulla in confronto ai primi sopravvalutati lavori, il disco si rivela piuttosto lontano (se si parla di metal progressivo) dai capolavori dei gruppi scandinavi, in qualche modo legati al metal estremo di matrice death/black.
Sonder resta comunque un buon album e le varie King, Beneath My Skin e Mirror Image sono brani che non conoscono imperfezioni, riuscendo a dare agli amanti dei Tesseract, specialmente dopo il precedente album, quello che speravano di sentire da un nuovo lavoro firmato dal gruppo inglese.

Tracklist
01.Luminary
02.King
03.Orbital
04.Juno
05.Beneath My Skin
06.Mirror Image
07.Smile
08.The Arrow

Line-up
Acle Kahney – Guitar
James Monteith – Guitar
Jay Postones – Drums
Daniel Tompkins – Vocals
Amos Williams – Bass

TESSERACT – Facebook

Ancient Oak Consort – Hate War Love

Hate War Love è un’elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal.

Odio – guerra – amore: Sicilia 1943, l’amore come unica arma contro l’odio che porta alla guerra e alla distruzione, anche dell’animo umano.

Da questi drammatici temi nasce il concept album degli Ancient Oak Consort, band capitanata dal chitarrista classico Andrea Vaccarella , attiva da più di vent’anni ma con solo un paio di opere alle spalle: Ancient Oak, licenziata nel 1997, e The Acoustic Resonance of Soul, uscita nel 2006, dodici anni prima che questa nuova opera vedesse la luce, con il gruppo che, oltre al compositore e chitarrist,a vede al microfono Giulia Stefani (Ravenscry) e alla batteria Stefano Ruscica, più un nutrito numero di special guests come Roberto Tiranti (Labyrinth), Mathias Blad (Falconer), Francesco “Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) alla voce, Cosimo Tranchino, Dario Giannì, Filippo Di PietroBasso al basso e Alexandra Butnaru al violino.
Elegante opera che unisce rock, musica da camera, ispirazioni folk mediterranee e prog metal, Hate War Love è una maestosa creatura musicale formata da diciassette brani, dai quali veniamo accompagnati tra le terre bruciate dal sole della Sicilia dalla splendida e particolare voce della Stefani, seguendo il corso fluido delle note, quelle grintose del metal progressivo, oppure creatrici di atmosfere classiche, o ancora ispirate alla musica popolare, suonata da centinaia di anni sulle rive che si affacciano nel Mediterraneo.
Gli ospiti danno il loro contributo, ma al microfono la scena è tutta per la cantante, dalla timbrica suadente che non ha nulla delle cantanti pompose che tanto vanno di moda oggi nel metal sinfonico.
I brani classici sono quelli che più donano quel tocco di originalità all’opera, lasciando le sicure strade sinfoniche e mettendo in risalto la chitarra classica e le eleganti armonie di violino, viola e violoncello.
Album da ascoltare nella sua interezza, sensibile alla raffinata musicalità degli strumenti classici, Hate War Love esprime un susseguirsi di emozioni che odio, guerra ed il loro naturale antidoto (l’amore) regalano dall’inizio dei tempi.

Tracklist
1.Walking (Barcarola)
2.Eternal Clash
3.Love Theme (Piano)
4.By the Sea
5.Diario di bordo
6.The Heaven’s Lie
7.Sweetly (Ninna nanna)
8.Men Fighting for Men
9.Love Theme (Dialogue)
10.Barcarola
11.The Race
12.Will You Remember Me?
13.The Letter
14.Epilogue
15.Sick Dream
16.Love Theme (Guitar Version)
17.Ninna nanna

Line-up
Andrea Vaccarella – Guitars
Giulia Stefani – Voice
Stefano Ruscica – Drums

Guests:
Roberto Tiranti (Labyrinth) – Voice
Mathias Blad (Falconer) – Voice
Francesco “ Frank” Marino (Union Radio – J. Macaluso band) – Voice
Cosimo Tranchino – Bass
Dario Giannì – Bass
Filippo Di Pietro – Bass
Alexandra Butnaru – Violin, Viola

ANCIENT OAK CONSORT – Facebook

Heptaedium – The Great Herald Of Misery

The Great Herald Of Misery e un’opera di buona caratura ma se non si ha familiarità con il djent/glitch più estremo si può rivelare di digestione piuttosto complicata.

Quarto lavoro a distanza piuttosto ravvicinata dal precedente per gli Heptaedium, creatura del musicista francese Florent Lambert, il quale si occupa di tutta la parte strumentale lasciando l’onere della parte cantata a Mickaël Ratinaud

La materia sonora di cui si compone The Great Herald Of Misery è un djent che lascia ben pochi spazi a variazioni sul tema, puntando su un impatto rabbioso e privo per lo più di aperture melodiche. Anche nei momenti più rilassati infatti, non vengono mai meno le vocals abrasive di Ratinaud, facendo sì che, alla fine, il disco assuma una sua sembianza monolitica, apprezzabile ma solo se assunta in dosi ragionevoli.
L’idea di metal tecnico propugnata da Lambert si abbatte impietosa sulle nostre orecchie e, inevitabilmente, a lungo andare una certa ripetitività degli schemi può seriamente rischiare di tediare chi il genere non ce la l’ha nelle proprie corde.
Il musicista parigino sa fare molto bene anche altro, come dimostra l’ambient evoluta di Trapped In A Gravitational Abyss e, mai come in questo caso, le pulsioni sperimentali si rivelano fondamentali per offrire un minimo di respiro e di alternativa ad un sound micidiale quanto tetragono.
The Great Herald Of Misery e un’opera di buona caratura ma, come detto, se non si ha familiarità con il djent/glitch più estremo si può rivelare di digestione piuttosto complicata.

Tracklist:
1. Now 2. Watch Me Break The Neck Of The Hypocrites 3. Spill Torrents Of Carcass On The Ground And Piss On Them 4. Till The Seventh Snake Eat Their Empty Shell 5. I’m A Symmetric Mass Of Hate 6. Trapped In A Gravitational Abyss 7. I’m The Great Herald Of Misery

Tracklist:
1.Now
2.Watch Me Break The Neck Of The Hypocrites
3.Spill Torrents Of Carcass On The Ground And Piss On Them
4.Till The Seventh Snake Eat Their Empty Shell
5.I’m A Symmetric Mass Of Hat
6.Trapped In A Gravitational Abyss
7.I’m The Great Herald Of Misery

Line up:
Florent Lambert: All instruments, music
Mickaël Ratinaud: Vocals

HEPTAEDIUM – Facebook

2018

Hertz Kankarok – Make Madder Music

Hertz Kankarok conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili.

Dopo un ep sorprendente come Livores, datato 2015, ritorna Hertz Kankarok con la sua proposta trasversale, inquieta e lontana dalla banalità.

Il musicista siciliano conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili, in quanto anche quando può sembrare che siano le ritmiche nervose del djent a prendere il sopravvento, in realtà troviamo sempre una linea melodica ben definita a guidarci nel labirinto musicale ideato da Hertz Kankarok, il quale, come nel precedente lavoro, si dedica esclusivamente ad una versatile interpretazione vocale lasciano ad Andrea Cavallaro (nei primi tre brani) e a Dario Laletta (nel quarto) l’onere di occuparsi dell’intera parte strumentale e degli arrangiamenti.
Per quanto anomali, questi connubi funzionano a meraviglia e questo nuovo ep si dimostra l’ulteriore sviluppo di un sound che era già apparso ampiamente evoluto in Livores: forse nel complesso la struttura dei brani è leggermente più arcigna, ma i cambi di scenario, talvolta repentini, che fanno approdare il sound su lidi molto più ariosi ed atmosferici, avvengono sempre con magistrale fluidità.
Nei quattro brani che vanno a comporre questo ep non c’è un solo momento di stasi, con i suoni che si rivelano ottimali sia quando al proscenio salgono riff secchi e taglienti sia quando il tutto assume connotati più melodici od evocativi.
Del resto, ascoltando più volte Make Madder Music, mi sono reso conto di quanto sia complesso provare a descrivere i brani, anche per la difficoltà oggettiva nell’individuare un termine di paragone o di ispirazione ben definita: volendo esemplificare al massimo, nel corso del lavoro di volta in volta si manifestano richiami che vanno  da Meshuggah a King Crimson, dai Nevermore ai Tiamat, dai Nine Inch Nails per giungere perfino ai Devil Doll, ma sono citazioni del tutto soggettive e che i,n quanto tali lasciano il tempo che trovano. Ma la cosa che maggiormente conta è il consuntivo finale, rappresentato in questo caso da un lavoro che convince e, in più di un passaggio, entusiasma, passando dalle nervose ruvidezze di una Cargo Cult alla stupefacente solennità del capolavoro Who Is Next, e con le irrequiete Deceive Yourself! e The Great Whirlpool (la cui seconda metà rappresenta la chiusura ideale per qualsiasi disco) a mostrare la capacità di cambiare veste in maniera vorticosa senza soluzione di continuità come i migliori dei trasformisti.
Hertz Kankarok per lavoro ha viaggiato molto ed ha vissuto in diversi paesi, anche extraeuropei: questa sua indole cosmopolita influisce nel suo percorso compositivo non tanto in maniera diretta, perché nella sua musica le pulsioni etniche appaiono ma non in maniera preponderante, quanto nella naturalezza con la quale i vari impulsi vengono assimilati e poi trasformati in sonorità che, pur non offrendo uno stabile punto di riferimento, non appaiono mai dispersive od ancor peggio ridondanti.
Tutto questo consente di affermare, senza tema di smentita, che questo musicista atipico è stato nuovamente in grado di offrire, a distanza di qualche anno, un’ulteriore testimonianza di una sound innovativo e progressivo nel senso più autentico del termine, con il decisivo valore aggiunto di una scrittura ficcante e sempre ben lontana da una sterile esibizione di tecnica, nonostante la possibilità di avvalersi di due compagni d’avventura di eccezionale bravura come Cavallaro e Laletta.
Resta solo da ottenere, per Hertz Kankarok, la consacrazione a questi livelli con un full length, auspicabilmente con l’aiuto decisivo di una label capace di promuoverne a dovere la musica.

Tracklist:
1. Deceive Yourself!
2. Cargo Cult
3. Who Is Next?
4. The Great Whirlpool

Line-up:
Hertz Kankarok – Vocals
Andrea Cavallaro – Guitars, bass, Synths on 1.2.3.
Dario Laletta – Guitars, bass, Synths on 4.

HERTZ KANKAROK – Facebook

Chronosfear – Chronosfear

Un power metal spontaneo, con un tocco moderno di prog che riesce a non sconfinare nel virtuosismo.

I Chronosfear si presentano al mondo con un album omonimo, un biglietto da visita per chi ancora non avesse capito con chi si ha a che fare.

Sì, perché ci sono dei pezzi da 90 dello scenario metal del nord Italia. La band, composta da 5 elementi, è nata nel 2003 con un altro nome e con l’intenzione di proporre cover rivisitate. Solo tra il 2015 e il 2016 completa la formazione con gli attuali elementi e sforna questo condensato di power metal con l’aggiunta di una sana nota di prog firmato Underground Symphony Records (che ha lavorato con gente del calibro di Labyrinth e Fabio Lione)
La formazione con una sola chitarra è del tutto uguale a quella dei Sonata Arctica, eccezion fatta per la virtuosa keytar di Klingenberg che però, di fatto, è uno dei pregi di questo album. Il virtuosismo dei singoli è infatti sempre controllato, malgrado il genere sia presti molto e ci abbia sempre abituato agli assoli di 5 minuti con tanto di botta e risposta continui tra chitarre e tastiere,-ma  i Chronosfear riescono a non eccedere mai, anche quando potrebbero.
Il disco ci fa saltare da momenti molto carichi dell’energia tipica del power a momenti lenti ed emozionanti con una disinvoltura tale che l’ascoltatore non se ne stanca mai. Tutto questo ovviamente, si ripercuote anche sui testi. I temi ci fanno viaggiare da battaglie per l’equilibrio dell’universo a tematiche più gotiche legate alla vita ed il suo significato, fino a quello attualissimo della guerra contemporanea. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
Se siete amanti del power metal non potrete che apprezzare questo lavoro d’esordio dei Chronosfear, che li posiziona certamente in cima alla lista dei dischi in uscita tra i gruppi emergenti. L’auspicio è che possa essere il primo di una lunga serie. L’inizio è dei migliori, ma presto vorremo conoscerne il seguito.

Tracklist
01. Clockworks
02. The gates of Chronos
03. Symphonies of the dreams untold
04. The last dying ember
05. Of dust and flowers
06. Faces
07. Innocent and lost
08. The ascent
09. Time of your life
10. Revelations
11. Homeland

Line-up
Filippo Tezza – Vocals
Eddie Thespot – Guitars
Davide Baldelli – Keyboards
Xavier Rota – Bass
Michele Olmi – Drums

CHRONOSFEAR – Facebook

Novareign – Legends

I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

E’ forse iniziata una nuova era per il power metal, le battaglie non si vincono più trascinati dalle note degli eroi tedeschi o scandinavi, ormai tramontati o fermi a ricreare vecchie atmosfere.

Le nuove leve non guardano più con occhi luccicanti la seconda generazione di band che a metà degli anni novanta fecero tornare in auge i suoni classici, specialmente nella vecchia Europa, dal power teutonico dei Gamma Ray, al progressive power metal dei Symphony X, dall’epico incedere delle opere a tema storico dei grave Digger, all’eleganza compositiva dei fenomenali Angra di sua maestà Andrè Matos.
Qualche anno dopo, passato il momento d’oro, si affacciarono sul mercato band come gli inglesi Dragonforce di Hernan Li, band di maestri dello strumento che portarono all’esasperazione virtuosismo e velocità, con cascate di solos al limite dello shred.
E sono proprio i Dragonforce la band che più ha ispirato la creazione del primo lavoro dei Novareign, gruppo in arrivo dagli States che, con Legends, cerca di rubare cuori tra le fila dei defenders, ancora in un angolo a leccarsi le ferite dopo la scorpacciata di ottimi lavori usciti qualche hanno fa e che solo la reunion degli Helloween e il conseguente tour ha in parte lenito.
Legends mette la prima, accenna una sgommata e per un’ora abbondante travolge tra cascate di note e ritmiche alla velocità della luce, tra power metal diretto e scale progressive tecnicamente scintillanti.
Il problema di questo lavoro è lo stesso dei tanti album dei Dragonforce: alla lunga i brani sembrano tutti uguali, partono, si mettono sulla corsia di sorpasso e ci rimangono non scendendo di velocità, come in un virtuale viaggio lungo una strada che per centinaia di chilometri è assolutamente dritta e ci contorna dello stesso paesaggio.
I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

Tracklist
1.Call On the Storm
2.Mace of A Fist
3.Beyond the Cold
4.Heavy Heart
5.Skyline
6.To Wander the Stars
7.The Builder
8.Black As the Dead of Night
9.Legends

Line-up
David Marquez – Vocals
Danny Nobel – Guitars
Balmore Lemus – Guitars
Moises Galvez – Bass
Paul Contreras – Drums

NOVAREIGN – Facebook

Neck Of The Woods – The Passenger

I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

I canadesi Neck Of The Woods rilasciano il primo album sulla lunga distanza, questo ottimo lavoro che conferma quanto sia diventata sottile la linea che separa un certo modo di fare prog metal con il metal moderno di estrazione core.

La band, nata nel 2013 e con il classico demo di inizio carriera, seguito da un ep omonimo licenziato un paio di anni fa, con The Passenger conferma questo trend che porta i gruppi dell’ultima ondata progressiva ad amalgamare suoni introspettivi e dilatati, con frustate metalliche di estrazione core allargando i confini dei due generi.
Non sono sicuramente l’unica band che prova a suonare qualcosa di meno scontato nel panorama odierno, ma è pur vero che The Passenger, visto dai due lati contrapposti, rilascia ottime sensazioni, portando con sè atmosfere suggestive, e melanconiche in un sound estremo e valorizzato dall’ottima tecnica in possesso dei cinque musicisti.
The Passenger, fin dalle prime note dell’opener Bottom Feeder, passando per il death metal tecnico e melodico di Nailbiter e la forza espressiva della notevole You’ll Always Look the Same to Me esprime un’urgenza di arrivare all’ascoltatore senza per forza usare i soliti cliché ormai abusati nel metal moderno, ma ci investe con una serie di solos entusiasmanti, ci accarezza delicatamente, pregno com’è di sfumature melanconicamente dark e ci travolge a tratti con la furia controllata di un metalcore che ha in sé residui hardcore.
I Neck Of The Woods sono ancora lontani dal luogo in cui è nascosto il santo graal dell’originalità, ma sicuramente sono riusciti con personalità e buone idee a creare un album affascinante e per nulla scontato, tagliando il cordone ombelicale che li teneva legati al metalcore e quindi liberi di creare musica progressivamente metallica ma dall’approccio moderno.

Tracklist
1. Bottom Feeder
2. Nailbiter
3. White Coats
4. Open Water
5. You’ll Always Look the Same to Me
6. Face of the Villain
7. Drift
8. Foothills
9. Before I Rest

Line-up
Jeff Radomsky – Vocals
Dave Carr – Guitars
Travis Hein – Guitars
Jeremy Gilmartin – Drums
Jordan Kemp – Bass

NECK OF THE WOODS – Facebook

Urban Steam – Under Concrete

Colori che sfumano o che luccicano intensi, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in un’alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica e da un songwriting ispiratissimo.

Un’altra ottima realtà nata nella capitale e presentata da Red Cat sono gli Urban Steam, quartetto attivo dal 2012 e protagonista di un metal/rock alternativo dai molti spunti progressivi.

I musicisti si sono ritrovati sotto il monicker Urban Steam dopo varie esperienze in altre band, e Under Concrete risulta il riassunto della loro avventura musicale, un quadro dove ogni dettaglio è perfettamente disegnato su una tela progressiva, con colori che sfumano o luccicano di intenso spessore, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in una alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica ed un songwriting ispiratissimo.
Si parte con l’opener Storm e lentamente il motore comincia a carburare, con brani che sono piccoli gioielli di musica senza barriere, moderni nel suono ma attenti alla tradizione, vari nel tenere per il colletto l’ascoltatore con la tensione sprigionata da funamboliche parti progressive, o lasciare che l’emozione prenda il sopravvento, quando il blues ed il soul si insinuano tra i solchi del capolavoro Soul.
La title track è un brano tra Deep Purple e Rush, hard rock che la parte progressiva rende raffinato, mentre Cross The Line e City Lights tornano a far parlare la parte più sanguigna del sound degli Urban Steam, in cui la durezza del blues viene raffinata da un tocco soul per un risultato molto intrigante.
Davvero bravo ed interpretativo il singer Paolo Delle Donne, ma è il gruppo tutto che si presenta al pubblico offrendo una prestazione da manuale, aiutata da una raccolta di brani sopra la media.
Wake Up e la progressivamente metallica Years concludono Under Concrete, album che non lascia dubbi sulle doti di questa ottima band meritevole dell’attenzione di chi alla musica chiede emozioni e qualità, aldilà del genere proposto.

Tracklist
1.Storm
2.They Live
3.Soul
4.Under Concrete
5.Cross The Line
6.City Lights
7.Wake Up
8.Years

Line-up
Paolo Delle Donne – Vocals
Diego Bertocci – Drums
Federico Raimondi – Guitars
Fabrizio Sclano – Bass

URBAN STEAM – Facebook

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

Silver Linings – Our Bright Future Ahead

Il sound dei Silver Linings pesca dalla tradizione prog metal ma sa essere allo stesso modo abbastanza originale per non perdersi nel vasto mondo dei cloni: a questo punto aspettiamo la prova sulla lunga distanza, per la quale i ragazzi sembrano essere pronti.

I Silver Linings sono un quintetto proveniente da Rimini e Our Bright Future Ahead è il loro secondo lavoro, un ep di cinque brani che potete scaricare gratuitamente dalla pagina bandcamp della band, che arriva dopo l’ep Stone Eyes Look Again Seaward del 2014.

Il sound dei Silver Linings è un metal progressivo nel quale sono evidenti le influenze dei Dream Theater, in un contesto a suo modo originale, che ingloba elementi dal rock progressivo settantiano ed elettronica.
Ed è proprio la parte moderna del sound che risulta il pezzo forte della musica composta per Our Bright Future Ahead, elemento che come una tempesta magnetica di origine sconosciuta risulta disturbante all’interno di brani molto interessanti, lasciando sempre una via aperta alla sperimentazione ed alla sorpresa compositiva.
Static Breathing apre l’album con i suoi tre minuti abbondanti di piacevole musica strumentale, ma è da Confessions Of an Earthling in poi che l’anima moderna dei Silver Linings comincia a fare il bello e cattivo tempo in un sound che non dimentica la sua natura progressiva mostrando  ritmiche intricate ma non cervellotiche, mentre il cantato ricorda non poco quello del buon James La Brie.
Intro elettronica ma grinta da vendere nella graffiante The Experiment, mentre la title track si avvicina al metal prog classico per poi sfumare nelle atmosfere sci-fi della conclusiva ….Or Not!?.
Il sound dei Silver Linings pesca dalla tradizione prog metal ma sa essere allo stesso modo abbastanza originale per non perdersi nel vasto mondo dei cloni: l’ep si rivela un ottimo lavoro che fa ben sperare per una prossima prova sulla lunga distanza, per la quale i ragazzi sembrano essere pronti.

Tracklist
1.Static Breathing
2.Confessions Of An Earthling
3.The Experiment
4.Our Bright Future Ahead
5…..Our Not!?

Line-up
Stefano Minotti – Vocals, Synth
Ivan Maioli – Guitars
Francesco Minotti – Bass
Beppe “JJ” Gravina – Drums
Ugo Gorini – Keyboards

SILVER LININGS – Facebook

Barren Earth – A Complex Of Cages

Progmetal, atmosfere estreme, sfumature progressive di ispirazione settantiana, suoni dilatati che guardano verso sud, variano e accrescono questo insieme di note che dal metal prendono la forza espressiva, in un crescendo emozionale che porta ad una armonia tra le parti raramente così riuscita.

Quello che per molti sembrava un progetto nato come semplice fuga dagli Amorphis, è diventato uno dei gruppi più geniali che il “nuovo” metallo progressivo può vantare, lontano anni luce dai meri intrecci ritmici fine a sè stessi della frangia moderna tanto cara alle nuove leve e rivolto a chi dalla musica chiede sempre e comunque emozioni.

Senza cercare di mettere in competizione due realtà che risultano un patrimonio musicale infinito in arrivo dalla terra dei mille laghi, come Amorphis e Barren Earth, si può sicuramente affermare, senza essere tacciati di troppo entusiasmo, che il nuovo album del gruppo dello storico bassista Olli-Pekka Laine abbia tutte le carte in regola per essere considerato un capolavoro.
Orfani del tastierista e co-fondatore Kasper Martenson e con un Jon Aldarà ormai stabilmente dietro al microfono e protagonista con il suo talento dell’ulteriore salto verso l’olimpo del genere, con A Complex Of Cages la band raggiunge vette emozionali altissime ed una qualità compositiva straordinaria.
D’altonde, che i Barren Earth possano essere considerati alla stregua di un supergruppo non è sicuramente un’eresia, parla il curriculum vitae di cui si possono fregiare i sei musicisti, provenienti da gruppi dalle più svariate forme musicali, dagli Amorphis ai Moonsorrow, passando per i Kreator e gli Hamferð.
A Complex Of Cages quindi vive di queste ispirazioni e del talento espressivo che la band sfrutta a dovere, e non me ne vogliano i fans di band più considerate e famose se sostengo che Jon Aldarà vince per distacco contro chiunque possa posizionasi dietro ad un microfono provando ad interpretare il metal progressivo odierno: infatti, le emozioni scaturite dall’ascolto della sua voce, sommata allo stato di grazia compositivo del gruppo, portano l’ascoltatore a vivere un’esperienza d’ascolto entusiasmante.
Progmetal, atmosfere estreme, sfumature progressive di ispirazione settantiana, suoni dilatati che guardano verso sud, variano e accrescono questo insieme di note che dal metal prendono la forza espressiva, in un crescendo emozionale che porta ad una armonia tra le parti raramente così riuscita.
Al centro di questo bellissimo lavoro c’è Solitude Pith, capolavoro progressivo che ingloba tutti gli elementi di cui si fregia A Complex Of Cages, ma sarebbe perlomeno ingiusto citare un brano rispetto ad un altro, perché la moltitudine di note e colori fanno dei brani pezzi pregiati di un puzzle musicale fuori dal comune.
Citare i Barren Earth come una delle massime espressioni del metal del nuovo millennio diventa quantomeno obbligatorio dopo questo splendido ultimo album.

Tracklist
1.The Living Fortress
2.The Ruby
3.Further Down
4.Zeal
5.Scatterprey
6.Solitude Pith
7.Dysphoria
8.Spire
9.Withdrawal

Line-up
Olli-Pekka Laine – Bass, B.vocals
Marko Tarvonen – Drums
Janne Perttila – Guitars, B.vocals
Sami-Yli Sirnio – Guitars, B.vocals
Jon Aldarà – Vocals
Antti Myllynen – Keyboards

BARREN EARTH – Facebook

Hypnotheticall – Synchreality

Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni.

Con il supporto della Revalve Records tornano sul mercato discografico i vicentini Hypnotheticall, ex Whispered Lies, band attiva dall’alba del nuovo millennio con il nuovo monicker e arrivata oggi al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Il gruppo capitanato dal chitarrista Giuseppe Zaupa, fondatore ed unico membro originale rimasto in line up, suona metal progressivo, tecnicamente ineccepibile, moderno e roccioso, senza perdere di vista quei tratti melodici che ne fanno una proposta molto interessante per i molti palati abituati ai gustosi ricami che infarciscono la musica progressive.
Con due anime ben distinte amalgamate in un unico sound, Synchreality giunge ad una stretta di mano tra il metal prog di stampo classico e quello moderno: quindi, se da una parte troviamo il classico suono alla Dream Theater, e per rimanere in Italia, Eldritch, dall’altra certe scelte a livello ritmico portano ai Tesseract e alle band dei giorni nostri.
Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni, anche in un genere dalle trame intricate.
Dieri che gli Hypnotheticall ci riescono senza grossi sforzi, il sound scorre piacevolmente lasciando all’ascoltatore una manciata di brani intriganti come l’estrema Tribal Nebula, dalle accelerazioni thrash, la moderna Industrial Memories e la devastante Rumors, che torna a far male dopo le note lievi della ballad In Hatred.
Un ottimo lavoro questo Synchreality, che prende posto di diritto tra le numerose ed imperdibili uscite che il genere regala con costanza negli ultimi tempi, specialmente per quanto riguarda i gruppi battenti bandiera tricolore.

Tracklist
01. Synchronism To The Light
02. Where All The Trees Bend
03. Tribal Nebula
04. The Spell
05. Industrial Memories
06. Dreaming In Digital
07. Solstice Of Emotions
08. In Hatred
09. Rumors
10. AnalogDream Experience

Line-up
Davide Pellichero – Vocals
Giuseppe Zaupa – Lead &RhythmGuitar, Programming
Luca Capalbo – Bass
Giulio Cariolato – Drums

HYPNOTHETICALL – Facebook

Siksided – Leave No Stone Unturned

Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.

Torniamo a parlarvi di musica rock ispirata agli anni novanta, decennio importantissimo per lo sviluppo del metal/rock, da quello più estremo fino alle contaminazioni crossover generate aldilà dell’Atlantico e che fecero coppia con l’esplosione dei suoni hard rock, dal grunge all’ alternative.

Il secondo decennio del nuovo millennio si può certo considerare come la maturazione del frutto nato dall’albero piantato trent’anni fa da quei gruppi che, in un batter d’occhio, si ritrovarono sulle copertina delle riviste specializzate e con i propri in video in rotazione su MTV.
In Italia non mancano certo ottime realtà che si affacciano sul mercato underground ispirate dai grandi nomi del genere, una scena (se si può parlare di scena riguardo al metal/rock nel nostro paese) che regala proposte di valore come i Siksided, freschi di debutto sulla lunga distanza con Leave No Stone Unturned, traguardo raggiunto dopo quasi otto anni dalla nascita del gruppo con base a Trieste.
Dopo vari cambi di formazione ed un demo di cinque brani licenziato quattro anni fa, la band ci regala un’opera che dell’alternative metal attinge la forza, dal grunge l’irruente intimismo e dal progressive moderno quella nobiltà compositiva e cerebrale che avvicina il sound alle opere di Tool ed A Perfect Circle.
In effetti, come scritto nelle note di accompagnamento dell’album, Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.
Disposable Livings, Charon, Batlant Quiet, Desert e la conclusiva pinkfloydiana Defaced sono i brani più esaustivi per chi vuol conoscere il gruppo nostrano, ma tutto l’album funziona così da meritarsi una promozione a pieni voti.

Tracklist
1.Disposable livings
2.Leaf
3.Fragments
4.Meant to be
5.Charon
6.New savior
7.Blatant quiet
8.Desert
9.Defaced

Line-up
Delano – Guitar
Paolo – Drums
Jeff – Guitar
Wolly – Bass
Xander – Voice

SIKSIDED – Facebook

Divine Realm – Nordcity

Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.

Metal progressivo e strumentale quello proposto dai Divine Realm, quartetto canadese che licenzia il suo nuovo lavoro autoprodotto dal titolo Nordcity.

La band esordì nel 2013 con l’ep Mor[T]ality , seguito da un paio di full length, Abyssal Light e Tectum Argenti, rispettivamente del 2014 e del 2016, tornando sul mercato con questa ventina di minuti nel quale il talento tecnico fa bella mostra di sé, valorizzando questo piccolo assaggio delle potenzialità del gruppo, per chi ancora non lo conoscesse.
Non manca qualche difettuccio, è bene sottolinearlo, a tratti la band si specchia nel tecnicismo per perdere leggermente in fluidità, ma sono dettagli di un sound che pesca dai maestri del prog (Dream Theater) quanto dai lavori strumentali dei vari guitar heroes.
Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.
Autumn e Revival sono i momenti migliori dell’album, consigliato agli amanti dello shred e del metallo progressivo.

Tracklist
1. As the Crow Flies
2. Autumn
3. Whitewater
4. Revival
5. Hanging Valleys

Line-up
Leo Diensthuber – Lead/Rhythm Guitars
Marc Roy – Lead/Rhythm Guitars
Tyler Brayton – Bass Guitar
Josh Ingram – Drums

DIVINEREALM – Facebook

New Horizons – Inner Dislocation

I New Horizons senza atteggiarsi a fenomeni hanno scritto delle belle canzoni e si affacciano sulla scena con la consapevolezza di aver fatto un ottimo lavoro, magari non originalissimo (chi può dire di esserlo al giorno d’oggi?), ma assolutamente godibile per gli amanti del metal progressivo e melodico.

I New Horizons sono l’ennesima band italiana che si affaccia sulla scena progressivamente metallica, con il primo album licenziato dalla sempre attenta Revalve Records.

Il sestetto pisano si è formato nel 2010 e, dopo i soliti fisiologici assestamenti nella line up, arrivano alla firma con l’importante etichetta nostrana ed alla pubblicazione di questo ottimo lavoro intitolato Inner Dislocation.
Grazie al magico zampino di Simone Mularoni, dietro alla consolle nei Domination Studio, e l’ausilio di una track list di alta qualità i New Horizons sono pronti a conquistarsi un posto tra le più convincenti nuove realtà del metallo progressivo nazionale, con questo lotto di canzoni che fanno delle melodie il loro punto di forza, seguite da una buona tecnica strumentale sempre al servizio del songwriting.
I New Horizons senza atteggiarsi a fenomeni hanno scritto delle belle canzoni e si affacciano sulla scena con la consapevolezza di aver fatto un ottimo lavoro, magari non originalissimo (chi può dire di esserlo al giorno d’oggi?), ma assolutamente godibile per gli amanti del metal progressivo e melodico.
Oscar Nini è un cantante emozionale e sà donare ai brani la giusta intensità interpretativa, la sezione ritmica con Claudio Froli al basso e Federico Viviani alle pelli è un orologio diprecisione che a tratti impazzisce è ci travolge con cambi di ritmo e tempo, le due chitarre suonate con maestria da Nicola Giannini e Giacomo Froli offrono passaggi strumentali sopra le righe (Evolution) e Luca Guidi fa il bello e cattivo tempo con i tasti d’avorio, l’arma letale in possesso del gruppo.
Il cuore dell’album pulsa delle note di Evolution e della durissima Inhuman Wrath, ma è tutto il lavoro a regalare emozioni forti, seguendo le strade tracciate dai mostri sacri del genere come Dream Theater e  DGM, passando con disinvoltura dall’impronta melodica delle due parti di Borderlands al progressive animato da uno spirito fortemente metallico, in stile Symphony X, come in Where Is The End e The Trail Of Shadows.
Sta diventando una piacevole abitudine godere del metallo progressivo made In Italy, quindi, sperando che la vena aurifera non si esaurisca in fretta, è bene approfittarne.

Tracklist
1 – Introspective
2 – Inner Dislocation
3 – Where Is the End
4 – Born in the Future
5 – Inhuman Wrath
6 – Evolution
7 – Borderlands, Pt. 1
8 – Borderlands, Pt. 2
9 – The Trail of Shadows

Line-up
Oscar Nini – Vocals & Backing Vocals
Nicola Giannini – Rhythm Guitars
Giacomo Froli – Lead Guitars
Luca Guidi – Keyboards & Synth
Claudio Froli – Bass
Federico Viviani – Drums & Backing Vocals

NEW HORIZONS – Facebook