Krokus – Big Rocks

Un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.

Anche per gli storici hard rockers svizzeri Krokus è arrivati il momento di licenziare un album di cover.

Certo è che da un gruppo attivo dalla metà degli anni settanta non si può certo parlare di un tributo ai grandi interpreti del rock, ma piuttosto un omaggio a dei colleghi, magari molti più famosi del gruppo di Marc Storace anche se vorrei ricordare che i Krokus rimangono la band più famosa proveniente dal suolo elvetico.
Big Rocks raccoglie tredici brani famosissimi per gli amanti del rock, più Backseat Rock’ n’ roll rifatta dal gruppo per l’occasione, un viaggio spazio temporale tra la storia della nostra musica preferita con la S maiuscola.
I nomi sono quelli di Led Zeppelin, Queen, The Who, Steppenwolf, Neil Young, Bob Dylan, The Rolling Stones e molti altri, con brani che non mancano di entusiasmare, altri dove le versioni originali ne escono vincitrici, ma in generale possiamo sicuramente affermare che l’operazione è riuscita.
D’altronde stiamo parlando di musicisti con un’esperienza che supera i quarant’anni nel mondo dell’hard rock, con uno Storace che non perde un colpo, con la sua voce cartavetrata, sanguigno come la sua band, che tanto ha dato all’hard rock, ma che non ha mai dimenticato suo padre il blues.
Un album da lasciare sull’auto a vita, adrenalinico il giusto per non addormentarsi nelle notti passate a correre sulle strade delle Highway To Hell europee, tra una Whole Lotta Love davvero riuscita, My Generation degli Who, quel piccolo capolavoro blues che risulta Summertime Blues di Eddie Cochran, il brano hard rock più coverizzato della storia nelle note di Born To Be Wild, inno biker dei Steppenwolf, e Jumpin’ Jack Flash scritta dalla premiata ditta Jagger/Richards.
In conclusione, Big Rocks non è affatto male, certo un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.
Niente di più, niente di meno, it’s only rock ‘n’roll.

TRACKLIST
1. N.I.B.(originally by Black Sabbath)
2. Tie Your Mother Down (originally by Queen)
3. My Generation (originally by The Who)
4. Wild Thing (originally by The Troggs)
5. The House Of The Rising Sun (originally by The Animals)
6. Rockin’ In The Free World (originally by Neil Young)
7. Gimme Some Lovin’(originally by Spencer Davis Group)
8. Whole Lotta Love (originally by Led Zeppelin)
9. Summertime Blues (originally by Eddie Cochran)
10. Born To Be Wild (originally by Steppenwolf)
11. Quinn The Eskimo (originally by Bob Dylan)
12. Jumpin’ Jack Flash (originally by The Rolling Stones)
13. Backseat Rock N’ Roll (KROKUS original recording 2017)

LINE-UP
Marc Storace – Lead Vocals
Chris von Rohr – Bass, Vocals
Fernando von Arb – Guitars,Vocals
Mark Kohler – Guitars
Mandy Meyer – Guitars
Flavio Mezzodi – Drums

KROKUS – Facebook

Errant Shadow – Errant Shadow

Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.

Altro bellissimo concept album tra progressive metal e gothic rock, questa volta creato dal musicista torinese Seren Rosso, aiutato da una manciata di ottimi musicisti come Nalle Påhlsson (Therion), Kevin Zwierzchaczewski (Lord Byron), Mattia Garimanno (Il Castello di Atlante), Emanuele Bodo (Madiem), Davide Cristofoli (Highlord) e Isa García Navas (ex-Therion).

Uno spiegamento di forze niente male per un’opera rock emozionante, licenziata dalla Ænima Recordings ed intitolata Errant Shadow.
La storia è un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio: in un mondo decadente post-moderno, due cavalieri erranti, un uomo e una donna, ripercorrono le tracce di episodi cruciali, fino alle origini dell’uomo e lungo questo avventuroso viaggio si innamorano l’uno dell’altra.
La band prende il nome dal titolo dell’opera e gli Errant Shadow, sotto la guida di Seren Rosso e del produttore, nonché patron della label, Mattia Garimanno, danno vita a questo straordinario viaggio all’insegna del prog metal elegante e raffinato, così come d’autore si sviluppano le trame dark gotiche.
Forse con troppa fretta l’opera è stata presentata dai protagonisti come una sorta di alleanza prog/gothic tra Dream Theater, Opeth e Nightwish perché, a ben sentire, qui si va oltre e l’album a mio parere trova la sua ideale collocazione tra il progressive elegante di Ayreon e quello finemente gotico dei primi Nightingale del genio svedese Dan Swano; insomma, un’accoppiata che sicuramente non svilisce i paragoni fatti nelle presentazioni anzi, valorizza l’album come opera di culto ed aggiunge arte su arte con spunti dark rock riconducibili agli ultimi Tiamat.
Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.
Un plauso ai due vocalist in grado, con le loro voci, di creare sfumature malinconiche e dark rock su un tappeto di musica totale che raccoglie in un unico sound progressive, metal e rock, sotto la bandiera delle emozioni: un turbinio di note ed atmosfere incredibilmente intense e che hanno la loro massima espressione nelle due tracce che concludono l’album, To The Cygnets Committee e Just In Heaven, ma ricordo che Errant Shadow va assolutamente ascoltato in tutta la sua durata, per godere al meglio della musica di cui è composto.
Un lavoro bellissimo, che non mancherà di sorprendere ed affascinare gli amanti dei suoni progressivi e delle melodie di stampo dark rock.

TRACKLIST
01. The Captain
02. The Dark Room
03. In a Cave
04. From the Abyss of My Heart
05. Such a Lot
06. Hiroshima
07. Crows in the Air
08. Broken Dreams
09. To the Cygnets Committee
10. Just in Heaven
11. To the Cygnets Committee (Bonus Track)

LINE-UP
Seren Rosso – Guitars
Kevin Zwierzchaczewsk – Vocals
Isa Garcia Navas – Vocals
Nalle Pahlsonn – Bass
Mattia Garimanno – Drums
Emanuele Bodo – Guitars
davide Cristofoli – Keyboards

ERRANT SHADOW – Facebook

Aggression – Fragmented Spirit Devils

Il concept riguardante il mondo ecclesiastico e le sue contraddizioni, non originale ma sempre fonte di forti denunce da parte del mondo metallico, è il perfetto accompagnamento alla musica del gruppo canadese.

Eccoci al cospetto di una band storica del panorama metallico internazionale e del loro paese d’origine (il Canada) a livello underground, i thrashers Aggression.

Nato addirittura a metà degli anni ottanta, il gruppo formato da vecchi lupi della scena metal d’oltreoceano ha avuto nel corso degli anni una serie di stop che li ha portati fino a quest’ultimo lavoro, avendo firmato solo due full length, The Full Treatment nel 1987 e Forgotten Skeleton nel 2004, dunque mancavano da una dozzina d’anni dal mercato, escludendo ovviamente la compilation uscita lo scorso anno (Fractured Psyche Demons).
La firma con Xtreem, che ne cura la distribuzione, ed una ritrovata ispirazione porta a Fragmented Spirit Devils, nuovo devastante lavoro che poggia la sua natura estrema su un thrash metal con non poche infiltrazioni death, per un risultato sicuramente improntato all’impatto senza soluzione di continuità.
Death/thrash tradizionale, con gli Slayer a fare da padrini e la scena americana dai richiami old school ad applaudire questi attempati mestieranti del genere, che con l’esperienza accumulata in anni di metal estremo sul groppone confezionano un album senza picchi ma pure senza cadute di tono, sempre con la massima tensione e attenti a non far scendere l’attenzione di chi si avvicina a Fragmented Spirit Devils.
Voce sempre in bilico tra il growl di stampo death ed il classico tono aggressivo del thrash più violento, velocità tenuta su buoni ritmi ed interessanti viaggi sui manici delle sei corde, sono le virtù del classico album per i fans del genere, con esplosioni metalliche che danneggiano i padiglioni auricolari in brani come Chapel Of Horrors,
Furnace Creek e Strangulation Ejaculation.
Il concept riguardante il mondo ecclesiastico e le sue contraddizioni, non originale ma sempre fonte di forti denunce da parte del mondo metallico, è il perfetto accompagnamento alla musica del gruppo canadese.

TRACKLIST
1.At Play in the Fields of Satan
2.Chapel of Horrors
3.Unleashing the Ghost
4.Insanity Without Indulgence
5.Halo of Maggots
6.Furnace Creek
7.Dark Shadow Crossing
8.Strangulation Ejaculation
9.Evil Pox 2016
10.Razamanaz (Nazareth cover)

LINE-UP
Denis “Sasquatch” Barthe – Guitars
Ryan Murray Idris – Drums
Dave Watson – Guitars
Brian Langley – Vocals
Martin Meyer – Bass

AGGRESSION – Facebook

Snake Bite Whisky – Dirty

Rock ‘n’ roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock ‘n’ roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.

Gli Snake Bite Whisky sono una delle più promettenti sleazy street bands australiane.

Attivi dal 2014 hanno dato alle stampe un singolo ed un ep, Two Steps To Oblivion, accolto molto bene negli States, tanto che il gruppo ci ha passato mesi a suonare in lungo e in largo. Tornano con Dirty, altro ep composto da cinque brani di hard rock ‘n’ roll, come lo si suonava nella città degli angeli negli anni ottanta.
Dunque rock’n’roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock’n’roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.
La biografia che accompagna l’opera parla di Guns’n’Roses e Motorhead, ma se per i primi se ne può parlare Lemmy lasciamolo dov’è, qui si fa rock emulando gruppi nati aldilà dell’oceano, perciò tra i solchi delle indiavolate Comes Around, Dirty Mouth e Shoot You Down troverete neanche troppo velati riferimenti a Motley Crue, Faster Pussycat, L.A Guns e teppaglie varie che dettavano legge sul Sunset Boulevard trent’anni fa.
Niente male, l’attitudine c’è ma il senso di copia incolla in certi frangenti supera la semplice ispirazione; in Italia ultimamente sappiamo fare sicuramente di meglio e come ho scritto molte volte la nostra scena pullula di realtà con molto più talento e personalità. Insomma qui c’è da lavorare ancora un po’.

TRACKLIST
1.Comes Around
2.Dirty Mouth
3.Let’s Fuck
4.Lost saints
5.Shoot You Down

LINE-UP
Jay R – Vocals
David Arens – Guitars
Stacii Blake – Bass
Nick Dysart – Drums

SNAKE BITE WHISKY – Facebook

Parris Hyde – Mors Tua Vita Mea

L’esordio sulla lunga distanza dei Parris Hyde è un lavoro riuscito, consigliato agli amanti dell’heavy metal classico.

Mors Tua Vita Mea è l’esordio di questa heavy metal band italiana che porta il nome del suo leader, Parris Hyde, compositore e musicista da trent’anni nella scena nazionale, prima con i thrashers Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson.

Nel 2013 il musicista milanese decide di formare una band tutta sua con l’ aiuto di Roby Kant Cantafio, chitarra, Max Dean, basso, Karl Teskio, batteria e dopo un primo ep di rodaggio arriva finalmente l’esordio sulla lunga distanza.
Mors Tua Vita Mea si sviluppa su tredici brani che spaziano tra l’horror metal di scuola King Diamond – Lizzy Borden e lo speed thrash, toccando lidi hard rock, insomma tutte le influenze di Hyde si sono congiunte per dar vita ad un buon esempio di heavy metal che, al sottoscritto, ha ricordato in particolare le ultime prove di Lizzy Borden (Deal With The Devil / Appointment With Death) con qualche sconfinamento nell’horror metal classico di King Diamond e, rimanendo sul nostro territorio, un pizzico di Death SS, immancabili quando si parla di un certo tipo di metal.
Il bello di questo lavoro che la varietà del songwriting risulta un toccasana in fatto di ascolto, evidenziando una personalità che un musicista da oltre trent’anni sulla scena non può non possedere, emergendo soprattutto nei brani hard rock oriented come la bellissima Digital Dream Land o in Life On The Line, scelta come singolo.
Suonato molto bene ed attraversato da una vena melodica di stampo gotico in alcuni tratti molto suggestiva, con l’uso dell’ organo a riempire di atmosfere horror molti dei brani, Mors Tua Vita Mea si conclude con tre bonus track: la versione per organo e voce del brano I Killed My Wife with a Knife, la simpatica cover metal del brano natalizio Jingle Bells e la cover di Fear Of The Dark degli Iron Maiden, tracce che nulla aggiungono e nulla tolgono all’impressione di essere al cospetto di un lavoro riuscito, consigliato agli amanti dell’heavy metal classico e dei gruppi citati.

TRACKLIST
1. Mors Tua Vita Mea
2. 2ND2NO1
3. I Killed My Wife with a Knife
4. I Love Shopping (with Your Money)
5. Life on the Line
6. Digital Dream Land
7. Far Away
8. Alone
9. The Third Millennium Disillusion
10. Border of Mexico
11. I Killed My Wife with a Knife (Gothic Version) (Bonus track)
12. Metal Bells (Bonus Track)
13. Fear of the Dark (Remix) (Bonus Track)

LINE-UP
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Roby Kant Cantafio – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

Impalers – Styx Demon: The Master of Death

Un quarto d’ora circa ma che vale come un full length, tanta è la qualità che, nel genere possono mettere sul piatto gli Impalers.

Questa giovane band danese attiva da una decina d’anni ha già una discreta discografia che comprende, oltre ai due full length Power Behind the Throne del 2013 e God from the Machine, uscito nel 2015, una manciata di lavori minori tra cui si va ad aggiungere questo ottimo ep di quattro tracce intitolato Styx Demons: The Master Of Death.

Quattro brani, quattro pugni in pieno volto, trascinanti e devastanti, thrash metal old school di matrice teutonica, due brani inediti più la cover (con video) di Death Comes Ripping dei Misfits e quella clamorosa di Prowler, brano che apriva il primo storico album degli Irom Maiden.
Un passo dunque nella new wave of british heavy metal da parte del quartetto danese, non prima di averci trascinato nel più puro suono tedesco speed/thrash anni ottanta, schizzato e veloce, con la sacra triade (Sodom, Kreator, Destruction) a benedire il sound degli Impalers, davvero bravi nel saper tornare agli anni d’oro del genere mantenendo i piedi ben saldi in questo millennio con una produzione all’altezza e suoni cristallini.
Un quarto d’ora circa ma che vale come un full length, tanta è la qualità che, nel genere, possono mettere sul piatto i musicisti danesi, mentre le prime note di Prowler aprono lo Stargate metallico e ci si ritrova a sbattere il capo con più di una lacrima che scende dal viso rugoso di chi ha troppo primavere sulle spalle.
Una band che per gli amanti del genere è un’autentica benedizione.

TRACKLIST
1.Megalodon
2.Styx Demon
3.Death Comes Ripping
4.Prowler

LINE-UP
Søren Crawack – Rhythm Guitar & Vocals
Kenneth Frandsen – Bass Guitar
Rasmus Kjær – Drums
Thomas Carnell – Lead Guitar

IMPALERS – Facebook

The Downspiral To Hell – Unusual Methods to Dismember the Spiritual Halo

Metal estremo sperimentale con diverse buone idee (le parti brutal) e un impatto sufficiente per non passare inosservato.

I The Downspiral To Hell sono il progetto di due musicisti della scena estrema spagnola, José Luis Miranda Morales e Antonio Miranda, insieme pure nei Lagrimas Negras e nei Violet Moon Shining.

Di base a Saragozza, i due sono attivi con questo monicker da una dozzina d’anni e alle loro spalle hanno già due full length, Thorn uscito nel 2005 e The Advent of Neurosis licenziato nel 2008; tornano così dopo otto anni sotto le spoglie di questa creatura estrema che, partendo da una base black, esplora diverse anime del metal più brutale, con una neanche troppo celata vena progressiva che valorizza non poco il sound.
Le voci alternano screams maligni in puro stile black a profondi e gutturali growl, per poi lasciare il sound in mano a delicate voci pulite.
Il sound mescola nel torbido calderone del metal estremo, passando da sfuriate black che ricordano i Satyricon di Nemesis Divina, a devastanti parti death brutal, poi d’incanto la musica si trasforma e le parti atmosferiche dai rimandi progressivi prendono il sopravvento.
Non è facile riuscire in poco più di mezzora ad amalgamare in modo sagace i vari deliri metallici di cui si compone la musica del duo, ma senza far gridare al miracolo il tutto funziona discretamente, anche se una produzione leggermente piatta fa perdere qualche punto al lavoro; metal estremo sperimentale, dunque, con diverse buone idee (le parti brutal) e un impatto sufficiente per non passare inosservato.
Potrei parlarvi degli Arcturus in versione death brutal o dei Cannibal Corpse con mire avanguardiste, preferisco lasciarvi alla musica del gruppo consigliandovi di avvicinarvi senza paraocchi e con una buona dose di pazienza: quando il sound di Unusual Methods to Dismember the Spiritual Halo si farà spazio in voi potrà lasciarvi buone sensazioni.

TRACKLIST
1.Creatures and Threat
2.Snake Eyes in Euphoria
3.The Ochre Sky
4.The Old Script
5.Within the Oppression
6.The Canvas of Confusion
7.My Desolation
8.Thoughts Through Ethic
9.Icy Winds of Fire
10.Outside Emptiness
11.Not Alone
12.Rapture in Grey
13.Burning Winds of Ice

LINE-UP
José Luis Miranda Morales – Guitars, Vocals
Antonio Miranda – Keyboards, Vocals

THE DOWNSPIRAL TO HELL – Facebook

Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory – Bass Guitar Hero

Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

Torna, a pochi mesi di distanza dall’ottimo Living Dead Groove, Fabiano Andreacchio, attuale bassista dei Gory Blister e leader dei The Atomic Factory, band con cui ha registrato il lavoro precedente.

Bass Guitar Hero è una compilation di brani più datati a cui Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory hanno dato una veste più attuale e conforme al sound del gruppo.
Invero, rispetto ai brani di Living Dead Groove, questa raccolta sottolinea in modo più marcato la tecnica individuale del bassista lombardo, davvero un eroe del basso, stupefacente nel disegnare arabeschi di intricate ritmiche metal progressive.
Le tracce si sviluppano quindi sul basso di Andreacchio, abbandonando la forma canzone più marcata nel disco uscito qualche mese fa e indirizzandosi maggiormente verso la tecnica strumentale.
Un album per musicisti e per chi apprezza le opere strumentali, con pochi punti di riferimento stilistici come ormai ci ha abituato il bassista e con qualche chicca che non manca di valorizzare l’album, come la bellissima e progressiva One Step Closer To Heaven e la cover di Transylvanya degli Iron Maiden.
Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

TRACKLIST
1.HeartQuake
2.Hell Is Now NGA
3.Unforgivable (acoustic)
4.Sexonia NGA
5.One Step Closer To Heaven
6.Curious (acoustic)
7.Strange KInd NGA
8.The Gentle Hand 8acoustic)
9.Transylvanya NGA
10.Ascent (dub mix)

LINE-UP
Fabiano Andreacchio – Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden – Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli – Drums

FABIANO ANDREACCHIO – Facebook

Chine – Immanent

Immaginate The Haunted e Darkane flirtare con Strapping Young Lad e Devin Townsend Band ed avrete un’idea della musica creata dai Chine.

Dalla patria del melodic death metal (la Svezia) arrivano i Chine, quintetto proveniente da Helsingborg attivo dal 2008 al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe il debutto Repulsive Sonatas nel 2009 e Betray Your Own Kind quattro anni fa.

Rigorosamente autoprodotto, il nuovo album (Immanent) si piazza con disinvoltura nel calderone del death/thrash, tra sonorità classiche del sound nato nel loro paese d’origine della band ed esplosioni moderne e dal groove micidiale.
Una bella mazzata questo lavoro, otto brani diretti solo sfiorati da qualche atmosfera melodica e potenziati da accelerazioni devastanti.
Niente di nuovo, ci mancherebbe, ma il gruppo svedese sa come arrivare allo stomaco dell’ascoltatore, con un album diretto che non mancherà di soddisfare i palati degli amanti di queste sonorità.
Mantenendo una tensione altissima, i Chine ci travolgono con un ottimo lavoro delle chitarre, che non mancano di valorizzare il sound con destabilizzanti riff in stile Meshuggah (I Forgive You), mentre la struttura ritmica passa dal classico death/thrash scandinavo a parti più incisive e cervellotiche alla Strapping Young Lad.
Impatto e violenza, rabbia che scaturisce in tutta la sua cattiveria in brani che concedono poche tregue e tanto metallo estremo, in una via di mezzo riuscita tra le due anime descritte.
Prodotto a meraviglia, Immanent ci consegna un gruppo maturo e molto affiatato, con musicisti dall’indubbio valore tecnico ed un songwriting sopra le righe.
ImmaginateThe Haunted e Darkane flirtare con Strapping Young Lad e Devin Townsend Band ed avrete un’idea della musica creata dai Chine: promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.Cephalophore
2.Floating
3.Behind the Vivid Light
4.A Thousand Cuts
5.I Forgive You
6.Tid for hämnd
7.Sky
8.Immanent

LINE-UP
Ola Svensson – Vocals
Andreas Weis – Guitar
Jokke Pettersson – Guitar
Tommy Erichson – Bass
Jesper Sunnhagen – Drums

CHINE – Facebook

88 Mile Trip – Blame Canada

Gli 88 Mile Trip trasformano le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegnano un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Come per il precedente full length la band stoner 88 Mile Trip trasforma le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegna un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Per chi si era perso la recensione del primo lavoro ricordo che la band di Vancouver è al quarto parto, dopo il primo ep omonimo del 2013 (anno di fondazione del gruppo), un live e, appunto il primo album Through the Thickest Hazem, uscito due anni fa.
Un viaggio iniziato tra le nevi e le foreste del Canada e lungi dall’essere concluso, persi nel deserto, miglia e miglia verso sud dove gli 88 Mile Trip si ritrovano a ballare in un sabba, in compagnia di Kyuss, Orange Goblin, Fu Manchu ed una buona fetta dei nomi storici dell’hard rock settantiano.
Il quintetto ci scarica una montagna di watt stonati ed in venti minuti abbondanti ci consegna un macigno di hard rock drogato, un passo avanti rispetto ai precedenti lavori, grazie alle cover di vari artisti tra cui Crosby, Stills Nash and Young (Ohio).
Blame Canada è pesantissimo ma allo stesso tempo fruibile, gli accordi e le armonie bruciate dal sole del deserto dell’opener Not Fragile (Bachman Turner Overdrive) confermano l’ottima vena del gruppo così come Cowboys In Hong Kong dei Red Rider.
Cathedral, Black Sabbath e Kyuss sono al servizio del doom acido di cui gli 88 Mile Trip sono i sacerdoti tossici, i cerimonieri settantiani (in Tomcat Prowl) o i rockers nostalgici di un momento storico per la musica rock (60/70) che non tornerà mai più (Ohio).
A volte ritornano, e si tratta di band del cui cammino MetalEyes è fiero di continuare a farvi partecipi, in un mondo come quello del rock sempre e comunque in continuo movimento.

TRACKLIST
1. Not Fragile (Bachman Turner Overdrive cover)
2. Cowboys In Hong Kong (Red Rider cover)
3. Tomcat Prowl (Doug and The Slugs Cover) Feat. Simon Kendall
4. Ohio (Crosby, Stills Nash and Young Cover)
5. Wild Eyes (Stampeders cover)

LINE-UP
David Bell – Vocals
Pat Hill – Guitar
Darin Wall – Bass
Eddie Riumin – Drums

88 MILE TRIP – Facebook

Starbynary – Divina Commedia: Inferno

Gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano.

Caronte è tornato dagli inferi per traghettarci tra lo spartito di questa magnifica opera, sontuoso esempio di musica metal fuori categoria, ed assolutamente non catalogabile nelle troppo semplici coordinate del power progressive, anche se le atmosfere sono simili a quelle create dai Symphony X.

Tornano i Starbynary del vocalist Joe Caggianelli (ex Derdian) e del chitarrista Leo Giraldi, con questo secondo lavoro, prima parte di una trilogia sulla Divina Commedia che non poteva non iniziare con l’Inferno.
La band nostrana aveva già ammaliato gli appassionati del genere con lo stupendo debutto uscito sul finire del 2014 (Dark Passenger), album di una qualità artistica elevatissima dove, oltre ai musicisti italiani, si poteva godere delle prestazioni del bassista dei Symphony X, Mike Lepond.
Un turbinio di fughe power tra ritmiche ed atmosfere progressive, con un vocalist in stato di grazia ed una manciata di musicisti sopra la media, questo era il primo full length del gruppo italiano, ma se si pensava ad un risultato impossibile da ripetersi non si erano fatti i conti con gli Starbynary e la loro voglia di stupire regalando per la seconda volta un emozionante viaggio culturale e musicale.
Discesa all’inferno e risalita, allegoria di vita dove dramma e teatralità enfatizzano lo scorrere dell’esistenza umana, declamandone difetti e peccati, sottolineandone la precarietà ma anche evidenziandone la divina grandezza e
la nobile maestosità: è il viaggio di Dante attraverso il quale poter scrutare all’interno dell’animo umano fino a perdersi in un vortice di emozioni!
Lasciata la Bakerteam per la romana Revalve, altra label nostrana che praticamente non sbaglia un colpo, gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano, così come lo sono le emozioni che l’ascolto di queste perle metalliche suggeriscono.
Di non umano ci sono i cinque musicisti e la loro bravura strumentale al servizio di un songwriting stellare, ed è così che, trasportati dalle varie The Dark Forest, dalla ballad In Limbo che la band trasforma con un crescendo entusiasmante in un mid tempo oscuro, da Medusa And The Angel che non lascia tregua nella sua atmosfera cangiante; Paolo e Francesca, poi, dispensa brividi con un Caggianelli superlativo ed il piano di Stars ci conduce ad undici minuti finali di delirio progressive power metal dalle tinte darkeggianti ed infernalmente gotiche.
Ci si rincorre così tra fughe di aggressivo power metal oscuro, atmosfere di sofferta tregua orchestrale violentate da ripartenze velocissime e mid tempo potentissimi in cui il vocalist incanta con vocalizzi teatrali, mentre Caronte ci lascia sulla riva del fiume e ci si mette in cammino verso l’appuntamento con la seconda parte di questa trilogia creata dagli straordinari Starbynary.
Il 2017 è partito benissimo e conferma il trend degli ultimi anni, che sono stati forieri di grande musica per il metal tricolore: non perdetevi questo album per nessun motivo.

TRACKLIST
1.The Dark Forest (Canto I)
2.Gate of Hell (Canto III)
3.In Limbo (Canto IV) 04 –
4.Paolo e Francesca (Canto V)
5.Medusa and the Angel (Canto
6.Seventh Circle (Canto XII-XIII-XIV)
7.Malebolge (Canto XVIII)
8.Soothsayers (Canto xx)
9.Ulysse’s Journey (Canto XXVI)
10.The Tower of Hunger (Canto XXXII-XXXIII)
11.Stars (Canto XXXIV: I Lucifero, II Cosmo, III Finally Ascendant)

LINE-UP
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo- Keyboards and Piano
Sebastiano Zanotto – Bass
Andrea Janko – Drums

STARBYNARY – Facebook

All Else Fails – The Forever Lie

Non cercate influenze o ispirazioni, schiacciate il tasto play e tuffatevi in questo ottimo esempio di moderno metallo che è The Forever Lie.

Il metalcore è uno dei generi che più divide gli amanti del metal, ma ha saputo regalare ottima musica, almeno finché le troppe uscite non hanno cominciato a saturare il mercato.

Questo non vuol dire però che non ci si possa imbattere in album di spessore e i canadesi All Else Fails hanno dato vita ad un gran bel lavoro.
Attivo da una decina d’anni con una manciata di lavori alle spalle e molte apparizioni live di fianco a nomi altisonanti del metal estremo americano, il gruppo di Edmonton ha confezionato un’opera che non mancherà di trovare ammiratori: il sound su cui si poggia The Forever Lie è un metal moderno dalle ritmiche core, anche se molto varie e per nulla scontate, su cui elettronica, metal ed orchestrazioni melanconicamente dark, accompagnano un uso delle due voci (pulita ed estrema) davvero sopra la media ed in grado di trasmettere emozioni.
Il tutto si riassume in un suono caldo, per nulla scontato, là dove ormai gli album si assomigliano un po’ tutti nel loro sviluppo freddo e dai pochi spunti emozionali.
Chorus che si incastrano a dovere tra le spire di un rettile che ci avvolge ed ipnotizza tra bombardamenti metallici ed eleganti orchestrazioni che permettono al suono di uscire pieno, travolgono l’ascoltatore sotto lo tsunami di note prodotte dall’opener Beneath The Waves, la splendida Twice Broken e la devastante Bones, prima che Terracide metta la parola fine ad un album molto interessante.
Non cercate influenze o ispirazioni, schiacciate il tasto play e tuffatevi in questo ottimo esempio di moderno metallo che è The Forever Lie.

TRACKLIST
1.Beneath The Waves
2.The Sons Of Plenty
3.The Forever Lie
4.Twice Broken
5.Bones
6.Terracide

LINE-UP
Barrett Klesko – Vocals, Guitar, Programming
Chase J Stevenson – Bass, Vocals
Mike Sands – Guitar
Francisco Armas – Drums

ALL ELSE FAILS – Facebook

Sirgaus – Il Treno Fantasma

Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo dei Sirgaus, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

La ricchezza culturale e la soddisfazione di un “non” lavoro come le fatiche dietro ad una webzine musicale, sono ripagate nel conoscere e vivere il percorso di fulgidi talenti dello spartito, che probabilmente non si sarebbero mai raggiunti ed approfonditi come semplici fruitori delle sette note, anche perché dubito (pur augurandolo ai protagonisti) che questi eroi della sacra arte possano trovare quel successo che, in un mondo guidato dalla bellezza e non dal denaro, avrebbero già ampiamente raggiunto.

Ma non credo che a Mattia Gosetti e Sonja Da Col, tornati come Sirgaus con questa nuova ed affascinate opera, interessi granché, molto più probabile che al duo proveniente dalla provincia di Belluno, come musicisti di altri tempi e affascinanti artisti di un teatro che compare dal nulla e scompare alla fine di ogni spettacolo, basti creare e lasciare la loro arte a chi la sa apprezzare.
Dopo il bellissimo Sofia’s Forgotten Violin, concept album licenziato nel 2013 e finito nella mia personale play list di fine anno, Mattia Gosetti, compositore e musicista sopraffino, aveva messo a riposo i Sirgaus per uscire a suo nome con il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, un’opera portata sul palco di un teatro con la cantante e moglie in veste di attrice.
Era il 2015 e questo splendido esempio di musica contemporanea tra rock, metal e operetta finì ancora una volta tra gli album più belli dell’anno, almeno per il sottoscritto, ancora una volta qui a raccontarvi (non a recensire) delle gesta di questi talenti persi tra le montagne dolomitiche.
Il Treno Fantasma è un’altra opera rock sontuosa, più oscura e dark musicalmente parlando rispetto ai lavori precedenti, meno epica rispetto a Il Bianco Sospiro Della Montagna, anche per la storia che, pur lasciando al centro delle vicende la terra d’origine del duo, lascia le tematiche sulla guerra per affrontare i cambiamenti frutto dello sviluppo e dei tempi in cui viviamo.
Molti ospiti accompagnano l’ennesimo viaggio musicale dei Sirgaus, dai cantanti Matteo Scagnet, Denis Losso, Michaela Dorenkamp e il figlio della coppia Diego Gosetti, alle pelli di Salvatore Bonaccorso, la chitarra di Daniele Bressa, ed il violino del sempre presente Fabio “Lethien” Polo dei folk metallers nostrani Elvenking.
Quasi ottanta minuti sul treno fantasma in una folle corse tra le trame orchestrali create da Gosetti, drammatiche e perfette nel raccontare le vicende dei protagonisti, nell’affrontare cambiamenti e scelte per continuare una vita lontana da casa o stretta tra i vicoli dei piccoli paesi di una montagna che sta stretta alle nuove generazione, fermi davanti ad un cavalcavia, linea di confine tra la solitudine e la tradizione della montagna e la caotica vita nella grande città.
A Train To The Mountains segna il ritorno della protagonista verso il paese dopo cinque anni, le melodie orchestrali mantengono linee malinconiche, mentre si fanno più dirette e metallicamente sinfoniche nella bellissima Fischia Nella Notte.
Pur con le sue differenze, Il Treno Fantasma mette in evidenza l’eleganza orchestrale della scrittura di Gosetti, già ampiamente dimostrata sui lavori precedenti, valorizzata dalla particolare e teatrale voce della Da Col, mentre l’opera viaggia spedita sui binari dell’eccellenza con perle come La Versione Di Girollino, La Regina Del Sottosuolo e L’Impero Cadente.
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo di questo compositore nostrano, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

TRACKLIST
1.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi
2.Incontro Sul cavalcavia
3. A Train To The Mountains
4.Fischia Nella Notte
5.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (seconda parte)
6.Un secco ramo
7.Riparerò Questi binari
8.Il Bosco Nero
9.La Versione Di Girollino
10.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (terza parte)
11.La Regina Del sottosuolo
12.Il Folle Piano
13.La Rivalsa Di Girollino
14.Carbone Per La Mia Fornace
15.L’Impero Cadente
16.La Strada Verso Il Crescere

LINE-UP
Mattia Gosetti – Basso, Chitarra, Orchestrazione, Produzione
Sonja Da Col – Voce
Denis Losso, Matteo Scagnet, Michaela Dorenkamp, Andrea Sonaglia, Diego Gosetti – cantanti ospiti
Fabio Lethien Polo – Violino Elettrico
Daniele Bressa – Chitarra Solista
Salvatore Bonaccorso – Batteria

SIRGAUS – Facebook

Broken Key – Face In The Dust

Un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

Si continua a suonare metal moderno in giro per il mondo, magari meno influenzato dall’ormai abusato metalcore, e più genuinamente groove.

Niente di originale, e abusato anche questo, ma forse più puro ed underground rispetto alla finta rabbia delle boy band ispirate all’ormai obsoleto ed ennesimo sogno americano.
I Broken Key, per esempio, sono una giovane band tedesca, proveniente da Halle Saale, hanno un solo ep alle spalle e per la STF licenziano il loro primo album, questo calcio nei denti che di nome intitolato Face In The Dust e che piacerà agli amanti dei suoni moderni, sempre in bilico tra hardcore e groove metal.
Una quarantina di minuti alle corde, messi all’angolo dal nostro avversario che non ne vuol sapere di rallentare la sua letale scarica di pugni che spezzano ossa in ogni parte del corpo, più o meno è questo che risulta l’album, non male per il combo tedesco.
Mid tempo pesantissimi, dove il groove metal prende il sopravvento, si alternano con ripartenze hardcore secche come un diretto in pieno volto inaspettato e devastante.
Il vocione rabbioso, il muro sonoro dalla buona potenza non fanno che rincarare la dose massiccia di violenza, mentre scorrono le note di brani, alla lunga un po troppo simili (questo è il genere, prendere o lasciare), ma per i metal fans dal berrettino con visiera, Black Hole, Runaway e Members Of Old School saranno graditi muri sonori.
In conclusione, un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

TRACKLIST
1.Brick
2.Black Hole
3.All The Fucking Sluts
4.Runaway
5.Face In The Dust
6.Sick Soldiers
7.Skull Behind Your Face
8.Enemy
9.Members Of Old School
10.Never Say No

LINE-UP
Rene Richter – Vocals
Marcus Griebel – Guitar
Tommy Kogut – Guitar
Robin Schuchardt – Bass
Carlo Hagedorn – Drums

BROKEN KEY – Facebook

The Press Gang – Medusa 5

Un altro delizioso e trascinante viaggio tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

Dieci anni all’insegna dell’hard & heavy ottantiano, un buon esempio di heavy metal che a braccetto con il punk rock attraversa decenni di musica dura con il suo affascinante concept fantascientifico in bella mostra.

I The Press Gang sono un gruppo canadese che quest’anno festeggia il decimo anno di attività con un nuovo album, Medusa 5, dalla bellissima copertina epico/fantascientifica in bella mostra e una valanga di note metal/rock al suo interno.
Nato appunto dieci anni fa, il gruppo di Calgary arriva così al suo quinto lavoro in studio di una discografia iniziata nel 2009 con il debutto omonimo e che lo scorso anno vedeva pubblicato l’ottimo Optimal Running Speed.
Medusa 5 continua imperterrito la tradizione del quartetto di Calgary, così che quando partiranno le prime note di Dagger For The Eye verrete travolti da una tempesta di hard & heavy vintage, ottantiano nell’anima metallica ma seventies nello spirito punk rock che anima i brani all’interno del cd.
Palla lunga e pedalare, intendiamoci, ma i The Press Gang sono divertentissimi e pure con il loro nuovo album vi assaliranno con il loro irresistibile sound pregno di quei cliché che sono il pane ed il vino di ogni rocker, almeno quelli dalla quarantina in su.
Nei solchi di queste dieci tracce ogni passaggio lascia nei padiglioni auricolari echi motorheadiani, maideniani e poi d’ incanto, una ritmica ci trasporta nel bel mezzo della Londra punk del 1978, o nei primi vagiti del metal estremo targato Voivod.
In tutta questa alternanza tra generi e miti di noi ormai attempati metallari, le canzoni funzionano benissimo e Colin McCulloch e soci ci regalano un altro delizioso e trascinante viaggio, tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

TRACKLIST
1.Dagger For The Eye
2.Churning The Rust
3.Bumblebee
4.Rise
5.Blister & Boil
6.Bone & Gravel
7.Die Inquisitor Die
8.Brontosaurus
9.Kill The Bastards
10.Ship & Sail

LINE-UP
Colin McCulloch – Lead Vox, Rhythm Guitar
Chad Laing – Lead Guitar
Lindsay Arnold – Bass Guitar
Derek Lindzon – Drums

THE PRESS GANG – Facebook

Coffin Surfer – Rot A’ Rolla

Undici minuti bastano per convincerci d’essere al cospetto di una band originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

Rot A’ Rolla, ovvero quando undici minuti bastano per convincerci di essere al cospetto di una cult band, originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

I bolognesi Coffin Surfer, un quartetto di pazzi grindsters con la passione per il rock’n’roll, hanno un solo demo alle spalle, uscito tre anni fa e tornano sul mercato underground con questo ep di cinque brani che riescono nell’intento da sempre perseguito dalla band : far ballare e scapocciare zombie e pin up a colpi di rock’n’roll, death, grind e surf.
La voce campionata di Phil Anselmo ci introduce nel mondo di Rot A’ Rolla e Nutria esplode tra ritmiche surf e grind/death: i grugniti classici del grind si confondono tra pesantissimo groove e devastanti ripartenze estreme e, come un orologio, il gruppo risulta preciso e perfetto, con Headless Chicks Rodeo se possibile ancora più devastante e violenta.
Saint Fetus è death metal feroce e sguaiato, mentre i venti secondi di Escape From India ci introducono alla conclusiva Deathroll, dove Motorhead, Napalm Death ed Elvis Presley vengono evocati all’unisono per sconvolgere le normali dinamiche del metal rock mondiale.
Grande band quella formata da questi ragazzi bolognesi, che sanno soprattutto suonare e lo dimostrano pur mantenendo un approccio alla propria musica violento e scanzonato in uguale misura. Resta solo da ascoltare per credere.

TRACKLIST
1.Nutria
2.Headless Chicks Rodeo
3.Saint Fetus
4.Escape From India
5.Deathroll

LINE-UP
Pica – Vocals
Balbo – Drums
Vale – Guitars
Raffa – Bass

COFFIN SURFER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

NORÐ – Alpha

Alpha è da annoverare tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici, mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.

Debutto in formato ep per il quintetto danese dei NORÐ sotto l’ ala della Inverse Records.

La band ,nata nel 2013, arriva con Alpha all’esordio discografico portando all’attenzione degli appassionati il suo sound che vive di diverse sfumature prese dal variegato mondo del metal.
Metallo progressivo, come sostiene l’etichetta, o un buon mix di diverse atmosfere e generi?
A mio parere l’elemento progressivo si ferma a qualche cambio di ritmo, mentre dall’ascolto di questi quattro brani si evince un buon mix di generi che vanno dal metalcore a quello classico, un uso parsimonioso ma centrato di melodie malinconiche e l’ormai abusata soluzione della doppia voce, in scream e pulita.
Alpha è da annoverare, dunque, tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici (Restless), mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.
In generale i brani funzionano, Kill The Marshalls, per esempio, è un’opener dall’ottimo impatto tra metallo estremo e melodie tragicamente moderne, ma per un futuro lavoro sulla lunga distanza ai musicisti danesi serve qualche idea in più per non perdersi nei meandri del già sentito.

TRACKLIST
1. Kill the Marshalls
2. Rosehip Garden
3. Restless
4. Omega

LINE-UP
Bjarne Brogaard Matthiesen – Vocals
Niels Thybæk-Hansen – Guitar
Thomas Bøgh Jensen – Guitar
Peter Littau – Bass
Magnus Elisson – Drums

NORÐ – Facebook

Pessimist – Call To War (reissue)

L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione di Call To War da parte della MDD.

Tempo di ristampa anche per i tedeschi Pessimist e del loro primo album sulla lunga distanza, il notevole Call To War uscito originariamente nel 2010 ed ora di nuovo sul mercato con l’aggiunta dei brani del primo demo Nuclear Holocaust del 2007.

E Call To War è un album che merita senz’altro un’altra occasione, perciò se siete dei thrashers incalliti l’album sarà sicuramente fonte di grosse soddisfazioni.
Tedesco di nascita ma americano nell’approccio al genere, il quintetto nel 2010 usciva con questa prova di forza niente male, un thrash metal veloce, letale, esagerato, pregno di rabbia metallica, perfetto sia nelle ritmiche che nella valanga di solos, cantato con tutta la rabbiosa aggressione che può avere un soldato sul campo di battaglia.
Dall’opener Trommelfeuer in poi, Call To War risulta un pezzo di granito estremo, perfetto nel bilanciare impatto e tecnica esecutiva, sconvolgente a tratti nei brani dove la verve strumentale prende il comando delle operazioni, assolutamente vincente in ogni suo passaggio.
Thrash metal senza compromessi ma da stropicciarsi gli occhi e le orecchie, irruento e violento come le battaglie descritte (The Massacre of Nanking, devastante traccia thrash/speed che parla dei terribili fatti di Nanchino, nel 1939 capitale cinese, da parte dell’esercito giapponese), un’apocalisse alla velocità della luce che per i thrashers duri e puri si trasforma in un’autentica perla di metal ottantiano.
L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione da parte della MDD: nel frattempo sono passati tre anni dal suo successore Death from Above, dunque non perdete l’occasione di recuperare Call To War e mettetevi in attesa del prossimo massacro targato Pessimist.

TRACKLIST
01. Trommelfeuer
02. The Massacre of Nanking
03. Infernal Death
04. Prelude Arm for War
05. Call to War
06. Son of Satan
07. It’s Time To…
08. Death by Torture
09. Another Day in Mania
10. Hell of War (Bonus Track)
11. Kill or be Killed (Bonus Track)
12. Armageddon (Bonus Track)
13. I Hate You (Bonus Track)
14. Nuclear Holocaust (Bonus Track)

LINE-UP
Michael ‘TZ’ Schweitzer – Vocals
Patrick ‘Peppi’ Pfefferle – Guitar, Backing Vocals
Richard Beck – Guitar
Severin ‘Sevi’ Wössner – Bass, Backing Vocals
Raphael ‘Raphi’ Gamboni – Drums

PESSIMIST – Facebook

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Four Star Revival – The Underdog EP

I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.

Tornano con un nuovo ep di cinque brani i Four Star Revival, gruppo statunitense composto da vecchie volpi dell’hard rock ed heavy metal del nuovo continente.

Ed Girard (ex Common Social Phenomenon) al basso, Benny Bodine (ex Warminister) alla sei corde, il batterista Paul Strausburg ed il singer Jack Emrick, ex Live After Death e con un presente negli storici Armored Saint, formano questa sorta di super gruppo, che fece parlare di sé un paio di anni fa con il debutto sulla lunga distanza intitolato Knights of the Revival.
In attesa di un nuovo full length la band licenzia The Underdog ep che funge da parentesi tra il primo lavoro ed il prossimo.
Il sound del quartetto americano si compone di un’ottima amalgama di sonorità della tradizione metallica statunitense che vanno dall’hard rock all’heavy power, sorrette da potentissime bordate ritmiche, suoni chitarristici forgiati nell’U.S. metal ed una prestazione sontuosa del cantante, classico esempio della scuola d’ oltreoceano, dall’ugola maschia d’impostazione hard rock e molto interpretativa.
I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.
The Underdog spara subito due cannonate come la title track e Liar, heavy power song con groove a manetta e solos tonanti, mentre il vocalist dimostra subito che, dietro al microfono degli Armored Saint non ci si finisce per caso.
Rumors Of War è un mid tempo leggermente più scontato , mentre con Broken si vola sulle ali di una semi ballad in crescendo e The Garden Of Good And Evil chiude alla grande questo ep con fuochi d’ artificio di scuola primi Savatage e i già citati Armored Saint.
Un ottimo mini che conferma la bontà del gruppo dell’Ohio e ci consegna un’altra band da seguire nel suo cammino metallico, sperando che i tempi di attesa per il prossimo album non siano troppo dilatati.

TRACKLIST
1.The Underdog
2.Liar
3.Rumors Of War
4.Broken
5.The Garden Of Good And Evil

LINE-UP
Jack Emrick – vocals
Benny Bodine – guitar
Ed Girard – bass
Paul Strausburg – drums

http://www.facebook.com/FourStarRevival