Visionary – Gabriel

La raccolta di brani contenuta nell’album non manca di esplorare l’universo della musica contemporanea, presentandoci tutte le bellezze che il mondo delle sette note ha in serbo per chi la sublime arte la ama.

I Visionary sono il progetto musicale, filosofico e spirituale del musicista/compositore Gabriel Gianelli, in arte solo Gabriel.

Aiutato da una manciata di musicisti tra cui il bassista Fabrizio Grossi (Steve Vai, Steve Lukather), Anthony JR Morra alle pelli ed il cantante Garrett Holbrook, il chitarrista nostrano dà voce e suoni alla sua ricerca e scoperta del cammino umano e delle bellezze della vita.
Lo fa con il secondo lavoro, il primo sulla lunga distanza che sicuramente non passerà inosservato, almeno a chi apprezza il rock progressivo e l’hard rock di estrazione settantiana.
Ma attenzione, perché in Gabriel vivono più anime che insieme formano un caleidoscopio di suoni e colori diversi, con la chitarra, accompagnata da un flauto (Enricomaria D’Alessandro) a tratti tulliano, e cangianti atmosfere ritmiche, ed il tutto funzione a dovere, anche se l’ascolto dell’opera va approfondita a dovere, assimilando tutte le sfumature ed i generi che il songwriting del compositore prende in prestito per costruire la sua personale idea di rock.
Sicuramente al debutto dei Visionary non manca la personalità, e la raccolta di brani contenuta nell’album non manca di esplorare l’universo della musica contemporanea, presentandoci tutte le bellezze che il mondo delle sette note ha in serbo per chi la sublime arte la ama.
E allora ecco che all’hard rock, ed al progressive Gabriel aggiunge dosi letali di free jazz, musica etnica, melodie a profusione, molte volte lineari (AOR), a tratti invece nascoste tra repentini cambi di tempo ed atmosfere che rimangono comunque ariose e solari.
Detto dell’ottima prova della sontuosa sezione ritmica, della bravura alla sei corde di Gabriel e di un Holbrook impegnato con successo a dar voce a trame per niente facili, ricordo Pharaoh’s Phoenix, la bellissima Why, le reminiscenze funky/jazz di The Juggler, un brano che ricorda certe pazzie ritmiche dei Primus, ma pure il sound crimsoniano dell’era Belew, e la personalissima The Fisherman, tracciadove riescono a convivere tutte le anime del disco in perfetta armonia.
In conclusione, Gabriel è un album riuscito, difficile da comprendere ad un primo passaggio ma specchio dello spirito che anima il suo concept, sicuramente un ascolto maturo per chi dalla musica vuole qualcosa in più … ogni tanto.

TRACKLIST
01. (Intro) Felicity
02. Pharaoh’s Phoenix
03. Why
04. The Juggler
05. Circus Of The Eclipse
06. Falling Skyword
07. Living In Utopia
08. The Fisherman
09. Oniric Isle
10. Voyagers Mirror
11. I See
12. Soul Essence
13. Felicity

LINE-UP
Gabriel – Chitarre
Fabrizio Grossi – Basso
Anthony JR Morra – Batteria
Enricomaria D’Alessandro – Flauto

VISIONARY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=_JWEl1-ZcMs

Darkrypt – Delirious Excursion

Un manifesto più che esauriente del livello raggiunto ormai dai gruppi asiatici ed in particolare da quelli indiani

Kunal Choksi ne sa una più del diavolo in fatto di metal ed al timone della sempre più titolata ed importante label Transcending Obscurity centra un altro bersaglio pieno con l’esordio su lunga distanza dei Darkrypt, combo di Mumbai dedito a far risplendere il buon vecchio death metal con Delirious Excursion.

Certo è che si sono fatte le cose in grande per valorizzare al meglio questo lavoro, ed i personaggi che hanno dato il loro contributo per la riuscita del disco sono di valore assoluto.
Inutile dire che prima dell’ascolto dell’album le aspettative per il sottoscritto si sono alzate notevolmente alla lettura dei dettagli forniti dalla label indiana.
Mixato da Greg Chandler ai Priory Recording Studios e masterizzato dal sempre più inimitabile Dan Swano (tornato a lavorare dietro alla consolle dopo aver dato alle stampe un nuovo capolavoro con il secondo album dei Witherscape) agli Unisound Studios, Delirious Excursion vede la partecipazione in veste di special guest di un altro monumento del death metal, Rogga Johansson in pista con una decina di lavori all’anno e fresco di stampa con l’ultimo album dei Paganizer, e Nitin Rajan, singer dei connazionali Primitiv e compagno di Riju Dasgupta (Primitiv e Albatross) qui alle prese con le liriche.
Con queste premesse l’album non poteva certamente deludere, ed infatti Delirious Excursion è una valanga oscura di death metal old school, praticamente perfetto per quanto riguarda l’impatto, travolgente nel suo impeto animalesco e cangiante nel sound, dove l’irruenza lascia molte volte spazio al lento incedere, potente e macabro del doom death di matrice Asphyx.
Un album influenzato dalla scena dei primi anni novanta, classico nel suo genere, con un lavoro certosino in sede di produzione e tecnicamente ben suonato e valorizzato da ospiti di riguardo, non può che diventare un botto per band e label e così è.
L’aurea estrema dalle tinte oscure, l’ottimo uso delle melodie chitarristiche, un sound che spazia tra la storica scena scandinava e quella centro europea fanno di brani come Dark Crypt, la brutale e magniloquente Chasm Of Death, le ritmiche jazzate e l’atmosfera destabilizzante creata da Folie a Deux, attimo di calma dopo l’uragano Cryptic Illusions, brano devastato dall’orco Johansson, e la conclusiva The Acceptor, un manifesto più che esauriente del livello raggiunto ormai dai gruppi asiatici ed in particolare da quelli indiani, una culla di realtà metalliche sopra la media, presente e futuro della scena metal estrema underground.
Con tutti i limiti (ma solo per qualcuno) di un sound classico dove le influenze non possono che venire a galla in ogni passaggio (Asphyx, Entombed, primissimi Amorphis e Hypocrisy), Delirious Excursion è un ottimo esempio di come il death metal sia un genere tutt’altro che obsoleto, e vanno fatti solo complimenti a questi musicisti.

TRACKLIST
1. The Becoming Alteration
2. Dark Crypt
3. Chasm of Death
4. Abstract Submission
5. Cryptic Illusions (ft. Rogga Johansson)
6. Folie a Deux
7. Limbic Dichotomy
8. The Inducer (ft. Nitin Rajan of Primitiv)
9. The Acceptor

LINE-UP
Amey Bhole – Vocals,Bass Guitar
Aumkar lele – Drums
Rishabh Ravi – Guitars
Mihir Gaikwad – Guitars

DARKRYPT – Facebook

Lord Impaler / Dizziness / Hell Poemer – Carved by the Winds Eternal

Ottimo split album incentrato su sonorità black metal questo Carved By The Winds Eternal, che ci presenta un tris di gruppi ellenici, da non sottovalutare.

Due brani a testa bastano a chi non conosce le band in questione, già attive da diversi anni ed assolutamente in grado di soddisfare i palati estremi dei black metallers sparsi per il globo.
Si parte con i Dizziness, quartetto di Atene in marcia verso l’inferno dal 2008 e con un’abbondante discografia che consta di due full length ed un mare di split e demo.
Pescando dalla tradizione ellenica, e senza dimenticare la lezione impartita dai gruppi scandinavi, il loro sound è un intenso e quanto mai riuscito esempio di black vario, tra furiose accelerazioni, ritmiche marziali e momenti pregni di atmosfere mistiche.
Goddess of the Moon e Άρπυιες esplodono in un susseguirsi di colpi di scena, marciando nell’oscurità di caverne scavate da famelici orchi, le atmosfere cangianti (ora guerresche, ora mistiche, ora pregne di malata oscurità) esaltano l’ascolto, sicuramente un gruppo da approfondire.
Più canonico e brutale il sound dei Lord Impaler, fondati addirittura nel 1998, ma con un solo full length all’attivo (Admire the Cosmos Black del 2011).
Raw black metal che, se ad un primo ascolto può ricordare gli Immortal, ne prende subito le distanze conservando il mood tipico delle bands mediterranee, sound caldo, riff che nel loro consolidato estremismo si nutrono di melodia, oscura, evil, ma sempre perfettamente bilanciata con la tempesta di caos metallico del genere.
I cinque musicisti, pur discostandosi dalla proposta dei loro dirimpettai, non mancano di offrire una prova sopra la media, meno lavorata nelle atmosfere, ma convincente nell’impatto.
Ma il bello deve ancora arrivare e The Sacral Knot of Hierophant ci accompagna nel buio della caverna, dove in agguato ci aspettano i mostruosi abitanti degli oscuri anfratti dimenticati dal tempo.
Loro sono gli Hell Poemer, da poco più di dieci anni in attività e con un solo full length licenziato nel 2013 (Arcane Mysteries of Dead Ancestors): il loro black metal si impreziosisce di clamorose note pianistiche, creando un’atmosfera di oscura melanconia.
Il primo brano di cui sopra tiene alta la tensione metallica, ci si accorge subito che la musica è cambiata e My Dreams Will Stay Frozen on the Mountains ci rapisce definitivamente, con un black metal melodico sorretto da una base pianistica dai rimandi gothic, l’aura che si crea è di elevata epicità dark; il gruppo accompagna il tutto con una marziale danza elettrica, solitudine e misantropia escono prepotentemente dalle note dei tasti d’avorio, mentre lo screamer decanta storie immerso nell’oscurità.
Con tre band delle quali vale la pena approfondire la discografia, aspettando eventuali sviluppi futuri, Carved By The Winds Eternal risulta uno dei più riusciti split degli ultimi tempi.

TRACKLIST
1. Dizziness – Goddess of the Moon
2. Dizziness – Άρπυιες
3. Lord Impaler – A Fire That Burns
4. Lord Impaler – Call from the Grave
5. Hell Poemer – The Sacral Knot of Hierophant
6. Hell Poemer – My Dreams Will Stay Frozen on the Mountains

LINE-UP
Lord Impaler :
Lord Nebulah – Guitars
Tragon – Vocals
Phlegethon – Bass
Nodens- Drums
Aenaon – Guitars

Dizziness:
Pyriflegethon – Guitars
Moscho – Guitars
Ηalál – Bass
Ithonas – Vocals

Hell Poemer:
Dark Archon – Drums
Knafos – Guitars, Keyboards
Infernal Lord – Vocals, Keyboards, Guitars, Flute
Gragonith – Bass

HELL POEMER – Facebook

LORD IMPALER – Facebook

DIZZINESS – Facebook

Sarcófago – Rotting Reissue

Se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

L’importanza dei deathsters brasiliani Sarcofago nello sviluppo della musica estrema di stampo death/tharsh è inequivocabile: nato nel 1985 per volere Wagner ”Antichrist” Lamounier, cantante dei primissimi Sepultura, il gruppo di Belo Horizonte è citato tra le influenze di molte band che poi fecero sfracelli negli anni novanta.

Idolatrati e rispettati da tutti, i Sarcofago furono uno dei primi gruppi ad usare in maniera continua e devastante i blast beat, in un delirio di violenza death/thrash e tematiche sataniste e anticristiane che fanno del gruppo uno dei primi esempi del sound devoto al maligno per eccellenza, il famigerato black metal.
La Greyhaze Records pubblica la riedizione dell’ep Rotting, licenziato dalla band nel lontano 1989 via Cogumelo Records su vinile, con l’aggiunta di un bonus dvd ed un nuovo artwork.
Il dvd è senz’altro la parte più interessante perché immortala il gruppo sul palco nel 1991 di supporto ai Morbid Angel, in tour per supportare quel capolavoro estremo dal titolo Altar Of Madness.
Cinque brani più intro, Rotting fece parte di una discografia colma di perle estreme, e ci scaraventa al tempo in cui la band era una dei gruppi più estremi in circolazione: il loro sound equivale ad un’apocalisse di death/thrash sulla scia dei Venom, un sound che da lì a poco troverà lustro e nuova vita nelle lande innevate della Scandinavia e del famigerato unholy black metal della scena norvegese, che all’epoca muoveva i primi passi in quello che, in seguito, diventerà un movimento importantissimo per le vicende musicali (ed extra musicali) del metal estremo.
Rotting confermava la vena distruttrice del trio già sulla bocca di tutti per una manciata di demo, ma soprattutto per il primo devastante lavoro I.N.R.I, uscito due anni prima.
Wagner Antichrist, Gerald Incubus e M. Joker vomitavano tutto l’odio contro la religione e la chiesa in particolare su di un sound primordiale, estremo in tutte le sue componenti, arrivando a toccare vette di violenza ancora oggi irraggiungibili per molti dei gruppi odierni; il loro furore si scagliava contro i cristiani in maniera inequivocabile, con testi blasfemi e un sound che era pura e violentissima guerra in musica.
Scream/growl cattivissimo, riff assassini e furiose accelerazioni ritmiche facevano di Alcoholic Coma, Tracy e la title track (su tutte) un’apoteosi di violenza, distruzione e luciferine urla inneggianti la totale distruzione del sistema religioso e la glorificazione del regno di Satana.
Precursori nell’amalgamare death/thrash e black metal in un unico massacro sonoro, i Sarcofago sono la classica band che ogni amante del metal estremo deve sfoggiare nella propria discografia; se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

TRACKLIST
01. The Lust
02. Alcoholic Coma
03. Tracy
04. Rotting
05. Sex, Drinks & Metal
06. Nightmare

LINE-UP
Wagner Antichrist – Vocals, guitars
Gerald Incubus – Bass, voclas, guitars
M. Joker – Drums, vocals

Violent Revolution – State of Unrest

L’urlo di protesta che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack richiama la vecchia scuola americana

Capitanati dall’ex Agent Steel George Robb irrompono sul mercato, tramite Iron Shield, i thrashers statunitensi Violent Revolution.

Il gruppo proveniente dall’Arizona, attivo da appena due anni, solca le strade falciate dalla protesta politico sociale, gli scontri sono inevitabili nel grigiore del fumo provocato dai lacrimogeni e dalle bombe carta, il sangue che sgorga dalle teste spaccate dai manganelli sporca le vie e non serve vivere negli States per vedere scene di guerriglia urbana comuni in ogni parte del mondo, specialmente di questi tempi dove l’ingiustizia dilaga e salgono i moti di ribellione.
La colonna sonora per descrivere questo allucinante quadro non può che essere un violentissimo e velocissimo thrash metal, fortemente influenzato dal punk, old school nell’approccio, diretto ed assolutamente in your face.
L’urlo di protesta, che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack, richiama la vecchia scuola americana, con ritmiche velocissime, una voce che grida disagio e lancinanti solos metallici che rincorrono l’urgenza ritmica dei brani.
Siamo a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, dove i gruppi metal della scena ambivano ad un crossover tra la forza metallica del thrash e l’irruenza sociale che il punk si portava dietro dagli ultimi sgoccioli del periodo settantiano: è forte, infatti, il richiamo hardcore nei brani dei Violent Revolution (il nome della band è una chiara dichiarazione d’intenti), ed in poco più di mezzora State Of Unrest spara le proprie cartucce, veloci, infallibili e senza compromessi.
Il gruppo è formato da musicisti di provata esperienza e sotto l’aspetto tecnico nulla da dire, anche se le sonorità lasciano un leggero senso di stantio.
Poco male, il genere è questo, prendere o lasciare, e State Of Unrest non mancherà di far proseliti tra gli amanti del crossover thrash/punk di fine anni ottanta, dunque se siete orientati verso sonorità più moderne probabilmente non fa per voi.

TRACKLIST
1. Resist
2. Violent Revolution
3. Damaged
4. State of Unrest
5. Final Vow
6. Wake Up
7. All Hail
8. Code of Conduct
9. Sudden Death
10. Trainwreck

LINE-UP
George Robb – Bass, Vocals (backing)
John Gilleland – Drums
Nate Garduno – Guitars
Don Funk – Guitars, Vocals (lead)

VIOLENT REVOLUTION – facebook

Running Wild – Rapid Foray

Una band che continua dal vivo a divertire non poco, ma come molte altre dalla lunga carriera, in leggero affanno quando si tratta di creare nuova musica.

Trittico di nuove uscite in casa Steamhammer che vedono coinvolte tre band storiche del metal, quali Sodom, Vicious Rumors e Running Wild, la banda di pirati capitanata dal mai domo Rolf Kasparek, in arte Rock ‘n’ Rolf.

Lo storico gruppo tedesco dal concept piratesco che, negli anni ottanta, conquistò anime metalliche come galeoni a spasso per il Mar dei Sargassi, di fatto è ormai da considerarsi un duo, con Rock’n’Rolf accompagnato dal fido Peter Jordan e raggiunto in sede live dall’accoppiata ritmica Ole Hempelmann al basso e Michael Wolpers alle pelli.
Poco male, l’anima dei Running Wild è ben salda tra le mani del leader, che continua imperterrito a portare il proprio vascello all’arrembaggio con il classico sound che prende dal power tedesco e dall’hard rock , per trasformarsi nel solito assalto sonoro.
Come ormai da un po’ di anni l’aspetto melodico è diventato preponderante nella musica del combo, ed anche in questo ultimo lavoro Rolf ha puntato molto sulle atmosfere e sui solos, addomesticando la belva power, con ritmiche più controllate e meno impatto diretto come nelle produzioni ’80/’90.
Prodotto dallo stesso Kasparek con l’aiuto del tecnico del suono Niki Nowy e presentato da una copertina che rispecchia il mood piratesco del gruppo, Rapid Foray torna dopo tre anni dall’ultimo lavoro (Resilient), album che sicuramente non aveva fatto gridare al miracolo ma si era assestato sul livello del classico compitino che, se pur svolto bene, non andava oltre un giudizio discreto.
Quest’ultimo lavoro non cambia di molto la situazione anche se, dove il gruppo rischia qualcosa in più sotto l’aspetto del songwriting, escono brani molto melodici e sostenuti da portentose cavalcate, come le due tracce che risultano il cuore pulsante dell’album: la strumentale The Depth Of The Sea – Nautilus e l’ottima power hard rock oriented Black Bart che, con la conclusiva e maideniana Last Of The Mohicans, sono ciò di meglio ha da offrire il gruppo nell’anno di grazia 2016.
Con tutto questo, Rapid Foray rimane un prodotto godibile e ben confezionato; il mood eroico e battagliero con cui la ciurma di Amburgo ha costruito la sua discografia è ben presente, risultando per i fans un lavoro degno della loro reputazione, anche se (è bene precisarlo) siamo ormai lontani dalle gloriose gesta piratesche di classici come Under Jolly Roger, Port Royal e quel gran bel disco che fu Masquerade, sicuramente un lavoro da rivalutare nella discografia immensa dei Running Wild.
Una band che continua dal vivo a divertire non poco, specialmente quando i riff dei classici riprendono vita dalle chitarre ma, come molte altre dalla lunga carriera, in leggero affanno quando si tratta di creare nuova musica: d’altronde gli anni passano per tutti, anche per gli eroi della Tortuga.

TRACKLIST
1. Black Skies, Red Flag
2. Warmongers
3. Stick To Your Guns
4. Rapid Foray
5. By The Blood In Your Heart
6. The Depth Of The Sea – Nautilus (instr.)
7. Black Bart
8. Hellestrified
9. Blood Moon Rising
10. Into The West
11. Last Of The Mohicans

LINE-UP
Rock N’ Rolf – vocals, guitars
Peter Jordan – guitars
Live:
Ole Hempelmann – bass
Michael Wolpers – drums

RUNNING WILD – Facebook

Vlad In Tears – Unbroken

Spiacenti, ma il gothic/dark, anche se moderno e alternativo, è davvero un’altra cosa.

Le lacrime di Dracula sono copiose, hanno perso completamente quel romanticismo decadente che le rendeva affascinanti e nel nuovo millennio sono pregne di disperazione alternativa.

Per le giovanissime anime della notte, tornano i Vlad In Tears, band della scena gothic berlinese al quinto lavoro in poco meno di dieci anni.
Il gruppo, con il nuovo album, imprime con forza il sound alternativo nella sua proposta musicale, un moderno dark/gothic con la presunzione di scalare le classifiche, ma scarsamente emozionale, derivativo e soprattutto poco curato sia come produzione che a livello vocale.
Ne esce un piagnisteo lungo quasi un’ora, dove l’elettronica, il rock alternativo e uno spruzzata di nu metal soffocano inesorabilmente l’elemento dark/gothic, perdendo la sua partita con le emozioni, oscure e romantiche, importantissime in un album del genere.
Non mancheranno di trovare estimatori e consolidare lo zoccolo duro dei propri fans tra i quindicenni brufolosi alle prime esperienze con le insidie della notte, ma l’alba è alle porte ed il ritorno a casa coinciderà con un padre furioso in attesa sulla soglia di casa.
Marilyn Manson, e via, una dopo l’altra, tutte le band che hanno sfilato in questi anni sui canali satellitari, sfoggiando pantaloni in pelle e magliette nere, una punta di mascara sugli occhi e faccine da angelo nero in preda a disperazione adolescenziale: niente più di questo si intravede tra i solchi di Unbroken, poco per meritare una sufficienza che sarebbe arrivata perlomeno con una voce più profonda e meno monocorde.
Spiacenti, ma il gothic/dark, anche se moderno e alternativo è davvero un’altra cosa.

TRACKLIST
01.Blame Yourself
02.Massive Slayer
03.Burn Inside
04.Lies
05.Don´t Let Us Fall
06.Okay
07.Far Away
08.Over Again
09.Still Here
10.My Shade
11.Dew
12.Slave
13.Brocken Bones
14.We´re Done
15.Still Here (Piano-Version)

LINE-UP
Kris Vlad – Vocals
Dario Vlad – Bass
Gregor Friday – Guitar
Cosmo Cadar – Drums

VLAD IN TEARS – Facebook

Martyrion – Our Dystopia

Quasi settanta minuti di musica sono tanti per un album che vive di alti e bassi: comprimendo il tutto, la resa sarebbe stata certamente migliore.

Death metal moderno e melodico, a tratti apocalittico, quello suonato dai Martyrion, band tedesca attiva da una decina d’anni e con alle spalle due precedenti full length e due ep.

Successore di Refugium: Exile, uscito anch’esso quest’anno, il nuovo lavoro del gruppo continua a dispensare metal estremo dai connotati moderni, melodico in molte sue parti e frenato da un mood marziale.
La caratteristica peculiare del sound è composta da una sequenza di riff melodici su di una base ritmica dal buon groove, il growl profondo e brutale infonde la giusta tensione, scontrandosi atmosfericamente con i solos ipermelodici delle chitarre.
Nulla di clamoroso ma sicuramente ben fatto, Our Dystopia ha la sua pecca nella prolissità; quasi settanta minuti di musica sono tanti e la band tende a replicare più volte la stessa formula.
Per molti è un male, ma se siete amanti del death metal melodico, la cosa non disturba troppo, anche se l’album vive di alti e bassi e riassumendo il tutto, avrebbe certamente reso di più.
Alcune parti ritmiche che sconfinano nel thrash, danno quella varietà sufficiente per non scadere nella noia, e diverse tracce meritano di essere menzionate (In the End, la thrashy The Calm After the Storm, il picco qualitativo We Are Only Human) mentre nella seconda parte l’attenzione scema leggermente per tornare ancora una volta alle prime note pianistiche dell’ottima No Fear No Obedience, oscura, melodica e dall’anima dark.
Siamo nel mondo del death metal melodico, la band non dimentica la sua provenienza ed aggiunge quel tocco dark/gothic apocalittico di cui i tedeschi sono maestri e l’album strappa un voto buono proprio per l’uso di atmosfere oscure e solos drammaticamente melanconici; se siete amanti del genere Our Dystopia è senz’altro un buon ascolto, i riferimenti sono da annoverare tra le fila del metal estremo nord europeo e dalla ombrosa scena dark/gothic tedesca.

TRACKLIST
1. Our Dystopia
2. In the End
3. Genozenith
4. The Calm After the Storm
5. What We Leave Behind
6. We Are Only Human
7. From Reality into Fear
8. The End of Eternity
9. The Uncertain Future Dies
10. When the World Watches
11. No Fear No Obedience
12. The Storm
13. With My Eyes Unaffected

LINE-UP
Jannik Baur- Drums
Felix Lüpke – Guitars
Hendrik Franke – Bass
See also: Transgression
Marian Freye – Guitars
David Schäfer – Vocals

MARTYRION – Facebook

Underdamped System – Phantom Pain

Un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.

La Polonia nel mondo del metal non è solo terra foriera di sonorità death/black, come in tutti i paesi del mondo le varie scene pullulano di realtà dalle più svariate influenze.

A confermare ciò la Metal Scrap licenzia il debutto di questi Underdamped System, al debutto con questo devastante e monolitico Phantom Pain.
Groove metal, industrial, melodie psichedeliche e disturrbanti compongono il sound del gruppo di Częstochowa, nato nel 2008 ed arrivato solo ora al traguardo del primo full length.
Il quintetto si nutre di queste sonorità con un approccio senza compromessi li colloca perfettamente tra i Pantera ed il sound di Meshuggah e gruppi affini.
Una bella mazzata direte voi, ed infatti Phantom Pain urla la sua rabbia contro il decadimento del genere umano a colpi di metallo cadenzato, pura lava dal groove pesantissimo, un bombardamento di note rese ancora più estreme da destabilizzanti esplosioni di riff secchi, una vena industriale che nelle ritmiche si trasforma in rotolanti pezzi di granito psichedelici, continuando il suo incedere verso la distruzione totale di menti travolte e spogliate da ogni certezza.
Le urla belluine di stampo hardcore convincono, in questo lavoro ci si aggira tra le periferie grigie di una Polonia rabbiosa, povera e lasciata allo sbando, la rabbia viene convogliata ed amplificata da tremende esplosioni di metallo che scintilla sbattuto in faccia ad un sistema nemico dell’uomo comune, sempre più belva assetata di sangue, bestia che fagocita vite lasciate a marcire tra i casermoni e strade lacerate dal disfacimento.
Un pesantissimo monolite che si abbatterà sulle vostre teste, una raccolta di brani dove tutto viene amplificato da un sound dall’enorme mole, un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.
Potenzialmente siamo al cospetto di un gruppo che nel genere saprà farsi valere; le band storiche sono ancora lontane, ma gli Underdamped System accorceranno sicuramente il gap, va solo dato loro il tempo.

TRACKLIST
1. Phantom
2. Prophecy
3. Abyssus
4. Legacy
5. Coffin (Lid Encryption)
6. Device
7. Wrath
8. Exile
9. Pain

LINE-UP
David – drums
Jaca – guitar
Marcin – guitar
Radek – bass
Kamil – vocals

UNDERDAMPED SYSTEM – Facebook

Carnal Tomb – Rotten Remains

Non è sicuramente a lavori come Rotten Remains che si chiedono originalità e personalità, ma i Carnal Tomb fanno pienamente il loro dovere.

Il death metal old school non accenna a diminuire i suoi putridi e malefici parti e i fans del genere, pur non cevdendo più i loro beniamini sulle copertine delle riviste di settore, se rivolgono lo sguardo leggermente più in basso troveranno di che sfamarsi, nutriti dal mondo dell’underground metallico.

Tra le strade buie di Berlino, zombie affamati aspettano di mutilare irrimediabilmente i vostri corpi, sempre in caccia di cibo e risvegliati dai deathsters Carnal Tomb, al debutto sulla lunga distanza con Rotten Remains, licenziato dalla Memento Mori.
In due anni di attività il gruppo tedesco ha dato alle stampe un demo ed un ep, raccolti poi nella compilation Revived dello scorso anno, ora però è il momento di Rotten Remains, devastante lavoro di death metal old school che richiama in modo particolare le storiche band scandinave e gli album usciti nei primi anni novanta.
Basta guardare la foto sul profilo facebook della band per capire che gli Entombed (l’immagine richiama una foto storica del gruppo svedese) sono tra le principali influenze del combo berlinese, così come i Dismember e compagnia di deathsters nordici che, ormai quasi trentanni fa,scrissero le tavole della legge del genere.
Rotten Remains dunque è un album che raccoglie l’eredità dei gruppi citati e, senza cambiare una virgola, ripropone quel tipo di sound in modo maniacale.
Non male l’impatto che i Carnal Tomb hanno sull’ascoltatore, l’album fila via che è un piacere, rallentamenti e furiose accelerazioni, solos che sanguinano come un arto staccato da un morso, un growl animalesco ed una montagna di riff giganteschi ed oscuri, sono le armi con cui il gruppo convince, rimanendo ancorato a soluzioni che più old school di così non si può.
Non è sicuramente a lavori come Rotten Remains che si chiedono originalità e personalità: Beneath The Coffins, Cycle Of Horror e la titletrack fanno il loro dovere, cioè massacrare l’ascoltatore con mazzate di death metal vecchia scuola, confrontandosi con le loro illustri influenze con rispetto e devozione.
Per gli amanti del genere un buon ritorno alle origini.

TRACKLIST
1. Undead Dread
2. Beneath the Coffins
3. Funeral
4. Cycle of Horror
5. Rotten Remains
6. Cemetery Inversion
7. Repository
8. Waking in a Casket
9. Repulsive Mutilation

LINE-UP
Corpse Ripper – Bass, Vocals
Cryptic Tormentor – Vocals, Guitars, Programming
Vomitchrist – Drums
Lobotomizer – Guitars

CARNAL TOMB – Facebook

Vicious Rumors – Concussion Protocol

Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.

Geoff Thorpe non molla la presa e, a distanza di tre anni da Electric Punishment, torna con un nuovo album (il dodicesimo) dei suoi Vicious Rumors, heavy power metal band made in U.S.A., amata da chiunque si professi un amante dei suoni metallici fin dall’anno di grazia 1988, da quando cioè uscì il loro capolavoro Digital Dictators.

Una carriera quella del gruppo californiano tra alti e bassi, con un periodo che li vide affrontare suoni dal mood più moderno e cool, una sfilza di vocalist che si sono avvicendati dietro al microfono ed il ritorno alle sonorità heavy power con le ultimissime uscite.
Concussion Protocol, prodotto dal chitarrista e Juan Urteaga ai Trident Studio, famosi per aver già ospitato artisti come Testament, Heathen, Machine Head ed Exodus, e con la partecipazione di due ospiti d’eccezione come Brad Gillis (Night Ranger) e Steve Smyth (Nevermore, Testament, Forbidden), vede due nuovi entrati nella line up del gruppo rispetto al suo predecessore: l’ottimo singer Nick Holleman vero animale metallico, ed il bassista Tilen Hudrap.
Valorizzato come sempre dal sontuoso lavoro di Thorpe alla sei corde e aiutato dall’ascia di Thaen Rasmussen, l’album si sviluppa su un concept catastrofico riguardante la caduta di un asteroide sulla terra ed il conseguente armageddon a cui va incontro il genere umano; il gruppo viaggia a mille all’ora tra power metal e ritmiche thrash risultando devastante e melodico, ruggente e molto heavy.
L’heavy metal classico ha appunto un ruolo fondamentale in questo lavoro, la voce di Holleman spazza via ogni tentazione moderna regalandoci una prova da singer di razza, nato e cresciuto nella più pura tradizione metallica e le songs ci guadagnano in impatto ed appeal melodico.
Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense (Digital Dictators, Vicious Rumors e Welcome to the Ball, album fondamentali per il movimento metallico d’oltroceano) ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.
I cinque californiani picchiano che è un piacere, le chitarre fumano sotto le dita degli axeman e le ritmiche sono tempeste sulla costa, le ottime Chemical Slaves, Victims of a Digital World, dal mood hard rock, ed il massacro sonoro ad opera di 1000 Years sono solluchero per i padiglioni auricolari metallizati dal sound old school che il gruppo, almeno questa volta, riesce ad imprimere in questa raccolta di canzoni che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica di Thorpe.
Un buon ritorno, il tempo è passato troppo in fretta ma la voglia di suonare metallo è tornata quella di una volta.

TRACKLIST
1. Concussion Protocol
2. Chemical Slaves
3. Victims Of A Digital World
4. Chasing The Priest
5. Last Of Our Kind
6. 1000 Years
7. Circle Of Secrets
8. Take It Or Leave It
9. Bastards
10.Every Blessing Is A Curse
11. Life For A Life

LINE-UP
Nick Holleman – vocals
Geoff Thorpe – guitars
Thaen Rasmussen – guitars
Tilen Hudrap – bass
Larry Howe – drums

VICIOUS RUMOURS – Facebook

Svoid – Storming Voices of Inner Devotion

Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva

Non mi starò a dilungare su quanto le etichette date alla musica in generale siano molte volte riduttive se non fuorvianti e mentre a chi scrive servono per lasciare un minimo di indicazione per il lettore, in alcuni casi diventano dei boomerang che si abbattono sul recensore di turno che, magari in buona fede, cerca di spiegare l’arte musicale contenuta in un album.

Storming Voices Of Inner Devotion è uno di questi album, pregno di così tanta originalità da mettere in difficoltà più di un ascoltatore, figuriamoci chi oltre ad ascoltare deve pure provare a descriverlo.
Post black metal, parto da qui e in effetti molte ritmiche, l’aura oscura che aleggia sui brani e l’uso dello scream portano sicuramente verso questa direzione, ma basta un attimo agli Svoid per far cadere tutte le certezze che ad un primo e superficiale ascolto ci siamo creati, allargando i confini persino di questo genere che, partendo da una solida base black, dona sfumature diverse a seconda di chi ci si approccia.
Il gruppo (un terzetto) è attivo dal 2009, proviene dall’Ungheria e questo lavoro è il suo secondo full length, successore di To Never Return del 2013 e del debutto in formato ep uscito nel 2011 (Ars Kha).
Storming Voices of Inner Devotion è un bellissimo affresco di musica estrema, il black metal è sicuramente una parte importante del sound proposto, ma il gruppo va oltre, cercando (riuscendoci) di rompere un bel po’ di barriere, non solo tra i generi estremi, convogliando note figlie di altri mondi musicali,in un unico spartito.
Musica estrema dall’alto tasso progressivo, questo è certo, ritmiche ed atmosfere rock che si incontrano e lasciano spazio a parti metalliche in modo talmente naturale (o cosi la band le fa sembrare) che, appunto, bisognerebbe trovare un’etichetta specifica solo per la musica degli Svoid.
Loro la chiamano anti-cosmic metal, io per questa volta ci rinuncio e vi lascio alle bellissime Crown Of Doom, Never To Redeem, all’irresistibile chorus di Eternal , al basso che sa tanto di The Cure di Forlorn Heart e alla furia estrema della conclusiva In Damnation Vast.
Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva, un perfetto vestito nero cucito con stoffa proveniente dal black, dall’alternative, dal dark e dal prog moderno, la taglia non conta, magicamente vi si cucirà addosso e non riuscirete più a toglierlo.

TRACKLIST
1. Through the Horizon
2. Crown of Doom
3. Never to Redeem
4. Death, Holy End
5. Eternal
6. A Mind in Chains
7. Lefelé a setét mélységbe
8. Forlorn Heart
9. Bloodline
10. Long I’ve Gone (Where All Sinks)
11. In Damnation Vast

LINE-UP
S – Bass, Vocals, Guitars
Dániel – Drums, Vocals
Gergő – Guitars, Vocals

SVOID – Facebook

Bloodred – Nemesis

Un sound roccioso che si nutre di death, black e thrash

Un lavoro autoprodotto dalla natura estrema, che esce cristallino e perfettamente godibile in tutte le sue parti, acquista valore anche per lo sforzo della band nel consegnare ai posteri un prodotto il più professionele possibile.

Nemesis è tutto questo e non solo, primo lavoro sulla lunga distanza dei Bloodred di Ron Merz, polistrumentista tedesco, in questo caso aiutato alle pelli da Joris Nijenhuis (Leaves´ Eyes, Atrocity, ex-DrDoom), una piovra dannatamente potente ed efficace, non per niente batterista di nomi altisonanti del metal europeo. Non
solo il batterista, la famiglia Leaves’Eyes/Atrocity è ben presente nella creazione di Nemesis con il mastermind Alexander Krull, dietro alla consolle per i lavori di produzione, mix e mastering avvenuti nei Mastersound Studio e con l’artwork curato da Stefan Heilemann, artista già al servizio per il gruppo di Krull e Liv Kristine e altre top band del genere come Nightwish, Epica e Lindemann.
Con queste premesse non poteva che uscire un album notevole, ed infatti al primo colpo (il primo vagito dei Bloodred risale all’ep di due anni fa con The Lost Ones) Ron Merz centra il bersaglio: la sua creatura vive di umori estremi devastanti, epici, battaglieri, in una tregenda portata dall’invasione della creatura Bloodred, mai doma, affamata di sangue, dominatrice e tremendamente oscura.
Un sound roccioso che si nutre di death, black e thrash, non in parti uguali ma a formare una macchina da guerra paurosa, con Joris Nijenhuis che nell’oscurità semina morte e distruzione con feroci blast beat ed una prova in generale sopra le righe, e Merz che vomita odio dalla bocca e tremendi riff dal taglio black con la sei corde che si trasforma in una rocciosa e devastante arma death/thrash.
Si passa con disinvoltura da violente scariche di metal estremo dal taglio nordico (la titletrack) a furiose tempeste di note che pescano dal metal estremo più in linea con le produzioni europee, la scuola tedesca è ben presente, sia per quanto riguarda l’anima thrash sia per quella più oscura del death metal e le chicche non mancano (Tragedien i Svenskehuset e The Lost Ones su tutte).
Discorso a parte per la conclusiva Im kalten Licht der Ewigkeit, un brano cantato in lingua madre, gelido come il vento del nord che spazza via le anime dai corpi putrefatti dei caduti sul campo di battaglia, una marcia verso l’inferno, cadenzata e straziante, atmosfericamente terrificante e colma di lugubri sfumature true Norwegian black metal.
Non mi resta che fare i complimenti al musicista tedesco ed obbligarvi a far vostro questo gran bel pezzo di metallo estremo.

TRACKLIST
1. Fell Voices on the Wind
2. Tragedien i Svenskehuset
3. Nemesis
4. The Hail-Storm
5. Collateral Murder
6. The Lost Ones
7. Spirits of the Dead
8. Im kalten Licht der Ewigkeit

LINE-UP
Ron Merz – Guitars, Bass & VocalsDrums
Joris Nijenhuis – Drums

BLOODRED – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Sodom – Decision Day

Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco

Ne hanno fatte di battaglie i Sodom dai primi anni della decade ottantiana, anni che per i true metallers rimangono quelli d’oro per antonomasia del metal considerato classico (o per alcuni old school), dove le prime avvisaglie estremiste cominciavano a contaminare l’heavy metal, per trasformarsi in orde barbariche death e thrash.

Tom Angelripper, insieme a Mille Petrozza dei Kreator e Schmier dei Destruction, si possono considerare come il padre, il figlio e spirito santo della cosiddetta sacra triade di questo mostro chiamato thrash metal e che in terra tedesca trovò i suoi migliori interpreti, almeno per quanto riguarda la vecchia Europa.
Siamo nel 2016, sono passati quasi quarant’anni, eppure in pochi mesi ritroviamo più in forma che mai le due anime più legate al thrash tout court della triade, appunto Destruction (freschi di stampa con l’ultimo e bellissimo Under Attack) ed ora Sodom, con questo ritorno che a conti fatti risulta un ottimo lavoro.
Il quindicesimo album dell’infinita discografia del terzetto di Gelsenkirchen, che vede (oltre al buon Tom come sempre alle prese con basso e voce) anche Bernemann alla sei corde e Markus “Makka” Freiwald alle pelli, continua la tradizione guerresca del gruppo: oggi la band ci porta nel Giugno del 1944 e ai fatti che spinsero gli alleati a sbarcare, non senza dolorose e numerosissime perdite sulle coste della Normandia con la missione di liberare l’Europa dall’oppressione nazista.
Decision Day, titolo molto “americano” è stato prodotto da Cornelius ´Corny` Rambadt, batterista e tecnico del suono del progetto solista di Angelripper, ed illustrato da Joe Petagno, storico artista e grafico al lavoro con icone del metal e del rock come Led Zeppelin, Pink Floyd e Motorhead.
Il gruppo, messe in campo le sue armi migliori, parte alla conquista delle scogliere a nord della Francia con il suo sound spaccaossa, un bombardamento thrash metal che non lascia scampo già dall’opener In Retribution, sei minuti abbondanti di ritmiche infernali, scream al limite del black e solos terremotanti.
Il mood del disco si rifà in toto al primo brano e continua imperterrito la sua avanzata nel cuore del territorio europeo a suon di cannonate, intervallate da attimi di metallo classico ed oscuro, tragicamente melodico ma inesorabilmente potente.
Si respira tra i solchi delle varie Decision Day, Who is God?, il mid tempo estremo di Strange Lost World, il massacro sonoro Sacred Warpath, una fievole speranza di luce, una convinzione che, dall’abominevole sterminio ci sarà una rinascita, ancora una volta una chance data all’uomo che continua a non imparare dai propri errori ma che come un’araba fenice, quando tutto sembra perduto, rinasce per provare a costruire un mondo diverso.
Il trio trasforma queste sensazioni in musica perennemente in bilico tra il thrash metal più oltranzista e quello classico, il che aiuta non poco l’atmosfera oscura di Decision Day.
Batteria e basso liberi di far danni sono una macchina di morte metallica sopra le righe, la sei corde riempe di riff e ritmiche molte volte il limite del marziale il sound, mentre Angelripper conquista cuori metallici dal’alto del suo ruvido e malvagio tono vocale.
Una bellezza Refused To Die, cavalcata che ricorda una marcia delle truppe verso la morte, ora scalfita da venti metallici che da nord soffiano imperterriti sulle coste imbrattate dal sangue dei soldati caduti sotto i colpi dei nemici in un deliro brutale e senza freni.
Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco; per i fans un gran bel regalo da parte di chi la storia del genere l’ha scritta sul serio.

TRACKLIST
1.In Retribution
2.Rolling Thunder
3.Decision Day
4.Caligula
5.Who Is God?
6.Strange Lost World
7.Vaginal Born Evil
8.Belligerence
9.Blood Lions
10.Sacred Warpath
11.Refused To Die
12.Predatory Instinct

LINE-UP
Tom Angelripper – Bass, Vocals
Bernemann – Guitars
Makka – Drums

SODOM – Facebook

EDxKEMPER – Cut Her Head And Love Her

Cut Her Head And Love Her è da spararsi tutto d’un fiato quando la vostra voglia di sangue prende il sopravvento

Torna il grind puro efferato, distruttivo, amato e odiato e lo fa con l’ep del combo greco EDxKEMPER , quintetto di Atene che per Symbol Of Domination da vita a questi dieci brani per 9.01 minuti di musica che riescono nell’impresa di sorprendere in uno spazio talmente ridotto che probabilmente non ha eguali.

Le soprese non finiscono qui, perchè a masterizzare queste terribili dieci tracce troviamo nientemeno che
Dan Swanö, sommo musicista e produttore, ex leader di chi il death metal melodico ha contribuito ad inventarlo (Edge Of Sanity) e qui alle prese con un genere che non mi risulta nelle sue corde.
Il gruppo di grindsters prende spunto per le liriche dalla psyche distorta di Edmund Kemper, famoso serial killer americano che svolse la sua missione di morte nella zona di Santa Cruz nei primi anni settanta, un modo alquanto originale per creare nove minuti di terremoto estremo, dalla velocità impressionante, violentissimo e perfettamente in linea con il più puro spirito grind.
Dieci brani di cui ovviamente solo due arrivano al minuto, dieci mitragliate di genere che sono accompagnate da un gran lavoro in sala d’incisione (la produzione è stata affidata a Greg Skouras aiutato dal gruppo) e dalla copertina notevole curata da Dark Ink Terrorismo.
Ovviamente parlare delle tracce diventa assolutamente inutile, Cut Her Head And Love Her è da spararsi tutto d’un fiato quando la vicina di casa mostra tutta la sua simpatia malsana e la vostra voglia di sangue prende il sopravvento, ottimo modo per non mettere in pratica gli insegnamenti del buon Edmund.

TRACKLIST
01. Dead And Gone
02. 5 Years In Hell
03. I.C.H.M.T.A.B.T.A.S.M.
04. Desperate Cries
05. Cut Her Head And Love Her
06. Dear Mother
07. For A Piece Of Rotten Flesh
08. Your Pitiful Life
09. Her Soul Lives In Me
10. Not For Your Eyes

LINE-UP
Sotiris – Vocals
Michalis – Drums
Spyros – Bass
Labros – Guitars
Vanya – Guitars

EDxKEMPER – Facebook

George Tsalikis – The Sacrifice

Esordio solista per il frontman dei Zandelle, George Tsalikis, con un concept incentrato su una storia di vampiri, dalle buone idee poco valorizzate da una produzione deficitaria.

George Tsalikis è il frontman dei power metallers americani Zandelle, nonchè ex Gothic Knights, e torna sulle nostre pagine un anno dopo l’uscita dell’ottimo Perseverance, che vedeva il ritorno sul mercato del gruppo newyorkese dopo sei anni dall’ultimo lavoro.

Il frontman debutta con il primo lavoro solista, autoprodotto ma distribuito dalla label tedesca Pure Steeel, con un’opera ambiziosa dal concept vampiresco.
Una storia di vampiri dunque, moderna magari ma pur sempre di “succhiasangue” si tratta, un argomento abusato in tutte le forme d’arte dal cinema alla musica e tornato in auge negli ultimi anni.
Il singer si contorna di un manipolo di musicisti della scena metal statunitense e da vita ad un album di U.S. metal old school nella sostanza così come nella forma, senza grossi picchi qualitativi ma che non mancherà di piacere, specialmente a chi apprezza l’heavy metal americano, oscuro ed in gran parte strutturato su ritmi cadenzati su cui Tsalikis ed i vari ospiti narrano le vicende delle creature della notte.
Il nostro si destreggia tra chitarre, basso, piano e tastiere, le pelli sono lasciate al drummer Mike Paradine, mentre molti dei solos sono ad appannaggio del chitarrista Richie Blackwood e le vocals che fanno la loro apparizione lungo il corso della storia sono di Alanna Dachille, Ryan Taylor, Caitlin Rose Scarpa, Don Manzo e Kristen Keim.
Heavy metal robusto ma alquanto melodico, pregno di atmosfere oscure, vissuto tra i vicoli di una New York alle prese con romantici vampirelli, strade bagnate da pioggia sporcata dallo smog della grande mela, un via vai di canzoni che vivono su cavalcate vecchia scuola, valorizzate da buoni interventi chitarristici ma poco esplosive, complice una produzione appena sufficiente che non imprime la giusta forza alle canzoni.
L’idea non è male, qualche canzone riesce ad uscire dall’anonimato, ma la batteria è poco incisiva e le performance dei vari cantanti lasciano pochi ricordi, appiattendosi sul compitino e nulla più.
Peccato, perché il metallo classico di cui si fregia il sound di The Sacrifice è di quello d.o.c., puntando sulle buie trame degli storici Metal Church, le ritmiche robuste degli Zandelle e l’atmosfera da opera metal che però, purtroppo, si respira solo a tratti tra i solchi di Declaration e Inner Struggle.
Un album che con un opportuno lavoro di rimasterizzazione potrebbe acquisire quel tanto che basta per valorizzare il sound, mentre per ora è circoscritto al mondo degli appassionati del genere.

TRACKLIST
1. Chapter 1: World of Darkness
2. Chapter 2: Of My Dreams
3. Chapter 3: The Vixen
4. Chapter 4: The Vampire’s Promise
5. Chapter 5: Taken
6. Chapter 6: Declaration
7. Chapter 7: The Confrontation
8. Chapter 8 (part 1): Inner Struggle
9. Chapter 8 (part 2): With Friends Like These
10. Chapter 9: Victimized
11. Chapter 10: The Hero’s Lamen

LINE-UP
George Tsalikis – lead vocals, rhythm guitar, accoustic guitar, bass, keyboards, piano

special guests:
Mike Paradine – drums
Richie Blackwood – lead guitars
Alanna Dachille – vocals
Ryan Taylor – vocals
Caitlin Rose Scarpa – vocals
Don Manzo – vocals
Kristen Keim – vocals

GEORGE TSALIKIS – Facebook

Demonic Obedience – Nocturnal Hymns to the Fallen

Nocturnal Hymns to the Fallen è un buon esempio di death metal alla Morbid Angel sfumato di black

Tra le componenti maggiori per la riuscita di un buon disco death metal, l’impatto molte volte è l’arma essenziale, tralasciando la mera tecnica strumentale, quella in più per le innumerevoli band che si affacciano sul desolato ed oscuro mondo del metal estremo.

E i Demonic Obedience, creatura malvagia del polistrumentista greco trapiantato in Scozia George Ntavelas, di impatto ne hanno da vendere, sia per quanto riguarda la furia death/black con cui sparano queste otto cartucce imbevute di veleno, sia per la predominanza di atmosfere nere, una palude di note che affogano nella melma infernale di cui questo secondo lavoro è pregno.
La componente black è più concettuale che musicale, nei solchi di Nocturnal Hymns to the Fallen si respira l’aria imputridita e umida del death metal a sfondo satanico, occulto e misantropico, convogliato in mezz’ora abbondante di blasfemie ed invocazioni al signore oscuro.
Old school nell’approccio, violento e sadico nel vedere resti umani galleggiare nell’acqua intorbidita dal sangue e dagli escrementi con gelido distacco, l’album conta sull’aura evil che il buon Ntavelas ha creato, non senza strapparci un sorriso per la buona padronanza dei ferri di un mestiere che all’inferno qualcuno deve pur fare.
Un Caronte che ci prende per mano e a colpi di pesantissime tracce (Portal of the Sacred Kan e Godmade Beast le migliori) ci accompagna nel mondo pastoso, oscuro e blasfemo dell’album, un buon esempio di death metal alla Morbid Angel , sfumato di black di ispirazione polacca e ,come scritto in prima battuta, dall’ottimo impatto evil … non male.

TRACKLIST
1. Create the Shapeless
2. Portal of the Sacred Kan
3. Forced Obscenity
4. Impermissible Irreverence Pt. 1
5. Nocturnal Imagery
6. Godmade Beast
7. Impermissible Irreverence Pt. 2
8. Gehenna

LINE-UP
George Ntavelas – Vocals, Guitars, Bass

DEMONIC OBEDIENCE – Facebook

Dark Forest – Beyond The Veil

Beyond The Veil paga dazio alla sua prolissità: un’ora e tredici minuti di musica sfiancano, se non sono supportate per intero da ottime idee in fase di songwriting

Quarto lavoro sulla lunga distanza per i britannici Dark Forest, da una dozzina d’anni in pista con il loro heavy metal classico ispirato ad ambientazioni folk e medievali.

Lo scorso album The Awakening uscito un paio di anni fa aveva visto l’entrata in line up del singer Josh Winnard al posto di Will Lowry-Scott, un cambio che aveva portato i suoi frutti, confermati dal nuovo Beyond The Veil.
Copertina non a caso affidata a Duncan Storr, artista che ha creato opere grafiche anche per gli Skyclad e proposta che sicuramente si discosta dai primi lavori per sposare definitivamente la causa dell’heavy metal dalle tinte folk.
Diciamo che a livello di sound gli Skyclad sono messi nell’ombra da una forte componente maideniana o comunque riconducibile alla new wave of british heavy metal, mentre concettualmente il gruppo per qualche atmosfera e le tematiche narrate si avvicina al metal di ispirazione folk.
Attenzione, non si parla del folk metal di uso e consumo in questi anni, perché l’elemento progressivo del sound permette alla band di inserire melodie, specialmente nei solos, che richiamano sfumature epic ma sempre inserite in un contesto metallico old school.
Ottimo il lavoro delle due asce che si scambiano il palcoscenico con intrecci chitarristici di scuola ottantiana, buona la prova del singer, abbastanza personale per donare alle canzoni un minimo di interpretazione, gradevoli le cavalcate dal taglio epic così come qualche intervento acustico che ci scaraventa tra i boschi e le foreste delle lande britanniche (Lunantishee).
L’album si potrebbe riassumere nella conclusiva The Lore Of The Land, traccia di tredici minuti, dove il buon Winnard si appropria del timbro dickinsoniano, ed il gruppo parte per una cavalcata in crescendo di buona fattura.
Per il resto siamo nella piena sufficienza, ma nulla più: Beyond The Veil paga dazio alla sua prolissità: un’ora e tredici minuti di musica sfiancano, se non sono supportate per intero da ottime idee in fase di songwriting, ed infatti una mezz’ora in meno avrebbe sicuramente giovato all’ascolto di un album che, alla fine, racchiude il meglio proprio nell’ultimo ottimo brano.
Lavoro assolutamente riservato agli amanti del metal classico di ispirazione old school, Beyond The Veil mantiene la band ben salda nell’underground e nel mondo delle realtà appannaggio dei fan più accaniti del genere.

TRACKLIST
1. On the Edge of Twilight
2. Where the Arrow Falls
3. Autumn’s Crown
4. Blackthorn
5. Lunantishee
6. The Wild Hunt
7. Earthbound
8. The Undying Flame
9. Mên-an-Tol
10. Beyond the Veil
11. Ellylldan
12. The Lore of the Land

LINE-UP
Josh Winnard – Vocals
Christian Horton – Guitar
Pat Jenkins – Guitar
Paul Thompson – Bass
Adam Sidaway – Drums

DARK FOREST – Facebopok

Necrodeath / Cadaveria – Mondoscuro

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Cosa può scaturire dall’unione di due realtà storiche del metal italiano come i Necrodeath e la strega Cadaveria se non grande musica estrema?

Finalmente Mondoscuro, atteso lavoro dove le due band si sono ritrovate ad interagire in sala d’incisione, vede la luce in questa ultima parte d’estate 2016, creando un album atipico, che farà molto parlare di sé, sperando che non rimanga un caso unico come fu nel 1989 Mondocane, progetto che vedeva l’unione delle forze espresse da Necrodeath e Schizo e a cui il titolo fa chiaramente richiamo, oltre ai documentari degli anni ’60 diventati famosi per le loro scene cruente e chiamati Mondo Movie.
Dimenticatevi il classico split, Mondoscuro vede le anime dei due gruppi amoreggiare come serpenti infernali, lascivi e mortali per creare metal orrorifico, macabro e brutale, o rivedere a modo loro classici presi dalle loro discografie per arrivare a brani che vanno dalla gotica Christian Woman dei Type O Negative alla clamorosa versione di Helter Skelter di beatlesiana memoria.
Si parte alla grande con Cadaveria che dà nuovo lustro a Mater Tenebrarum, brano tratto da Into The Macabre, album che è diventato un classico della discografia dei Necrodeath. Il gruppo mantiene la struttura death/thrash della song, fornendole però quell’elemento dark gotico tipico del proprio sound e al minuto 4.46 spettacolarizza il tutto con l’organo di Ignis Forasdomine che riprende il tema dalla colonna sonora di Inferno, creata dal compianto Keith Emerson, ed i cori operistici con in testa la soprano Lindsay Schoolcraft dei Cradle Of Filth, aiutata da Tiziana Ravetti e dal tenore Cristiano Caldera, per un risultato entusiasmante.
Spell, da The Shadows Madame, opera nera creata da Cadaveria nel 2002 e lasciata in mano ai Necrodeath risulta una traccia che alterna atmosfere horror, con Flegias mai così teatrale, a sfuriate thrash addomesticate dai solos ultra melodici del mostruoso Pier Gonella e dal lavoro ritmico del buon Peso aiutato da GL.
Il cuore dell’album è lasciato ai due pezzi inediti: Dominion Of Pain, un brano scritto da Cadaveria e che vede la partecipazione di Flegias e di Gonellaesaltato da una prestazione sugli scudi della singer e valorizzato da chorus evocativi e dallo spiccato flavour gotico,  con una bellissima seconda parte dalle ritmiche quasi doom ed un solo che trancia l’atmosfera dark/gotica del brano; Rise Above, in mano ai death/thrashers liguri, è aperta da un recitato in lingua madre di Cadaveria che introduce una cavalcata metallica dove Gonella emoziona con la sua sei corde in un delirio metallico thrash/gothic.
Il vampiro newyorkese che tormentò le notti di dolci donzelle dagli inizi degli anni novanta ai primi anni del nuovo millennio, è omaggiato dai Cadaveria con la cover di Christian Woman, dal capolavoro gotico Bloody Kisses, resa molto simile all’originale non fosse per un’interpretazione sentita della singer nostrana, che usa tutti i toni della sua voce per rendere il più possibile teatrale e vario il brano cardine della discografia della band di Peter Steele.
Mondoscuro si conclude con la geniale cover di Helter Skelter dei fab four, probabilmente il primo brano heavy metal della storia, pescato dal White Album, aperto da un giro di basso ripreso da Come Together, altro masterpiece dei Beatles, reso devastante dalla furia estrema del combo ligure e con una genialata di Gonella che, a metà brano, riprende l’arpeggio di Ticket To Ride, terzo omaggio alla coppia Lennon/Mccartney.
In conclusione, Mondoscuro è un progetto assolutamente riuscito e, se avrà un futuro, magari con un album di inediti, potrebbe regalare grosse soddisfazioni ai protagonisti e grande musica estrema agli amanti del genere, non perdetevelo.

TRACKLIST
1. Cadaveria – Mater Tenebrarum (Necrodeath cover)
2. Necrodeath – Spell (Cadaveria cover)
3. Cadaveria – Dominion of Pain (feat. Flegias)
4. Necrodeath – Rise Above (feat. Cadaveria)
5. Cadaveria – Christian Woman (Type O Negative cover)
6. Necrodeath – Helter Skelter (The Beatles cover)

LINE-UP
Necrodeath:
Peso – Drums
Flegias – Vocals
Pier Gonella – Guitars
GL – Bass

Cadaveria:
Marçelo Santos – Drums
Cadaveria – Vocals
Dick Laurent – Guitars
Peter Dayton – Bass

NECRODEATH – Facebook

CADAVERIA – Facebook