Skeleton Of God – Primordial Dominion

Immaginatevi una jam tra Cannibal Corpse, Napalm Death, Primus e Kyuss ed avrete solo un’idea del sound proposto da questa società per delinquere del metal estremo

Primordial Dominion è il secondo album dei famigerati Skeleton Of God, un trio che si aggirava nel Colorado tra il 1993 ed il 2008.

Originariamente licenziato dalla Creepo nel 2008, torna a devastare padiglioni auricolari grazie alla Everlasting Spew Records a cui bisogna fare un monumento visto l’alto potenziale del lavoro in questione.
Nati nel 1993, gli Skeleton Of God (ancora attivi), sono formati dal batterista Erik Stenflo, dal chitarrista/cantante Jeff Kahn e dal bassista Joel DiPietro, purtroppo deceduto nel 2015; la loro discografia vede il primo ep Urine Garden (1993) seguito dal primo full length Bleached in the Sun uscito l’anno dopo e che precede questo devastante ed ultimo lavoro.
Originali e completamente in balia di sostanze illegali (la copertina, atipica per il genere la dice lunga sulle abitudini del duo) i tre musicisti americani si inventano questo massacro grind/death psichedelico, dal groove micidiale, pesante e potentissimo, sorretto in gran parte da lunghe jam stonerizzate.
Guidati da un’attitudine psych e da un impatto mostruoso, valorizzato da un’ottima tecnica, gli Skeleton Of God con questo lavoro corrono per le strade dell’immortalità musicale, almeno per chi ha avuto ed avrà la fortuna di imbattersi in questo lavoro che estremizza (a modo suo) non solo l’elemento psichedelico, ma pure un genere come il death metal, ed è tutto dire.
Sfuriate di pura rabbia grind si mescolano a lascive ritmiche e sanguinarie chitarre fuzz, il growl potentissimo, sbaraglia la concorrenza con urla belluine, sfoghi violentissimi su una buona dose di rock stonerizzato nella sua massima espressione.
Un sound estremo, sconquassante ma terribilmente aperto a molteplici soluzioni stilistiche, a tratti lente ed inesorabili marce desertiche fanno da contorno alla violenza tout court che si sprigiona come l’esplosione di un vulcano.
Tentacles Gears, Introspection, la cerebrale Dark Energy, la settantiana Divinorum e la violentissima Tribunal, sono le tracce catalizzatrici di un lavoro disturbate, un trip che si trasforma in un incubo e devvsta la mente.
Immaginatevi una jam tra Cannibal Corpse, Napalm Death, Primus e Kyuss ed avrete solo un’idea del sound proposto da questa società per delinquere del metal estremo; un ascolto assolutamente consigliato, ma con molta attenzione: da questo trip potreste non tornare più.

TRACKLIST
1. Dawn of Dimension
2. Tentacle Gears
3. Introspection
4. Cerebral Vipers
5. Dark Energy
6. Spiral Domain
7. Divinorum
8. Eyeland
9. Sheperdess
10. Tribunal
11. Journey’s Twilight

LINE-UP
Joel DiPietro – Bass
Erik Stenflo – Drums
Jeff Kahn – Vocals, Guitars

SKELETON OF GOD – Facebook

Night Gaunt – Jupiter’s Fall

Recuperare il primo lavoro sarà il passo successivo all’ascolto dei due brani di questo 7″, aspettare il nuovo album la conseguenza inevitabile.

Non è poi così difficile, girando virtualmente e musicalmente per le strade della capitale, imbattersi in realtà devote alle sonorità messianiche ed oniriche del doom metal classico.

Non sono poche, infatti, le band romane incontrate in questi ultimi anni a proporre la loro personale versione di musica del destino, chiaramente ispirate a canovacci ormai consolidati da oltre quarant’anni, e d’altronde il genere lo si può contaminare, condire e rigirare ma alla fine si torna sempre lì, agli anni settanta.
Per i fans poco male, nell’underground il doom, come molti altri generi, fortunatamente trova terreno fertile, anche nel nostro paese.
I Night Gaunt, quartetto capitolino (ex Hypnos) licenziano per la label canadese Temple Of Mistery, il loro secondo lavoro, questo 7″ che segue l’esordio omonimo sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa.
I due brani, Jupiter’s Fall (ispirato ad un racconto di Edgar Allan Poe) e Penance, formano un quadro di emozioni che prende spunto dalla perdita e dal lutto a cui va incontro l’uomo.
La prima traccia risulta cupa e melodica, mentre la seconda, pesante, monolitica e rabbiosa, richiama l’emozione cruenta della negazione ed il conflitto interiore tra la consapevolezza della perdita ed il rifiuto che ne consegue.
Per quanto riguarda l’aspetto musicale i Night Gaunt non deludono, il loro doom metal si muove tra il periodo settantiano e quello successivo, il loro sound caldo ed avvolgente, oltre che ai soliti nomi (Candlemass e Sabbath) richiama soluzioni evocative e struggenti care a Penance, Solstice e Solitude Aeturnus, variando così il sound quel tanto che basta per non fossilizzarsi in un unico battito ritmico.
Gran lavoro sulla title track della sezione ritmica, mentre un monolite di potenza rallentata risulta Penance; bella e alquanto melodica la voce, mentre le sei corde si muovono tra riff pesantissimi e solos dalle melodie funeree.
Un buon 7″che ci presenta una band meritevole d’attenzione: recuperarne il primo lavoro sarà il passo successivo all’ascolto dei due brani, aspettare il nuovo album la conseguenza inevitabile.

TRACKLIST
1. Jupiter’s Fall
2. Penance

LINE-UP
Araas – Bass
Gc – Guitar, Vocals
Zenn – Guitar
Kelèvra – Drums

NIGHT GAUNT – Facebook

SwampCult – The Festival

Un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi

Un altro centro per l’ormai lanciatissima label Transcending Obscurity, che si assicura le creazioni musicali del duo estremo olandese Swampcult, combo dal concept Lovecraftiano e devoto al mito di Cthulhu.

The Festival è il loro secondo lavoro in tre anni di attività, opera che segue il primo vagito An Idol Carved of Flesh uscito due anni fa.
La band è composta da due misteriosi musicisti: A (batteria, voce e flauto) e D (chitarra, basso, piano e organo).
Musicalmente parlando The Festival si sviluppa in otto movimenti (più l’epilogo) che svariano tra il black atmosferico ed il doom, lenti andamenti dove si raccontano le vicende legate alle opere dello scrittore statunitense.
I tempi si mantengono cadenzati, l’album è interpretato più che cantato, tra narrazione e scream black ad aiutare l’atmosfera fantasy/horror che il duo crea con buon talento per sonorità davvero inquitanti.
Per gli amanti del genere l’album non manca di offrire buoni spunti con le parti doom che conferiscono al sound un’aura funerea e di autentico terrore, potenziate da chitarre sature di watt e con in sottofondo rumori di caverne dimenticate dal mondo, dove l’orrore trova la sua massima espressione.
La durata (una quarantina di minuti) facilita non poco l’ascolto per intero di The Festival, che ad un primo passaggio riesce a conquistare con una serie di brani estremi ma molto coinvolgenti.
The Festival rimane un’opera Black/Doom da ascoltare senza interruzioni per riuscire a non perdere la concentrazione sulle orrorifiche atmosfere che il duo imprime ai brani, un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi.

TRACKLIST
1. Chapter I – The Village
2. Chapter II – The Old Man
3. Chapter III – Al-Azif Necronomicon
4. Chapter IV – Procession
5. Chapter V – The Rite
6. Chapter VI – The Flight
7. Chapter VII – The Dawning
8. Chapter VIII – The Madness
9. IX – Epilogue – Betwixt Dream and Insanity

LINE-UP
A – Drums, Vocals, Flutes
D – Guitars, Bass, Piano, Organ, Narration

SWAMPCULT – Facebook

Wormreich / Diabolus Amator / Gravespawn / Vesterian – Infirmos Vocat Deus Fidei

Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei

La Symbol Of Domination, in collaborazione con Black Plague Records, ci presenta con questo split ben quattro realtà statunitensi votate al verbo maligno del black metal.

Nel più puro spirito raw ed underground, i quattro gruppi che si alternano in questa compilation mostrano il lato più distruttivo ed evil della musica satanica per antonomasia, proposte che potrebbero incuriosire i black metallers dai gusti old school (se mi fate passare il termine anche in questo genere), tradotto senza troppi fronzoli, tanta cattiveria e atmosfera da tregenda infernale.
I primi tre brani ci presentano il raw black metal del quartetto dell’Alabama Wormreich, nato nel 2009, con un full length all’attivo (Edictvm DCLXVI) ed un ep uscito un paio di anni fa (Wormcult Revelations).
Dimenticatevi l’Alabama dello storico brano dei Lynyrd Skynyrd, qui si fa black metal terremotante, fortemente influenzato dal satanismo tout court, richiamando le true black metal band dei primi anni novanta che facevano danni nel Nord Europa.
Peccato per la pessima produzione, magari anche voluta per aumentare l’aura underground e malefica che si aggira terribile tra i solchi delle songs, ma questi tre brani raggiungono con fatica la sufficienza e il gruppo viene rimandato alla prossima release.
Le cose non cambiano con la one man band Diabolus Amator, progetto del polistrumentista texano Matt Taylor, già in pista con due full length negli ultimi due anni (The Dawn of a New Flame e Despotic Conjuring of the Soulless); i tre brani presentati hanno dalla loro uno spirito brutal/grind inserito in un contesto black metal che fanno del sound un massacro senza soluzione di continuità, specialmente nella turbinosa e marcia Ravenous Fog of Winds.
La parte ritmica risulta un bombardamento brutale, le vocals si muovono tra lo scream e il growl di derivazione grindcore, il suono è poco valorizzato da una produzione sporca, ma non difetta certo di attitudine satanista ed anticristiana.
Arrivano i californiani Gravespawn e le cose migliorano di netto: ormai da considerarsi quasi un veteranoa della scena estrema dai rimandi black d’oltreoceano, il terzetto della città degli angeli propone un black metal oscuro ed epico, abbastanza vario da passare tra mid tempo epici e guerreschi a sfuriate di metallo nero come la pece.
Fondato nel 2004, il gruppo ha un full length all’attivo (Woe to the Conquered del 2012) ed una manciata di lavori minori.
Il sound porta con se quel tocco di pagan metal alla Bathory che dona un’aura mitologica ed epica alla musica del gruppo, con due brani che alzano la media di questo split più la versione live di A Red Moon Rises over Transylvania e bastano per promuovere la band incoronandola come la migliore dello split.
E siamo ai Vesterian altro storico gruppo americano, nato nel 1997 in North Carolina e trasferitosi successivamente in California,  con un full length all’attivo licenziato un paio di anni fa (Anthems for the Coming War Age) e poi una serie infinita di demo e lavori minori a comporre la loro discografia.
Il loro black metal d’ordinanza, sufficientemente supportato da una produzione accettabile e foriero di crudeltà e blasfemie varie, è valorizzato da buone trame chitarristiche.
Devoto alla scena svedese si riempie di spunti melodici nei solos che squarciano le tempeste ritmiche di cui sono pregne Black Metal Murder e Unseen Hordes Behind the Deafening Storms, song all’altezza della situazione.
Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei, ma se siete ingordi divoratori del genere dategli un ascolto, potrebbe riservarvi un paio di gradite sorprese.

TRACKLIST
1. Wormreich – Feeding the Ouroboros
2. Wormreich – To Render the Right Hand
3. Wormreich – Terra Mortuorum (Call of Nvathron)
4. Diabolus Amator – Sanity and Her Daggers Return
5. Diabolus Amator – Ravenous Fog of Winds
6. Diabolus Amator – Pregnant Virgin Whore
7. Gravespawn – Vae Victus
8. Gravespawn – Beneath the Shadowed Past
9. Gravespawn – A Red Moon Rises over Transylvania (live)
10. Vesterian – Black Metal Murder
11. Vesterian – Crushing the Mandate of God
12. Vesterian – Unseen Hordes Behind the Deafening Storms

LINE-UP
Wormreich:
Vulk – Guitars, Vocals, Bass
Profana – Drums, Percussion
Wyvern – Guitars
Tezrian – Bass
Thorgrin – Guitars

Diabolus Amator:
Matt Taylor – All instruments, Vocals

Gravespawn:
Reaver – Keyboards, Vocals, Guitars
Advorsus – Drum programming, Bass
Verigo – Bass,Guitars

Vesterian:
Hellcaster – Bass
Malevolus – Guitars
Pandemonic – Guitars
Azaghal – Guitars
Verigo – Vocals, Guitars
Abraxas – Drums
Melkrath – Drums

WORMREICH – Facebook

DIABOLUS AMATOR – Facebook

GRAVESPAWN – Facebook

VESTERIAN – Facebook

Burning Rome – The New Era Begins

Un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica

Eccola la risposta a chi afferma che di questi tempi le troppo uscite discografiche saturano il mercato, delirando con affermazioni discutibili su come nell’underground un numero così elevato di album e nuove band non fanno che abbassare il livello qualitativo e confondere i poveri recensori di turno, obbligati agli straordinari per tenere testa all’invasione musicale in atto.

La fortuna di chi spende il suo tempo libero nel supportare lo svariato ed affascinante mondo dell’underground (specialmente quello metallico) è proprio quello di trovarsi (grazie al cielo) molte volte al cospetto di gruppi sconosciuti ai più o appena formati, protagonisti di opere di grande valore artistico, insomma il succo di questo hobby/lavoro.
Così succede che al sottoscritto presentino questo nuovo progetto torinese chiamato Burning Rome e che, prima sorpresa, dietro al microfono ha Beppe Jago Careddu, singer dei dark/new metallers piemontesi Madwork, protagonisti un paio di anni fa con l’ottimo Obsolete, secondo lavoro recensito sulle pagine di Iyezine.
Licenziato dalla nostrana Underground Symphony, il debutto di questo giovane gruppo ha chiaramente nel David Draiman nostrano (così lo descrissi all’epoca di Obsolete) il suo punto di forza, anche se il gruppo risulta compatto e con ottime individualità, creatore di un sound che con le sue ispirazioni ed influenze ben in evidenza, risulta fresco, accattivante e senza sbavature da esordio.
Una qualità non da poco, infatti The New Era Begins è curato in tutti i dettagli, compresa una personalissima copertina (con tanto di gorilla guerriero probabilmente ispirato al Pianeta Delle Scimmie), un’ottima produzione ed un gran lavoro in fase di arrangiamento.
Siamo nell’alternative metal o nu, come preferite, chiaramente ispirato alla scena statunitense, spogliato dalle sonorità dark dei Madwork (tanto per non cadere in equivoci) e molto più diretto.
Tanto groove, ritmiche pesanti come incudini ma mai portate al limite, ritornelli curati e vincenti, un’ottima prova generale con il singer che anche questa volta si rende protagonista di una prova intensa, emozionale e sopra le righe mantenendo l’approccio alla Disturbed, ma espandendo i confini vocali che seguono il mood dei brani, ora chiaramente ispirati ai System Of A Down (The Same Old Story) ora ai Deftones (Lonely Boy), in un contesto melodicamente drammatico così come il concept, ispirato all’uomo e al suo vivere in un mondo pieno di sofferenza e completamente privo di emozioni positive.
The New Era Begins risulta così un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica, lontana dai facili successi di una ventina d’anni fa, ma espressiva e coinvolgente se suonata con il cuore.
L’album abbonda di canzoni sopra la media (Silence And Me, The Art Of Bleeding, This Is The Place) e raggiungere la fine risulta un attimo, sopraffatti dalla varietà di un songwriting che gioca con potenza e melodia, drammaticità e dolcezza in un susseguirsi di hit che faranno la gioia di chi del metal ama la parte più moderna e (passatemi il termine) cool.
Bellissimo esordio e una gradita sorpresa ritrovare un interprete come Jago in perfetta forma: Burning Rome promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.In Hoc Signo Vinces
2.Silence And Me
3.Lonely Boy
4.Never Never
5.The Art Of Bleeding
6.Into Shadows
7.Who Do You Think We Are
8.The Second Wave
9.The Same Old Story
10.Gravity
11.This Is The Place

LINE-UP
Beppe ‘Jago’ Careddu – Vocals
Luko – Guitars
Six – Guitars
Nicola ‘Nic13′ Baglivi – Bass
Marzio Francone – Drums

BURNING ROME – Facebook

Levania – Memory

Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi

Torna la dark gothic band ferrarese Levania con questo nuovo singolo, tratto dall’album dei Deplacement Carousel, progetto dark elettronico del cantante e tastierista Still e del bassista Fade, uscito per Epictronic, costola della più nota label nostrana WormHoleDeath lo scorso anno.

La band capitanata dalla dolce voce della singer Ligeia e dal tastierista Still, della quale vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine in occasione dell’uscita di Renascentis, ultimo lavoro uscito un paio di anni fa, rielabora in versione gothic il dark pop elettronico e molto ottantiano del brano originale, dal titolo Memory.
Un passo indietro è doveroso per presentarvi questa ottima realtà tutta italiana, nata ormai da quasi dieci anni e che, dopo l’uscita di tre demo ha licenziato oltre al precedente full length, il primo lavoro nel 2012, Parasynthesis.
In vero Renascentis non mi aveva entusiasmato all’epoca e l’approccio al brano è stato molto morbido da parte del sottoscritto, invece, sono molto felice di ritrovarmi al cospetto di un ottima traccia ed un gruppo che, al netto dei mille e più paragoni con le tantissime realtà di un genere per certi versi inflazionato, regala pochi minuti di eleganti melodie gothic/dark, con la voce della singer che continua la sua innata predisposizione all’eleganza, ed un sound che rimane ben saldo tra il confine che separa il gothic moderno al dark di estrazione ottantiana.
Non so quanto il nuovo progetto di Still e Fade potrà influire sulla strada che verrà intrapresa prossimo lavoro dei Levania, ma è indubbio che Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi, avanti così.

LINE-UP
Ligeia – Lead vocals
Still – Keyboards & Vocals
Richie – Guitars
Fade – Bass
Moon – Drums

LEVANIA – Facebook

Timor et Tremor – For Cold Shades

Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche

Questo bellissimo album licenziato dalla Trollzorn è il terzo lavoro della melodic black metal band tedesca Timor Et Tremor, quintetto di Kassel attivo dal 2005, ed arriva a rimpolpare una discografia che, oltre a My Oaken Chest del 2009 ed il precedente Upon Bleak Grey Fields del 2012, si completa con il primo demo e l’ep Towards the Shores of Light, uscito tra i primi due album.

La struttura del sound di cui il gruppo è portavoce, è un black metal dalle reminiscenze scandinave, epico e melodico, colmo di cavalcate e solos, su cui la band immette svariate scelte atmosferiche di natura dark.
Ne esce un bell’affresco estremo molto emozionale ed affascinante, curato nei minimi particolari in fase di produzione e ben calibrato tra le tempeste elettriche del black e le atmosfere oscure del dark, a rendere ancora più evil la suggestiva vena epica dei brani.
Un uso ben congegnato dello scream e delle clean dal taglio evocativo fa il resto, l’incontro del gruppo con Markus Stock, produttore di The Vision Bleak, Secrets Of The Moon, Ahab, ha giovato non poco al sound del quartetto e For Cold Shades dimostra l’alta qualità raggiunta dai Trimor Et Tremor.
Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche, un’aura pagana che aleggia tra i solchi di brani splendidamente epici, con picchi di oscura cattiveria ma sempre estremamente melodica, così da mantenere un appeal enorme specialmente dove la componente malinconica prende il sopravvento ed il gruppo regala emozioni forti.
Fen Fire, stupenda epic/dark/black song, Alpha And Omega dal riff epicissimo, riecheggia nelle valli della foresta nera, così come The Ghost In All That Dies richiama tutte le tribù per l’ultimo scontro contro le truppe degli orchi, Ethereal Dome vive di melodie estreme, tra rallentamenti suggestivi e ripartenze, mentre Pale Faces risulta la perfetta conclusione, toccando tutte le varie sfumature incluse nell’album e regalando solos e riff dall’alto tasso melodico.
Come detto For Cold Shades viaggia su coordinate estreme scandinave, Dissection e i Naglfar del capolavoro Vittra sono i gruppi più vicini al modus operandi del gruppo, anche se a mio parere in molti dei solos compare il fantasma dei Dark Tranquillity a riempire di suggestive note dark melanconiche il sound dei Timor Et Tremor, rendendo il tutto molto affascinante.

TRACKLIST
1. Yearning
2. Fen Fire
3. Alpha And Omega
4. Oath Of Life
5. The Ghost In All That Dies
6. The Soaring Grudge
7. Ethereal Dome
8. Pale Faces

LINE-UP
Hendrik Müller – Vocals
Marco Prüssing – Guitars/Bass
Martin Stosic – Guitars
Jan Prüssing – Drums

TIMOR ET TREMOR – Facebook

Svlfvr – Shamanic Lvnar Cvlt

Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere

Che la scena metal nazionale sia da annoverare tra le migliori della vecchia Europa ormai è un dato di fatto, essendo in grado di regalare nei vari generi realtà di altissima qualità nonostante sia ancora poco considerata dagli scribacchini altolocati.

Nelle forme più estreme poi c’è da divertirsi, figuriamoci quando si parla di un genere come il doom dove, a mio parere, da sempre siamo maestri nel creare opere magiche, occulte e splendidamente dark fin dagli anni settanta.
Horror, misticismo e un talento per le tematiche arcane ed alchemiche ha portato l’arte italiana ad essere un esempio per chiunque, dalla musica al cinema fino alla letteratura che voglia confrontarsi con il mondo oscuro.
Nella musica qualsiasi band affacciatasi sul panorama estremo (doom, death e black), senza dimenticare la tradizione progressive/dark, ha sempre avuto dalla sua un approccio adulto e maturo alla materia, non facile da maneggiare per ragazzini superficiali con smanie da demoni con il face painting, ma motivo di riflessioni e studi per menti alternative.
Nel metal di estrazione doom, come negli altri generi dunque non mancano le sorprese e così, dopo il bellissimo ultimo lavoro dei laziali Godwatt con il loro L’Ultimo Sole, arriva ad inquietare le notti di un caldo agosto Shamanic Lvnar Cvlt, seconda opera (dopo Seeding the Astral Mark del 2012) dei toscani Svlfvr.
Ma se il sound del gruppo laziale risultava un doom di estrazione classica, la band fiorentina si circonda di una mistica impronta black/dark, a tratti oscura e sciamanica, in certi frangenti più death oriented ma sempre e comunque pesantissima, tragica nel suo incedere, scaldata da solos che si spingono sul versante più classico, ma sferzati da ritmiche death/black.
L’incedere dei brani rimane comunque orientato su di un doom metal che guarda indietro nel tempo restando nei confini nazionali, tenendo ben salda una marcata predisposizione occulta e mistica, in poche parole un’interpretazione matura senza sconfinare nell’horror adolescenziale di molti colleghi oltre confine.
Grandissima la prestazione di Dionysos, un sacerdote diabolico che con il suo growl/scream teatrale ci prende per mano e ci accompagna lungo i sentieri bui di questa jam, composta da cinque brani per quasi un’ora di musica, tra atmosfere plumbee, devastanti e potentissime doom songs e accelerate estreme da far impallidire truci blacksters con la mazza chiodata in una mano ed il biberon nell’altra.
Un album che, senza dilungarmi, si riassume nella conclusiva Dying Star’s Empathy, venti minuti persi nel mondo ancestrale e mistico di questi musicisti che non lasciano troppe indicazioni su dove risieda la loro musica ma ci invitano a farla nostra, nota per nota, passaggio su passaggio, in un delirio di affascinanti note doom, black, death e prog.
Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere, Shamanic Lvnar Cvlt si può certamente considerare, come suggerito dal titolo,  un lavoro di culto, almeno per chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Total Absence of Light
2. Wish to Drown in an Abyss of Water
3. Shamanic Lvnar Cvlt
4. Count Down to Death
5. Dying Star’s Empathy

LINE-UP
Dionysos – Vocals
Asmodeus – Guitars
Vrolok Lavey – Bass Synth
Poseidon – Drums

SVLFVR – Facebook

The UnHuman Thorn – Sacro-Kvltus Dementis

Una messa nera di quaranta minuti dove i fedeli sono chiamati all’appuntamento con il maligno a suon di black metal.

Non male questo Sacro-Kvltus Dementis, primo lavoro sulla lunga distanza per The UnHuman Thorn, one man band cilena creatura maligna del polistrumentista Baal.

Attivo sulla scena dal 2008, ma con un solo demo alle spalle rilasciato tre anni fa, il musicista sudamericano crea quest’opera oscura, estrema e malvagia di raw blackened metal sanguinario e devastante, molto vario nelle atmosfere che si alternano tra massacranti parti black e lascive ed evocative atmosfere.
Una messa nera di quaranta minuti dove Baal, da malvagio sacerdote richiama i propri fedeli all’appuntamento con il maligno a suon di black metal, a tratti evocativo pur essendo basato su infernali e demoniache sfuriate metalliche e atmosfere pregne di malvagità, in un delirio di sudditanza a Satana.
Sotto l’aspetto prettamente musicale, siamo quantomai vicini alla scena est europea, Baal se la cava con gli strumenti e Sacro-Kvltus Dementis è prodotto abbastanza bene per risultare un ascolto piacevole.
Le tracce vivono di questa alternanza tra parti black ed oscure nenie messianiche, il punto di forza dell’album, pregne di atmosfere malate, pesanti ed abominevoli cantici intonati al demonio, sferzate da veloci ripartenze o mid tempo che concentrano potenza e cattiveria.
Obsceno ritual a la autodestrucción e Through the Endless Death formano l’accoppiata vincente di questo lavoro, cuore inumano dell’opera, seguite dalla devastante My Own Damnation, altro brano meritevole di menzione per l’ottimo lavoro sulle ritmiche, squartato da un riff forgiato direttamente tra le fiamme dell’inferno.
Per i cultori del black metal che non si fermano alle solite produzioni europee, Sacro-Kultus Dementis potrebbe risultare una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1. Sacro-Kvltus Dementis
2. Nova-Inquisition
3. Obsceno ritual a la autodestrucción
4. Through the Endless Death
5. My Own Damnation
6. Slaves ov Perpetual Pain
7. Into the Abomination Cult
8. The Fall ov the Weaker
9. As We Create, We Destroy

LINE-UP
Baal – Everything

THE UNHUMAN THORN – Facebook

Fortíð – The Demo Sessions

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Una buona occasione per fare la conoscenza dei Fortíð con questa compilation intitolata semplicemente The Demo Sessions.

Il gruppo nasce come one man band nel 2002, ad opera di Einar Thorberg, poi trasferitosi dal suo paese natale (l’Islanda) in Norvegia e completando la line up per arrivare a formare un quartetto composto da Rikard Jonsson al basso, Daniel Theobald alle pelli e Øystein Hansen alla sei corde.
Il gruppo del chitarrista e cantante islandese può contare una già ottima discografia, composta dalle tre parti di Völuspá, una trilogia che ha il suo inizio nel 2003 (Thor’s Anger) e continua con Völuspá Part II: The Arrival of Fenris del 2007 e Völuspá Part III: Fall of the Ages licenziato nel 2010.
Altri due full length hanno caratterizzato questi ultimi quattro anni, Pagan Prophecies uscito nel 2012 e l’ultimo 9 dello scorso anno.
The Demo Sessions contiene delle registrazioni grezze di brani già editi, una cover degli Enslaved (Lifandi lífi undir hamri) ed una traccia inedita, per quasi settanta minuti di pagan black metal dalle atmosfere epiche e folk, tutto sommato ben articolato e potente il giusto per accontentare l’appassionato dai gusti estremi ma consolidati nelle tradizioni dei paesi immersi nel freddo nord europeo.
Molti brani, essendo tracce demo, lasciano a desiderare in quanto a produzione, ma non manca certo al gruppo un’attitudine pagana e buone trame guerresche ed epiche.
Le atmosfere più pacate si indirizzano verso sfumature glaciali, un folk metal maligno supportato dalla parte metallica che gronda cattiveria, mentre è davvero interessante quella parte di sound dove le clean vocals valorizzano l’elemento folk/epico tra Bathory ed Enslaved.
Per chi conosce la discografia del gruppo, questa compilation serve solo da completamento della discografia, mentre agli altri un consiglio ad inoltrarsi nelle foreste nordiche in compagnia dei Fortíð è d’obbligo.

TRACKLIST
Einar “Eldur” Thorberg – Guitars, Vocals
Rikard Jonsson – Bass
Daniel Theobald – Drums
Øystein Hansen – Guitars

LINE-UP
1. Illt skal með illu gjalda
2. Lifandi lífi undir hamri (Enslaved cover)
3. Nornir
4. Galdur
5. Hof
6. Pagan Prophecies
7. Electric Horizon
8. Sun Turns Black
9. Ad Handan
10. Heltekinn
11. Framtíð

FORTID – Facebook

Witherscape – The Northern Sanctuary

Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

Edge Of Sanity, Moontower, Nightingale, pescate a piene mani dalle tre più sontuose proposte dal grande musicista, compositore e produttore svedese, al secolo Dan Swanö, ed avrete un’idea di che meraviglia sonora possa essere The Northern Sanctuary, secondo lavoro dei Witherscape, band che lo vede in compagnia del chitarrista e bassista Ragnar Widerberg, dove lui si accontenta di suonare batteria e tastiere, oltre che far scorrere brividi con la sua inimitabile voce.

Seguendo il concept iniziato sul primo lavoro (The Inheritance), una storia a tinte horror scritta dall’amico Paul Kuhr (frontman dei Novembers Doom), il padre del melodic death metal scandinavo ritorna ad illuminarci con il suo inimitabile genio, fondendo alla perfezione il death metal con sonorità classiche, gothic e progressive in un’opera metal che andrebbe fatta studiare nelle scuole.
The Northern Sanctuary entusiasma e per chi conosce la discografia di Swanö non è una novità, i capolavori che dai primi anni novanta hanno trovato posto sugli scaffali degli appassionati non si contano più, ma lascia senza parole la freschezza compositiva che accompagna ancora oggi il musicista svedese, qui sontuoso anche nella prova vocale dove risplende il suo inconfondibile growl e procura pelle d’oca con le clean vocals, teatrali e profonde.
E parto da qui, dal perfetto e spettacolare uso che Swanö fa delle linee vocali, primo importantissimo dettaglio che manda The Northern Sanctuary direttamente tra le migliori uscite del 2016, visto che la perfetta simbiosi tra i toni estremi e la voce pulita non la troverete in nessun altro lavoro, almeno per quanto riguarda il genere proposto.
Le tastiere hanno un ruolo fondamentale nella struttura dei brani, il musicista svedese ha fatto tesoro di tutte le collaborazioni che lo hanno visto al fianco di colleghi delle più svariate correnti musicali, così che è facile incontrare armonie tastieristiche che si avvicinano al mood di Ayreon del folletto olandese Lucassen (God Of Ruin), mentre lo scontro tra progressive e death metal continua imperterrito e Swanö, come un dottor Jekyll e Mister Hyde, ora estremo, ora elegantemente melodico insegna a più di una generazione di songwriter come scrivere canzoni, difficili ma allo stesso tempo accattivanti e dall’appeal mostruoso.
Mentre la qualità altissima di brani come l’opener Wake of Infinity, o il perfetto swedish sound che si evince dalla spettacolare In The Eyes Of Idols, confermano il mood di questo lavoro (il riassunto compositivo tra Edge Of Sanity, Moontower e Nightingale) succede qualcosa di clamoroso e che non era stato ancora composto (almeno così bene): Marionette arriva e ci presenta il primo stupendo esempio di sonorità aor e death insieme e che, per mano, costringono i nostri occhi a lacrimare, mentre Divinity ci scuote con un brano death melodico alla Sanity, valorizzato da chorus prog di estrazione settantiana.
La title track saluta tutti dall’alto della sua splendida natura estrema, ma sulla quale il genio di Swanö immette una serie di varianti musicali che vanno dall’hard rock, al gothic al prog metal per la definitiva consacrazione di questo ennesimo capolavoro.
Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

TRACKLIST
1. Wake Of Infinity
2. In The Eyes Of Idols
3. Rapture Ballet
4. The Examiner
5. Marionette
6. Divinity
7. God Of Ruin
8. The Northern Sanctuary
9. Vila Lerid

LINE-UP
Ragnar Widerberg – Guitars, Bass
Dan Swanö – Vocals, Keyboards, Drums

WITHERSCAPE – Facebook

Guns Of Glory – Strafing Run

Poche storie e tanto elettrizzante rock’n’roll, questo è Strafing Run

Inutile, il nostro paese, nonostante una scena metal/rock ricca di talenti continua malgrado gli sforzi di musicisti e addetti ai lavori ad essere il terzo mondo per la nostra musica preferita.

Media che ignorano colpevolmente locali e concerti, una repulsione della massa per qualsiasi cosa vada fuori dal pop melodico da sempre radicato, ma ora fastidiosamente presente con talent e quant’altro sui canali televisivi, ed una spocchiosa arroganza da parte delle riviste di settore, che guardano all’underground come un inutile perdita di tempo e continuano a riempire le copertine con l’ennesimo articolo rielaborato sul solito nome che compare almeno otto mesi all’anno.
Il discorso cambia oltre confine, se poi ci spostiamo a nord dell’Europa il paragone diventa insostenibile.
Germania e Scandinavia sono da decenni il paradiso metallico per antonomasia, in ogni genere e da ogni città continuano a nascere band dall’elevato spessore artistico, che sia metal estremo o come in questo caso hard rock poco importa, la musica continua ad avere un ruolo importantissimo nella cultura di quei paesi e a noi non resta che vivere di riflesso, godere di quello che ci arriva e sperare che un giorno anche da noi le tante splendide realtà nate negli ultimi anni possano trovare un po più di interesse ed opportunità.
La Finlandia, paese famoso in ambito metallico per i generi estremi, è patria di gruppi che hanno contribuito in modo importantissimo alla storia del genere: un territorio affascinante e un popolo culturalmente di un altra levatura, un approccio all’arte radicato così come negli altri paesi scandinavi, dove non è importante cosa suoni ma il fatto stesso che suoni.
A scaldare il prossimo autunno a suon di hard rock’n’roll, classico, sanguigno ed irresistibile ci penseranno i Guns Of Glory, band di Lappeenranta al secondo full length licenziato dalla label tedesca Pure Rock e successore di On The Way To Sin City, uscito tre anni fa.
Questi quattro ragazzacci se ne fottono di pianure innevate, foreste e laghi che ispirano storie fantasy e metal epico e ci sbattono sul muso dodici brani di puro rock’n’roll, ipervitaminizzato da valanghe di watts e riff che nascono nella lontana Australia, passano per gli States dove si sporcano di blues e si stabiliscono in una cittadina finlandese, dove Petri Puheloinen (voce e basso), Joni Takalo (batteria), Riku Lepistö e Oskari Hurskainen (chitarre) se ne impossessano e creano Strafing Run.
Niente che non sia semplicemente rock duro, ruvido e vitale da far proprio con una bottiglia tra una mano ed il volante dall’altra, correndo per le strade gelate da un’inverno che non passa mai, ma scaldati dalle gambe e dai seni di qualche prosperosa donzella dalla pelle bianca come la neve.
Poche storie e tanto elettrizzante rock’n’roll, questo è Strafing Run: non un brano che non lasci quella voglia di scrollarci di dosso i tabù per buttarci a capofitto nella mischia, che sia tra le mura di casa o ai piedi di un palco, d’altronde come resistere all’adrenalina sprigionata da Running From You, Devil In Me, Avenger o Bad Boy Reputation?
Ac/Dc, Rose Tattoo, Nashville Pussy … un disco derivativo, certo, ma se amate il genere Strafing Run è un acquisto obbligato.

P.S Mentre da noi ci si “diverte” con ragazzini miliardari che sparano stupidate in rima, o finti rocker che fanno alzare le gonne a casalinghe frustrate …

TRACKLIST
1. Running from you
2. One you need
3. Devil in me 4
4. Don’t you know
5. Days in the chain gang
6. Till we die
7. Move aside
8. Bad boy reputation
9. Keep your jack
10. I don’t get it
11. Avenger
12. Lay down Total

LINE-UP
Petri Puheloinen – vocals, bass
Joni Takalo – drums
Riku Lepistö – guitars
Oskari Hurskainen – guitars

GUNS OF GLORY – Facebook

Nifrost – Motvind

Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

Uscito cinque anni fa in versione demo e ristampato dalla Naturmacht Productions, Motvind è il primo full length dei Nifrost, gruppo norvegese che risulta fondato da più di dieci anni ma con all’attivo solo un demo uscito nel 2010.

Il quartetto scandinavo con questo lavoro non manca però di sorprendere in positivo e Motvind risulta un buon lavoro di black metal pagano in cui è forte l’ispirazione mitologica.
Di buon spessore compositivo, l’album richiama a più riprese le gesta epiche dei Bathory, la parte metallica del sound è pregna di ottime soluzioni melodiche, cavalcate estreme tra mid tempo ed accelerazioni di stampo black, mentre l’elemento folk del sound rimane in parte nascosto dal clima battagliero che anima le tracce.
Prodotto molto bene (virtù non così scontata nel genere), il sound viene valorizzato da un’ottima prestazione delle due asce, in perfetta sintonia tra ritmiche furenti e solos colmi di melodie epiche e per quasi un’ora veniamo catapultati in un’era di eroi e battaglie, scontri tra le foreste coperti dal manto bianco di neve che si sporca del sangue di guerrieri indomiti.
Un album che meritava senz’altro di essere rivalutato ed ascolto obbligato per i fans del genere, che sicuramente verranno soddisfatti dall’aura viking che brani come l’opener Byrdesong, il crescendo di tensione che anima Dei ville med vald e l’epica ed evocativa Marebakkjen.
Il metal classico fa capolino nell’ottima Under seks lange e l’album arriva a più di metà della sua durata senza riscontrare nessun colpo a vuoto.
La seconda parte continua la sua cavalcata verso il Valhalla, concludendosi con la title track , aperta da giri acustici di ispirazione folk ed un crescendo entusiasmante che porta all’epico finale, splendidamente supportato da cori che grondano epicità e orgoglio vichingo.
In conclusione, Motvind sarà una gradita sorpresa per gli amanti del genere, perciò su le spade e via di corsa tra la bruma innevata, la gloria vi attende.

TRACKLIST
1. Byrdesong
2. Ufred
3. Sitring
4. Dei ville med vald
5. Marebakkjen
6. Under seks lange
7. Ve
8. Vaart land
9. Ferdamann
10. Motvind

LINE-UP
Kjetil Andreas Nydal – Bass, Vocals
Jørn Ståle Norheim – Guitars
Eyvind Aardal – Vocals, Guitars
Henrik Nesse – Drums

NIFROST – Facebook

Nazghor – Death’s Withered Chants

Il quartetto di Uppsala con il nuovo album imprime una sferzata notevole alla sua discografia

Uno dei gruppi di punta della label russa Satanath Records sono senza ombra di dubbio i blacksters svedesi Nazghor, orda satanica nata nel 2012 e già arrivata al quinto album sulla lunga distanza.

Quattro lavori in quattro anni di cui due nel 2014, tutti di buona qualità a cui si aggiunge questo devastante Death’s Withered Chants, ottimo esempio di true black metal scandinavo, chiaramente di ispirazione svedese, pregno di melodie chitarristiche, tanto odio religioso ed impatto fulminante.
Il quartetto di Uppsala con il nuovo album imprime una sferzata notevole alla sua discografia e Death’s Withered Chants a tratti entusiasma; un disco di genere certo, ma ben fatto, suonato e prodotto alla grande con bellissime atmosfere epico oscure, un’attitudine antireligiosa che sprizza da ogni nota, ben espressa dal vocalist Nekhrid, un demone dietro al microfono.
Il tempo di somatizzare l’intro e l’album parte sgommando con la devastante Requiem Black Mass: si nota subito l’enorme lavoro in consolle e l’ottimo affiatamento delle due asce in forma splendida (Armageddor e Angst) capaci di travolgere l’ascoltatore con un riffing violentissimo e solos che fanno delle melodie vincenti il loro punto di forza.
Violento e blasfemo, Death’s Withered Chants continua a regalare piccole perle nere, bufere di musica estrema che si abbattono sulla costa scandinava, mentre il cielo diventa un muro oscuro e tra i nuvoloni oscuri e tempestosi si disegna lo sguardo di Lucifero e la band continua il suo macello sonoro con la coppia d’assi Craft of the Nihilist / Road to Dead Meadows.
Pochi secondi di oscure note atmosferiche aprono alcuni brani, mentre l’attacco portato all’umanità si fa imponente con la stupenda Complete Unholyness, un mid temo epico squarciato da un assolo che gronda sangue e lacrime per ripartire in una cavalcata metallica da epica tregenda.
La title track posta alla fine risulta la colonna sonora della fine del mondo, o meglio quello che rimane dopo che i Nazghor sono passati, dieci minuti di atmosfere gelide, tragiche e drammatiche, una nuova dimensione dell’apocalisse, mentre l’ultimo cuore si spegne, la musica lascia spazio al suo battito che piano piano rallenta fino all’ultimo tragico colpo.
Influenze e paragoni sono tutti nella storia del genere, dunque se siete amanti di queste sonorità non potrete fare a meno di trovare pulsazioni sonore dei vari Dissection, Dark Funeral, Watain e compagnia satanica, espresse alla grande dai Nazghor in un album da avere assolutamente.

TRACKLIST
1. Hymnum Mortis
2. Requiem Black Mass
3. Under a Venomous Spell
4. Craft of the Nihilist
5. Road to Dead Meadows
6. Inheritance of the Cross
7. Aeternum Regno Diaboli
8. Complete Unholyness
9. Empire of Graves
10. Death’s Withered Chant

LINE-UP
NEKHRID – Vocals
ARMAGEDDOR – Guitars
ANGST – Guitars
CROWLECH – Bass
COSMARUL – Drums

NAZGHOR – Facebook

Scarlet Anger – Freak Show

Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal.

Sono sincero, quando bussano all’uscio della mia casetta album del genere, il sottoscritto va in brodo di giuggiole; come non apprezzare un lavoro così ben fatto sotto tutti gli aspetti e dal sound altamente metallico, perfettamente inserito nel nuovo millennio, pur richiamando senza mezzi termini le proprie ispirazioni ed influenze.

Che Freak Show sia un lavoro su cui i lussembughesi Scarlet Anger abbiano puntato tanto si evince da una produzione perfetta, un booklet che accompagna il prodotto molto professionale e che richiama il mondo del fumetto fantasy/horror, ed un songwriting creato nello spazio di quattro anni dall’ultimo lavoro (Dark Reign, full length del 2012), un lasso di tempo medio lungo che ha dato modo al gruppo di curare il disco sotto ogni aspetto.
Prodotto ai Fascination Street Studios da Jens Bogren (Opeth, Kreator, Paradise Lost, Amon Amarth e molti altri) l’album risulta un buon esempio di thrash metal oscuro, che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Freak Show è un album pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un oscuro e puro thrash metal che punta lo sguardo sulla scena statunitense della Bay Area, senza tralasciare richiami al metal made in USA e all’heavy di ispirazione Iced Earth, maestri in questo tipo di sonorità e probabilmente la maggiore ispirazione del quintetto capitanato dal vocalist Joe Block.
Questo disco è un punto d’arrivo notevole per un gruppo che si muove nel circuito underground, con poche possibilità di andare oltre all’apprezzamento incondizionato degli appassionati, ma che con Freak Show dimostra tutta la sua bravura tecnica e compositiva.
L’ album è pregno di atmosfere dark, chiaramente sviluppate su un sound che è puro thrash metal, si respirano trame orrorifiche e melodie drammatiche, Block con la sua voce ruvida si impegna a dare al sound un tocco teatrale e tragico, cosa che avvicina la band, come detto, agli Iced Earth dell’era Barlow, mentre ritmiche e sfuriate metalliche sono classicamente Exodus/Testament di origine controllata.
Ottimo il lavoro ritmico ma, concedetemelo, l’arma in più, almeno su questo lavoro, sono le due sei corde (Jeff Buchette, Fred Molitor) a tratti davvero entusiasmanti nel grondare lacrime e sangue su un lotto di brani dove le nebbie notturne avvolgono lo spartito del gruppo lussemburghese.
Segnalarvi un brano piuttosto che un altro è superfluo, Freak Show bisogna spararselo in cuffia come se non ci fosse un domani, ma Attack Of The Insidious Invader, On The Road To Salvation e Deadly Red Riding Hood, valgono da sole il prezzo del biglietto, per lo spettacolo offerto dai Scarlet Anger.
Bellissimo album metal con gli attributi al posto giusto, ottime melodie e tanta voglia di far male, non perdetevi lo show, sarebbe un peccato.

TRACKLIST
1. Awakening Of The Elder God
2. Attack Of The Insidious Invader
3. The Haunted Place – House Of Lost Souls
4. Welcome To The Freak Show
5. The Abominable Master Gruesome
6. Through The Eyes Of The Sufferer
7. The Thing Without A Name
8. On The Road To Salvation
9. An Unbelievable Story Of A Stupid Boy
10. Deadly Red Riding Hood

LINE-UP
Vincent Niclou – Bass
Alain Flammang – Drums
Jeff Buchette – Guitars
Fred Molitor – Guitars
Joe Block – Vocals

SCARLET ANGER – Facebook

Isgärde – Jag Enslig Skall Gå

Un album di black metal sui generis, che alterna parti metalliche ad atmosfere di oscura melancolia, sorretto dai suoni tastieristici che creano un’aura misteriosa.

Arriva dall’isola di Öland, in Svezia, questa one man band al primo full length, licenziato dalla sempre più attiva (in campo estremo) Symbol of Domination Prod.

Il polistrumentista Somath prende ispirazione per la propria musica dalla sua terra ricca di fascino ed immersa in una natura selvaggia.
Un’isoletta in mezzo al mare del nord, il clima rigido e la profonda solitudine hanno ispirato Somath nel suo primo lavoro, ne esce quindi un album di black metal sui generis, che alterna parti metalliche ad atmosfere di oscura melancolia, sorretto dai suoni tastieristici che creano un’aura misteriosa, sferzati da tempeste di metallo nero ed impreziosito da sfumature epiche.
Da migliorare lo scream, forse poco valorizzato da una produzione appena sufficiente, mentre a livello strumentale Somath non manca di regalare attimi di buona emotività, soprattutto nelle parti atmosferiche e maestose.
Le classiche cavalcate metalliche in puro stile swedish black metal e il sentore misantropico che aleggia in tutti i brani rendono l’album appetibile per i fans del genere: Jag Enslig Skall Gå ci racconta dell’isola, dei suoi freddi mesi invernali, della sua natura ostile e senza scrupoli e della solitudine, dell’angoscia con cui un uomo deve fare i conti tutti giorni.
Il musicista svedese si è interamente prodotto l’album, aiutato da un paio di colleghi della scena, Filip Lönnqvist dei Rave The Reqviem e Lord Aganaroth (WAN and Sapfhier).
Dieci brani che formano un’opera affascinante ma con qualche difetto, normale per un esordio, ma sicuramente da valutare se l’album, come si spera, avrà un seguito: per ora supportiamo il buon Somath e la sua isola.

TRACKLIST
01. Isgärde
02. Battle Of Borgholm
03. Dying After Dawn
04. Ancient Forest Of Witchery
05. Thousand Scars
06. Funeral Fire
07. Dungeons Of The Devil
08. Drowning Cosmos
09. At Gettlinge Gravfält
10. Korpen

LINE-UP
Somath – Guitars, bass, drums, keyboards, vocals

Vulvodynia – Psychosadistic Design

Nel loro tremendo estremismo sonoro i brani si fanno apprezzare grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio, raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.

Vai a spiegare la bellezza di un album brutal death metal a chi pensa che gli Iron Maiden facciano solo casino.

Come qualsiasi forma d’arte, anche la più estrema ha i suoi picchi qualitativi, magari poco capiti dalla massa ed esclusiva per gli amanti del genere, come per esempio questo bellissimo secondo lavoro dei Vulvodynia, slam brutal death metal sudafricana, al secondo full length e creatrice di un’opera che, nel suo genere, risulta un piccolo capolavoro.
Hanno bruciato le tappe i death metallers sudafricani, fondati nel 2014 e nel giro di due anni con una discografia alle spalle di tutto rispetto che annovera il primo full length (Cognizant Castigation), due ep ed un paio di split.
Aiutati da un nugolo di psicopatici musicisti della scena slam (Martin Funderud degli Kraanium, Don Campan dei Waking the Cadaver e Luke Griffin degli Acrania, ma anche altri cantanti facenti parte di gruppi meno famosi come Chrissy Jones dei Clawhammer) e tanti altri appartenenti al mondo deathcore, la band crea questo devastante esempio di opera brutal, con tanto di cantanti che si danno il cambio dietro al microfono, in un susseguirsi di atmosfere horror/splatter da applausi.
Colmo di atmosfere al limite della pazzia, death metal e brutal si alleano con ritmiche hardcore che a tratti rendono il sound ancora più estremo, in un’aurea di terrore profondo, una discesa nell’abominio raccontata tramite terribili ripartenze, attimi di ragionata sadismo in un’orgia di corpi sventrati e torture varie.
Il bello sta nel songwriting sopra la media, una buona tecnica esecutiva e nell’appeal che, nel loro tremendo estremismo sonoro i brani rilasciano, grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.
Un monolito estremo che ha almeno tre/quattro tracce notevoli, spetta a voi scoprirle nel mezzo della carneficina metallica creata dai Vulvodynia.
Psychosadistic Design sale di diritto sul gradino più alto del podio nel genere il questo brutale 2016, sicuramente un album per pochi affezionati … ma che album.

TRACKLIST
1.Psychosadistic Design
2.Drowned in Vomit
3.King Emesis
4.Catration Mutilation
5.Flesh Tailor
6.Unparalleled Insubordination
7.Grotesque Schizophrenia
8.Lord of Plagues
9.Depraved Paraphilia
10.Forced Fecal Ingestion
11.Umthakathi
12.Bestial Insemination
13.Wall of Corpses
14.Triple O.G. Slamdown

LINE-UP
Duncan Bentley-Vocals
Luke Haarhoof-Guitars
Byron Dunwoody-Drums. bass, gutars

Vocals :
Alex Terribile
Som Pluijmers
Don Campan
Martin Funderud
Adam Warren
Chrissy Jones
Chris Butterworth
Luke Griffin
Jason Evans

VULVODYNIA – Facebook

Saddiscore – Demons Of The Earth 2016

Demons Of The Earth è un album sufficientemente vario, in grado di accontentare chi del metal si nutre di tutte le sue forme,

Una discreta via di mezzo tra l’heavy metal tradizionale ed il modern metal, potenziato da considerevoli dosi di groove e reso appetibile da solos colmi di melodie old school.

Questo risulta Demons Of The Earth, primo lavoro sulla lunga distanza per i Saddiscore, gruppo proveniente da Colonia con all’attivo un demo e l’ep Roots Of Fear, licenziato un paio di anni fa.
Il quartetto tedesco tramite Boersma Records arriva così al traguardo del full length, meritato per quanto proposto, magari con ancora qualche dettaglio da perfezionare ma di buon ascolto specialmente per chi ama due anime così diverse come i generi descritti.
La band alterna e talvolta amalgama con risultati più che sufficienti due modi di fare metal, le ritmiche si mantengono vicine al lato più moderno della nostra musica preferita, mentre le chitarre ricamano solos pescati dalla tradizione.
Non si può certo considerare un album old school questo Demons Of The Earth, le reminiscenze thrash e i toni estremi nella voce riempiono di mood rabbiosi il sound, ma tra il muro ritmico compaiono buone scale riconducibili alla vergine di ferro, un’atmosfera oscura accompagna le tracce e ci ricorda l’U.S. Metal, mentre l’impatto rimane fortemente ancorato al modern metal dei Machine Head.
A loro modo i Saddiscore hanno creato un ibrido musicale, mantenendo ben visibili le caratteristiche peculiari delle sonorità a cui fanno riferimento ed il risultato a tratti convince, anche per il grande impatto di brani come Too Far Away, FSK e Mental Warfare, esempi perfetti delle atmosfere apocalittiche, oscure e rabbiose che la band riesce a creare.
Riassumendo, Demons Of The Earth è un album sufficientemente in grado di accontentare fans dai gusti diversi, magari non i soliti puristi con i paraocchi ma sicuramente chi del metal si nutre di tutte le sue forme, convogliando nel proprio sound le varie influenze dei Saddiscore.

TRACKLIST
1. A Storm Is Coming
2. Too Far Away
3. Mirror Face
4. Ghost Of Guilt
5. FSK
6. Demons Of The Earth
7. All In Our Hands
8. Mental Warfare
9. To Take The Blame (Bonus)
10. The Reaper (Bonus)

LINE-UP
Chris – Vocals/Guitar
Peter – Drums
Jupp – Bass
Caro – Lead Guitar

SADDISCORE – Facebook

Seher – Nachzehrer

L’oscura maliconia che si sprigiona dalle armonie acustiche ed elettriche, sospese nel limbo del rock d’avanguardia, sono perfettamente incastonate in potenti ma mai banali ripartenze black metal.

Premessa: continuo sinceramente a non capire tutto questo mistero quando si parla di gruppi estremi, specialmente black, ostinati nel non rilasciare informazioni su line up e quant’altro, come se la cosa fosse realmente cool.

In ambito underground i dettagli sono importanti, ma se i gruppi e le label pensano sia più credibile rimanere nell’oscuro anonimato, problema loro, tutto questo non va certamente ad influenzare il giudizio finale sul loro operato.
Un peccato però, specialmente se le opere sono di qualità come questo Nachzehrer, primo lavoro sulla lunga distanza dei blacksters tedeschi Seher, uscito in versione vinile, ma ristampato in versione cd, con l’aggiunta del primo demo, dalla Totenmusik.
L’album, accompagnato da una copertina invero bruttina, a livello musicale sorprende non poco, il black metal dei nostri infatti è un crescendo di cavalcate metalliche influenzate dalla scena scandinava ed impreziosite da atmosferiche digressioni nel post metal e nel rock, oscuro, profondamente intimista e violento il giusto quando il gruppo parte per la tangente estrema.
La melodia è signora e padrona delle tracce contenute in Nachzehrer, sia nelle parti evil che in quelle atmosferiche, i brani mediamente lunghi sono lunghe passeggiate nel metal estremo più adulto ed intimista, con una vena progressiva marcata e tante sfumature dark metal.
Un piccolo gioiellino di musica oscura risulta così questo lavoro, con dei picchi emozionali sopra le righe (la maestosa Geist, la crepuscolare e diabolica Mensch e lo splendido esempio di metal estremo malinconico che è Ader).
Grandi parti chitarristiche, fanno da cornice a momenti rarefatti, l’oscura malinconia che si sprigiona dalle armonie acustiche ed elettriche, sospese nel limbo del rock d’avanguardia, sono perfettamente incastonate in potenti ma mai banali ripartenze black metal e l’album dona momenti davvero intensi, risultando un ascolto obbligato per gli amanti del black metal melodico.

TRACKLIST
1. Nachzehrer
2. Geist
3. Mensch
4. Donner
5. Der Seher
6. Ader
7. Frost

SEHER – Facebook

Divine Weep – Tears Of The Ages

L’album si sviluppa in cinquanta minuti di metallo incendiario, tra sonorità puramente heavy e la carica portentosa del power metal teutonico

I Divine Weep sono una band heavy/power proveniente dalla Polonia, attiva dalla metà degli anni novanta anche se le sonorità degli esordi erano orientate al più estremo black metal.

Nel 2010, dopo un lungo stop, il gruppo capitanato da Bartek Kosacki (chitarra) e Darek Karpiesiuk (batteria) decide di dare una svolta decisa al proprio sound e i Divine Weep si trasformano in una belligerante macchina da guerra heavy/power.
Tears Of The Ages è il secondo full length dopo la rinascita stilistica, successore del primo lavoro uscito tre anni fa (Age of the Immortal).
L’album si sviluppa lungo cinquanta minuti di metallo incendiario, tra sonorità puramente heavy e la carica portentosa del power metal teutonico; la produzione al passo coi tempi, permette di apprezzare in toto il lavoro dei musicisti che non risparmiano melodie dall’ottima presa, chorus, cavalcate epiche ed arrangiamenti moderni.
Un album di metal classico targato 2016, Tears Of The Ages è tutto qui, il songwriting rimane di ottima qualità per tutta la durata non facendo mancare al fan refrain dall’alto potenziale melodico, riff scolpiti sulle tavole della legge metalliche e un ottimo singer che imprime di personalità la sua performance.
Valorizzato dall’ospite Wojciech Hoffmann, axeman degli storici connazionali Turbo, che presta la sua chitarra su un brano, Tears Of The Ages è un ottimo esempio di cosa possa dare il genere nel nuovo millennio, specialmente se la cura dei particolari e l’attenzione nel lavoro in sala porta e questi risultati; le tracce esplodono in un fragore metallico, gli strumenti si inseguono correndo verso la gloria, i chorus non mancano di gasare e la noia fa le valigie per soggiornare in altri lidi.
L’opener Fading Glow attacca al muro con un riff in stile Hammerfall, l’heavy classico ed il power si scambiano il comando; la band svedese, i Primal Fear, e poi Gamma Ray e Judas Priest, sono i richiami più limpidi ad una stagione metallica neanche troppo lontana, anche se di acqua sotto i ponti ne è passata e le spade piantate sul campo di battaglia rischiano di arrugginirsi.
Ma gruppi come i Divine Weep tornano a far risplendere il drappo dei true defenders e The Mentor, Imperious Blade e la title track sono inni metallici da cantare orgogliosamente sotto il palco di qualche festival in giro per la vecchia Europa.
Purtroppo, in concomitanza con l’uscita del disco, l’ottimo singer Igor Tarasewicz ha lasciato la band, rimpiazzato a quanto pare da Kamil Budziński al quale auguriamo di ricalcarne le orme.

TRACKLIST
1.Fading Glow
2.The Mentor
3.Day Of Revenge
4.Last Breath
5.Petrified Soul
6.Imperious Blade
7.Never Ending Path
8.Tears Of The Ages
9.Age Of The Immortal (bonus track)
10.Lzy Wiekow (bonus track)

LINE-UP
Daro – Drums
Janusz Grabowski – Bass
Dariusz Moroz – Guitars
Bart – Guitars
Igor Tarasewicz – Vocals

DIVINE WEEP – Facebook