Exumer – A Mortal in Black

Mitico gruppo del thrash teutonico, tra i top 20 del genere negli Eighties tedeschi, e primo passo in direzione di una carriera che, se è vero che non l’ha mai visti protagonisti assoluti, li ha in ogni caso indiscutibilmente immortalati come gli Slayer di Germania.

Provenienti da Nordenhamm, vicino a Francoforte, gli Exumer sorsero dalle ceneri dei Tartaros.

Nel 1985, la creatura del bassista-cantante Mem Von Stein e del chitarrista Ray Mensch – coadiuvati dal secondo chitarrista Bernie, e dal batterista Syke Bornetto – debuttò, con uno storico demo tape, dal titolo A Mortal in Black: otto brani velocissimi e oscuri, soffocanti e cupi, figli degli Slayer di Show No Mercy ed Hell Awaits, uscito in America proprio in quell’anno, per la Metal Blade. Gli Exumer, con questo nastro, misero subito in bella mostra il loro thrash-black primordiale e chiarirono quale – e di quale valore – fosse allora l’underground nella Germania occidentale, specie nell’ambito speed e thrash metal. La cassetta è stata riedita su CD, nel 2014, insieme a tutta la prima parte del catalogo degli Exumer, dalla benemerita HR Records e non occorre pertanto impazzire per reperirla. I brani, tra l’altro, sono quelli che – ma reincisi – sono andati poi in parte a costituire l’album Possessed by Fire, ancora oggi ritenuto, da tutti, il capolavoro dell’act di Mem Von Stein, da alcuni anni di nuovo in pista, con gli Exumer, come se il tempo non fosse passato. E questo, insieme all’orgoglio, solo la musica può darlo. Riascoltate per l’occasione la title-track, la malinconica Reign of Sadness, i vagiti spaziali (nel senso letterario e lovecraftiano) delle nichiliste Journey to Oblivion e Xiron Darkstar, o le più venomiane (oltre che slayeriane) Silent Death, Fallen Saint e Destructive Solution. Questa è, davvero, Storia. Specialmente per chi ama il thrash tedesco alla Assassin-Tankard-Deathrow-Holy Moses, nonché la scuola nordamericana (Nuclear Assault, Hirax, Exodus, Sacred Reich, Razor), gli Artillery e gli Onslaught.

Tracklist
1- Possessed by Fire
2- Journey to Oblivion
3- Reign of Sadness
4- Xiron Darkstar
5- Fallen Saint
6- Destructive Solution
7- A Mortal in Black
8- Silent Death

Line up
Mem Von Stein – Bass / Vocals
Bernie – Guitars
Syke Bornetto – Drums
Ray Mensch – Guitars

1985 – Autoprodotto

Power From Hell – Blood’n’Spikes

Metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.

Un’altra band molto attiva in patria (Brasile), e che si è costruita una solida reputazione a colpi di black/thrash metal old school, sono i Power From Hell, trio attivo dal 2004 ed arrivato al traguardo del quinto album più una serie di lavori minori che vanno a formare una nutrita discografia.

Sodomic (chitarra e voce), Tormentor (basso) e Death (batteria) raccolgono tutti i demoni sparsi in Sudamerica e li nutrono a sague e black/thrash metal, quello nato negli anni ottanta, rigorosamente ispirato ai Venom, ai Possessed e compagnia di adoratori del diavolo: un metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.
Blood’n’Spikes è un ep formato da sei brani di metallo estremo vecchia scuola: le anime dannate dei gruppi classici del genere sono racchiuse in questi venti minuti di roboante sound fortemente anticristiano e maligno.
Ritmiche thrash, scream profondo e abissale, chitarre black, rallentamenti e ripartenze sono i soliti cliché che la band usa e abusa a suo piacimento, mentre l’odore di zolfo aumenta di brano in brano e sul muro della stanza si forma come d’incanto il malefico ghigno del malvagio caprone.
Nulla che non sia ad esclusiva dei fans del genere, ma una citazione particolare la merita la cover dei Judas Priest Freewheel Burning, suonata in Motorhead style e via verso l’inferno, accompagnati dai Power From Hell.

Tracklist
1.Hell’s Gang Bang
2. Swallowed By Darkness
3. Obscure Creation
4. Altars of the Black Rites
5. Into the Void of Death
6. Freewheel Burning (Judas Priest – Cover)

Line-up
Sodomic – Vocals, Guitars
Tormentor – Bass
Death – Drums

POWER FROM HELL – Facebook

Feed The Rhino – The Silence

Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità.

Album di metal moderno e radiofonico, melodia, entusiasmo e molto mestiere.

I Feed The Rhino vengono dalla città inglese di Kent e si sono formati nel 2008, e hanno alle spalle tre album. Questi ragazzi hanno un grande seguito, sopratutto fra i giovani ascoltatori di musica veloce. Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità. Attento alla loro immagine come al loro suono, la band concentra nella sua musica ascolti che sono molto variegati e soprattutto risalenti agli anni novanta e duemila, infatti si possono sentire diverse influenze, come quella del grunge o del metal, con i Deftones molto presenti. Il disco si sviluppa bene, le canzoni si assomigliano un po’ fra loro, ma la scrittura è buona e non si cercano soluzioni ovvie, andando alla ricerca di un suono che vada oltre i cliché moderni. I Feed The Rhino sono un gruppo di metal moderno che non si ferma ad un facile successo, ma prova a produrre una formula personale. I loro concerti sono molto seguiti perché questi ragazzi riescono a trasferire la loro potenza ed energia sul palco. Ascoltando tutto il disco si può avere qualche sorpresa, come qualche citazione sonora di altri gruppi inglesi, forse volontaria forse no, come gli Earthtone 9, una delle band più clamorose mai uscite dalla terra di Albione. Per i Feed The Rhino si potrebbe fare lo stesso discorso che vale per la Premier League, il campionato inglese di calcio, ovvero che se si prende per buono l’assunto che il calcio come la musica debba essere intrattenimento e spettacolo, allora prendiamo la Premier e i Feed The Rhino, perché c’è qualità ed un buon livello. Per altro rivolgersi altrove.

Tracklist
01. Timewave Zero
02. Heedless
03. Losing Ground
04. 68
05. All Work And No Play Makes Jack A Dull Boy
06. Yellow And Green
07. Nerve Of A Sinister Killer
08. Fences
09. The Silence
10. Lost In Proximity
11. Featherweight

Line-up
James Colley : guitars
Chris Kybert : drums
Oz Craggs : bass
Sam Colley : guitars
Lee Tobin : vocals

FEED THE RHINO – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=8dT-YnBV4nUù

Ghost Rider – Rehearsal ’84

Le origini dei Necrodeath: un black contaminato con il thrash e le melodie del metal classico. Un demo da leggenda.

Prima di ridenominarsi Necrodeath e di scrivere pagine storiche del metal italiano, non solamente in ambito estremo, c’erano i Ghost Rider, attivi tra Rapallo e Recco.

Nel 1984 incisero un nastro, che è davvero riduttivo definire storico: quel demo tape è in assoluto la prima registrazione di black metal in Italia e fa veramente data nelle cronache dell’heavy, non soltanto nostrano. Il gruppo di Peso era agli inizi, ma le idee erano già molto chiare: attingere alla velocità oscura dei Venom, incarnando un black (soprattutto a livello lirico e iconografico) che flirtava con certe strutture del neonato thrash – la stessa cosa accadde tre anni dopo ai Mayhem di Deathcrush – e del metal più classico. Insomma, una cassetta per ogni adoratore di Bulldozer, Hellhammer, Bathory, primi Slayer e Samhain. Cinque canzoni in tutto, dark quanto basta per scolpire il nome dei Ghost Rider nell’empireo degli iniziatori e dei precursori. La FOAD di Genova, nel 2011, ha pubblicato una nuova versione su compact, del tutto risuonata, remixata e rimasterizzata per l’occasione, nonché (appositamente) reintitolata The Return of the Ghost.

Track list
– The Exorcist
– Curse of Valle Christi
– The Return of the Ghost
– Perkele666
– Victim of Necromancy
– Ride For Your Life
– Doomed to Serve the Devil
– Black Archangel
– Hell Is the Place
– Power From Hell (Onslaught cover)
– Deep in Blood

Line up
Zarathos – Guitars
Helvete – Bass / Vocals
Mark Peso – Drums

1984 – Autoprodotto

Volition – Visions of the Onslaught

Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Metal estremo dai rimandi old school, velenoso e crudele quel tanto che basta per passare con disinvoltura dal thrash metal al death/black.

Loro sono i Volition band statunitense proveniente da Tulsa (Oklahoma) e Visions of the Onslaught è il loro debutto sulla lunga distanza, successore di un ep licenziato un paio di anni fa.
Un thrash contaminato dal mood estremo e devastante dei generi sopracitati crea un’atmosfera di belligeranza e di massacro sonoro vecchia scuola: i Volition risultano il classico gruppo dal sound che si riassume nel detto palla lunga e pedalare con un metal che, ingranata la quinta, mantiene veloce l’andatura per tutta la durata non risparmiando qualche mid tempo incastrato nella furia iconoclasta di brani come l’opener Annihilation, la mastodontica Crypts Of Flesh e la veemente Theories Of Punishment.
Le influenze sono tutte riscontrabili nei pionieri del metal estremo degli anni ottanta tra il thrash e le prime avvisaglie death/black, quindi riconducibili ai soliti Venom, Slayer, Sodom e Kreator.
Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Tracklist
1.Morbid Devastation
2.Theories of Punishment
3.Enforce with Violence
4.Injection Vendetta
5.Annihilation
6.Vengeful Satisfaction
7.Justified Mortality
8.Crypts of Flesh
9.Volition

Line-up
Cody Creitz – Drums
Christian Potter – Guitars, Vocals
Gabe Henry – Guitars
Treston Lamb – Bass

VOLITION – Facebook

Deliverance – The Subversive Kind

La Roxx Records questa volta non ci delizia con chicche perse negli annali dell’underground metallico, ma rimanendo in ambito cristiano ed old school ci presenta l’ultimo album dei Deliverance, band storica del sottobosco di Los Angeles.

La Roxx Records questa volta non ci delizia con chicche perse negli annali dell’underground metallico, ma rimanendo in ambito cristiano ed old school ci presenta l’ultimo album dei Deliverance, band storica del sottobosco di Los Angeles.

Attivi infatti dalla metà degli anni ottanta, i californiani arrivano quest’anno all’undicesimo lavoro sulla lunga distanza di una discografia importante numericamente parlando, che si completa con un buon numero di opere minori, tutte devote ad un thrash metal potenziato da energiche iniezioni speed (specialmente nei primi album), qualche reminiscenza industrial per una proposta estrema vecchia scuola.
Le tematiche cristiane non intaccano l’impatto del sound del chitarrista e cantante Jimmy P. Brown II e compagni, ruvidi e rocciosi anche in The Subversive Kind.
A livello di grinta la band non ha nulla da invidiare ai colleghi più giovani, la mezzora a disposizione è sfruttata al meglio, innalzando un muro sonoro violento e senza compromessi.
Slayer e Sanctuary si danno battaglia nel sound del gruppo, ovviamente con un’esperienza ed una personalità che lo porta a suonare thrash metal senza compromessi, ma pur sempre targato Deliverance.
L’album ha nel suo cuore i migliori momenti dettati da due brani fenomenali come The Black Hand, dal refrain che ricorda i primi Nevermore del compianto Warrel Dane, e la devastante Epilogue.
Lo storico singer dà ancora filo da torcere a molti dei suoi giovani colleghi, la band in toto gira a mille e The Subversive Kind risulta un buon lavoro indirizzati sostanzialmente a tutti gli appassionati di thrash.

Tracklist
1.Bring ‘Em Down
2.Concept of the Other
3.Center of It All
4.The Black Hand
5.Epilogue
6.Listen Closely
7.The Subversive Kind
8.The Fold

Line-up
Jimmy P. Brown II – Vocals, Guitars
Glenn Rogers – Guitars
Jim Chaffin – Drums
Victor Macias – Bass

DELIVERANCE – Facebook

Insaniam – Ominous Era

I cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.

Leggenda vuole che qualche tempo fa, in un istituto psichiatrico, cinque individui ospiti della struttura furono rinchiusi per diverso tempo lontano da qualsiasi contatto con l’esterno: questo esperimento su menti già di per sé instabili portò ad un fenomeno patologico chiamato Insaniam.

Ora queste mostruose creature provenienti dalla Spagna sono libere di circolare e sfogare tutta la loro depravata pazzia usando il monicker dell’esperimento che li ha trasformati in macchine di tortura e depravazione, ed i risultati sono stati il primo ep licenziato tre anni fa (Neurotic Mental Storm) e, soprattutto, questo debutto sulla lunga distanza, intitolato Ominous Era, composto da undici brani dal sound strutturato su un black metal a tratti melodico, dalle ritmiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash moderno e caratterizzato da digressioni progressive.
Detto così sembrerebbe di essere al cospetto di un debutto sopra le righe, ed in parte il giudizio si avvicina a questa affermazione, non fosse per una prolissità che porta inevitabilmente a perdere l’attenzione necessaria per arrivare in fondo all’ascolto.
E’ pur vero che i cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti, un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.
Ominous Era è un susseguirsi di cambi di tempo, sferzate black e ripartenze modern thrash da infarto, con lo scream pazzoide che tortura i padiglioni auricolari, vocine alterate provenienti da menti devastate dalla malattia ed atmosfere che inducono ad immaginare la cruenta vita di una casa degli orrori.
La band riserva il meglio alla partenza, con due brani di devastante pazzia come l’opener Disequilibrium e Let The Fever Explode, poi ci si assesta sui canoni descritti fino al capolavoro black/thrash metal Mother Whispers In My Ear.
Come detto, la fatica in seguito si fa sentire e si arriva agli attimi conclusivi di NNN, dalle atmosfere horror, con un leggero fiatone anche se in generale il giudizio sull’album rimane assolutamente positivo.
Consigliato ai fans del black metal più moderno e dalle melodie progressive, Ominus Era risulta un’ottima partenza per il gruppo spagnolo, speriamo solo che non vengano catturati e rinchiusi un’altra volta.

Tracklist
1.Disequilibrium
2.Let the Fever Explode
3.Epidemic Race
4.Primal Fear
5.Chrysalis
6.The Reign of Mist
7.Mother Whispers In My Ear
8.Vermin
9.Moths
10.Flesh That Fuels
11.NNN

Line-up
Neuros – Vocals
Dementh – Guitars
Theryan – Drums
Anxxiet – Guitars
Psycho – Bass

INSANIAM – Facebook

Demonomancy – Poisoned Atonement

Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.

Tornano ad infierire sulle proprie vittime, a suon di black/death/thrash, metal i Demonomancy, band attiva da una decina d’anni, con una manciata di lavori minori alle spalle ed un full length datato 2013 (Throne of Demonic Proselytism).

Tanti concerti in giro per l’Europa ed il cambio di label, con il passaggio dalla Nuclear War Now! Productions alla Invictus Productions, sono le novità che si porta dietro questa nuova uscita discografica, maligna ed estrema.
Intro – Revelation 21.8 ci accompagna fino alla soglia dell’inferno, prima che uno spintone ci faccia cadere per l’eternità nell’abisso luciferino della musica del combo capitolino, Poisoned Atonement non fa sconti ci investe con tutta la sua macabra follia, tra scudisciate black/thrash metal e mid tempo death, sorrette da growl bestiali, clean vocals declamatorie ed atmosfere di liturgica blasfemia in un vortice infernale.
Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.
Il sound viaggia spedito, tra thrash metal old school e death/black truce, alternando efficacemente la varie fonti di ispirazione.
L’atmosfera nera e blasfema che aleggia su Poisoned Atonement è delle più coinvolgenti mi sia capitato di ascoltare ultimamente e brani come Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator), The Day Of The Lord o The Last Hymn to Eschaton confermano come la band punti tanto sull’impatto quanto sulle atmosfere.
Nel suo genere l’album è un lavoro riuscito, composto da una serie di tracce che attraggono ed affascinano pur rimanendo assolutamente estreme.

Tracklist
1.Intro – Revelation 21.8
2.Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator)
3.Archaic Remnants of the Numinous
4.The Day of the Lord
5.Poisoned Atonement (Purged in Molten Gold)
6.The Last Hymn to Eschaton
7.Fathomless Region of Total Eclipse
8.Nefarious Spawn of Methodical Chaos

Line-up
Witches Whipping – Vocals, Guitars
A. Cutthroat – Bass
Herald of the Outer Realm – Drums, Vocals

DEMONOMANCY – Facebook

Osiris – Futurity and Human Depressions

Il migliore gruppo olandese di thrash, tra gli anni Ottanta e i primissimi Novanta, tra i pochi in vero del genere nella terra dei tulipani, di certo più nota per la scena death (Pestilence, Asphyx e Sinister).

L’Olanda non è mai stato un paese che ha dato tantissimo alla causa del rock: le punte dell’iceberg, si sa, sono state il new prog melodico tra la fine degli anni Ottanta ed i primi Novanta (Ywis, Egdon Heath, Cirkel, Last Detail, Timelock) ed il classico hard & heavy melodico (Vandenberg, nonché i Vengeance, da cui sono derivati in seguito gli space metal progsters Ayreon).

Un gruppo davvero di culto sono rimasti poi gli Osiris, autori di uno strabiliante techno-thrash progressivo, sulla scia degli statunitensi Watchtower e dei tedeschi Sieges Even, non lontano da suggestioni oscure, mutuate dai primi Judas Priest o dai Merciful Fate, ma altresì sensibili alla Bay Area meno oltranzista (si legga Laaz Rockit). Il quintetto olandese si costituì tra il 1985 e il 1987 e solo nel 1991, per la Shark, vide la luce il primo (ed unico) disco degli Osiris, dal suggestivo titolo Futurity and Human Depressions (che, al pari di titoli e testi, si segnala positivamente, per la distanza dai clichés, allora imperanti in ambito estremo): superbe ed intricate architetture sonore, spiraliformi, degne dei Voivod e dei Fates Warning di No Exit o Perfect Simmetry. L’album è stato di recente ristampato dalla Divebomb, che è nota agli appassionati anche per altre riedizioni laser di pregio (tra queste, i tedeschi Skeptic Sense e i britannici Arbitrater). Agli otto splendidi pezzi dell’originale, in un secondo CD, ne sono stati poi aggiunti altri nove, sostanzialmente le versioni demo degli stessi, versioni apparse all’inizio soltanto su cassetta (Inextricable Reversal, 1989, ed Equivocal Quiescence, 1991), e con tre ottime canzoni rimaste all’epoca inedite: False Insinuation, Agony and Hate e la conclusiva Christopher. Per chi se li è persi allora (e sono-siamo tanti), un’occasione imperdibile per rimediare e dare il giusto tributo a un validissimo gruppo, che ebbe il solo ‘torto’ di uscire nell’infausto (per la scena) anno 1991.

Track list
1- Futurity
2- Something To Think About
3- Mass Termination
4- Inextricable
5- Out of Inspiration
6- Inner Recession
7- Fallacy (The Asylum)
8- Frozen Memory

Line up
Maurice – Guitars
Geert – Guitars
Marc – Drums
René – Bass
Bram – Vocals

2015 (prima stampa 1991) – Divebomb Records

Perpetratör – Altered Beast

I Perpetratör non hanno perso la voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da notevoli momenti belligeranti.

Thrash metal feroce ed old school, un devastante e quanto mai distruttivo esempio sonorità anni ottanta portate con orgoglio nel nuovo millennio sotto il monicker di Perpetratör.

Il trio proveniente da Lisbona licenzia il suo secondo full length sotto Caverna Abismal Records, dopo il debutto Thermonuclear Epiphany e lo split con gli Hellbastard, usciti entrambi nel 2014.
Quattro anni sono passati prima che la bestia torni in libertà e ci dia la caccia, facendo scempio di ogni cosa incroci il suo cammino.
Rick (voce, basso), Paulão e Marouco (chitarre), con l’aiuto di Ângelo Sexo (ospite alle pelli) non hanno perso la loro voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da momenti belligeranti notevoli.
Parte in quarta e non si ferma più questo lavoro, il sound di queste undici bombe sonore risulta un armageddon sonoro dall’impatto mastodontico, con brani dai tratti old school come l’opener Alter Of The Skull, Lethal Manhunt o l’inno Hellthrasher che fanno tremare i muri mentre la carica dei Perpetratör non si ferma e travolge tutto.
Siamo dalle parti dei Destruction con qualche sguardo torvo verso i primi Exodus, quindi ovviamente Altered Beast è consigliato agli amanti del caro, vecchio thrash metal, che troveranno sicuramente pane per i loro denti, gli altri meglio che scappino via prima che la bestia li travolga.

Tracklist
1.Altar of the Skull
2.Extreme Barbarity
3.The Doors of Perception
4.Fires of Sacrifice
5.Lethal Manhunt
6.A Fleeting Passage Through Hell
7.Terminal Possession
8.Jungle War
9.Let Sleeping Dogs Lie
10.Hellthrasher
11.Black Sacristy

Line-up
Rick – Vocals, Bass
Paulão – Guitars
Marouco – Guitars
Ângelo Sexo – Drums (session musician)

PERPETRATOR – Facebook

Aftermath – Words That Echo Fear

Se oggi abbiamo gli immensi Vektor, è anche perché in passato vi è stato chi, come gli Aftermath, ha seminato in fertile maniera i campi elisi del techno-thrash progressivo. Da riscoprire.

Nel 1985, a Chicago, nell’Illinois, si costituirono gli Aftermath. Dopo due nastri amatoriali (1986-87) ed un acerbo split (1988), i cinque americani si fecero notare con il loro terzo demo, dal titolo – bellissimo e poetico, davvero – Words That Echo Fear, messo in circolazione nel 1989: solamente quattro tracce, ma di spessore assoluto, intricate e melodiche, tecniche e progressive.

I modelli del thrash filosofico ed intellettuale degli Aftermath erano, senz’altro, i Coroner di fine anni Ottanta, gli Anacrusis, i Blind Illusion, Voivod di Dimension Hatross, i maestri Watchtower e i grandi alfieri del techno-death più colto ed evoluto, raffinato e sperimentale (Atheist naturalmente, ma anche i troppo poco celebrati Believer). I pezzi, splendidi ed articolati, brillano ancora oggi, di luce purissima. Chi li volesse ascoltare ed apprezzare – ne vale la pena, seriamente – può recuperare la ristampa che la Shadow Kingdom (di solito specializzata in doom) ha fatto nel 2015 dell’unico full-length realizzato dagli Aftermath, il fantastico e futuristico Eyes of Tomorrow, uscito in origine nel 1994: infatti, nella riedizione laser, oltre all’album è presente Words That Echo Fear e un altro demo (omonimo) uscito con quattro composizioni, nel 1996, poco prima che il gruppo cambiasse il proprio nome in Mother God Moviestar. Una perla nascosta.

Track list
– Words That Echo Fear
– A Temptation to Overthrow
– Being
– Experience

Line up
Charlie Tsiolis – Vocals
Ray Schmidt – Drums
Dan Vega – Bass
John Lovette – Guitars
Steve Sacco – Guitars

1989 – Autoprodotto

Crisix – Against The Odds

Per i fans del thrash metal l’album può rivelarsi una sorpresa: i Crisix ovviamente non inventano nulla, il genere è uno dei più conservatori del panorama metallico e questi catalani assecondano la tradizione nel migliore dei modi.

Passeggiamo sulle ramblas di Barcellona con l’ultimo album dei Crisix, quintetto attivo dal 2011 e con tre full length alle spalle prima di Against The Odds, giunto a distruggere i nostri poveri padiglioni auricolari.

Un thrash metal tra tradizione e soluzioni moderne, da ricercare specialmente nel lavoro in fase di produzione, fa di Against The Odds un calcio estremo in pieno volto, con anfibi ai pedi e chiodo d’ordinanza portato con fierezza dal gruppo catalano.
Furia e velocità sono le principali caratteristiche del sound che i Crisix hanno fatto loro, i rallentamenti sono lasciati a poche secondi di qualche intro che lascia spazio alla potenza notevole sprigionata dal gruppo.
Il muro sonoro heavy/thrash lascia molto spazio alle ritmiche e scarica tutta la rabbia del mondo accumulata nella voce cartavetrata di Julián Baz, singer tripallico, anche lui ex Crysys, band da cui provengono i quattro quinti dei musicisti e che può essere considerata come la prima incarnazione del gruppo.
Per i fans del thrash metal l’album può rivelarsi una sorpresa: i Crisix ovviamente non inventano nulla, il genere è uno dei più conservatori del panorama metallico e questi catalani assecondano la tradizione nel migliore dei modi con vere scariche di adrenalina come Technophiliac, Perseverance e il thrash/hardcore di Cut The Shit.

Tracklist
1.Get Out Of My Head
2.Leech Breeder
3.Technophiliac
4.Perseverance
5.Xenomorph Blood
6.Prince Of Saiyans
7.Leave Your God Behind
8.Cut The Shit
9.The North Remembers

Line-up
Javi Carrión – Drums
Marc Busqué “Busi” – Guitars
Albert Requena – Guitars
Julián Baz – Vocals
Dani Ramis – Bass

CRISIX – Facebook

Abomination – Demo 1988

Autentica storia underground. Per chi ama Deceased, Incubus, Slaughter, Massacre, Krabathor, One Machine, Iced Earth e Cripple Bastrads.

Statunitensi di Chicago, Illinois, nati nel 1987, gli Abomination debuttarono su cassetta con il demo tape eponimo del 1988: sei pezzi veloci ed oscuri, non senza tenui echi doom, tra i primi che, verso la fine degli anni Ottanta, cominciarono a traghettare la tradizione del thrash americano verso i lidi del death metal, insieme ai Devastation e agli amici Master (con i quali gli Abomination, sovente, si scambiavano i musicisti).

Il demo del 1988, insieme a quello del 1989, è stato ristampato su cd dalla Doomentia (che ha rieditato anche i due classici degli stessi Master) ed oggi è dunque di facilissima reperibilità. In queste due cassette è racchiuso un verbo che gli Abomination hanno poi messo su LP con l’esordio omonimo del 1990, un capolavoro che tutti conosciamo. Si tratta di un gruppo grande e storicamente assai importante, non dissimile poi dai Dream Death e dagli Impulse Manslaughter, anche se questi ultimi erano, rispettivamente, più orientati verso il thrash-doom i primi e l’hardcore-crossover i secondi. Tutti, comunque, grandi lavori. Da avere.

Track list
– Victim of the Future
– Social Outcast
– Rape of the Grave
– Possession
– Doomed By the Living
– The Truth

Line up
Paul Speckmann – Bass, Vocals
Aaron Nickeas – Drums
Mike Schaffer – Guitars

1988 – Autoproduzione

Amraam – Taken

Aspettando ulteriori sviluppi godetevi questo ep, l’attitudine e l’impatto al gruppo non mancano di certo.

Fondati nel 2011 in un garage della capitale e muovendo i primi passi tra continui cambi di formazione e cover dei Metallica, i Not Ready Yet, dopo un primo ep, decidono di cambiare monicker nell’attuale Amraam.

Tra palchi messi a ferro e fuoco nei locali di Roma ed ancora qualche assestamento in formazione, la band arriva allo scorso anno ed alla firma con la Hellbones Records, che licenzia questo ep di quattro tracce più un brano live intitolato Taken.
Il gruppo capitolino è legato al thrash metal made in Bay Area, come si evince all’ascolto della title track posta in apertura, personalizzato e potenziato da dosi massicce di groove metal, variando ed assemblando tradizione e impulsi moderni.
Taken è aperto dalla voce di Liam Neeson nel film che dà il titolo all’album (da noi uscì come Io Vi Troverò) e la musica del gruppo segue l’urgenza del protagonista nel ritrovare la propria figlia e la voglia di vendetta che si trasforma in un massacro.
Gli Amraam creano così un sound fatto di sventagliate metalliche, alle quali si sostituiscono a tratti bordate sotto forma di mid tempo, facendo sì che il sound non ristagni muovendosi libero nel genere.
Rise ne è l’esempio lampante, devastante e mastodontica traccia che alterna velocità e potenza, così come Escape Or Die e The Groove, brani che si muovono tra Pantera, primi Machine Head e Metallica.
Il brano live che chiude l’ep (Sic Semper Tyrannis) lascia intravedere un’anima death metal che rende ancora più violento ed estremo il sound degli Amraam.
Aspettando ulteriori sviluppi godetevi questo ep, l’attitudine e l’impatto al gruppo non mancano di certo.

Tracklist
1.Taken
2.Rise
3.Escape Or Die
4.The Groove
5.Sic Semper Tyrannis (Live)

Line-up
Fabio – Guitar & Vocals
Sandro – Guitar
Luca “Pèrt” – Bass & Back Vocals
Daniele – Drums

AMRAAM – Facebook

Tra Mozart e Lovecraft: le molte vite artistiche dei Mekong Delta

Questo straordinario gruppo, soprattutto ad inizio carriera, ha sempre saputo creare, attorno a sé, un alone di mistero, specie circa le sue origini e la sua prima formazione.

Il nome, Mekong Delta, è da riferirsi alla foce di un fiume del Vietnam, mentre l’intero progetto venne organizzato dalla mente, a dir poco geniale, di Ralph Hubert, ingegnere del suono di Living Death, Warlock e Steeler, nonché proprietario e factotum dell’etichetta discografica Aaarrg dal 1985.
I primi demo tapes dei Mekong Delta furono incisi da una line-up composta dal cantante Wolfgang Borgmann, dalle due asce dei Living Death (Reiner Kelch e Frank Fricke), da Hubert al basso (sotto lo pseudonimo di Bjorn Eklund) e da Jorg Michael, in quel momento già batterista di Avenger, Rage e Paganini (e in seguito con Tom Angelripper, Axel Rudi Pell, Headhunter, Schwarzarbeit, Running Wild, Grave Digger, Stratovarius e Saxon, tra i molti altri). Con questa formazione, i Mekong Delta realizzarono nel 1987 il loro primo album omonimo, contenente un thrash metal durissimo e vicino alla scuola newyorkese degli Anthrax.

Nel 1988 apparve il capolavoro del gruppo, il concept album The Music of Erich Zann, prodotto dal medesimo Hubert, bissato dal mini Toccata, sul finire dell’anno. Con questi due lavori, in pratica, i Mekong Delta si posero come gli ELP del thrash. I testi e la copertina si ispirano alla fantascienza horror dell’omonimo racconto lovecraftiano ed offrono qualcosa di diverso ai tanti thrashers europei di fine anni Ottanta. In ambito techno-thrash, del resto, i precedenti erano pochissimi, solo Release From Agony dei connazionali Destruction e Killing Technology dei Voivod, oltre ai Watchtower. In anticipo pertanto su Coroner, Megadeth, Annihilator, Deathrow e Despair, i Mekong Delta mettono in mostra un approccio di tipo orchestrale, che necessita di ascolti ripetuti, per essere capito. Tempi dispari, riff imprevedibili, controtempi e cambi improvvisi di tempo abbondano. L’energia dei MD è inesauribile: si ascoltino Age of Agony, Confession of Madness, Prophecy e Memories of Tomorrow, oppure il thrash sinfonico dello strumentale Interludium (una versione riarrangiata della musica che Bernard Hermann scrisse per Psycho di Hitchcock, tratto dal noto romanzo di Robert Bloch, amico e discepolo di Lovecraft). Per dirla altrimenti, The Music of Erich Zann dimostra quanto la band di Ralph Hubert fosse “avanti” nella concezione musicale, sperimentale come negli Eighties sono stati in fondo pochi (vengono giusto in mente, per stare in territori metal, Celtic Frost e Prong).
La band tedesca si conferma con il terzo disco, The Principle of Doubt (1989), apparso per la Major Records, label sorta dalla fusione tra la Aaarrg e la Atom H degli Accuser. Intanto, Mark Kaye, alla chitarra, ha preso il posto di Kelch. Per il lavoro di scrittura, registrazione e produzione del quarto lavoro, Dances of Death (1990, di nuovo per la sola Aaarg) i Mekong Delta si chiudono in studio e per un anno intero: il segno del modo di lavorare di Ralph Hubert, certosino e maniacale, attento ai dettagli ed alle sfumature anche più minute. Il Robert Fripp del metal, verrebbe da dire, anche se il techno-thrash mutante e progressivo dei Mekong Delta è maggiormente debitore verso il fantasioso gusto emersoniano del virtuosismo, mai fine a se stesso e spesso giostrato sulle scale minori.

Nel 1991, mentre il thrash canonico si avvia ad entrare in crisi, i Mekong Delta celebrano, alla loro maniera, i vent’anni di Pictures at an Exhibition di ELP – lo storico e personale omaggio, in chiave pomp rock, reso dal celeberrimo trio inglese a Mussorgsky, nel 1971 – con il concerto di Live at an Exhibition. E’ la spia del fatto che ormai la creatura partorita dalla mente di Ralph Hubert intende da par suo guardare oltre, non solo i confini del thrash tradizionale, ma altresì quelli dello stesso metal, per abbeverarsi, sorretta del resto da doti tecniche e di scrittura impressionanti, alla scuola del prog anglo-britannico e della stessa musica classica, che lo aveva ispirato, in moltissimi casi. Escono così dischi coraggiosi e sperimentali, innovativi ed avventurosi, originali e creativi, come Kaleidoscope (1992) e soprattutto Vision Fugitives (1994), forse l’apice del gruppo: un post-thrash ipertecnico con archi, di ispirazione settecentesca e segnatamente mozartiana. Un lavoro realmente incredibile, a cui peraltro manca, oramai, un pubblico in grado di apprezzare e davvero le complesse quanto intricate stratificazioni armonico-melodiche dei Mekong Delta e le loro ricerche ritmiche sulle strutture degli accordi. Forse, il gruppo si è paradossalmente spinto troppo oltre e inevitabile arriva un temporaneo scioglimento.
Nella seconda metà degli anni Duemila, Hubert ha infine rimesso in piedi i MD ed ancora una volta ne sono venuti quattro dischi strepitosi: Lurking Fear (2007), Wanderer on the Edge of Time (2010), Intersections (2012) e In a Mirror Darkly (2014), forse meno orientati al techno-thrash degli esordi e più in linea con un comunque strabiliante ed eclettico metal prog neo-classico. Musica che rimane aristocratica e d’élite, esoterica (nel senso etimologico del termine), e quindi per pochi iniziati e non per tutti: di certo superbi esperimenti di metal sinfonico, da riscoprire.

Ministry – AmeriKKKant

Al ha prodotto un disco più che buono, e come sempre ha saputo incanalare la sua rabbia in un suono acido e debordante, che si insinua sotto pelle come un malware in un compute, e come un trojan si sedimenta piano piano attraverso il suo svolgimento, per poi arrivare alla conquista dell’ospitante.

Torna uno dei nostri preferiti assassini seriali della musica moderna, Al Jourgensen e la sua creatura preferita, i Ministry.

La situazione americana è molto peggiorata negli ultimi anni, si punta il dito contro Donald Trump che è davvero uno schifo, ma i Ministry è dal lontano 1981 che sezionano a fondo il sogno americano, facendoci vedere le sue puzzolenti pustole, che dallo schermo tv sembrano seni turgidi e rigogliosi. Al è un personaggio fondamentale per la musica alternativa americana e mondiale. Fin dagli inizi con altri soci nella sua Chicago, Al ha portato avanti una sperimentazione che fondeva diversi stili e che si può definire industrial ma in realtà c’è molto di più, come si può ascoltare in questo disco. AmeriKKKant è una cronaca alla sua maniera, di ciò che sta accadendo in America e nel mondo intero, questo impetuoso vento di estrema destra che altro non è che una sublimazione della paura e del trionfo del nuovo ordine mondiale. Questa situazione i Ministry l’avevano già prevista in molti dei loro lavori come in Killing Joke, e la ribellione è il motore primo del loro lavoro, l’essenza stessa del gruppo. Musicalmente AmeriKKKant è un disco inteso come narrazione, dove un filo logico lega le varie situazioni e i vari suoni. Il tutto si srotola come fotogrammi di un film che è una nemmeno tanto lenta discesa agli inferi, e l’inizio ha una data:  11/09/2001. Da quel giorno la terra del coraggioso è andata disgregandosi ancora di più e questo disco tira le somme del momento, ci fa sentire quanto è oscura questa notte. Il classico suono dei Ministry è la colonna portante del disco, che è composto da canzoni di lunga durata e da intermezzi narrativi molto interessanti. Le canzoni sono molto lunghe e sono quasi storie indipendenti che vivono di durezza e distorsioni. Non ci si discosta molto dalla cifra generale dei lavori dei Ministry, forse in questa occasione i suoni si contaminano di più e vi è una maggiore presenza di scratch oltre ai consueti innesti di discorsi e di narrazioni. Inizialmente non era piccolo il timore che fosse un episodio stanco e trascinato della discografia di un gruppo che ha fatto cose egregie: questo pregiudizio viene abbattuto fin dal primo ascolto del disco, che ci fa capire che pur non essendo davanti ad un altro Filthy Pig, e non se ne aveva nemmeno la pretesa, Al ha prodotto un disco più che buono, e come sempre ha saputo incanalare la sua rabbia in un suono acido e debordante, che si insinua sotto pelle come un malware in un computer e come un trojan si sedimenta piano piano attraverso il suo svolgimento, per poi arrivare alla conquista dell’ospitante. Questo è il primo lavoro dopo l’improvvisa morte del chitarrista dei Ministry Mike Sciaccia, dato che si sono verificate le condizioni ottimali per il suo ritorno. Il tutto funziona, ed è un film, uno di quelli che solo lui sa girare, fatto di rabbia e veemenza, stile originale e cronaca acida. AmeriKKKant è un lavoro che deve certamente molto alla situazione attuale, forse se le cose non andassero male non ci sarebbero i Ministry, ma tranquilli, le cose possono solo peggiorare.

Tracklist
1. I Know Words
2. Twilight Zone
3. Victims Of A Clown
4. TV5/4Chan
5. We’re Tired Of It
6. Wargasm
7. Antifa
8. Game Over
9. AmeriKKKa

Line-up
Al Jourgensen – guitars, vox
John Bechdel – keyboards
Sin Quirin – guitars
Tony Campos – bass
Cesar Soto – guitars
Derek Abrams – drums
DJ Swamp – turntables

MINISTRY – Facebook

Crucifyre – Post Vulcanic Black

La band si muove a meraviglia tra sfuriate slayerane, devastanti ripartenze thrash/black e mid tempo metallici dai rimandi sabbathiani.

La title track di questo bellissimo nuovo album degli svedesi Crucifyre ci dà il benvenuto come meglio non si sarebbe potuto tra le note di Post Vulcanic Black, terzo full length del quartetto attivo in quel di Stoccolma dal 2006.

Non molto ricca, ma sicuramente di qualità, la discografia di questo satanico gruppo, fatta di un terzetto di lavori minori che fungono da corollario per lavori sulla lunga distanza che trovano in Post Vulcanic Black il picco qualitativo.
L’album si apre come detto con i sei minuti della title track, un mid tempo dai tratti heavy, molto atmosferica e dai solos armonici in un crescendo di tensione culminante nella seguente Thrashing With Violence che, come suggerisce il titolo, risulta un brano di ruvido thrash metal old school.
Si torna all’heavy metal con la splendida Mother’s Superior Eyes, mentre le sfumature black di War Chylde tornano a rivestire di estremo il sound del gruppo.
I nuovi arrivati (Karl Buhre alla voce e Cristian Canales al basso) risultano perfettamente a loro agio, inseriti in un contesto collaudatissimo capitanato dal batterista Yasin Hillborg (ex Afflicted), e la band gira come un orologio tra sfuriate slayerane (Murder And Sex And Sel-Destruction), devastanti ripartenze thrash/black (Död Människa?) e mid tempo metallici dai rimandi sabbathiani (Copenhagen In The Seventies, altro brano da applausi insieme alla title track).
Non resta quindi che cercare la vostra copia di Post Vulcanic Black, mentre la conclusiva Serpentagram , oltre a richiamare un noto gruppo doom nel titolo, vi accompagna lentamente verso la fine del viaggio nel mondo di questa ottima band estrema.

Tracklist
1. Post Vulcanic Black
2. Thrashing With Violence
3. Mother’s Superior Eyes
4. War Chylde
5. Hyper Moralist (Deemed Antichrist)
5. 200 Divisions
6. Död Människa?
7. Murder And Sex And Self-Destruction
8. Copenhagen In The Seventies
9. Serpentagram

Line-up
Karl Buhre – Vocals
Patrick Nilsson – Lead Guitar
Alex Linder – Lead Guitar
Christian Canales – Bass
Yasin Hillborg – Drums

CRUCIFYRE – Facebook

Morbid Saint – Destruction System

Un ottimo gruppo statunitense, poco conosciuto dai più, che seppe traghettare il thrash verso i lidi del death metal floridiano.

I Morbid Saint – originari di Sheboygan, Wisconsin, e poi trasferitisi a Chicago – si formarono nel 1982 sotto le insegne del nascente US Metal.

L’avvento del thrash californiano cambiò loro la vita e il debutto del 1990, intitolato Spectrum of Death, fu folgorante. L’anno successivo, si sa, Nevermind dei Nirvana e l’omonimo dei ‘Tallica mandarono in crisi il thrash più tradizionale e i Morbid Saint si trovarono costretti a registrare solo su cassetta, in versione demo, il loro secondo disco, Destruction System, pubblicato su compact, insieme all’esordio, soltanto nel 2015 dalla Keltic, con distribuzione Century Media: otto tracce durissime e cattivissime, tra Slayer, primi Kreator, Sepultura, Possessed, Dark Angel e Sadus. Non mancavano contaminazioni con il black metal (primissimi Sodom, nonché Infernal Majesty) e nello specifico con il death di Malevolent Creation, Vader e Merciless (ormai la nuova frontiera dell’estremo in musica all’alba dei Novanta). Destruction System è dunque, oltre che una attestazione di indelebile coerenza ed integrità artistica, anche una significativa e preziosissima testimonianza storica circa l’evoluzione parallela ed intrecciata di thrash e death al principio dei ’90: un prodotto quindi assolutamente da avere.

Tracklist
– Darkness Unseen
– Death of Sanity
– Final Exit
– Destruction System
– Disciples of Discipline
– Halls of Terror
– Living Misery
– Sign of the Times

Line up
Pat Lind – Vocals
Jay Visser – Guitars
Jim Fergades – Guitars
Lee Raynolds – Drums
Gary Beimel – Bass

1991 – Autoprodotto

Kobaloi – For Nothing We Follow

Thrash metal e groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore.

Thrash metal e Groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore, composto da un sound personale e che, nella sua violenta ispirazione risulta suonato a meraviglia, tanto che non è così difficile scorgere riferimenti all’heavy metal classico.

La band nasce nel nord Minnesota quattro anni fa e prima di questo debutto sulla lunga distanza ha rilasciato un ep, Crossing Akheron nel 2015.
For Nothing We Follow è un lavoro atipico se si considerano i canoni odierni del genere: spogliato dei classici mid tempo del groove metal, appare quale un devastante macigno thrash dove il gran lavoro ritmico passa da martellate groove a sorprendenti passaggi tecnici di scuola Iron Maiden.
Poi, come d’incanto, una furia hardcore si impossessa del sound (Revence Of A Dying Liar) alternando suoni old school a parti dai rimandi al metal moderno statunitense, in un’altalena di atmosfere esaltate dalla tellurica prestazione del gruppo.
Aphonic Breed è il classico brano che riassume in quattro minuti tutte le sfaccettature della musica composta dai Kobaloi: Megadeth, Sepultura, Iron Maiden e Lamb Of God vengono mescolati in un cocktail estremo che dal groove metal prende quella forza espressiva moderna, il tanto che basta per fare di For Nothing We Follow un album riuscito e, a suo modo, originale.
Choleric e Khold Sin confermano con la loro rabbiosa atmosfera l’approccio estremo del gruppo americano, sicuramente una realtà da seguire nel vasto panorama del metal underground.

Tracklist
1.Walls Of Flesh, Blood And Bone
2.Reverance Of A Dying Liar
3.Endenial
4.Aphonic Breed
5.Choleric
6.The Fury Never Fades
7.Khold Sin
8.Throes Of Hollow

Line-up
J.J. Mohr – Vocals
Vincent Verroust – Guitars
Thomas Toepper – Drums
Adam Syverson – Bass, Vocals
Damian Dunn – Guitars

KOBALOI – Facebook

Necrodeath – The Age Of Dead Christ

The Age Of Dead Christ è il ritorno di una delle più importanti band metal italiane: il loro thrash black metal continua a mietere vittime e i trentatré anni passati dal primo storico demo non hanno lasciato alcuna cicatrice.

Non è mai facile recensire un album come l’ultimo Necrodeath, si rischia sempre la caduta nella retorica, celebrando una band di valore assoluto ed una manciata di nuovi brani che tornano a far parlare la storia del metal estremo, non solo nazionale.

I Necrodeath sono una delle icone del metal italiano, un gruppo che ha scandito con la sua discografia trent’anni abbondanti di musica metal in Italia, più facile al giorno d’oggi, meno se parliamo degli anni ottanta e novanta.
Peso, Pier, Flegias e G.L sono ancora qui con un album che celebra i trentatré anni dal primo seminale demo The Shining Pentagram, uscito nel 1985, tanti anni quanti quelli del Cristo prima di finire appeso ad una croce sulla collina del Golgotha, come è ben raffigurato nell’artwork che riporta il logo storico del combo genovese.
Ne sono passati di anni e di musica sotto i ponti dell’inferno dove si celebra il metal estremo di matrice thrash/black genere di cui la band è maestra, valorizzato da una tecnica sopraffina e da una furia estrema mai sopita.
The Age Of Dead Christ arriva ad un anno dal bellissimo split con la regina nera del metal nazionale Cadaveria, quel Mondoscuro che vedeva interagire le due band in modo totale, al punto da coverizzarsi a vicenda, e quattro dal precedente The 7 Deadly Sins, opera sui sette vizi capitali nella quale i Necrodeath per la prima volta usavano la lingua italiana, alternandola con l’idioma inglese.
Una band che non ha mai avuto timore di sperimentare torna però al più classico death/black, una mazzata estrema violentissima ed oscura che ci sputa in faccia tutta la sofferenza del mondo tramutata in livore e furia, fin dall’opener The Whore Of Salem, una traccia di metal estremo old school, seguita dal devastante thrash/black di The Master Of Mayhem.
The Age Of Dead Christ non ha pause, con la band che alterna velocissime ripartenze a mid tempo di schiacciante potenza: Peso dimostra d’essere uno dei batteristi più bravi della scena estrema mondiale con una prestazione che ha nei dettagli e nelle tante finezze ritmiche sparse qua e là il suo maggior pregio, G.L. supporta con una prova gagliarda il collega e la furia tecnicamente ineccepibile di Pier Gonella, con Flegias che sputa veleno, demone inarrestabile dietro al microfono.
The Kings Of Rome infuria tempestosa, The Triumph Of Pain rallenta i ritmi ma, in quanto ad atmosfera, è uno dei brani più riusciti dell’ opera; The Return Of The Undead è il tributo al passato e al primo full length Into The Macabre, in quanto nuova versione del classico The Undead con A.C. Wild degli storici Bulldozer come ospite.
L’album si chiude con un trittico di perle estreme come The Crypt Of Nyarlathotep, The Revenge Of The Witches e la title track, che formano un delirio musicale tra atmosfere nere e diaboliche ed il thrash/black metal nella sua forma più convincente, chiudendo come meglio non si poteva questo bellissimo nuovo capitolo della trentennale e leggendaria storia dei Necrodeath.

Tracklist
1. The Whore Of Salem
2. The Master Of Mayhem
3. The Order Of Baphomet
4. The Kings Of Rome
5. The Triumph Of Pain
6. The Return Of The Undead
7. The Crypt Of Nyarlathotep
8. The Revenge Of The Witches
9. The Age Of Dead Christ

Line-up
Flegias – Vocals
Pier – Guitars
G.L. – Bass
Peso – Drums

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