Obituary – Obituary

Con questo nuovo ed omonimo album gli Obituary tornano al sound che ha reso famose opere come The End Complete e World Demise, apici della discografia del gruppo e manifesti del death metal statunitense.

Il death metal è tornato a colpire, prima nell’underground con il ritorno in auge dei suoni old school, poi con i nuovi lavori dei gruppi storici, di nuovo sul campo di battaglia, spronati e convinti a fare ancora una volta la voce grossa nel genere estremo per eccellenza.

Tra i molti ritorni in questo ultimo periodo si aggiunge quello degli Obituary, nome leggendario del sound made in Florida e creatura estrema dei fratelli Tardy: la loro importanza nella lunga storia del genere è talmente palese da risultare un eufemismo, anche se dopo il periodo d’oro tra il 1989 (anno di uscita del debutto Slowly We Rot) ed il 1997 (quello di Back From The Dead), il gruppo ha avuto un calo fisiologico e gli album usciti negli anni 2000 hanno mantenuto una qualità elevata ma non alla’altezza dei capolavori risalenti nel decennio precedente.
Ed infatti la band americana è diventata una sorta di icona live, il classico gruppo storico che si trasforma in una macchina da guerra sul versante live (dove ovviamente non mancano i brani dei primi album) ma meno convincente nelle prove in studio anche se sempre una spanna sopra alla media.
Con questo nuovo ed omonimo album gli Obituary tornano però al sound che ha reso famose opere come The End Complete e World Demise, apici della discografia del gruppo e manifesti del death metal statunitense.
Che sia un pregio o un difetto dipende da come la si vuol guardare, perché Obituary è un opera estrema che si rivolge al passato per tornare ai fasti che competono al gruppo: John Tardy canta come una belva ferita, rabbioso come una volta, i brani sono muri di suono estremo, cadenzate marce metalliche dove si torna a solos che squarciano cieli oscuri o martellanti episodi in cui il groove incalza a livello ritmico, rendendo avvincente la mezz’ora abbondante di musica che questi signori del death metal ci hanno inaspettatamente donato.
L’opener Brave è più di quanto violento e veloce il gruppo floridiano possa suonare nel 2017, poi si abbandona la velocità per la potenza ed il groove che in Turned To Stone diventa mortale.
Un album classico che di più non si può, con Lessons In Vengeance, End It Now e Ten Thousand Ways To Die a rinverdire i fasti dei capolavori citati non a caso.

TRACKLIST
1.Brave
2.Sentence Day
3.A Lesson in Vengeance
4.End It Now
5.Kneel Before Me
6.It Lives
7.Betrayed
8.Turned to Stone
9.Straight to Hell
10.Ten Thousand Ways to Die
11.No Hope

LINE-UP
Donald Tardy – Drums
Trevor Peres – Guitars (rhythm)
John Tardy – Vocals
Terry Butler – Bass
Kenny Andrews – Guitars (lead)

http://www.facebook.com/ObituaryBand

Riftwalker – Green & Black

Questo trio canadese si presenta con il debutto sulla lunga distanza e ci travolge con il suo sound estremo e progressivo, magari di questi tempi non originalissimo, ma quantomeno interessante.

Questo trio canadese si presenta con il debutto sulla lunga distanza e ci travolge con il suo sound estremo e progressivo, magari di questi tempi non originalissimo, ma quantomeno interessante.

Che i Riftwalker non vogliano essere una band come le altre lo si evince dalla copertina, un pastore montano con il suo cane che, con il technical progressive death metal suonato dal gruppo, non ci azzecca un granché.
Ma qui si parla di musica, ed allora sappiate che siamo al cospetto di un trio molto interessante, magistrale tecnicamente ma molto attento al songwriting che mantiene alta la media qualitativa di un album di notevole spessore.
Solo un ep, Wreckage of the Old World di tre anni, fa separa il gruppo di Vancouver tra i suoi inizi targati 2009 e quest’opera estrema, che mantiene per tutta la sua durata un approccio moderno, progressivo ed intricato, ma che non perde mai le briglie di un sound che è un animale selvaggio e indomabile.
Ripeto, ormai parlare di originalità diventa difficile anche in un genere che, per primo, ha permesso di amalgamare sonorità lontane anni luce dal metal estremo con il death metal, ma in Green & Black tutto è perfettamente al suo posto senza risultare forzato.
Harlequin Ichthyosis, Primordial Collapse e Beyond Mortality sono i brani migliori di un lavoro che speriamo non si disperda nello sterminato universo dell’ underground estremo.

TRACKLIST
1.B.H.O.
2.Harlequin Ichthyosis
3.Engineer Their Consent
4.Intrinsic Degeneration
5.Primordial Collapse
6.States of Decay
7.Beyond Mortality
8.Green & Black

LINE-UP
Spencer Atkinson – Bass, Vocals
Zan Petrovic – Drums, Percussion
Miles Morrison – Guitars, Vocals

RIFTWALKER – Facebook

Embrace Of Silence – Where Darkness Swallow The Sun

Where Darkness Swallow The Sun si attesta su un livello medio alto, magari non sullo stesso piano dei capolavori che il genere sforna con buona regolarità, ma senz’altro di grande sostanza e di gradevole ascolto.

Quasi cinque anni dopo il buon esordio su lunga distanza Leaving The Place Forgotten By Gods ritornano gli ucraini Embrace Of Silence,con il loro eccellente death doom.

All’epoca definimmo quell’album come un’operazione riuscita, in quanto tutto sommato neppure troppo derivativa e dipendente dalle pesanti influenze delle band di riferimento del genere: tale giudizio vale anche per il nuovo Where Darkness Swallow The Sun, nel quale lo stile del gruppo assume contorni ancora più nitidi, benché scevri da ogni tentazione innovativa.
L’album si dipana lungo una serie di tracce dall’incedere oscuramente melodico, con uno sguardo rivolto più alla scuola nordamericana che non a quella scandinava, quindi, per essere sintetici, più affine ai Daylight Dies che non ai Swallow The Sun, benché il titolo dell’album possa suggerire il contrario: alla riuscita del tutto, poi, contribuisce in maniera decisiva quel tocco drammatico che è l’impronta di molte band provenienti dall’ex-URSS.
In un contesto di buona compattezza qualitativa si stagliano la title track, piuttosto movimentata per ritmi e soluzioni melodiche, e la stupenda In The Embrace Of The Stygian River, segnata da un eccellente lavoro chiotarristico che delinea un tema portante davvero struggente.
Proprio le sei corde assumono il totale controllo della situazione, in virtù della rinuncia sostanziale alle tastiere, che venivano invece utilizzate più generosamente in Leaving The Place Forgotten By Gods: questo rende il suono senz’altro più roccioso ed asciutto senza fargli perdere, però, i tipici connotati dolenti anzi, attribuendogli forse anche una maggiore incisività.
Where Darkness Swallow The Sun si attesta su un livello medio alto, magari non sullo stesso piano dei capolavori che il genere sforna con buona regolarità, ma senz’altro di grande sostanza e di gradevole ascolto; come per altre band del settore i tempi molto dilatati tra un’uscita e l’altra con aiutano a tenere caldo il nome, per cui una nuova release in tempi leggermente più ristretti potrebbe avere una doppia valenza, quella di fissare nella mente degli appassionati il monicker Embrace Of Silence, oltre alla possibilità di accelerare quell’ulteriore salto di qualità che pare essere nelle corde della valida band ucraina.

Tracklist:
1. The DesertOf Your Mind
2. Where Darkness Swallow The Sun
3. Faceless
4. Last Winter
5. Cyclic Motions
6. Idols Defame Your Faith
7. In The Embrace Of The Stygian River

Line-up:
Eugeniy Voronchihin – Bass
Yuriy Sivkov – Guitars
Igor Zhurzha – Vocals, Guitars
Vladislav Fatkhullin – Drums
Dennis Kutsy – Guitars

Nailed To Obscurity – King Delusion

King Delusion ha tutte le caratteristiche per essere apprezzato da chi ama partiture robuste, ritmate e un po’ malinconiche, soprattutto perché impeccabile per resa sonora e dalla fruibilità relativamente elevata.

King Delusion è il terzo album dei tedeschi Nailed To Obscurity in circa un decennio di carriera.

Indubbiamente i ragazzi della Bassa Sassonia devono essere soliti a prendersi il loro tempo prima di dare alle stampe un nuovo disco, ma tutto sommato i frutti compensano le attese; intendiamoci, qui non si parla di un lavoro epocale e capace di sposate gli equilibri all’interno del death doom melodico, ma sicuramente siamo in presenza di un’opera di indubbio spessore esecutivo e con più di un passaggio dal grande impatto.
Se vogliamo, quello che potrebbe esser il punto di forza dei Nailed To Obscurity, ovvero l’incontro tra il death melodico di scuola scandinava e quello venato di doom, potrebbe rivelarsi anche un aspetto negativo, rischiando di non accontentare i fans più intransigenti in nessuna delle due correnti.
Al di là di questo, King Delusion ha tutte le caratteristiche, invece, per essere apprezzato da chi ama partiture robuste, ritmate e un po’ malinconiche, soprattutto perché impeccabile per resa sonora e dalla fruibilità relativamente elevata.
Provando a shakerare con una certa pervicacia Novembres Doom, Dark Tranquillity, Opeth e Swallow The Sun, quelle che ne salta fuori è a grandi linee il contenuto di quest’album, che vede i suoi picchi in Memento e Devoid, brani che si avvolgono di linee chitarristiche decisamente coinvolgenti, mentre il resto della tracklist non delude e non esalta, lasciando comunque sensazioni abbastanza positive al termine dell’ascolto.
Se proprio devo fare un appunto ai Nailed To Obscurity è la mancanza di una certa profondità, compensata non del tutto dalla padronanza del genere: il re non risulta affatto una delusione, ma alla lunga alcune delle caratteristiche evidenziate impediscono all’album di raggiungere l’eccellenza nonostante, ripeto, l’ascolto si riveli alquanto gradevole.

Tracklist:
1.King Delusion
2.Protean
3.Apnoea
4.Deadening
5.Memento
6.Uncage My Sanity
7.Devoid
8.Desolate Ruin

Line-up:
Jan-Ole Lamberti – Guitars
Volker Dieken – Guitars
Jann Hillrichs – Drums
Carsten Schorn – Bass
Raimund Ennenga – Vocals

NAILED TO OBSCURITY – Facebook

Blood Region – For All the Fallen Heroes

Metal, atmosfere dark e tanta melodia, un’alleanza vincente che continua a mietere vittime.

Terzo ep in un anno per la metal band finlandese Blood Region, attiva addirittura da una quindicina d’anni ma arrivata solo di questi tempi all’uscita discografica tramite Inverse Records.

Un tris di e, si diceva, in un anno di grande produttività per il gruppo scandinavo che propone un heavy metal dai toni leggermente più aggressivi rispetto ai canoni, senza andare troppo verso lidi estremi, ma senza dubbio vicino al death metal melodico suonato da quelle parti tra gli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio.
Con una cura per le melodie accentuata, i Blood Region ricordano i Sentenced prima della svolta gotica (era Down), ma con un tocco epico e più orientati verso l’heavy metal vero e proprio.
For All the Fallen Heroes risulta un bel dischetto, i brani che formano questi ventitré minuti abbondanti portano con loro un appeal che, con una cura maggiore nella produzione e qualche brano in più, potevano conquistarsi la palma di sorpresa metallica di questi ultimi mesi.
Tra le cinque tracce, la conclusiva ed oscura Across The Dark River è quella che maggiormente colpisce per una accentuata vena dark e per l’ottimo lavoro chitarristico a conferma della vena dei musicisti finlandesi.
Metal, atmosfere dark e tanta melodia, un’alleanza vincente che continua a mietere vittime.

TRACKLIST
1.Awaiting the Storm
2.Heroes
3.New Rising
4.In My Father’s Room
5.Across the Dark River

LINE-UP
Riku Paananen – Bass
Sami Vertanen – Drums
Aleksi Möksy – Guitars
Mika Minkkinen – Vocals, Guitars

BLOOD REGION – Facebook

Obscure Devotion – Ubi Certa Pax Est

Un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.

Gli Obscure Devotion sono una band potentina la cui genesi affonda le radici ancora nel secolo scorso: una storia lunga con una produzione comunque abbastanza scarna quantitativamente, visto che Ubi Certa Pax Est è solo il terzo full length in poco più di un ventennio.

Il passato è importante ma il presente lo è ancora di più, per cui è necessario focalizzarsi su questo notevole album che conferma il livello della scena black lucana, con pochi nomi ma decisamente buoni.
Ubi Certa Pax Est  si rivela un’interpretazione efficace e credibile di un genere nel quale si richiedono essenzialmente queste due doti a chi lo suona, ma l’operato degli Obscure Devotion non di riduce solo a questi aspetti, c’è infatti molti di più tra le note di un album che mette in mostra doti superiori alla media del genere per songwriting ed esecuzione.
Per esempio il lavori chitarristico di Cabal Dark Moon, in diverse occasioni, è ben più composito rispetto al canonico tremolo picking al quale siamo abituati, conferendo all’album quella componente death che viene poi rafforzata dalla sua interpretazione vocale efferata, ed  è piacevole godere al meglio di tutte queste sfumature grazie ad una produzione eccellente.
Tra gli aspetti che emergono dopo diversi ascolti va annotata la tendenza ad una sorta di attenuazione dei ritmi man mano che l’album procede verso la sue conclusione: se la prima metà tutto sommato ricalca con padronanza le sonorità tipicamente nordeuropee, nella seconda parte il tutto diviene ancor più vario e ragionato, elevando ulteriormente il valore complessivo di un lavoro già di suo ottimo.
Gli Obscure Devotion offrono così  un sound che sa essere maligno e corrosivo ma anche evocativo e malinconico: come brano trainante dell’album citerei la magnifica The Sign Of Pain,  anche se il trittico Arrivederci Part I e II e Beyond the Flesh mette in mostra un lato più riflessivo che, come detto, rende la parte conclusiva meno violenta e più meditata, a favore di un maggiore slancio melodico.
Ubi Certa Pax Est è un altro bel tassello piazzato a comporre l’interessante mosaico stilistico e geografico del black metal italiano; nello specifico questo è un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.
Alla luce dei risultati ottenuti, resta solo da sperare che gli Obscure Devotion trovino lo slancio per presentare nuovo materiale nel prossimo futuro con una cadenza meno rarefatta.

Tracklist
1. Meet the Sorrow (Intro)
2. Ubi Certa Pax Est
3. Burning Blades of Frozen Tears
4. Dreaming a Dead Home
5. The Sign of Pain
6. On Butterfly Wings
7. Arrivederci Pt. I
8. Arrivederci Pt. II
9. Beyond the Flesh
10. Last Embrace (Outro)

Line-up:
Vox Mortuorum – bass
Abyss 111 – drums
Cabal Dark Moon – guitars, vocals

OBSCURE DEVOTION – Facebook

Haemophagus – Stream Of Shadows

Più aggressivo e grind rispetto al suo predecessore, Stream Of Shadows continua comunque a far risplendere la vena creativa di questa miniera d’oro musicale che è la Palermo dell’underground.

Atrocious, full length uscito tre anni fa, era un’opera death metal che portava in sé molte delle varie correnti estreme del genere, dal grind al progressive ma non il classico prog metal di moda in questi anni, piuttosto un quid settantiano che, unito a rallentamenti doom, portavano nei brani dell’album un’atmosfera soffocante, pregna di polveroso mistero.

Il gruppo palermitano, nato in una scena che pullula di talenti e che ha dato i natali ad una manciata di band da considerare di culto nell’underground metal/rock, torna con Stream Of Shadows: più aggressivo e grind rispetto al suo predecessore, l’album continua comunque a far risplendere la vena creativa di questa miniera d’oro musicale che è la Palermo del sottosuolo.
Gli Haemophagus, pur ribadendo il loro forte impatto, non risparmiano escursioni nelle atmosfere progressive alla King Crimson (Meteor Mind) grazie al sax di Giorgio Trombino, così come i soffocanti rallentamenti che questa volta più che i Cathedral ricordano i primi Morbid Angel.
Estremo, violentissimo, un abisso di morte dove si viene sballottati tra i vari generi del death metal più violento e (se mi passate il termine) meno commerciale, dove le melodie sono nascoste all’ombra di ritmiche dal groove maligno, il suono porta con sé l’umidità di un pozzo di cadaveri e l’atmosfera si mantiene irrespirabile, mentre i brani si succedono e il gruppo snocciola non solo atmosfere dai temi horror, ma introduce tematiche di allucinata fantascienza (Blastmaniacom!, Innergetic e Meteor Mind).
Registrato e mixato a Palermo da Silvio “Spadino”, Stream Of Passion è stato masterizzato da Dan Randall presso i Mammoth Sound Mastering di Alameda in California, mentre il gruppo, oltre al polistrumentista e cantante, si completa con Gioele (chitarra e voce) e David (batteria).
Gli Haemophagus mettono la firma sull’ennesimo notevole lavoro e chi non conoscesse questi fantastici musicisti è invitato ad ascoltare la devastante Monochrome, spettacolare nel suo stacco centrale dai rimandi fusion,  e lo strumentale conclusivo The Darkest Trip, praticamente i King Crimson di Red in versione death metal.

TRACKLIST
1. Shadowline
2. Tombtown
3. Blastmaniacom!
4. Deranger
5. Meteor Mind
6. Electric Circles in a Yellow Sky
7. Captured from Above
8. Innergetic
9. The Cosmicorpse
10. Infectious Domain
11. Monochrome
12. Unrestrained
13. Twisted Syllables
14. The Darkest Trip

LINE-UP
Giorgio – guitars, bass, vocals, synth, sax alto
Gioele – guitars, vocals
David – drums

HAEMOPHAGUS – Facebook

Scalpture – Panzerdoktrin

Stirate la divisa e tirate fuori l’elmetto, si parte per la guerra e la colonna sonora che vi porterà alla gloria o alla morte non può che essere Panzerdoktrin.

Torniamo nei marci meandri del death metal old school con questa band tedesca, al secolo Scalpture, quintetto proveniente da Bielefeld, nato otto anni fa e con un paio di lavori alle spalle (un demo ed un ep) prima dell’avvento di questo belligerante Panzerdoktrin.

Un sound che molto deve al death metal scandinavo anche se, per l’atmosfera guerresca che si respira a pieni polmoni tra le polveri delle macerie, la mente torna ai Bolt Thrower, signori e padroni del death metal a sfondo bellico.
Ed oltre all’odore di morte, quello che si sente tra i solchi di Panzerdoktrin è un’ insana epicità, mentre il carro armato impazzito fa scempio di corpi schiacciati dalla potenza estrema del sound del gruppo tedesco, che risulta una macchina ben oliata.
Un bel lavoro, concepito per far male, servo del death metal old school, ed impreziosito da un songwriting ottimo che non lascia spazio a cedimenti ma va dritto per la sua strada, tra devastanti cavalcate alla Dismember, mid tempo dai rimandi al già citato storico gruppo inglese e rallentamenti alla Asphyx, il tutto in poco più di mezz’ora che passa veloce come un vento atomico, sotto il bombardamento causato dalle devastanti ...Panzer Hooray!, No Rest, No Sleep, No Peace e Not a Single Step Back, tre esempi dello stato di grazia del gruppo tedesco.
Una bella sorpresa, un album imperdibile per gli amanti del death metal old school, stirate la divisa e tirate fuori l’elmetto si parte per la guerra e la colonna sonora che vi porterà alla gloria o alla morte non può che essere Panzerdoktrin.

TRACKLIST
01. Forward March…
02. …Panzer Hooray!
03. Lead From Ahead
04. Dam Busters
05. Flattened Horizons (Pounding Howitzers)
06. No Rest, No Sleep, No Peace
07. Incursion
08. Not a Single Step Back
09. Embrace the Afterglow

LINE-UP
Thorsten – Vocals
Felix – Guitar
Tobias – Guitar
Anselm – Bass

SCALPTURE – Facebook

Bolesno Grinje – Grd

I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta.

Tornano sul mercato i Bolesno Grinje, una vecchia conoscenza della scena estrema croata e nome storico se si parla di grind core.

Nato infatti con l’avvento del nuovo millennio, il gruppo di Pula ha dato alle stampe un buon numero di lavori tra cui otto full length, di cui Grd è l’ultimo devastante parto a base di un grindcore che regala ottimi passaggi vicini al classico death metal e all’hardcore, rendendo il lavoro vario e dalla presa immediata, cosa non facile se si suona questo genere.
Troviamo così doppia voce, testi in lingua madre, una carica violentissima ma con in mano il segreto per fare di questa raccolta di esplosioni e mitragliate estreme un album godibilissimo, non solo per  i fans del grind.
Orecchiabile e composto da un lotto di brani illuminati da un songwriting che nel genere è da considerarsi di livello superiore, Grd è un bombardamento a cui è difficile rinunciare: i Bolesno Grinje modellano la materia con una padronanza fuori dal comune e i brani, pur formando un massacro sonoro di notevole potenza, hanno nella varietà di stili ed influenze (si parla di generi ovviamente) l’arma per vincere la sfida con molte altre realtà dell’underground estremo.
I titoli esprimono ovviamente la scelta di utilizzare testi in lingua croata, ma sinceramente è consigliato schiacciare il tasto play e farsi travolgere da questa mezz’ora di carneficina ininterrotta, con un effetto deflagrante assolutamente garantito.

TRACKLIST
1.Rstrgn
2.Ne vjerujem nikome
3.Autobiografija propasti
4.Genijalci
5.Asimilacija
6.Abortus SS
7.Reakcija
8.Vratite mi mozak
9.Kurve establišmenta
10.Pseudo-grobar
11.Umjetnost je goli kurac
12.Dodimi mi ruku

LINE-UP
Hoc – bass
Jule – guitar
Luze – drums
Angeri – vocal

BOLESNO GRINJE – Facebook

Buffalo Grillz – Martin Burger King

Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind.

I romani Buffalo Grillz danno alle stampe un geniale album di grind con un po’ di thrash qui e là.

Fondati nel 2009 da Enrico Giannone, voce degli Undertakers, e Max Marzocca batterista dei Natron, dopo varie vicissitudini relative alla formazione vedono passare Cinghio, bassista dei meravigliosi Orange Man Theory, dal basso alla chitarra. Questo disco è il terzo nella carriera di quello che si può tranquillamente definire come uno fra i migliori gruppi grind italiani, sia per la potenza espressa che per la grande ironia. I Buffalo Grillz, oltre a rifarsi al nome di una nota catena di ristoranti canadesi, fanno un grind molto potente, debitore della vecchia scuola ma con un suono assai moderno. Nei testi riversano tutta la loro grande cultura italiana e non solo, riuscendo a dare un significato più ampio loro di molti altri gruppi che si prendono molto di più sul serio. Ciò che muove i Buffalo Grillz è la stessa leva che muove noi che scriviamo queste righe, il disagio, quel vecchio e caro amico che ci fa sempre sentire a casa non facendoci mai sentire adeguati a nulla. Che poi, se il mondo è questo, come descritto mirabilmente in questo disco, forse è più normale sentirsi a disagio che a proprio agio. L’ironia dei Buffalo Grillz ha come secondo livello un’analisi impietosa della nostra società ma il tutto è fatto dai romani con un suono potentissimo, molta ironia e un grande stile. Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind. Infatti, per dare una coordinata musicale, possiamo citare Nasum e Napalm Death, fautori di quanto appena descritto.
Si passa da un’incredibile intro a trattati di sodomia e campari, affrontando il clou della cultura italiana con un piglio da pugna al bar, con un suono che riesce sempre ad essere il protagonista assoluto, e non c’è nemmeno un secondo nel disco che non valga la pena ascoltare. Un perfetto connubio di grindcore, ironia e disagio, tanto disagio e questo disco ci piace tantissimo.

TRACKLIST
1. GG AULIN
2. LENNY GRINDVIZT
3. 66SEITAN
4. MARTIN BURGER KING
5. BEVERLY GRILLZ 90666
6. CARNE DIEM
7. FIAT FACTORY
8. CREADLE OF FINDUS
9. SCOOBY DOOM
10. FIORELLA MANNAIA
11. PONZIO PILATES
12. CAMPARI SODOM
13. PUS SPRENGSTEEN
14. LE BESTIE DI SANTANA (OUTRO)

LINE-UP
Tombinor: Insults
Cinghio: Hi Noise
Pacio: Low Noise
Mizio: Blast

BUFFALO GRILLZ – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Gorephilia – Severed Monolith

Severed Monolith sarà apprezzato dagli amanti del death metal diretto e distruttivo, perché se si pensa di trovare qualcosa di simile alla melodia è meglio guardare altrove, qui c’è solo massacro.

Stiamo ancora viaggiando a pieno regime per quanto riguarda il filone old school del death metal: le band che si affacciano nel mondo estremo underground sono, nella maggior parte dei casi, ottime eredi dei gruppi storici nati negli anni novanta.

I finlandesi Gorephilia fanno parte dell’ultima ondata di gruppi dediti alle sonorità classiche, e Severed Monolith segue di cinque anni l’esordio Embodiment Of Death e tre lavori minori mentre si avvicinano al decimo anno di attività.
La band non ha certo perso lo smalto che ne aveva caratterizzato gli inizi, anche questo album corre su ritmiche oscure e devastanti con un occhio particolare per i primi Morbid Angel, senza dimenticare chiaramente la lezione scandinava.
Il quintetto di Vantaa imprime una forza disumana al sound estremo di cui è composto Severed Monolith, creando un lavoro devastante e monolitico, magari non così vario ma dall’impressionate forza d’urto.
Senza compromessi, i Gorephilia ci invitano al massacro, non concedono quasi nulla in melodia e attaccano senza pietà con una serie di brani che hanno nella terribile Black Horns, il punto più sadico di questa carneficina, seguita dalla disumana Return To The Dark Space.
Gli altri brani seguono pedissequamente le coordinate di queste due tracce, con le ritmiche che si mantengono su velocità alte, il growl da demone perverso ed una atmosfera da fine del mondo riscontrabile proprio nei primi lavori dei Morbid Angel.
Severed Monolith sarà apprezzato dagli amanti del death metal diretto e distruttivo, perché se si pensa di trovare qualcosa di simile alla melodia è meglio guardare altrove, qui c’è solo massacro.

TRACKLIST
1. Interplanar 2
2. Hellfire
3. Harmageddon of Souls
4. Words That Solve Problems
5. Black Horns
6. The Ravenous Storm
7. Return to Dark Space
8. Eternity
9. Crushed Under the Weight of God

LINE-UP
Henry Kuula – Vomit
Tami Luukkonen – Bass
Jukka Aho – Guitar
Pauli Gurko – Guitar
Kauko Kuusisalo – Battery

GOREPHILIA – Facebook

Azarath – In Extremis

In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

Torna una delle bestie musicali più immonde della pia Polonia, ed è un ritorno molto gradito quello degli Azarath.

Il gruppo è stato fondato nel 1998 nella cittadina polacca di Tczew, e l’unico membro fondatore è il batterista Inferno, che altri non è che il batterista dei più famosi e altrettanto polacchi Behemoth fin dall’anno 1998, ed è tuttora attivo con loro. E gli Azarath sono appunto una delle maggiori band polacche attualmente in circolazione, e se ascolterete In Extremis capirete facilmente il perché. Il disco è un diluvio di ottimo death black metal, con un approccio, tanto per intenderci, alla maniera dei primi Morbid Angel, con il suono altrettanto rassomigliante a quello dei Behemoth o dei Marduk, ma in realtà il tutto è molto Azarath. In Extremis arriva sei anni dopo Blasphemer’s Maledictions uscito nel 2011, ed è un disco davvero estremo e potente. Il suo suono è un death con venature black soprattutto nell’impianto chitarristico, ma rimane comunque sempre fortemente death. La cosa più importante è che non troverete tregua in questo assalto guidato dalla potente batteria di Inferno, sempre puntuale e decisiva, e tutto il gruppo lo segue perfettamente, aiutato da una produzione molto precisa e mirata sul suono. Gli Azarath non sono l’ennesimo gruppo death black, e nemmeno il passatempo di Inferno, sono semplicemente uno dei gruppi più potenti in circolazione, forti di un suono peculiare, alfiere della via polacca al death metal, e più in generale alla musica estrema. In Extremis è un disco che merita grande attenzione e riverserà sopra di voi un’immensa potenza di fuoco, risultando moderno ma possiede anche un suono che riporta all’epoca d’oro del death metal.

TRACKLIST
1. The Triumph of Ascending Majesty
2. Let My Blood Become His Flesh
3. Annihilation (Smite All the Illusions)
4. The Slain God
5. At the Gates of Understanding
6. Parasu Blade
7. Sign of Apophis
8. Into the Nameless Night
9. Venomous Tears (Mourn of the Unholy Mother)
10. Death

LINE UP
Inferno – Drums
Bart – Guitars
Necrosodom – Guitars, Vocals
Peter – Bass

AZARATH – Facebook

Lantern – II: Morphosis

Tutto puzza di zolfo e bruciato in questo album, con un growl in arrivo da una bara sprofondata nel girone più lontano degli inferi, ed un sound in perfetto stile primi anni novanta, almeno per quanto riguarda il death metal scandinavo.

Dai meandri più putridi di una fredda e diabolica Kuopio ritornano i Lantern, death metal band vicina al decimo anno di attività come duo (Cruciatus e Necrophilos, rispettivamente chitarra e voce), ma ora di fatto un quintetto con l’aggiunta di J. Noisehunter al basso, St. Belial alla seconda chitarra e J. Poussu alle pelli.

Il gruppo estremo proveniente dalla terra dei mille laghi arriva al secondo full length, dopo Below licenziato nel 2013 ed una manciata di lavori minori, ed ora tramite la Dark Descent, label specializzata in opere ed artisti dai rimandi old school, propone questo catacombale II: Morphosis, death metal album vecchia scuola, morboso e dalle atmosfere cimiteriali, pur conservando una carica estrema e devastante.
Tutto puzza di zolfo e bruciato in questo album, con il growl in arrivo da una bara sprofondata nel girone più lontano degli inferi, ed un sound in perfetto stile primi anni novanta, almeno per quanto riguarda il death metal scandinavo.
Riff che vomitano maledizioni, pesanti come incudini, stacchi melodici che hanno fatto la storia della musica estrema ed un’attitudine morbosa e misantropica per un album che non può non produrre brividi a chi gli anni d’oro del death metal li ha vissuti, e ghigni satanici che si trasformano in risate soddisfatte all’ennesimo ritorno di un suono che rinasce, ogni volta che gruppi come i Lantern lo tributano.
Ed allora lasciatevi avvolgere dal signore oscuro che, tramite la musica dei Lantern si ripropone a voi, vile e bugiardo signore del male, serpente che vi avvolge tra le sue spire e vi porta con sé, bruciando nella sua casa per l’eternità a colpi delle putride note che scaturiscono da Black Miasma, Cleansing Of The Air, Lucid Endlessness e gli altri piccoli sacrifici in musica che compongono II: Morphosis.
Agli amanti dei suoni old school e senza compromessi l’album è consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1. Black Miasma
2. Sleeper of Hypnagog
3. Hosting Yellow Fungi
4. Cleansing of the Air
5. Necrotic Epiphanies
6. Transmigration
7. Virgin Damnation
8. Morphosis
9. Lucid Endlessness

LINE-UP
Cruciatus – lead guitar
Necrophilos – vocals
J. Noisehunter – bass
St. Belial – rhythm guitar
J. Poussu – drums

LANTERN – Facebook

Aksaya – Kepler

Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è assai notevole poiché esula dal mero significato black, per andare a ricercare qualcosa di diverso.

Fondati nel 2013 i francesi Aksaya non sono affatto un gruppo black comune, poiché hanno una forte impronta personale, che rende unico il loro suono.

Sin dalle prime battute di Kepler gli Aksaya rendono satura l’atmosfera con il loro black geneticamente modificato, che si muove tra l’ortodossia classica, l’atmospheric, un pizzico di depressive e una forte carica hardcore. I tempi sono veloci ma all’occorrenza si dilatano, per trovare soffocanti aperture melodiche, che puntellano maggiormente l’impianto di sofferenza. Gli Aksaya parlano delle nostre vite, di sofferenza e della guerra che quotidianamente combattiamo, e che a volte si trasferisce sui tristemente noti campi di battaglia. Non c’è speranza in questo affascinante tipo di black metal, ma solo una dolorosa catarsi, che comunque non è poco. La potenza del gruppo è molto ben calibrata e precisa e si abbatte in improvvise sfuriate, ma la loro peculiarità maggiore è il fare mid tempo davvero carichi, progressivi e molto strutturati. Sono presenti anche pezzi più melodici, che impreziosiscono il tutto. Il cantato in francese conferisce un timbro molto personale alla musica degli Aksaya, e ciò funziona splendidamente, poiché la metrica della lingua dell’esagono è assai votata alla potenza.
Kepler è un disco non comune e nemmeno conforme, ma che segue una poetica tutta sua, ed è notevole poiché esula dal mero significato black per andare a ricercare qualcosa di diverso. Tutto l’album è sopra il buono, mentre alcuni passaggi sono davvero entusiasmanti.

TRACKLIST
1.Kepler
2.Laїka
3.Fractale
4.Anomalie, Prélude À La Découverte
5.Tau Ceti E
6.Syn 1.0
7.K-701.04
8.Non Morietur

AKSAYA – Facebook

Hypocras – Implosive

Un folk metal semplice e battagliero, infuocato di passione che brucia per le tematiche care al viking.

Dalla Svizzera, abbattendo tutto quello che incontra a colpi di zanne, arriva la carica del cinghiale simbolo degli Hypocras, band di Ginevra al secondo ep in carriera, intervallato da un full length uscito nel 2013 (The Seed Of Wrath).

Il gruppo death viking metal dagli spunti folk, rilascia questo mini cd di quattro brani, con due inediti (Implosive Absolution e At The Edge), la cover di A Song for Them dei Djizoes ed una versione alternativa pop techno di At The Edge che, sinceramente, con il genere suonato centra veramente poco.
I due brani inediti ci presentano un gruppo tosto, il metal estremo di questi ragazzi svizzeri è senza fronzoli e diretto pur mantenendo l’approccio folk dato dal flauto, sempre presente nella struttura delle canzoni.
Un folk metal ignorante, se mi passate il termine usato per altri generi, semplice e battagliero, infuocato di passione che brucia per le tematiche care al viking metal e che ha permesso al gruppo di aprire per nomi di un certo rilievo come Orphaned Land ed Ensiferum.
Peccato per la versione da spiaggia e cocktail di At The Edge, che vorrà senz’altro essere uno scherzo ma che in un ep già di per se corto avremmo lasciare spazio ad brano originale, da assalto al fortino.
Comunque il gruppo si fa valere, aspettiamo il prossimo full length per vedere all’opera un cinghiale ancora più inferocito.

TRACKLIST
1.Implosive Absolution
2.At the Edge
3.A Song for Them (Djizoes cover)
4.At the Edge (Fucked Up Ibiza Vikings Remix by BAK XIII)

LINE-UP
Nicolas SauthierGuitars – Guitars
Arnaud Aebi – Flute
Alexandre Sotirov – Vocals
Benjamin Alfandari – Bass
Olivier Sutter – Drums

HYPOCRAS – Facebook

Malignance – Architects Of Oblivion

Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

Dopo quattordici da Regina Umbrae Mortis tornano i genovesi Malignance e lo fanno con prepotenza.

Nato nel 2000 dall’incontro del chitarrista Arioch, del bassista Achemar e del cantante Krieg, il gruppo muove i primi passi con un suono death thrash che lascia ben presto spazio all’attuale black, ma le influenze originarie, come potrete ascoltare nel disco, non vanno affatto perse. Nel 2001 viene rilasciato l’ep Ascension To Obscurity, per poi firmare per BOTD e pubblicare il full length Regina Umbrae Mortis, che vi consiglio di andare a recuperare perché è un disco notevole. Nel 2005 i Malignance partecipano allo spilt De Vermis Misteris, che fin dal titolo mi sembra sia chiaro di cosa si tratti, e Arioch in quel momento decide di sospendere le attività dei Malignance per dedicarsi ad altri progetti. Nel 2015 Arioch e Krieg danno nuovamente vita ai Malignance per arrivare a questo nuovo Architects Of Oblivion . I Malignance usano generi conosciuti ma li rielaborano alla loro maniera per arrivare a quello che definirei Genoan Battle Metal, perché sarebbe piaciuto ai balestrieri medioevali genovesi che andavano a conquistarsi fama e morte in battaglie lontane. Il cantato è quasi sempre pulito, a parte qualche momento di maggior concitazione, e la musica è molto potente, con composizioni di notevole intensità che hanno il gusto di metal antico e moderno allo stesso tempo. Architects Of Oblivion non si esaurisce certo in quanto detto poco sopra ed ha molte sfumature, anche melodiche, ma è sopratutto un forte concentrato di lucida potenza metal, e di quest’ultimo ne è un ottimo distillato. Basso slappato come nella vecchia scuola, chitarre che avanzano come falangi e la batteria che lancia dardi infuocati. Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

TRACKLIST
1.Architects of Oblivion
2.Iron of Janus
3.Nakedness of Evil
4.Hekate Kleidoukos
5.Thy Raven Wings
6.Industrial Involution
7.Hailstorm of Malignance
8.Gods of the Forsaken
9.The negative spiral of Self Indulgence
10.And then I shall fall

LINE-UP
David Krieg – Vocals
Arioch – Guitars, bass, drum programming

Live Members:
Lord of Fog – drums
Eligor – Guitars
Actaeon – Bass

MALIGNANCE – Facebook

Hellwitch – At The Rest

At The Rest e Megalopalyptic Confine funzionano bene, peccato solo per tutto il tempo perso da questa storica realtà del metal estremo americano: vedremo se questo 7″ sarà l’antipasto di prossime nuove uscite di maggiore portata.

Era il 1984 quando in Florida iniziò a circolare il nome degli Hellwitch.

Il gruppo statunitense, tra alti e bassi e soprattutto molti stop, torna tramite la Pulverised con questo ep di due brani in formato 7″ dal titolo At The Rest, continuando la tradizione che vuole il gruppo come nome storico del death/thrash aldilà dell’oceano.
Dicevamo della nascita degli Hellwitch targata anni ottanta, anche se il gruppo arriva al 1990 tra demo e singoli prima che Syzygial Miscreancy dia inizio alle vere ostilità.
Un salto temporale fino al 2009 tra ep e lavori minori, per ricordare il secondo album Omnipotent Convocation, ed un altro periodo di silenzio durato sette anni con l’uscita nel 2016 del live A Night at the 5th.
At The Rest dà un minimo di continuità alla carriera del quartetto statunitense, anche se solo per un ep di due brani che almeno risultano due belle mazzate di death metal dalle ritmiche indiavolate ed un approccio thrash che ne fanno un paio di bombe estreme niente male.
Voce al vetriolo, cattiva e maligna (Patrick Ranieri, anche chitarrista e leader storico del gruppo), sei corde tra tradizione death e rimandi al sound slayerano (J.P. Brown a far coppia con Ranieri) e sezione ritmica stile bulldozer (Brian Wilson alle pelli e Julian David Guillen al basso) imprimono al sound dei due brani proposti un’attitudine estrema consolidata nel tempo, anche se Ranieri è l’unico sopravvissuto della line up originale e la sezione ritmica risulta nuova di zecca.
At The Rest e Megalopalyptic Confine funzionano bene, peccato solo per tutto il tempo perso da questa storica realtà del metal estremo americano: vedremo se questo 7″ sarà l’antipasto di prossime nuove uscite di maggiore portata.

TRACKLIST
SIDE A
At Rest
SIDE B
Megalopalyptic Confine

LINE-UP
Patrick Ranieri – Lead guitar/rhythm guitar/vocals
J.P. Brown – Rhythm guitar
Brian Wilson – Drums
Julian David Guillen – Bass

HELLWITCH – Facebook

Inquiring Blood – Morbid Creation

Un album di buon vecchio death metal oscuro e battagliero, ringalluzzito da ritmiche dai potenti innesti groove che lo rendono appetibile ai fans più giovani e abituati alle sonorità estreme del nuovo millennio.

Un album di buon vecchio death metal oscuro e battagliero, ringalluzzito da ritmiche dai potenti innesti groove che lo rendono appetibile ai fans più giovani e abituati alle sonorità estreme del nuovo millennio, e brutalizzato da un growl di stampo brutal in alternanza a quello classico.

Morbid Creation è il secondo lavoro sulla lunga distanza dei tedeschi Inquiring Blood, gruppo attivo da più di dieci anni e con un primo lavoro sulla lunga distanza (oltre ad un demo ed un ep) uscito ormai sei anni fa.
Non male nel suo insieme questo devastante lavoro, improntato per quasi la sua interezza in mid tempo che risultano muri di musica estrema potentissima, con il gioco tra le due voci che si rivela  uno dei punti di forza del sound e fa coppia con l’ottimo lavoro di tutta la parte ritmica, chitarra compresa.
Pochi ed affilati solos rallentano l’avanzata del muro sonoro che travolge e distrugge senza pietà, il gruppo sassone poi, quando decide di accelerare fa davvero male ed il sound si avvicina sempre di più alla sfera più brutale del genere (enormi in questo senso Death And Decay e il massacro sonoro della violentissima Horsekiller).
Una versione modernizzata e brutale dei Bolt Thrower, questo è il modo più semplice per descrivere gli ed il sound presente in Morbid Creation, album da non perdere se siete amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
01. Japanese Knife Assassin
02. Hell Commander
03. Death Row
04. Three feet to Carnage
05. Death and Decay
06. Voices
07. Suffocation
08. Horsekiller
09. The Swarm
10. Stabbed by Mirror Shards
11. Nuclear Massacre
12. Faceless

LINE-UP
Lars Robrecht – Bass
Florian Otten – Drums
Marco Gronwald – Guitars
Daniel Siebert – Vocals

INQUIRING BLOOD – Facebook

Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Ex Deo – The Immortal Wars

Terzo concept dedicato alla storia della civiltà romana da parte di Maurizio Iacono, che con gli Ex Deo ci porta in mezzo alla guerre puniche grazie al suo death metal epico ed orchestrale.

Maurizio Iacono mette a riposo gli inossidabili e (a mio parere) sottovalutati Kataklysm e rispolvera quella che, di fatto, è la sua creatura nata per dare sfogo alla passione per la storia della civiltà romana, gli Ex Deo.

Dopo Romulus (2009) e Caligvla (2012) è giunta l’ora delle guerre puniche e dei due protagonisti principali di questo periodo storico, con la prima parte del concept dedicata ad Annibale e la seconda a Publio Cornelio Scipione.
Il sound non si discosta da quello che Iacono ha voluto dare alla sua creatura fin dal principio e, accompagnato da praticamente tutti i membri della band madre, tratteggia questo quadro storico con un death metal orchestrale e cinematografico, assolutamente epico e perfetto per raccontare la storia e le vicende di una delle civiltà più importanti della storia.
In mid tempo quadrati come l’opener The Rise Of Hannibal, la parte sinfonica trasforma il tutto in una marcia magniloquente, mentre il vento fa turbinare la neve ghiacciata che disturba il cammino degli elefanti nella drammatica ed avventurosa Crossing Of The Alps, dove la sezione ritmica dà il meglio di sé (Dano Apekian al basso e Olivier Beaudoin alle pelli) e Iacono, come un oratore, distribuisce cultura sotto il segno di un growl che, come abitudine, si incattivisce in un raggelante e quanto mai terribile scream nelle parti più violente.
Suavetaurilia è un’intermezzo sinfonico che conduce alla seconda parte dell’album ed alla mostruosa Cato Major: Carthago Delenda Est!: qui le due chitarre (Jean-François Dagenais e Stéphane Barbe) si scontrano con un’orchestrazione suggestiva , mentre il vocalist interpreta il brano con trasporto come se lui stesso comandasse le legioni romane contro i nemici cartaginesi; ci avviciniamo così all’apoteosi epica riservata al trio di tracce che inizia con l’indomabile Ad Victoriam (The Battle of Zama), passa per la violentissima The Spoil Of War per lasciare alle mastodontiche orchestrazioni di The Roman il compito di concludere questa lezione di storia a cura di Maurizio Iacono e con la colonna sonora degli Ex Deo, che con questa opera si issano stabilmente sul podio del death metal dai rimandi epici e orchestrali.

TRACKLIST
1. The Rise of Hannibal
2. Hispania (The Siege Of Saguntum)
3. Crossing Of The Alps
4. Suavetaurilia (Intermezzo)
5. Cato Maior: Carthago Delenda Est!
6. Ad Victoriam (The Battle Of Zama)
7. The Spoils Of War
8. The Roman

LINE-UP
Maurizio Iacono – Vocals
Dano Apekian – Bass
Jean-François Dagenais – Guitars
Stéphane Barbe – Guitars
Olivier Beaudoin – Drums

EX DEO – Facebook