Unhoped – Sonic Violence

Sonic Violence si rivela un album imperdibile per gli amanti del vecchio e glorioso thrash metal, ancora vergine ed immune da influenze moderne e più cool.

Thrash metal old school, violento senza fronzoli ma suonato benissimo da una band con gli attributi e a cui non mancano impatto ed attitudine.

Sonic Violence è la seconda prova sulla lunga distanza dei finnici Unhoped, thrash metal band di Varkaus attiva dal 2007 e con alle spalle, oltre ad un ep del 2010 il primo full length dal titolo Die Harder.
Il loro sound rispecchia tutti i cliché del genere, velocità e violenza a tratti alternata da mid tempo di più ampio respiro, tutto nella norma non fosse per un songwriting d’assalto, il gran lavoro dei musicisti coinvolti e un’impatto pari ad una cometa in caduta libera sul pianeta terra.
I due axeman (K. Laanto e A. Paasu) si rincorrono sullo spartito con ritmiche e solos devastanti, basso e batteria non si fanno lasciare indietro e mettono la quinta, viaggiando a velocità iperboliche (S. Parviainen al basso e M. Huisko alle pelli), mentre J. Luostarinen si dimostra singer che col genere va a braccetto senza timori reverenziali verso gli storici vocalist del genere, risultando un’animale rabbioso e personale.
Sonic Violence parte alla grande e non si ferma più, i brani si danno il cambio per distruggere i padiglioni auricolari dei fans, senza lasciare un attimo che l’atmosfera si riempia di noia.
Tra i solchi di vere bombe sonore come l’opener Whole World Gone to Hell, la title track, l’enorme prova di forza che risulta Human Disgrace, la lunga No Man’s Land, troverete sicuramente di che crogiolarvi tra il meglio del thrash metal, vecchia scuola certo ma spettacolarizzato da una produzione perfetta e i richiami ai vari Slayer, Death Angel ed Exodus, che escono prepotentemente dal sound di questa macchina da guerra chiamata Unhoped.
Sonic Violence si rivela così un album imperdibile per gli amanti del vecchio e glorioso thrash metal, ancora vergine ed immune da influenze moderne e più cool.

TRACKLIST
1. Whole World Gone to Hell
2. Assimilation
3. Sonic Violence
4. Human Disgrace
5. No Man’s Land
6. Warhead Sunrise
7. The Naked and the Dead
8. Club Of Swines
9. Pies & Friends

LINE-UP
K.Laanto-Guitar
A.Paasu-Guitar
J.Luostarinen-Vocals
S.Parviainen-Bass
M.Huisko-Drums

UNHOPED – Facebook

Lustravi – Cult Of The Blackened Veil

I Lustravi omaggiano Satana e le sue legioni di demoni con un black metal rituale e molto sporco, davvero vicino a certe punte death che si sono viste sotto il sole della Florida.

Da Panama City in Florida, i Lustravi spargono per il mondo un blackened metal molto marcio e veloce, di ottima fattura e molto potente.

I Lustravi omaggiano Satana e le sue legioni di demoni con un black metal rituale e molto sporco, davvero vicino a certe punte death che si sono viste sotto il sole della Florida. Oltre a questa influenza il black metal dei Lustravi si rivela essere molto personale e d originale. I ragazzi non puntano molto sulla velocità, bensì sul pathos dell’esecuzione, con molti stacchi potenti e calibrati, e pezzi composti molto bene, con una ricercatezza sonora difficile da trovare altrove.
Il tutto è composto e suonato per omaggiare le tenebre, e la voce di Morgan Weller è molto particolare e adattissima allo scopo. Le loro canzoni sono cavalcate nella notte, sono coltelli che si abbassano su giovani vergini, sono offerte e richieste al nero signore. I Lustravi sono un gruppo che un black metal tutto loro, veramente underground e notevole.
Cadete nell’oscurità.

TRACKLIST
1.In Nomine Cultus (Intro)
2.Evil Incarnate
3.The Nineteenth Key
4.Salute To The Angels
5.Et Plebs Tua Laebitur In Te (Interlude)
6.Dona Nobis Chaum
7.The Rites Of The Goatchrist
8.Dreams Haunt My Sleep
9.O, Sanctifier
10.Terminus Est Aetas (Outro)
11.Sabrina

LINE-UP
Morgan Weller – Bass/Vocals.
Geoffrey McWhorter – Guitar.
Cory Keister – Drums.
Zachary Lee Cook – Guitar.

LUSTRAVI – Facebook

Vampyromorpha – Six Fiendish Tales of Doom and Horror…

Il sound è quanto di più heavy/doom ci si possa immaginare, riprendendo con sagacia le sonorità care ai gruppi storici del genere come Black Sabbath, Pentagram e Saint Vitus, qualche accenno all’horror metal dei nostrani Death SS e colmandolo di atmosfere dark/gothic alla Sisters Of Mercy.

Nell’underground metallico le realtà che si dedicano ad una sorta di rivisitazione del doom metal settantiano, prendendo ispirazione dalla filmografia horror di quegli anni ed amalgamandolo con reminiscenze gothic dark non sono poche, ed imbattersi in piccoli gioiellini non è poi così difficile.

Tramite la Trollzone Records, veniamo investiti da questa apoteosi di atmosfere horror/trash, dove l’immaginario tipico delle pellicole anni ‘70/’80, fatto di procaci e seducenti vampirelle assetate di sangue e castelli invasi da pipistrelli e morti viventi, viene valorizzato da un sound che pesca dal doom quanto dal dark ottantiano.
La band si chiama Vampyromorpha, sono un duo composto da Nemes Black ( chitarra, basso e batteria) e Jim Grant, fuori in questo periodo con il bellissimo Bloodmoon Prophecy dei Naked Star, alle prese con il microfono e qui anche con l’hammond.
Six Fiendish Tales of Doom and Horror… è composto da sei brani più la clamorosa cover di I’m So Afraid dei Fleetwood Mac, il sound è quanto di più heavy/doom potrete immaginarvi, riprendendo con sagacia le sonorità care ai gruppi storici del genere come Black Sabbath, Pentagram e Saint Vitus, qualche accenno all’horror metal dei nostrani Death SS e colmandolo di atmosfere dark/gothic alla Sisters Of Mercy.
Personalmente ho trovato tra i solchi delle varie songs note gotiche care ai Type O Negative e ai Lucyfire di Johan Edlund, proprio per quelle sfumature dark rock che imprimono al sound del duo una marcia in più.
Jim Grant, lontano dai vocalizzi apocalittici e rabbiosi usati nell’opera dei Naked Star, regala alla sua performance sfumature ottantiane dall’ottimo appeal, l’hammond a tratti crea arabeschi di musica gotica, come se ai tasti d’avorio si destreggiasse in tutta la sua malvagia gloria il dottor Phibes, scienziato pazzo interpretato dal grande Vincent Price, mentre gli strumenti elettrici costruiscono ritmiche doom metal potentissime.
Poco meno di quaranta minuti, ma assolutamente intensi: l’album non lascia trasparire indugi e si presenta come un monolite di heavy rock notevole, con il suo cuore che pulsa sulle note della splendida Satans Place, meravigliosa messa gotica dove, al calar delle tenebre, le schiave di Dracula si risvegliano e iniziano la caccia, nella lunga notte senza luna.
Six Fiendish Tales of Doom and Horror… risulta così un ottimo lavoro, in perenne bilico tra i generi e le band a cui fa riferimento, ma a tratti davvero irresistibile, segnatevi questo nome Vampyromorpha, ed occhio agli sguardi seducenti della bellissima musa apparsa nella notte, potrebbero portarvi alla dannazione eterna.

TRACKLIST
01. Deliver Us From The Good
02. Häxanhammer
03. Metuschelach Life Cycle
04. Satan´s Palace
05. Bacchus
06. Peine Forte Et Dure
07. Iam So Afraid (Bonus)

LINE-UP
Jim Grant – Vox, Hammond
Nemes Black – Guitar, Bass, Drums

VAMPYROMORPHA – Facebook

The Unknown – In Search Of The Unknown

The Unknown è l’ennesima piacevole scoperta di un sottobosco musicale underground che, pur gravitando attorno alla scena metal, è in grado di dar vita a soluzioni sonore profondamente introspettive e dal non trascurabile spessore artistico.

Un’uscita decisamente particolare per la Club Inferno, sub label della My Kingdom Music, realtà discografica che nel nostro paese può essere considerata alla stregua della tedesca Prophecy per varietà, profondità e qualità del proprio roster.

The Unknown è il progetto solista del musicista iraniano Aria Moghaddam il quale, dopo aver pubblicato due singoli in compagnia di colleghi di un certo nome quali Daniel Cavanagh (Anathema) e Luis Fazendeiro (Sleeping Pulse), crea questa volta un sodalizio con lo statunitense Kevin Pribulski, a sua volta titolare del monicker In Search Of.
Ciò che ne scaturisce è un lavoro di notevole interesse dall’emblematico titolo di In Search Of The Unknown: trattasi di una lunga traccia di una quarantina di minuti, suddivisa in quattro movimenti, all’insegna di un ambient dai tratti atmosferici, talvolta orchestrali, sul quale si poggiano diverse parti recitate (alle quali contribuisce anche Thomas Helm degli Empyrium) che, per quanto funzionali alla comprensione del concept che sta dietro il lavoro, alla fine si rivelano un elemento quasi ridondante.
Infatti, In Search Of The Unknown si reggerebbe tranquillamente in piedi con la sola bontà dei passaggi strumentali, piacevoli, intensi, avvolti da un manto di oscurità nella prime due parti per poi aprirsi in senso atmosferico e melodico in quelle conclusive.
L’album è molto ricco dal punto di vista strumentale e, anche nei passaggi più canonicamente ambient, non si ci si limita a soluzioni minimaliste o ripetitive ma è possibile cogliere appieno, invece, la cura immessa da Moghaddam e Pribulski a livello di esecuzione e produzione.
The Unknown è l’ennesima piacevole scoperta di un sottobosco musicale underground che, pur gravitando attorno alla scena metal, è in grado di dar vita a soluzioni sonore profondamente introspettive e dal non trascurabile spessore artistico.

Tracklist:
1. In Search Of The Unknown
pt. 1: Into The Unknown
pt. 2: Symphony Of Darkness
pt. 3: Symphony Of Planets
pt. 4: In Search Of The Unknown

Line-up:
Aria Moghaddam – Vocals, Bass, Guitars, Piano, Strings
Kevin Pribulski – Vocals, Bass, Guitars, Drums
Guest:
Thomas Helm – vocals on pt.3

THE UNKNOWN – Facebook

Sarcoptes – Songs And Dances Of Death

Il disco è una buona prova di black death, ma sinceramente è molto nella media, certamente compatto e soddisfacente, ma privo di talentuose fughe in avanti.

Duo proveniente da Sacramento, in Killafornia, è nato nel 2008, ma ha pubblicato l’ep di esordio solo nel 2013 con Thanatos.

Il duo californiano fa un black metal di ispirazione scandinava, con una forte dose di thrash e death di matrice vecchia scuola. Il suono del duo è molto compatto e molto dedito ai grandi nomi del male provenienti dal Nord Europa, in più i Sarcoptes coniugano molto bene cavalcate sympho con pezzi balck death molto convincenti. Il disco è una buona prova di black death, ma sinceramente è molto nella media, certamente compatto e soddisfacente, ma privo di talentuose fughe in avanti. I crismi ci sono tutti, i Sarcoptes sanno suonare e sanno dove vogliono andare, per cui la solidità c’è. Manca un guizzo, ma questo disco farà la gioia di molti black metaller e si pone nella tradizione a stelle e strisce del genere.

TRACKLIST
1.The Veil Of Disillusion
2.The Sexton’s Spade
3.The Fall Of Constantinople
4.When Stars Hide Their Fires
5.Barbarossa
6.Within The Labyrinth Mind

LINE-UP
Sean Z. – Guitar, Bass, Keyboards
Gar – Vocals, Drums

SARCOPTES – Facebook

Pro-Pain – Foul Taste Of Freedom / The Truth Hurts

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain, gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

Guidata dal sommo leader Gary Meskil, la band iniziò il suo lungo cammino discografico nel 1992 data di pubblicazione dell’esplosivo esordio Foul Taste Of Freedom, seguito un paio di anni dopo da The Truth Hurts.
Una lunghissima carriera nel mondo della musica pesante che ha visto i Pro-Pain licenziare ben sedici album, l’ultimo lo scorso anno (Voice Of Rebellion), sempre all’insegna dell’hardcore metallico, e che ha avuto il suo massimo splendore a cavallo dei due millenni con lavori violenti ma che strizzavano l’occhio tanto al thrash metal, quanto alle nuove sonorità crossover.
Era appunto il 1992 quando dalla scena hardcore di New York spuntarono questi guerrieri armati di strumenti e tanta voglia di spaccare, Foul Taste Of Freedom fu il primo capitolo della tradizione musicale del gruppo, violento e senza compromessi, una miscela esplosiva di spirito hardcore/punk e thrash metal targata Roadrunner, ai tempi una delle label underground più attiva del settore metallico internazionale.
La nuova versione proposta dalla Steamhammer/SPV quasi venticinque anni dopo propone l’intero album più alcune bonus track, doppia versione in digipack e vinile (tornato prepotentemente alla ribalta di questi tempi) e nuove foto.
Stesso discorso per il secondo album, The Truth Hurts, con una versione che includerà il vecchio artwork, all’epoca dell’uscita censurato, ed un poster a due facce.
Potrete così rivivere i primi passi di un gruppo storico della scena internazionale, che ha sempre mantenuto una buona qualità nelle uscite senza stravolgere una forma consolidata, la furia dei primi lavori è indubbiamente maggiore rispetto ai lavori successivi, anche se la band con gli ultimi album è tornata a far male (Voice Of Rebellion è una mazzata terrificante).
La titletrack, Pound For Pound, The Stench Of Piss, Johnny Black sul primo lavoro e Make War (Not Love), Put The Lights Out, One Man Army e The Beast Is Back sul secondo, sono esempi fulgidi della carica inumana del gruppo statunitense divenuto un’icona per i fans del genere.
Un ottimo modo per conoscere la creatura di Gary Meskil, assolutamente d’obbligo per i giovani fans del genere e per chi vuole riassaporare l’aria che tirava tra le strade della grande mela all’inizio degli anni novanta.

TRACKLIST
Foul Taste Of Freedom:
1.Death On The Dance Floor
2.Murder 101
3.Pound For Pound
4.Every Good Boy Does Fine
5.Death Goes On
6.Rawhead
7.The Stench Of Piss
8.Picture This
9.Iraqnophobia
10.Johnny Black
11.Lesson Learned
12.God Only Knows
13.Take It Back” (bonus track)
14.Pound For Pound” remix (bonus track)

The Truth Hurts:
1.Make War (Not Love)
2.Bad Blood
3.The Truth Hurts
4.Put the Lights Out
5.Denial
6.Let Sleeping Dogs Lie
7.One Man Army
8.Down in the Dumps
9.The Beast Is Back
10.Switchblade Knife

LINE-UP
Foul Taste Of Freedom:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Tom Klimchuck – Guitars
Dan Richardson – Drums

The Truth Hurts:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Dan Richardson – Drums
Nick St. Denis – Guitars (lead)
Mike Hollman – Guitars (rhythm)

PRO-PAIN

Narvik – Ascension to Apotheosis

Siamo al cospetto di un black metal classico, essenziale e dalle raggelanti atmosfere e il paragone con le più oltranziste realtà norvegesi viene da sè.

I Narvik sono un gruppo tedesco, suonano black metal ed il loro monicker prende il nome da una città norvegese che diede i natali a Robert Burås, musicista scomparso prematuramente e fonte di ispirazione per i tre blacksters di Friburgo.

Attivo da una decina di anni, il trio composto da Lupus (chitarra), Redeemer (voce) e P. (batteria) ha dato alle stampe oltre al classico demo di inizio carriera, un primo album nel 2013 dal titolo Triebe nach der Endlichkeit e due ep, Snake of Paradise e Fecundity of Death, rispettivamente del 2014 e nello scorso anno.
Tornano con un’opera sulla lunga distanza tramite Folter Records, in questa prima metà del 2016, a confermare la proposta scarna e evil dei loro precedenti lavori, basata su un esempio di black metal senza compromessi, malvagio ma pregno di mid tempo e ritmiche marziali.
Uno scenario di desolazione e morte, senza speranza di luce, un’armageddon diabolico che si abbatte scandendo ogni nota come i secondi di un orologio che fa bella mostra di sé alla parete di una chiesa sconsacrata, un gelido inno alla morte, da non perdere se siete amanti del black metal più oltranzista e ruvido.
Niente di più e niente di meno, Ascension To Apotheosis non lascia scampo, vi avvolge come nelle fredde spire di un serpente, servo del signore oscuro, destabilizza decadente e maligno tra lunghe marce e accelerazioni appena abbozzate ma perfettamente collocate tra lo spartito scritto con il sangue dai Narvik.
Una proposta che si colloca nei classici lavori only for fans, causa la totale immersione nel genere, dove disperazione, male e gelido terrore la fanno da assoluti padroni.
Wounds Of Aspiration, Fecundity Of Death e la conclusiva BarrenSemen vi accompagneranno nel mondo dei Narvik, valorizzato da una buona produzione l’album non da tregua circondandoci di atmosfere evil e malatissime.
Siamo al cospetto di un black metal classico, essenziale e dalle raggelanti atmosfere, il paragone con le più oltranziste realtà norvegesi viene da se, dunque se siete blacksters incalliti l’album merita la vostra attenzione, gli altri girino alla larga.

TRACKLIST
1. Invokation II
2. Wounds Of Aspiration
3. Geist zu Scherben
4. Psychotic Redeemer
5. Fecundity Of Death
6. Berstende Säulen
7. The Shore
8. BarrenSemen

LINE-UP
P. – Drums
Lupus – Guitars
Redeemer – Vocals

NARVIK – Facebook

Front – Iron Overkill

I Front fanno la guerra con il loro metal, che deve molto anche a gruppi come i Marduk. La loro alta velocità viene da lontano, proviene dal basso di Lemmy dei Motorhead, e dal black metal scandinavo tutto.

Death black metal di guerra e violenza, con i Motorhead nel motore.

I Front sono una nuova formazione nel panorama finlandese, ma in realtà i suoi componenti hanno militato in gruppi importanti dell’underground finnico, come Sacrilegious Impalement, Evil Angel, e Neutron Hammer, fra gli altri.
La nascita del gruppo data 2015, come la sua prima uscita su Iron Bonehead, con il nome di Demo 2015. I Front fanno la guerra con il loro metal, che deve molto anche a gruppi come i Marduk. La loro alta velocità viene da lontano, proviene dal basso di Lemmy dei Motorhead, e dal black metal scandinavo tutto. La produzione moderatamente lo fi rende molto bene il suono ruvido ed il senso di minaccia incombente che i Front vogliono trasmettere. Anche il loro outfit è molto metal anni ottanta. L’assalto sonoro di Iron Overkill è una della cose più notevoli sentite nel mondo metal quest’anno. La carica di questo disco è altissima, come l’intensità con la quale suonano, che non è scevra da un nichilismo punk hardcore che è comunque presente in certi sottogeneri del metal. Malvagità e guerra sono due cose che vanno di pari passo, e la crudeltà può essere raccontata in molti modi, ma questo dei Front è forse il migliore, perché il carrarmato deve travolgerti per farti capire.

TRACKLIST
1. Defiance
2. Legion Front
3. I Am Death
4. Wargods Unbound
5. Kypck
6. Tribunal of Terror
7. Cold Gravel Grave
8. Heathen Resistance

LINE-UP
Revenant – Drums, Vocals.
Von Bastard – Guitars, Bass, Vocals.
Kaosbringer – Vocals.

FRONT – Facebook

Fausttophel – Sancta Simplicitas

Un’altra ottima realtà proveniente dall’Ucraina consigliata agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica.

Si torna a parlare di metal estremo proveniente dall’Ucraina con i melodic blacksters Fausttophel, al secondo lavoro sulla lunga distanza che segue l’esordio Thirst Of Oblivion, licenziato nel 2013.

Un’altra ottima realtà che Iyezine propone agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica, molto presente nelle realtà provenienti da quelle nobili terre.
Paesi che sul fronte musicale non sono secondi a nessuno, ricchi di tradizioni classiche che anche in questo caso sono la base su cui il gruppo di Poltava, ora trasferitosi in Russia, costruisce il suo sound.
Black metal feroce che si scontra con aperture melodiche, oscure quanto si vuole ma che permettono a Sancta Simplicitas di piacere già dal primo approccio e che ne fanno un ascolto piacevole e colmo di sorprese per tutta la sua durata.
Armonie pianistiche, splendidi accordi acustici, l’uso della lingua madre e di quella russa, compongono un’opera estrema molto ben congeniata, la parte metallica si avvicina al sound scandinavo con i Dissection ed i Dimmu Borgir a fare da principali influenze, mentre le varie parti progressive guardano ai maestri Opeth, in versione folk.
Non mancano infatti atmosferiche parti dove le melodie tradizionali e popolari del proprio paese valorizzano alcuni brani (Sick Earth), mentre le tastiere formano vortici orchestrali (Dimmu Borgir) e le asce sparano riff black metal tremendamente efficaci e dal sapore classico (Dissection).
Buona la prova dei musicisti, ma non è certo una novità nei gruppi di quelle regioni, e perfetta la produzione, soprattutto quando la tempesta estrema si abbatte con furia sui padiglioni auricolari.
The Lot of Emptiness, The Dark Pit of Absurdity, i nove minuti della mini suite The Song of the Leper, sono gli episodi cardine di questo ottimo lavoro, con la cover di Black Tears degli immensi Edge Of Sanity (da quel capolavoro che fu Purgatory Afterglow) che fa sobbalzare il sottoscritto e ci consegna un’altra band sopra le righe ma che, fuori dai soliti circuiti musicali, rischia di perdersi tra le steppe … fortunatamente per voi c’è Iyezine.

TRACKLIST
1. Wandering… Searching…
2. The Lot of Emptiness
3. The Word
4. God’s Place is on the Cross
5. Sick Earth
6. The Dark Pit of Absurdity
7. The Song of the Leper
8. Lunar Onlooker
9. The Whirl Ends Where it Began
10. Black Tears (Edge Of Sanity cover)

LINE-UP
Alexander “Adams” Savinyh – bass, vocal
Valentin “Mau” Samohin – vocal
Vladimir Aldushkin – guitar
Vladislav Ustinov – guitar
Nikolay «Domovoy» Vyhodtsev – drums

Shed The Skin – Harrowing Faith

Gli Shed The Skin sono una forza della natura, concreti, potenti, trascinanti e senza pietà, nel più puro stile death.

Cleveland, nonostante si pensi che sia la città americana più brutta, o forse proprio per questo, ha una delle migliori scene metal americane, specialmente per quanto riguarda il death metal, e questo disco ne è la conferma.

Gli Shed The Skin sono un gruppo formato da veterani della scena di Cleveland come Kyle Severn alla batteria già negli Incantation, Matt Sog dei Ringworm alla chitarra, Ed Stephens dai Vindicator la basso.
Il loro stile è un death metal violento e preciso, molto simile a quello che si suonava negli anni novanta, con la differenza della maggiore consapevolezza dei propri mezzi ed una produzione più adeguata. I loro testi parlano di satanismo, religione e soprattutto blasfemia, sia metafisica che sonora. Il disco nel suo complesso è ottimamente bilanciato, con parti maggiormente cattive e pezzi più vicino al doom, con inserti anche thrash, perché comunque il thrash metal fa parte del dna del death. Il gruppo è nato dalla volontà di Kyle e Matt, che si incontrarono al tributo per Tom Rojack, dei Blood Of Christ, un altro grande gruppo death di Cleveland. Visto che si trovarono bene insieme, i due pensarono di mettere su un gruppo ed ecco qui gli Shed The Skin. Dopo vari cambi di formazione si sono stabilizzati e quello che teniamo fra le mani è il loro debutto, davvero notevole.
Gli Shed The Skin sono una forza della natura, concreti, potenti, trascinanti e senza pietà, nel più puro stile death.

TRACKLIST
1.Plasmic Flames
2.Daimonic Adytum
3.Harrowing Faith
4.Putrid and Pious
5.Unbound Revenant
6.Warband Under the Baphomet
7.CSUM
8.Alpha and Omega
9.Cambion
10.Inhuman Accretion
11.Innermost Sanctuary
12.Execration Divine

LINE-UP
Ed Stephens – Bass
Kyle Severn – Drums
Matt Sorg – Guitars
Brian Boston -Keyboards
Ash Thomas – Vocals, Guitars

SHED THE SKIN – Facebook

MESSA

Il debutto dei Messa, Belfry, è uno dei più bei dischi di quest’anno. L’atmosfera che riescono a creare i Messa non è affatto facile sa spiegare, soltanto ascoltandoli potrete capire. Qualche elemento in più potrebbe fornirvelo questa nostra intervista a uno dei gruppi italiani più interessanti degli ultimi anni.

iye Come nasce il vostro suono così particolare ed ipnotico ?

Nasce da un’esigenza di sperimentazione di un linguaggio musicale diverso da tutto ciò che noi quattro eravamo e siamo tutt’ora abituati a fare: sia dal punto di vista tecnico, formale ed estetico, per noi è un approccio diverso.
Sara non ha mai cantato in vita sua ma sempre suonato in band hardcore/punk il basso, Alberto ha sempre suonato la chitarra in progetti prog,jazz , Rocco alla batteria sempre suonato black metal in molti progetti e io al basso sempre avuto un approccio piu dark’n’roll alla musica con parentesi garage.

iye Quali sono i vostri ascolti ?

I più svariati, da Coltrane ai Darkthrone, dai Bathory ai Current 93, per capirci, passando per tutti i generi lugubri lenti e fumanti.
L’approccio al progetto Messa cerca di non essere mono direzionale ma cerchiamo di esprimere ed evocare delle sensazioni, che poi siano dettate da un fuzz o da una campionatura o da una lirica poco importa.

messa2

iye Come portate sul palcoscenico il vostro disco ?

Cerchiamo di renderlo il piu low profile possibile, non siamo attrezzati con costumi o stronzate di nessun tipo.
Montiamo sul palco, bruciamo della resina di incenso pura, accendiamo poche candele e cerchiamo di darci dentro.

iye Se poteste scegliere a quale regista vi piacerebbe fare una colonna sonora ?

Sono tutti morti, quelli italiani poi … sepolti, ad ogni modo sarebbe interessante fare una cosa per Roy Andersson.
penso sia un genio. Come sa affrontare temi come morte, alienazione, sesso, ambiente in un modo così sottile non lo fa nessuno, sarebbe un sogno poter farlo

iye Progetti futuri ?

Stiamo cercando di progettare un mini tour di una 10 di giorni per il prossimo novembre e, nel mentre, stiamo già componendo materiale nuovo; un pezzo che è già finito a breve andremo a registrarlo in una chiesetta sconsacrata dove facciamo prove, per inciderlo poi in uno split da fare con i nostri amici tedeschi Breit.

Nocturnal Streams – Leaden

Al netto di qualche imperfezione, Leaden mette in luce validi spunti uniti ad una buona vena compositiva e, trattandosi di una prima uscita, si può considerare senz’altro più che sufficiente.

Prima uscita discografica per i Nocturnal Streams, nati agli albori del decennio come one man band per volere di Drake Thrim, ed oggi divenuti invece un duo con l’entrata informazione di Dubnòs, chitarrista dei folk metallers Korrigans; questo breve Ep, intitolato Leaden, ci mostra i due musicisti laziali alle prese con un doom death dai tratti piuttosto canonici nel quale vengono messi in evidenza diversi buoni spunti ed altrettanti aspetti perfettibili.

La pecca maggiore è rappresentata dal suono delle tastiere, che appaiono troppo artificiali e scolastiche nei loro interventi, venendo meno peraltro in determinati passaggi che ne avrebbero richiesto la presenza quale opportuno sottofondo atmosferico. A tutto questo contribuisce anche una resa sonora che, ricordando quello di certi dischi gothic-doom dei primi anni novanta (se si riprende un album come Wisdom Floats dei Decoryah, tanto per fare un esempio, si capisce che cosa intendo), dona un certo fascino al tutto ma non sempre riesce a legare sufficientemente il lavoro dei singoli strumenti.
Detto ciò, Leaden mette in luce validi spunti uniti ad una buona vena compositiva e, trattandosi di una prima uscita, si guadagna senz’altro la sufficienza; chiaramente c’è da lavorare anche sull’originalità del sound proposto però i brani appaiono comunque gradevoli e, soprattutto, non sono affatto pretenziosi, riuscendo a trasmettere, sebbene a intermittenza, quell’emotività che il genere richiede.
Al netto dei poco convincenti suoni di tastiera, spicca l’opener strumentale Wolves’ Rain, mentre va rimarcata la buona esecuzione della cover di Eternal, tratta dal seminale Gothic dei Parasise Lost, nella quale i Nocturnal Streams mostrano di trovarsi a loro agio con sonorità tipicamente novantiane, benchè si tratti di un brano non del tutto rappresentativo dello stile proposto nel resto dell’ep, nel quale prevale invece una componente doom dalle sfumature black/death (in particolare nelle due tracce centrali, Shine of Life e Cult of Mortification).
Fatto il primo passo, i Nocturnal Streams vanno rivisti alla prossima occasione per verificarne un’auspicabile progressione, da ricercare più nella cura dei particolari che non negli aspetti prettamente compositivi.

Tracklist:
1. Wolves’ Rain
2. Shine of Life
3. Cult of Mortification
4. Eternal

Line-up:
Drake Thrim – Lead Vocals, Bass, Programming
Dubnòs – Electric and Acoustic Guitars, Additional Vocals

NOCTURNAL STREAMS – Facebook

Dan Deagh Wealcan – Fragmented Consciousness

Meno diretto rispetto al suo predecessore, Fragments Consciousness conferma le ottime impressioni suscitate dal duo russo.

Torna a distanza di qualche mese dal precedente Who Cares What Music Is Playing In My Headphones? il duo industrial/alternative moscovita Dan Deagh Wealcan, una macchina perfettamente oliata in cui si abbracciano, su un tappeto di suoni sintetici, una varietà di generi ed influenze, in un variopinto e quanto mai riuscito caleidoscopio musicale.

Mikhail A. Repp e Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko continuano ad imperversare con questo ibrido che accoglie metal, alternative, industrial e suoni progressivi.
Il nuovo lavoro non si discosta dal precedente, se non per una più marcata vena estrema: ne consegue un sound più industriale, l’uso più marcato di vocals ruvide e ritmiche sincopate che avvicinano il duo alle band industrial metal tout court.
Non mancano digressioni alternative, marchio di fabbrica del gruppo ucraino, ma in generale Fragments Consciousness è leggermente meno progressivo e più marcatamente estremo rispetto al suo ottimo predecessore.
Cinquanta minuti secchi immersi nei suoni elettronici del gruppo, l’album risulta un monolito industriale dove sfumature alternative, sfuriate metalliche ed elettronica di chiara ispirazione new wave, riempono i nostri padiglioni auricolari di musica moderna, tra chiaro e scuro, violenza ed attimi di lascive atmosfere sintetiche, con un Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko sontuoso nel proporre una larga varietà di toni e sfumature con la sua voce, ma sempre vicino al suo principale maestro, Trent Reznor.
E tra le varie songs che compongono l’album e di cui In5tasis, bleedThrough: e Memory+Mngmnt sono sicuramente le più riuscite, i Nine Inch Nails continuano ad essere la massima ispirazione, così come i Ministry, Devin Townsend, ed i Tool, insomma, il meglio che il rock alternativo mondiale ha regalato ai fans negli ultimi vent’anni.
Meno diretto rispetto al suo predecessore, Fragments Consciousness conferma le ottime impressioni suscitate dal duo russo, una band magari poco conosciuta nel music biz, ma sicuramente meritevole d’attenzione, specialmente se siete amanti di questo tipo di suoni.
Non dimentichiamo che, se sulle loro carte d’identità ci fosse il timbro U.S.A., una band del genere sarebbe probabilmente sulle pagine dei maggiori magazine specializzati.

TRACKLIST
1. theArt?Of:Login
2. Neednothing
3. Number*Nine
4. [Stuck.in.This]
5. I’am=Confused
6. GreatAttractor
7. In5tasis
8. strangeWAR
9. bleedThrough:
10. Private_asylum.
11. Broken)Cluster
12. A-Void
13. Memory+Mngmnt
14. De.Fragmentation
15. Enou8h…
16. Dissolution:176

LINE-UP
Mikhail A. Repp – Sound.
Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko – Voice

DAN DEAGH WEALCAN – Facebook

Bizarre – Inner Necropolis

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

I Bizarre sono una nuova band spagnola, composta da membri di altri devastanti e quanto mai eccellenti gruppi che gravitano nell’underground metallico come Onirophagus, Famishgod e Elderdawn; Inner Necropolis è il loro debutto in formato ep, un sanguinario ed oscuro platter dove il death metal scandinavo si nutre di atmosfere oscure e brutali, prendendo ispirazione dalle cult band della scena finlandese come Adramelech e Demigod, ed in parte da nomi di punta del death metal classico come Avulsed e Grave.
Oscuro, pesantissimo e mai troppo veloce, il sound si arricchisce come da tradizione di uno splendido lavoro chitarristico, vario e straordinariamente pregno di brutali melodie (Obsezen ed Evilead) creando atmosfere di malvagio e apocalittico metallo di morte, con la sezione ritmica che alterna pesanti parti monolitiche e rabbiose accelerazioni (Uretra alle pelli e Funedëim al basso e mostro primordiale al microfono).
Tecnica al servizio del sound, produzione perfetta e tanto metal estremo dall’alta qualità, fanno di Inner Necropolis un gran bel lavoro, i brani sono uno più bello dell’altro, un’assoluta goduria per deathsters sparsi per il mondo.
Damp Earth, il lento incedere di Moldy And Decomposed e Fleshless, la furia distruttrice della title track, vi faranno rotolare giù per l’oscuro abisso dove vi aspetta la creatura Bizarre, un mostro di violenza sonora, animata da queste cinque perle più intro di cui si compone il suo crudele e malvagio cuore.
Inner Necropolis è un antipasto succulento prima del piatto forte, un full length sicuramente atteso dai death metal fans.

TRACKLIST
1. Dying Existence
2. Damp Earth
3. Asphyxiating Dark Memories
4. Moldy And Decomposed
5. Fleshless
6. Inner Necropolis

LINE-UP
Funedëim – Vocals, Bass
Obsezen – Guitars
Evilead – Guitars, Vocals
Uretra – Drums

BIZARRE – Facebook

From The Depths – From The Depths

La loro proposta era un death metal con tracce di thrash e uno strano incedere hardcore.

Edizione in vinile del debutto di un gruppo che altrimenti andrebbe dimenticato.

Nati nella fertile scena metal di Cleveland dei primi anni novanta, i From The Depths sono stati attivi tra il 1994 e il 2000. La loro proposta era un death metal con tracce di thrash ed uno strano incedere hardcore. Molto veloci e marci, i From The Depths sono stati uno dei migliori gruppi di quegli anni. Uscito originariamente su Unisound, questo disco ben rappresentava quanto di innovativo aveva da offrire il death metal di marca americana. Alla voce vi era Jim Konya, una leggenda della scena metal, sfortunatamente deceduto a settembre del 2015. La sua voce dava un’impronta speciale la gruppo, e questo lo si può sentire benissimo nel disco. Il suono è davvero particolare e caratteristico di quell’epoca, che è stata il periodo d’oro di un certo death metal, quello più legato alla contaminazione. I From The Depths sono un gruppo originale ed unico, ed il loro death metal è uno dei migliori mai esportati dal suolo americano. L’atmosfera che riescono a creare coinvolge e gasa l’ascoltatore, dato che possiamo riconoscere all’interno di essa molti degli elementi che portano ad amare il death metal.
Essendo fuori catalogo da molto tempo, l’operazione di recupero della Hells Headbangers è doppiamente meritevole, poiché oltre a riportare a galla un disco notevole, ne fa un’ottima edizione, con un bel ricordo di Jim Konya.

TRACKLIST
1.Dawn of the Crimson Harvest
2.And They Shall Rise Again
3.It Lurks
4.Autumn Colored Day
5.The Wraths of the Other Realms
6.From the Depths
7.Intro – Into Mystery and Beyond
8.The Magic of the October Moons
9.The War of the Captive Spirits
10.Fuck That Witch
11.Curse of the Scarecrow
12.Bring Forth the Detractor
13.Apparitions of Myself
14.Outro – The Echoes of Distant Dreams

LINE-UP
Jim Konya – Vocals
Wayne Richards – Bass
Rob Newlin – Drums
Matt Sorg -Guitars
Duane Morris – Guitars, Vocals

HELLS HEADNBANGERS – Facebook

DevilDriver – Trust No One

I DevilDriver si confermano come una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità

Tornano i DevilDriver dell’arcigno Dez Fafara, uno dei personaggi più veri dell’ultimo ventennio metallico statunitense, con i Coal Chamber prima e dal 2003 anche sul ponte di comando di questa temibile macchina estrema.

La band californiana è un rullo compressore, magari non potrà vantare il classico disco capolavoro, ma la sua discografia ha mantenuto nel corso degli anni e per ben sette full length una buona qualità sommata ad un impatto che si conferma di tutto rispetto anche su questo ultimo album, il secondo per Napalm Records.
In seno al gruppo non mancano novità importanti, infatti la line up è stata rivoluzionata di ben tre quinti, risparmiando solo il fido chitarrista Mike Spreitzer, ma il sound del gruppo non mancherà di far felici gli amanti dei classici suoni del nuovo millennio.
Trust No One, come i suoi predecessori, continua imperterrito a solcare la strada ormai battuta dal leader, i DevilDriver sono una perfetta macchina metallica che scarica, su pesantissime ritmiche core fumanti di groove, solos melodici che a tratti ricordano i gruppi melodic death metal scandinavi, con Fafara che sbraita rabbioso con la sua personale timbrica catarrosa e ruvida, forte di refrain che si avvicinano al new metal più pesante ed estremo.
E la macchina corre forte e veloce, fa spallucce ai problemi di line up, trova nuova benzina e nuove energie e, a fronte degli anni che passano, ci regala un ennesimo monolite di metallo estremo e moderno, cattivo e dannatamente coinvolgente, una bestia feroce che morde, azzanna, vi lacera le carni con le sue fameliche zanne, si nutre di possenti ritmiche e melodie chitarristiche oliate a dovere, per una tempesta di suoni e note metalliche.
Trust No One non porta nessuna novità sonora in seno al sound del gruppo statunitense, la formula ben collaudata ed il mestiere fanno di Testimony Of Truth, My Night Sky, l’esplosiva Daybreak e la conclusiva e devastante For What It’s Worth un’apoteosi di fughe in doppia cassa, laceranti solos, bombardamenti ritmici e sguaiati, violenti inni di rabbioso metallo.
I DevilDriver si confermano una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità; gli anni passano ma l’energia e la rabbiosa attitudine rimangono le stesse e tanto basta, bravo Dez.

TRACKLIST
01. Testimony Of Truth
02. Bad Deeds
03. My Night Sky
04. This Deception
05. Above It All
06. Daybreak
07. Trust No One
08. Feeling Ungodly
09. Retribution
10. For What It’s Worth

LINE-UP
Dez Fafara – Vocals
Mike Spreitzer – Guitars
Austin D’Amond – Drums
Neal Tiemann – Guitars
Diego “Ashes” Ibarra – Bass

DEVILDRIVER – Facebook

Suffer In Paradise – This Dead Is World

Una bellissima sorpresa questo album dei Suffer In Paradise, autori di un funeral doom dal notevole impatto emotivo.

Una bellissima sorpresa questo album dei Suffer In Paradise, autori di un funeral doom dal notevole impatto emotivo.

Il trio russo attinge soprattutto alle sonorità degli Ea per l’afflato melodico, di Skepticism/Profetus per il tocco tastieristico, ricordando a tratti anche gli Ordog di Remorse, e l’esito finale avvince ed affascina nonostante la palese derivatività del sound proposto.
Ma nel funeral, più che in altri generi, non è così importante fare le cose per primi, lo è molto di più farle per bene, ovvero esprimendo la propria sensibilità in modo da coinvolgere emotivamente l’appassionato (al quale, di fronte ad un disco che sa toccare le giuste corde , dell’originalità non può fregare di meno).
This Dead Is World riprende due dei brani presenti sull’unico segnale di vita discografica fornito in precedenza, ovvero il demo auto intitolato risalente al 2010.
Tempi lunghi ma risultati efficaci, quindi, e qui ci sono tutte le carte in regola per tessere trame dolenti ed evocative nel corso di più di un’ora, durante la quale le tastiere creano il tappeto sonoro ideale per poggiarvi un ben delineato lavoro chitarristico.
Un brano meraviglioso come Somnambula depone insindacabilmente a favore del talento compositivo dei Suffer In Paradise, i quali compongono il disco che quelli come me vogliono ascoltare quando vanno alla ricerca di una consolatoria catarsi, tenendosi alla larga da sperimentazioni e tentazioni droniche, da assimilarsi invece con altro spirito, e lasciando spazio ad un sound lineare quanto efficace.
In attesa del ritorno sulla scena dei nomi di punta, questo lavoro è un ottima panacea e dovrebbe rivelarsi senz’altro gradito a chi apprezza le band citate in precedenza.

Tracklist:
1. This Dead Is World
2. Somnambula
3. Suffer in Paradise
4. Insect
5. Archetype
6. Cantus Cycneus

Line-up:
A.V. – Guitars, Vocals
Defes Akron – Keyboards, Drum programming
R. Pickman – Bass

Naked Star – Bloodmoon Prophecy

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

I Naked Star sono un duo composto da Tim Schmidt (Seamount) alle prese con tutti gli strumenti e Jim Grant vocalist dei Vampyromorpha, Bloodmoon Prophecy è il primo lavoro in formato ep (licenziato dalla Voice Of Azram in edizione limitata in vinile ed in supporto digital) di questa nuova creatura, nata direttamente da una costola di un caprone demoniaco con un sound che pesca a piene mani dal doom occulto delle cult band settantiane, reso potentissimo ed annichilente da massicce dosi di watt, uscite dagli altoparlanti impiantati all’inferno.
Tre brani, tre mid tempo senza soluzione di continuità e compromessi, solo un incedere cadenzato e distruttivo che porta alla dannazione eterna, danze blasfeme sotto una luna rossa di sangue marcio, spettatrice di delitti e messe alla gloria del signore degli inferi.
Occultismo, fantascienza, profezie di morte e possessioni di demoni crudeli, questo tratta Bloodmoon Prophecy, ed il sound che accompagna testi urlati rabbiosamente alla luna dal vocalist non può che essere un monolito di metallo nero e pesantissimo, un caos primordiale e soffocante che ha nei dieci minuti di deliro sabbatico della titletrack il suo apice, anche se Follow The Iron Cross e Bury Me A Demon non mancano di preparare l’ascoltatore al suo tragico e prevedibile destino.
Pensando ad un full length di pari livello, prepariamoci alla venuta di alieni luciferini ed al massacro che ne conseguirà, i Naked Star saranno sacerdoti, cantori e testimoni della prossima apocalisse.

TRACKLIST
1. Follow The Iron Cross
2. Bury Me A Demon
3. Bloodmoon Prophecy

LINE-UP
Tim Schmidt – All Instruments
Jim Grant – Vocals

NAKED STAR – facebook

Slammin’ Thru – Things to Come

Things To Come ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.

Torna a far parlare di se uno dei generi più amati/odiati nel mondo metallico, il prog metal e lo fa con l’esordio sulla lunga distanza dopo oltre un decennio di attività degli spagnoli gli Slammin’ Thru.

Il prog metal dei nostri è quanto di più classico si possa ascoltare, con i Dream Theater ed i Queensrÿche a fare da muse ispiratrici e l’esibizione di una discreta tecnica individuale che non disdegna qualche ritmica power e sfumature progressive di settantiana memoria.
Ricami, atmosfere e sfumature che giocano a nascondino dentro il sound di Things To Come, che ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.
Metallo tecnico su cui il songwriting poggia le sue fondamenta, una buona grinta che fa dell’album un ascolto sufficientemente piacevole anche per i true defenders che non hanno dimenticato i primi lavori della prog metal band di Seattle degli ormai ex Geoff Tate (al quale il vocalist David deve non poco) e Chris De Garmo, sono le virtù principali di questo primo lavoro dal quale, proprio perché arriva dopo molti anni, ci si poteva attendere qualcosa di più.
La produzione non aiuta certo le canzoni ad esplodere, con la voce relegata in secondo piano e la musica che esce leggermente ovattata, un peccato mortale per un disco del genere.
Tra i brani che compongono il cd si segnalano la title track e la bellissima Pariah, il resto fila via senza sorprendere più di tanto gli ascoltatori più esigenti.
Un lavoro sufficiente per dare un reale avvio ad una carriera che auspichiamo più ricca di uscite, magari correggendo i difetti riscontrati in questa occasione.

TRACKLIST
1. Metallic Leaves
2. Things To Come
3. Disguised Queen
4. Break
5. Undisclosed
6. Pariah
7. Seeing Eye

LINE-UP
David – Vocals
Alberto – Guitar
Óscar – Guitar
Guts – Bass
Adrián – Drums
Axel – Keyboards

SLAMMIN THRU