Magnet – Feel Your Fire

E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

Atmosfere occulte, suoni vintage di matrice rock blues, linee chitarristiche eleganti e sfumature sabbatiche e lascive donano un tocco sacrilego e magico al rock settantiano suonato da questo gruppo capitanato da Riccardo Giuffrè, bassista dei Psychedelic Witchcraft, qui alle prese con voce e chitarra.

E di blues è pregno Feel Your Fire, un album che continua imperterrito a solcare la strada dei Magnet, anche se il sound risulta più dinamico e rock ‘n’roll, specialmente nell’opener Buried Alive With Thee.
Le atmosfere vintage donano all’album un’aura di magia musicale, e i riferimenti espliciti a nomi di spicco del panorama hard rock non inficiano la buona riuscita di brani dal forte sentore di incenso, messianici pur non essendo esplicitamente doom.
Un rito, musica che non insegue la chimera dell’originalità, ma che sa donare ancora forti emozioni, così esposta ai delicati venti blues pur mantenendo una buona verve hard e leggere sfumature psichedeliche: si viaggia in un trip settantiano per tutta la durata dell’album, con atmosfere che passano dal rock’n’roll al blues occulto e ricco di magia (Ouroborus, Little Moon) al finale tutto dedicato ai Black Sabbath con Magnet Caravan, brano tributo alla Planet Caravan di Iommi e soci.
E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

TRACKLIST
1. Buried Alive With Thee
2. Ouroboros
3. Light
4. Little Moon
5. Drive Me Crazy
6. Feel Your Fire
7. Satan’s Daughter
8. Magnet Caravan

LINE-UP
Riccardo Giuffrè
Jacopo Fallai
Mirko Buia
Vanni Fanfani

MAGNET – Facebook

Vulgar Devils – Temptress Of The Dark

I Vulgar Devils non pretendono sicuramente di cambiare il corso della musica, bensì di farci passare mezz’ora di puro divertimento, peraltro riuscendoci …

Trentadue minuti di hard rock tripallico tra heavy metal e rock’n’roll, questo è Temptress Of The Dark, debutto del trio statunitense Vulgar Devils.

Licenziato dalla Pure Rock Records, l’album dei tre diavoli americani non mancherà di far saltare dalla poltrona più di un rocker, con il suo irriverente, ignorante ma assolutamente coinvolgente sound.
D’altronde la ricetta è semplice, e i tre cuochi usciti dalla cucina di hell’s metal non si sono fatti problemi a proporla a noi ingordi consumatori di hard rock.
Un pizzico di Motorhead, qualche spruzzata di Iron Maiden (For The Kill), una spolverata di Ac/Dc e tanto rock’n’roll, per un piatto ricco di adrenalina ed elettricità.
Temptress Of The Dark è il classico lavoro che nella sua diretta e semplice struttura conquista al primo ascolto e non si può fare a meno di scapocciare al frenetico ritmo dell’opener Devil Love, dell’hard rock scarno ed essenziale di Come And Get It, per poi urlare al cielo gli inni metallici For The Kill e Forget About Tomorrow.
Poco più di mezzora, tempistica perfetta per sparare a mitraglia una serie di brani che sono lampi metal rock nel buio della musica odierna, mandando al diavolo (ogni riferimento è voluto) tecnica ed eleganza per pogare fino allo sfinimento con questi tre rocker dall’attitudine old school.
I Vulgar Devils non pretendono sicuramente di cambiare il corso della musica, bensì di farci passare mezz’ora di puro divertimento, peraltro riuscendoci …

TRACKLIST
1. Devil Love
2. Come And Get It
3. For The Kill
4. Forget About Tomorrow
5. Worlds End
6. Slump Buster
7. Temptress Of The Dark
8. Vulgar Devils

LINE-UP
Vulgar Dave Overkill – vocals, guitar
Erin Lung – bass
Matt Flammable – drums

VULGAR DEVILS – Facebook

Necronomicon – Advent Of Human God

Tornano i canadesi Necronomicon con il loro sound che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.

Il genere che, dalla seconda metà degli anni novanta in poi, fece sfracelli tra i fans del metal estremo, oggi risulta un sound sorpassato se non inutile, almeno per molti degli addetti ai lavori.

Ebbene sì, il symphonic black metal non è più uno dei generi top dell’estremo suonare, ma se si scova tra l’underground metallico qualche buona proposta la si trova ancora, in barba ai soliti criticoni dalla bocciatura facile.
Advent Of Human God, per esempio è un buon lavoro, arriva dal Canada e a crearlo è una band storica del genere, i Necronomicon, trio attivo dalla fine degli anni ottanta e con (oltre ad un ep) quattro precedenti album tra il 1999 ed il 2013.
Tre anni sono passati dall’ultimo lavoro ed il gruppo torna con il suo death/ black che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.
Dopo l’intro d’ordinanza prende avvio l’ascesa dagli inferi con la title track, un compendio di ritmiche serrate e blast beat, fino ad arrivare alla prima frenata atmosferica orchestrale e tornare alla carica con The Golden Gods e l’ottima Crown Of Thorns, scelta come video e brano trainate dell’album.
Il trio di Fjord Of Sanguenay, zona che si avvicina molto per conformazione alla famosa costa norvegese e che ispira da sempre, insieme ai testi di Lovecraft, i Necronomicon, convince nelle parti violente mentre qualche orchestrazione risulta forzata nell’economia dei brani, ma siamo ai dettagli: se ancora tra i vostri ascolti compaiono il gruppo di Shagrath ed i Behemoth, Advent Of Human God risulterà senza dubbio un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1. The Descent
2. Advent of the Human God
3. The Golden Gods
4. Okkultis Trinity
5. Unification of the Pillars
6. Crown of Thorns
7. The Fjord 8. Gaia
9. I (Bringer of Light)
10. Innocence and Wrath [Celtic Frost cover]
11. Alchemy of the Avatar

LINE-UP
Rick – Drums
Rob “The Witch” Tremblay – Vocals, Guitars
Mars – Bass

NECRONOMICON – Facebook

Invisible Mirror – On the Edge of Tomorrow

Un’altra band da annoverare tra le più brillanti scoperte dell’insaziabile WormHoleDeath, con un album da custodire gelosamente se siete amanti dell’heavy metal dai tratti progressivi e dark.

Che la Svizzera, oltre ad essere una terra incantevole, sia anche madre di molte importanti band del mondo metallico non è una novità.

Puntuali come i suoi famosi orologi, ogni anno spuntano nuove realtà che si affacciano sul mercato continuando la tradizione hard & heavy del paese del cioccolato, tra violenza estrema e melodie hard rock, continuando ad essere punto di riferimento degli amanti dei suoni metallici europei.
La WormHoleDeath, label che pesca talenti metallici come pesce azzurro sulle coste mediterranee, si aggiudica le prestazioni degli Invisible Mirror, band di heavy power melodic metal, all’esordio con questo bellissimo lavoro dal titolo On The Edge Of Tomorrow, prodotto niente meno che da Connie Andreska (ex Mystic Prophecy) e Dani Löble (Helloween), coppia d’assi del power metal europeo.
Ero curioso di ascoltare questo lavoro, non fosse altro per la scelta dell’etichetta italiana, al solito attenta a sonorità estreme, dal death al core, passando per il symphonic gothic metal, ma finora parca di proposte classiche e la mia curiosità è stata premiata.
La band, infatti, è protagonista di un heavy metal dalle melodie oscure, molto melodico, a tratti progressivo e di classe, non facendo mancare ritmiche riconducibili al power, ma elegante nel far confluire nel proprio sound elementi U.S. metal in un contesto che, comunque, rimane europeo.
E allora prendete il metal dalle tinte dark dei Metal Church e valorizzatelo con parti progressive alla Stygma IV o Evergrey, e power heavy metal di scuola Angel Dust, ed avrete un’idea di massima della musica prodotta dal quartetto: certo non manca qualche assolo e parti più classicamente indirizzate verso nomi altisonanti dell’heavy metal, ma l’eleganza artistica degli Invisible Mirror ne avvicina la musica a quei gruppi meno fruibili dalle masse, ma di livello altissimo in quanto a mera qualità musicale.
Menzione particolare per Chris Schwarz, un cantante dotato di qualità interpretative sopra la media , che funge da ciliegina sulla torta ad un gruppo tecnicamente buono, quanto basta per creare emozioni a profusione.
E di emozioni vive On The Edge Of Tomorrow, tragico, dark sontuosamente metallico e trascinato da un lotto di brani che trovano il loro punto più alto nelle notevoli Frozen River, nella monumentale title track e nella power progressiva The Loner.
Un’altra band da annoverare tra le più brillanti scoperte dell’insaziabile WormHoleDeath, con un album da custodire gelosamente se siete amanti dell’heavy metal dai tratti progressivi e dark.

TRACKLIST
1. Frozen River
2. Strike Back
3. Different Ways
4. Believe
5. Conspiracy of Minds
6. Life of a Stranger
7. Hungry for Love
8. On the Edge of Tomorrow
9. Beyond the Sky
10.The Loner

LINE-UP
Chris Schwarz – Lead Vocals
Ricky Bonazza – Bass, Vocal
Claude Magyar – Guitars
Seba Dixon – Drums

INVISIBLE MIRROR – Facebook

Tàlesien – Tàlesien

Un gruppo che sa manipolare la materia progressiva con soluzioni orchestrali sontuose e almeno due o tre brani sopra la media, ma la scelta della lingua madre rischia di limitare le potenzialità di un’opera del genere,

I Tàlesien sono un sestetto galiziano che propone un buon esempio di metal prog: attivi già tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio, tornano con un nuovo lavoro tramite la Suspiria Records dopo tre full length di cui l’ultimo (El Silencio) uscito nel 2012.

Una buona fama raggiunta nel loro paese (anche per l’uso della lingua madre) negli anni li ha portati a dividere il palco con alcuni nome importanti del metal internazionale, ed il nuovo lavoro conferma la buona salute del metal nato in quelle terre.
Lontano dal prog folk dei Mago de Oz, così come dal power di Tierra Santa e Avalanch, il sound del gruppo è da annoverare nel classico metallo progressivo sulle orme lasciate negli anni dai Dream Theater, a cui il gruppo deve molto e da cui si differenzia, oltre che per l’uso dell’idioma, per qualche soluzione melodica più accentuata, specialmente nelle orchestrazioni che a tratti rasentano il musical (Sexta Extinciòn).
Una marcata vena melodica, qualche ritmica più potente e poi, con questo quarto album omonimo, la band vola sulle ali del progressive, con ottimi cambi di tempo nelle ritmiche, solos che non mancano di brillare per tecnica e gusto, chorus azzeccati, una buona prova del vocalist il quale ha molte frecce da scagliare nell’ora di musica a disposizione del gruppo.
I Tàlesien sono una band che sa manipolare la materia progressiva con soluzioni orchestrali sontuose e almeno due o tre brani sopra la media, ma la scelta della lingua madre rischia di limitare le potenzialità di un’opera del genere nei confronti di chi è abituato al più classico idioma britannico, ma se la cosa non crea disturbo Tàlesien risulterà un buon ascolto.

TRACKLIST
1. Noa
2. Lazarus
3. A-Legato
4. Sexta Extinciòn
5. Neftalì
6. Incomprensiòn
7. Alama Encadenada
8. Insomnio
9. Apàtrida
10. Màrtires
11. Sublime

LINE-UP
P. Javier García – Vocals
Juan Carlos Cotelo – Guitars
Nano Vikendi – Guitarra
M.A. Justo “Macaco” – Bass
Iñigo Uribe – Orchestration
Anxo Silveira – Drums

TALESIEN – Facebook

The Furor – Cavalries of the Occult

Prendete, una per genere, la band più estrema in circolazione di death, black e thrash metal, ed avrete un’idea della forza bruta di questi demoni australiani, autori di un disco comunque consigliato solo ai fans più incalliti di questi stili.

Ci eravamo occupati di questa devastante band australiana un paio di anni fa, quando DIzazter diede alle stampe il quarto full lenght della sua creatura, chiamata The Furor.

Attiva dal 2002 questa assatanata ed apocalittica creatura estrema continua la sua guerra contro l’umanità a colpi di black/death/thrash devastante, un uragano orgiastico di suoni estremi senza soluzione di continuità, questa volta sotto l’ala della Transcending Obscurity, la sola novità che si porta con se questo ennesimo assalto metallico.
Aiutato da Hellhound e The Grand Impaler, il demone australiano torna a dichiarare guerra al mondo con una serie di bombe atomiche musicali, feroci e senza compromessi, apocalittiche nel senso più devastante del termine.
Anche Cavalries of the Occult, come l’album precedente non lascia scampo, guerra totale dalla prima all’ultima nota, con brani che risultano un massacro ben congegnato e martellante (la title track, Death Manifest e Storm Of Swords) e gli altri che continuano le nefandezze perpetrate da questo esercito di mostri liberi di perpetrare le azioni più orribili sulla terra.
Il problema di Cavalries of the Occult è la durata: quasi un’ora di una tempesta sonora di proporzioni bibliche diventa difficile da portare fino in fondo, ed infatti verso la fine l’attenzione immancabilmente scende, provati da tanto odio e caos primordiale.
Album che diviso in due avrebbe sicuramente reso maggiormente, ma se vi piacciono le esagerazioni in musica, i The Furor sono sicuramente uno dei gruppi più estremi in circolazione.
Prendete, infatti, una per genere la band più estrema in circolazione di death, black e thrash metal, ed avrete un’idea della forza bruta di questi demoni australiani, autori di un disco comunque consigliato solo ai fans più incalliti di questi stili.

TRACKLIST
1.30 Year War
2.Cavalries of the Occult
3.Death Manifest
4.Fomes Peccati
5.Lake of Fire
6.Rampage upon the Rational
7.Second Coming Slaughtered
8.Storm of Swords
9.Totaliterror

LINE-UP
DIzazter – Khaos Drum Molestations/ Vocal Missiles,
Hellound – Merciless Christ Axecution
The Grand Impaler – Ballistic Bass from Beyond

THE FUROR – Facebook

Heart Avail – Heart Avail

Buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

Nuova proposta, in arrivo dagli States, di hard gothic metal sulla scia di Evanescence e Within Temptation, con un tocco moderno nelle ritmiche e nei suoni di chitarra prettamente americani che non guastano affatto.

Partendo da una base gothic metal, gli Heart Avail, band di Spokane capitanata dall’ugola della singer Aleisha Simpson, immettono nel proprio sound pesanti dosi di metal alternativo, a tratti potente, in altri sincopato e melodico stile primi Lacuna Coil, così da variare quel tanto che basta il mood dei brani presenti (cinque) tutti circondati da un’aura di già sentito ma tutto sommato carini.
La band è al debutto, quindi potenzialmente dal sound migliorabile anche se la Simpson è molto brava e le tracce si lasciano ascoltare, tra gothic ed alternative metal che si prendono a spintoni per regnare sul sound delle varie Broken Fairytale, dell’ottima Always e della conclusiva, metallica Pink Lace.
In sintesi, buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1.Broken Fairytale
2.Vacillation
3.Always
4.No Remorse
5.Pink Lace

LINE-UP
Aleisha Simpson – Vocals
Greg Hanson – Guitar
Mick Barnes – Bass
Seamus Gleason – Drums

HEART AVAIL – Facebook

Deathfucker – Fuck The Trinity

Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

Pei i Deathfucker il tempo si è fermato ai primi anni del decennio ottantiano, quando nella fiorente scena heavy metal muovevano i primi passi realtà molto più estreme e pericolose.

Devoto al signore oscuro e fortemente anticristiano, questo progetto vede coinvolti Insulter (chitarra, basso, voce e testi) e J.K. (batteria), nel passato membri di gruppi come Raw Power, Valgrind ed Inferi.
Questo demo di tre brani ci presenta una realtà malvagia, famelica e ingorda di male, che si nutre del più marcio thrash metal underground e lo potenzia di devastante attitudine death.
Il lavoro denota un approccio di inumana violenza, senza compromessi, satanico ed assolutamente old school, roba per maniaci del metal estremo underground: i tre brani (Dechristianized, Fuck The Trinity, Intoxication Of The Soul), sono altrettante spallate metalliche di diabolica violenza, frustate che dal braccio di Insulter arrivano alla schiena, conficcando i chiodi tra le scapole come nel supplizio del Cristo.
Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

TRACKLIST
1.Dechristianized
2.Fuck The Trinity
3.Intoxication Of The Soul

LINE-UP
J.K – Drums
Insulter – Guitars, Bass, Vocals

DEATHFUCKER – Facebook

Screamer – Hell Machine

Lo spirito della macchina infernale, costruita nei primi anni ottanta a colpi di Iron Maiden, Thin Lizzy e Tyger Of Pan Tang, si è impossessata di questi cinque musicisti svedesi

Se avete amato e continuate ad amare l’heavy metal classico, allora non potete fare a meno degli Screamer e del loro Hell Machine.

Lo spirito della macchina infernale, costruita nei primi anni ottanta a colpi di Iron Maiden, Thin Lizzy e Tyger Of Pan Tang, si è impossessata di questi cinque musicisti svedesi che già avevano stupito tutti con i primi due album, Adrenaline Distractions, uscito nel 2011, ed il precedente Phoenix, licenziato tre anni fa: ci consegna una band indemoniata, completamente succube del demone ottantiano, ma assolutamente in grado di rinverdire i fasti delle opere storiche dell’heavy metal con una serie di brani eccezionali.
Intanto la produzione, senza essere troppo patinata, è perfettamente allineata alle produzioni dell’epoca, le ritmiche si mantengono serrate, le chitarre si ricorrono sui manici come facevano Dennis Stratton e Dave Murray sull’esordio dei Maiden, la voce di Andreas Wikström è perfetta per il genere, mentre l’epicità aleggia tra una serie di brani talmente belli che commuovono.
Ne parliamo continuamente di attitudine old school: di questi tempi i suoni vintage sono cool, specialmente in un certo tipo di hard rock, e nell’heavy metal hanno regalato più delusioni che gioie, ma qui siamo nell’inferno metallico, che brucia sotto le fiammate delle varie tracce che si susseguono una più bella dell’altra, conquistandoci al primo ascolto.
Il songwriting è perfettamente classico, senza un refrain che non sia esaltante, senza un assolo che non ferisca, schiacciato dentro quello strumento di tortura che si chiama vergine di ferro e che ha reso Steve Harris e soci immortali.
Ma Hell Machine non è solo Iron Maiden; tra i solchi di Alive, della title track, di Lady Of The Night, di Denim And Leather (se non sapete dove avete già sentito questo titolo, smettetela subito di leggere) e della cavalcata The Punishment troverete dettagli, note, sfumature che vi porteranno alla mente le band descritte e molte altre, in un delirio metallico splendidamente classico.
Che album, che gruppo; grazie al Dio del metal ci siamo noi a parlarvene, serve altro ?

TRACKLIST
1.Alive
2.On My Way
3.Hell Machine
4.Lady of the Night
5.Warrior
6.Denim and Leather
7.Monte Carlo Nights
8.The Punishment

LINE-UP
Andreas Wikström – Vocals
Anton Fingal – Guitar
Dejan Rosić – Guitar
Fredrik Svensson – Bass
Henrik Petersson – Drums

SCREAMER – Facebook

Azooma – The Act Of Eye

The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal.

Arriva sul mercato tramite la Xtreem il debutto sulla lunga distanza dei notevoli Azooma, band iraniana che aveva stupito con il primo ep licenziato un paio di anni fa, A Hymn Of The Vicious Monster, e del quale ci eravamo occupati all’epoca si In Your Eyes.

Ci avevamo visto giusto allora, visto la qualità altissima di questo nuovo lavoro del gruppo proveniente dalla città di Mashhad.
Gli Azooma suonano un death metal progressivo, tecnicamente sono dei mostri, ma il bello risulta l’emozionalità altissima dei loro brani, oscuri, estremi ma tremendamente coinvolgenti, anche per l’ottimo uso, a tratti, di atmosfere prese in prestito dalla loro cultura, così lontano dalla nostra, ma estremamente affascinante.
The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal, ora brutale, ora ultra tecnico, ora stupendamente progressivo, un vagabondare perdendosi nell’anima oscura di questi musicisti, tra ritmiche destabilizzanti, attimi progressivi dai richiami crimsoniani e del death classico.
Aiutati dal mastermind della label e vocalist degli Avulsed, Dave Rotten, sulla prima traccia (Act 1-Plague Of Predator), il quartetto iraniano si supera e con questo lavoro imprime il suo marchio sul genere proposto: a conferma di tutto ciò arriva come un uragano di note due brani capolavoro come Act 3 – The Ocular Dominance, undici minuti di perfetto connubio tra il progressive rock sperimentale dei King Crimson, il death metal tecnico dei Death e l’oscura brutalità dei Morbid Angel, e la splendida orchestralità di Act 4 – Erosion of Shadows, symphonic/technical/progressive death metal che entusiasma non poco.
Vi ho parlato di soli due brani, ma potrei prendervi per mano e, nominandoli tutti, accompagnarvi tra i meandri di quest’opera senza tempo ne confini, vi lascio invece con ancora in testa la spettacolare Act 5-Non Entity Of Visions, talmente varia nelle atmosfere e nelle ritmiche da farla sembrare almeno tre brani uniti in un solo gioiello estremo, e con l’invito a non perdervi una sola nota di questa bellissima opera di musica totale.

TRACKLIST
1.Act 1 – Plague of Predator
2.Act 2 – Umbra of Mirth
3.Act 3 – The Ocular Dominance
4.Act 4 – Erosion of Shadows
5.Act 5 – Non-Entity of Visions
6.Act 6 – Flare of Flames
7.Act 7 – Objectivity of Oblivion
8.Act 8 – The Eyes: A Tale of Sight and Shadows

LINE-UP
Shahin Vaqfipour – vocals
Ahmad Tokallou – guitar
Farid Shariat – bass
Saeed Shariat – drums

AZOOMA – Facebook

Ithilien – Shaping The Soul

Un album piacevole e leggermente diverso dal solito folk metal d’assalto degli ultimi tempi, pregno di atmosfere malinconiche e bellissime melodie, ma che sa far male quando il sound necessita di metallici e tellurici scossoni.

Nel regno di Gondor, tra il fiume Anduin e gli Ephel Dúath di Mordor, c’è una regione chiamata Ithilien , che in idioma Sindarin significa Terra Della Luna.

E’ però anche il monicker di questa band belga che, al folk metal suonato con strumenti tradizionali, affianca un metal estremo di matrice metalcore alquanto funzionale alla riuscita di questo secondo lavoro, in uscita per WormHoleDeath e dal titolo Shaping The Soul.
Dopo oltre dieci anni di attività, con all’attivo un ep, un singolo ed il full length From Ashes to the Frozen Land, il gruppo, dopo la firma con la label italiana, arriva così al secondo lavoro continuando a dispensare folk metal tra tradizione celtica, qualche spunto più vicino al classico folk nordico, e metal estremo, melodico ed in questo caso più moderno di quello che si sente in giro.
Ne esce un album tutto da ascoltare, ovviamente ricco di epicità, elegantemente suonato con gli strumenti tradizionali (stupenda Walk Away) e violentato da scariche metalliche che, per una volta, si allontanano dal già sentito, lasciando all’ascoltatore un’impressione di originalità in un genere dove ormai risulta difficile stupire.
Si viaggia nei territori della Terra di Mezzo, la bellezza della natura ed i pericoli in un territorio di guerra sono descritti da un sound colmo di drammaticità, malinconico nel suo andamento e meno aperto a facili armonie da osteria.
Si passa così da cavalcate dove tradizione ed irruenza metal vanno di pari passo (la title track e If Only), brucianti brani dove l’anima oscura e core prende il sopravvento (Edelweiss) ad altri dove le due anime si scontrano a singolar tenzone per il dominio sul sound di Shaping The Soul (The Dive).
Chiude la strumentale The Bear Dance, la più solare tra le tracce presenti, come se i nostri eroi fossero riusciti ad arrivare al sicuro della propria casa, lontano dai pericoli che la terra di Mordor nasconde.
Un album piacevole e leggermente diverso dal solito folk metal d’assalto degli ultimi tempi, pregno di atmosfere malinconiche e bellissime melodie, ma che sa far male quando il sound necessita di metallici e tellurici scossoni.

TRACKLIST
1.Blindfolded
2.Lies After Lies
3.Shaping the Soul
4.Walk Away
5.If Only
6.Emma
7.Edelweiss
8.Hopeless
9.The Dive
10.The Bear Dance

LINE-UP
Pierre – Vocals, lead guitar & bouzouki
Tuur – Rhythm Guitar
Ben – Bass
Hugo – Bagpipe
Myrna – Violin
Sabrina – Hurdy Gurdy
Jerry – Drums

http://www.facebook.com/Ithilien.Music

Eddy Malm Band – Northern Lights

Northern Lights è un ritorno all’hard rock classico, magari vintage, per qualcuno addirittura obsoleto, ma assolutamente irresistibile.

Non so quanti di voi, a meno che non siate ormai sulla via del mezzo secolo di vita, oppure cultori dell’ hard & heavy classico conosceranno Eddy Malm, un passato nei cult metallers svedesi Heavy Load e negli Highbrow, prima di sparire nell’oblio metallico.

L’incontro sul finire del secolo con Per Hesselrud gettò le basi per questo album, uscito come Eddy Malm Band ma, in tutto e per tutto figlio del sound dello storico gruppo svedese.
E l’anima degli Heavy Load rinasce in questa raccolta di brani tra inediti e tracce riarrangiate per l’occasione, battezzato Northern Lights.
Hard & heavy old school e non poteva essere altrimenti con un Malm in piena forma, una produzione vintage che però questa volta risulta perfetta per valorizzare canzoni che spaziano tra roboante rock da classifica (dell’epoca, ovviamente), fughe metalliche su sei corde che tanto hanno insegnato a Malmsteen (tanto per citare il più famoso tra gli eredi) e bruciante rock che, con lo sguardo alla Gran Bretagna, si divide tra sfumature epiche e forti richiami ai Thin Lizzy.
Una quarantina di minuti nella storia del genere, con Hesselrud che fa il fenomeno con la sei corde senza perdere una goccia di feeling ed una sezione ritmica rocciosa, composta da Tomas Malmfors al basso e Micke Kerslow alle pelli.
Licenziato dalla No Remorse, Northern Lights è un ritorno all’hard rock classico, magari vintage, per qualcuno addirittura obsoleto, ma assolutamente irresistibile.

TRACKLIST
1. Saturday Night
2. Heart Of A Warrior
3. I Had Enough
4. Turn It Down
5. Nasty Women
6. Dark Nights
7. Get Out Of Here
8. Danger
9. A Loser
10. Northern Lights

LINE-UP
Eddy Malm – Lead vocals
Per Hesselrud – Lead and rythm guitars, EBow, background vocals
Tomas Malmfors – Bass, background vocals
Micke Kerslow – Drums, percussion, background vocals

EDDY MALM BAND – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CG30BZKHOvU

Frozen Hell – Path To Redemption

Path To Redemption è un prodotto curato nei minimi dettagli, un altro gioiellino made in Italy su cui puntare per i prossimi ascolti.

Il death metal melodico scandinavo, in particolare lo swedish sound nato a Goteborg nei primi anni novanta, sembra aver trovato nuova vita lungo il nostro stivale con ottime realtà alle quali si vanno ad aggiungere i Frozen Hell, band veneta al primo full length, successore dell’ep Rise, che viene con un mix nella conclusiva What We Were.

Del resto Path To Redemption è legato a quel lavoro sia nell’artwork che nella struttura dei brani che rispecchiano lo stile scandinavo, con la melodia nei solos in primo piano, un imponente lavoro ritmico ed atmosfere estreme che si avvicinano senza paura al black di stampo Dissection.
I brani sono tutti collegati tra loro come una lunghissima traccia di oltre un’ora, forse un po’ troppo, ma in ogni caso la scelta risulta coraggiosa, dimostrando che il quintetto è sicuro dei propri mezzi, in un’epoca in cui, specialmente nel metal estremo, difficilmente si superano i quaranta minuti di durata.
Masterizzato nella patria del genere da Jens Bogren (Katatonia, Amon Amarth, Soilwork e Kreator), Path To Redemption non ha nulla da invidiare alle opere uscite all’estero nell’ultimo periodo e, sinceramente, non è una novità, ad indicare lo stato di salute e gli importanti passi avanti fatti dalla scena metallica tricolore.
Dunque aspettatevi quello che un lavoro del genere sa abbondantemente regalare, ovvero furiose cavalcate, ritmiche devastanti, chitarre che, torturate a dovere, sprizzano melodie oscure e a tratti pregne di sana epicità metallica, ed quel tocco demoniaco che tramuta in metallo nero molte delle atmosfere dell’album.
I musicisti impegnati in questo tour de force metallico sono sul pezzo, ed il buon songwriting dona qualità ai brani, con più di un picco rinvenibile in Stainless, Everything Ends e Killing Temptation.
Path To Redemption è un prodotto curato nei minimi dettagli, un altro gioiellino made in Italy su cui puntare per i prossimi ascolti.

TRACKLIST
01.Stainless
02.Absently
03.Chaotic Hostilities
04.Lethal Syndrome
05.Demons Inside
06.Quiet Before The Storm
07.Everything Ends
08.Deathly Route
09.Weavers of fate
10.Until Daybreak
11.Unforgotten
12.Killing Temptation
13.The Last Torture
14.What We Were

LINE-UP
Tazzo – vocals
Zucc – guitars
Patrick – drums
Tech – bass

FROZEN HELL – Facebook

Hazzard’s Cure – Smoke Iron Plunder

Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, ed è facile perdere la bussola in una scaletta così terogenea stilisticamente.

Gli Hazzard’s Cure sono un quartetto proveniente da San Francisco, il cui sound pesca più o meno da tutti i generi che formano il mondo del metal classico.

Smoke Iron Plunder è il nuovo parto, uscito per Lummox Records, un variopinto e violento quadro di heavy metal old school in cui la varietà di generi non viene supportata da una produzione di adeguato livello, pecca che inficia non poco la riuscita dell’album.
Il quartetto californiano passa con disinvoltura dall’heavy metal al doom, passando per violente ripartenze speed, sfuriate dai rimandi black e lenti passaggi al limite dello sludge.
Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, e per molti può rivelarsi un difetto visto che è facile perdere la bussola tra le varie Master of Heathens, No Hope e via discorrendo.
L’ inizio dell’album è tutto incentrato su brani ispirati agli anni ottanta, poi, col passare dei minuti, la band vira verso un heavy metal stoner dai molti passaggi sludge (Siren’s Wail) confondendo non poco le idee all’ascoltatore di turno.
Si fanno apprezzare le tracce orientate sulle sonorità classiche (An Offering), mentre gli Hazzard’s Cure pagano dazio quando la loro musica prende strade stonate e desertiche, che poco hanno a che vedere con il mood di gran parte dei brani presenti.
Un album tra molti bassi e pochi alti, insufficienti ad elevarlo oltre la mediocrità.

TRACKLIST
1. Master of Heathens
2. An Offering
3. Hewn In Sunder
4. No Hope
5. Sirens’ Wail
6. War Pipe
7. Gracious Host
8. This Is Hell

LINE-UP
Chris Corona – Guitar, Vocals
Leo Buckley – Guitar Vocals
Shane Bergman – Bass, Vocals
Clint Baechle – Drums

HAZZARD’S CURE – Facebook

Atropas – From Ashes EP

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

La band di Zurigo arriva così al traguardo del terzo lavoro, dopo l’esordio del 2011 (Azrael) e il massacro sonoro dal titolo Episodes Of Solitude, licenziato lo scorso anno e puntualmente recensito sulle pagine virtuali di Iyezine.
Come già accennato parlando del precedente album, il quartetto svizzero accantona la chimera dell’originalità per un approccio violento tra metal estremo moderno, dai rimandi core e death/thrash e valorizzato da un talento per le melodie sopra la media.
Anche questi sei brani infatti, sono sei martellanti pezzi di granito estremo violentissimo, impreziosito dal buon lavoro fatto nell’alternare screams e voci pulite (non così scontato di questi tempi), con il supporto di melodie chitarristiche che si rifanno al melodic death e ad una tempesta di ritmiche thrash.
Meno marziale nelle ritmiche rispetto al precedente lavoro, From Ashes asseconda il lato death/thrash del gruppo elvetico, con una serie di tracce devastanti ma con le melodie sempre in evidenza.
Ancora una volta prodotto in modo egregio, questa raccolta di brani che ha nell’opener Rapture, nella monumentale Orchids e nelle malinconiche melodie della splendida Ashes, tre dei suoi punti di forza, lascia alla conclusiva My Oath il compito di riassumere in otto fantastici minuti di death metal melodico moderno il sound insito nella proposta del gruppo.
Un Ep che vale più di tanti full length che saturano il mercato del metal moderno.

TRACKLIST
1. Rapture
2. Burn it to the Ground
3. Orchids
4. Ashes
5. Redeem the Lost
6. My Oath

LINE-UP
Kevin Steiger – Bass
Sandro Chiaramonte – Drums
Dave Colombo – Guitar
Mahmoud Kattan – Vocals & Guitar

ATROPAS – Facebook

Deserted Fear – Dead Shores Rising

Produzione cristallina, songwriting buono quel tanto che basta per non far risultare l’album solo una attacco ai padiglioni auricolari e qualche ottima intuizione nel lavoro chitarristico sono le virtù maggiori di Dead Shores Rising.

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C’è una nuova generazione di band dedite al death metal old school che sta facendo fuoco e fiamme nell’underground estremo, ma ancora poche riescono ad arrivare alla firma con label storiche e di importanza assoluta come per esempio la Century Media.

In Germania si muovono da un po’ di anni gruppi notevoli come per esempio i Revel in Flesh, puntualmente recensiti sulle pagine di MetalEyes, e questi Deserted Fear, al terzo album e con alle spalle l’etichetta tedesca.
In comune con i loro colleghi, la band proveniente dalla Turingia ha nientemeno che Dan Swanö in consolle e questo è già garanzia di qualità ma, mentre il sound dei Revel In Flesh è completamente devoto al death metal scandinavo, il trio in questione lo allea con il death metal guerresco dei Bolt Thrower così da uscire con una bordata estrema niente male che valorizza il death metal da battaglia con solos melodici.
Produzione cristallina, songwriting buono quel tanto che basta per non far risultare l’album solo una attacco ai padiglioni auricolari e qualche ottima intuizione nel lavoro chitarristico, che si scontra con l’assalto della sezione ritmica, sono le virtù maggiori di Dead Shores Rising che, come se non bastasse è accompagnato da una copertina che più old school di così non si può.
In una decina d’anni dunque , il gruppo ha dato alle stampe tre lavori  (i primi due sono My Empire del 2007 e Kingdom Of Worms uscito due anni fa), ha messo la firma sul contratto con la famosa label e con quest’ultimo album attacca alla gola i fans del death metal classico con dodici brani più intro e l’apparizione di Tomas Lindberg degli storici At The Gates nella bonus track The Path Of Sorrow.
Le ritmiche rimangono stabili per tutto l’album, variando pochissimo, e questo è l’unico difetto di Dead Shores Rising, per il resto si tratta di un ottimo e devastante lavoro estremo, senza compromessi, ben confezionato e curato nei minimi dettagli.

TRACKLIST
01. Intro
02. The Fall Of Leaden Skies
03. The Edge Of Insanity
04. Open Their Gates
05. Corrosion Of Souls
06. Interlude
07. Towards Humanity
08. The Carnage
09. Face Our Destiny
10. Till The Last Drop
11. Carry On
Bonus tracks:
12. A Morbid Vision
13. The Path Of Sorrow

LINE-UP
Manuel Glatter – Vocals, Guitar
Fabian Hildebrandt – Guitar
Simon Mengs – Drums

DESERTED FEAR – Facebook

ANCESTRAL

Intervista con Jo Lombardo, vocalist dei siciliani Ancestral, band autrice dell’ottimo Master Of Fate.

MetalEyes: Un silenzio lungo dieci anni alla fine ha portato gli Ancestral alla firma per Iron Shields e al nuovo lavoro, Master Of Fate: si tratta per voi di un vero e proprio nuovo inizio ?

Jo Lombardo: Beh, penso proprio che sia un nuovo inizio anche perché, con il mio ingresso nella band, stiamo per rimetterci in carreggiata. “Un nuovo inizio”, un motore che si sta riscaldando! penso che tutto questo sia servito a maturare molto, soprattutto sotto l’ aspetto musicale al punto da riuscire a richiamare l’ attenzione dell’ Iron Schields Records!!

ME Master Of Fate è un esempio notevole di power metal classico, potente, veloce e melodico: è stato scritto nell’arco di tutto questo tempo o i brani sono nati soprattutto nell’ultimo periodo?

JL Master of Fate a mio parere è una porta che si apre e che direziona la band ad una maggiore consapevolezza per il raggiungimento di un feeling musicale perfetto. I brani sono nati nell’arco di tutto questo tempo, ma ce ne sono altri nati qualche anno fa, mentre alcuni risalgono proprio all’ultimo periodo. Io ho trovato tutto pronto per inserire le tracce vocali avendo avuto comunque modo di dare la mia impronta, dando qualche idea su di un lavoro già definito.

ME La componente speed è ben presente tra i solchi delle varie canzoni: si tratta di un ritorno voluto alle sonorità old school degli anni ottanta?

JL Posso dire sicuramente che gli Ancestral prediligono la componente speed, siamo sintonizzati sulla stessa frequenza inevitabilmente “old school” quindi miscelando speed, power, prog e anche trash, dai vita a quello che poi personalizzi facendolo diventare tuo. Sicuramente il lavoro rispecchia quelli che sono poi i nostri gusti musicali e credo che, anche se maturato dopo tanto tempo, Master of Fate sia stato un lavoro non schematizzato a tavolino ma con melodie e riff di chitarre che son venuti fuori in modo molto naturale e con grande voglia di fare.

ME Senza nulla togliere al resto della band, è indubbio che la riuscita di un album come Master Of Fate stia molto nella tua performance vocale, Jo, tu dai prova di essere un cantante sopra la media: come sei arrivato a far parte degli Ancestral?

JL E’ stato, come dire, un fulmine a ciel sereno! Nel ’96 ho cominciato ad avvicinarmi al metal avendo varie cover band, tra cui una in particolare degli Iron Maiden, poi Dream Theater e Helloween; insomma ho cominciato a “svezzarmi”.
Dopo tanti anni, tra concerti nei pub e piazze, nel 2002 ho cominciato le mie prime registrazioni professionali con i miei amici Metatrone e Orion Riders.
Nel 2013 gli Ancestral fecero un concerto a Catania con Fabio Lione ed io non potevo mancare: vedere Fabio dal vivo è sempre un piacere, è una potenza!!
Dopo il concerto mi ricordo questo particolare: mentre aspettavo in fila per incontrare Fabio per una foto, mi fecero entrare direttamente nei camerini; allora non ci conoscevamo ancora, se non musicalmente, e da li è nata una simpatia e un’amicizia.
Qualche tempo dopo mi contattarono chiedendomi se volessi fare parte degli Ancestral! Già c’era una certa sintonia a prescindere, poi ascoltando qualche traccia del cd ho detto “cazzo questa é roba seria”, e da lì è cominciata la nostra avventura assieme!!!

ME I brani mantengono una furia metallica impressionante, lasciando ad altri gli ormai abusati ghirigori orchestrali e puntando sull’impatto e la forza dirompente del power metal classico: è questa la forma di metal che prediligete o ce ne sono altre che vi affascinano in maniera particolare?

JL E’ proprio questo il punto, Ancestral uguale impatto e forza dirompente!!! Assenza di parti orchestrali e tastiere, classico suono di chitarre, basso batteria, voce, per avere comunque un impatto molto live!!
Quindi, sicuramente, penso che al di là dei nostri gusti personali, tra i quali non manca anche il power sinfonico o il classic metal, credo che lo stile Ancestral rimanga sempre questo, ovvero brani molto speed abbinati a una voce dall’impronta power, cosa che io adoro personalmente!

ME Dieci anni dopo, come avete trovato lo stato di salute della scena metal nazionale?

JL Il metal made in Italy è fantastico, nulla da invidiare al resto del mondo. Le band sono tutte di alto livello e i cantanti tutti mostruosamente preparati come Fabio Lione, Roberto Tiranti, Michele Luppi, Morby, Alessandro Conti, ma la lista è davvero lunga!!
Comunque posso dire che ci sono stati periodi di alti e bassi nella scena power italiana, ma credo che oggi sia in ripresa, perché stare al passo coi tempi non è per niente facile: si cerca di sperimentare e ricercare nuovi suoni, a volte estremizzando e sbagliando magari direzione, ed è facile a volte deludere le aspettative di chi ti ascolta o che si aspetta qualcosa di diverso. Magari può succedere il contrario, cioè di cadere nell’errore di essere troppo ripetitivi. Io penso che si debba cercare la formula giusta, è facile a parole ma non impossibile.

ME A proposito di scena, non possiamo fare a meno di constatare quante siano le band di grande livello, un po’ in tutti generi, che stanno emergendo in questo periodo in Sicilia: c’è una certa coesione, se non altro nell’ambito dei singoli filoni stilistici, oppure le varie realtà sono tutte a sé stanti?

JL Penso che la Sicila sia un vulcano pronto ad esplodere di gruppi di vario genere. Ce ne sono davvero una miriade e magari molto bravi. Al di là di quelli già affermati, io penso che ogni band sia portatrice di stili e generi differenti, ciascuna con la propria storia, con i propri bagagli pieni di esperienze personali

ME Per finire, quali sono i piani futuri degli Ancestral, specialmente sul versante live?

JL I piani futuri sono quelli di riuscire a realizzare un nuovo album al più presto e fare tanti live, magari suonare in festival metal importanti, calcare i palchi dei big. Sarebbe davvero bello, quello che posso dire e di ascoltare Master of Fate e di seguirci perchè di sorprese future e collaborazioni ce ne saranno!!
vi auguro un 2017 ancestrale!!

Blind Justice – In the Name of Justice

I musicisti, tutti di provata esperienza rendono, il lavoro perfetto sotto l’aspetto formale e tecnico, mentre l’epicità che sprigiona dalle canzoni rende speciale l’atmosfera melodic heavy metal del disco.

I primi passi dei Blind Justice si perdono addirittura alla fine degli anni ottanta, quando diedero alle stampe due demo nel 1989 e nel 1990, per poi scomparire e tornare nel 2012 con il terzo demo.

Capitanata dall’ex Nightfall Mike G., la band di fatto debutta sulla lunga distanza quest’anno e lo fa con un buon lavoro che solca la strada tracciata dai Firewind e dai gruppi della scena metal ellenica.
In The Name Of Justice, infatti, risulta il perfetto esempio della scuola metallica classica del loro paese, con quel pizzico di neoclassicismo scandinavo ad impreziosire canzoni heavy power melodiche, potenti e dal piglio teatrale e drammatico.
I musicisti, tutti di provata esperienza rendono, il lavoro perfetto sotto l’aspetto formale e tecnico, mentre l’epicità che sprigiona dalle canzoni rende speciale l’atmosfera melodic heavy metal del disco.
Con la cover di Master Of The Wind dei Manowar a chiudere l’album e dieci tracce di metal potente ed elegante, il gruppo ateniese riesce in poco tempo a fare breccia nei cuori del metal fans; le tracce, che si trasformano in cavalcate ritmiche, son valorizzate da stacchi melodici e ripartenze power metal al fulmicotone, ed i titoli fanno capire da subito l’indirizzo stilistico (Heavy Metal Revolution, Kingdom Of The Gods, il brano top dell’album, ed Hell Of The War).
Dopo tanti anni, il primo traguardo è stato raggiunto da parte del gruppo greco, ora ci si attende da loro solo una maggiore costanza nelle uscite.

TRACKLIST
1.You Ain’t Got the Guts
2.Cursed by the Angels
3.Heavy Metal Revolution
4.Eternal Skies
5.Greek Warrior
6.World’s Destruction
7.Kingdom of the Gods
8.Hell of the War
9.A Night with an Angel
10.Born for the Underground
11.Master of the Wind (Manowar cover)

LINE-UP
Mike G. – guitars
Dimitris Aggelopoulos – guitars
Tassos Krokodeilos-vocals
Nikos Michalakakos – bass
Takis “Animal” Sotiropoulos – drums

BLIND JUSTICE – Facebook

The Brain Washing Machine – Connections

Il sound è deciso, urgente, le note desertiche arrivano stonate ma piene di grinta heavy, mentre i The Brain Waghing Machine si fanno apprezzare anche nei momenti leggermente più introspettivi.

E non dite che nel nostro paese non si suona stoner rock !

Dalle Alpi alle terre che si affacciano sui deserti africani (che non saranno quelli americani ma in quanto a sabbia e caldo…) il nostro stivale pullula di gruppi heavy rock che all’hard rock moderno aggiungono sfumature settantiane e stoner di origine controllata, made in Sky Valley, così da uscirsene con bombe rock che, se lanciate in un cratere, sveglierebbero anche il più addormentato dei vulcani, devastando di lava e cenere le città della nostra penisola.
Nati più di dieci anni fa e con una più che rispettata attività live in compagnia di The Quill, Exilia e Karma To Burn, i padovani The Brain Washing Machine arrivano al secondo lavoro sulla lunga distanza dopo gli ottimi riscontri ottenuti con Seven Years Later, debutto licenziato nel 2013.
Il loro hard rock unisce come descritto rock zeppeliniano, alternative e stoner, niente di nuovo direte voi, di questi tempi: vero, ma il gruppo veneto lo fa con una grinta da heavy metal band, un appeal americano e quel tocco stonerizzato che sa tanto di desertiche passeggiate.
L’opener, che riprende il monicker del gruppo, è un clamoroso attacco alle coronarie tra ultimi Zeppelin e i primi Soundgarden, quelli selvaggi di una Seattle imprigionata dalla pioggia e lontana dai riflettori del music biz.
Il sound è deciso, urgente, le note desertiche arrivano stonate ma piene di grinta heavy (la title track, Waiting The Blow), mentre il quartetto si fa apprezzare anche nei momenti leggermente più introspettivi, come se riprendesse respiro per tornare ad esplodere in riff che avvicinano terribilmente ora i Black Label Society e gli Alice in Chains, ora i Kyuss con i Jane’s Addiction in un turbinio di varianti rock di rara efficacia.
Ottima la prova dei quattro musicisti, con il drummer Sidd a lasciare le braccia sulle pelli distrutte del suo drumkit, il cantante Baldo a trovare a tratti la magia del giovane Perry Farrell, il bassista Berto intento ad assecondare il suo compagno di ritmiche e la sei corde del chitarrista Muten, incisiva e graffiante.
Un ascolto obbligato per gli amanti del genere, ancora una volta prodotto una band italiana: sono bei tempi, questi, per l’underground nazionale a livello qualitativo.

TRACKLIST
1.The Brain Washing Machine
2.Are You Happy?
3.Connections
4.Reset
5.Restless Night
6.The Show
7.Waiting The Blow
8.Let Your Body Go
9.Feel Inside
10.Holy Planet

LINE-UP
Marco “Baldo” Baldassa – Vocals
Riccardo “Muten” Morandin – Guitars
Alberto “Berto” Chillon – Bass
Luca “Sidd” Baggio – Drums

THE BRAIN WASHING MACHINE – Facebook