Zornheym – Where Hatred Dwells And Darkness Reigns

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia.

L’oscurità, l’insanità mentale, l’orrore che diviene un’esperienza traumatica dietro le terribili sbarre di una cella, una gabbia asettica che aliena la mente già posseduta dal demone della pazzia: tradotto in musica il tutto si sviluppa in un black metal sinfonico atmosferico, annichilente, avvincente ed orchestrato a meraviglia da Zorn e i suoi Zornheym.

Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un debutto, licenziato dalla Non Serviam Records che, legate le cinghie alla sedia, vi trascinerà nel reparto psichiatrico più diabolico del mondo, dove i demoni si nutrono della sanità mentale degli uomini per poi scaraventarli in un incubo eterno.
Visioni infernali, aberrazioni umane raccontate con l’ausilio di orchestrazioni sinistre, che si alleano con dosi violentissime di metallo estremo, black metal scandinavo devastante e melodico, dalle sfumature classiche (specialmente nei solos) e dalle voci che passano da pulite allo scream, sottolineando disperazione ed estrema pazzia.
Aiutati da Sverker Widgren (Demonical, Diabolical, October Tide), protagonista di un ottimo lavoro alla console, il quintetto svedese ci regala una quarantina di minuti rinchiusi in questo mondo parallelo dove da anni sono rinchiusi aberranti figure ormai prive di umanità e totalmente corrotte dalla malattia, mentre la musica vola per poi inabissarsi nelle pozze di sangue lasciate da vene strappate con le unghie e con i denti sotto il bombardamento di brani come l’opener The Opposed, la devastante The Silent God, la terrificante Trifecta Of Horrors e la conclusiva, spettacolare Hestia.
Per gli amanti dei suoni estremi dalle suggestive trame orchestrali, in linea con quanto già espresso dagli ultimi Dimmu Borgir , Where Hatred Dwells And Darkness Reigns è un lavoro assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Opposed
2. Subjugation Of The Cellist
3. A Silent God
4. Prologue To A Hypnosis
5. Trifecta Of Horrors
6. And The Darkness Came Swiftly
7. Whom The Nights Brings
8. Decessit Vita Patris
9. Hestia

Line-up
Bendler – Vocals
Zorn – Lead Guitars
Scucca – Guitars
Angst – Drums
TBA – Bass

ZORNHEYM – Facebook

Nephilim’s Howl – Through The Marrow Of Human Suffering

I Nephilim’s Howl risultano credibili nel proporre ognuna delle diverse sfumature stilistiche immesse nell’album, dimostrando una buona varietà compositiva e nel contempo chiarezza di intenti su come sviluppare la propria idea di black doom.

Dal sempre ricco scrigno della I,Voidhanger ecco sbucare una nuova gemma intitolata Through The Marrow Of Human Suffering, opera prima dei finlandesi Nephilm’s Howl.

Il trio presenta un black doom che, se assimila per forza di cose le linee guida basilari fornite dai seminali Bathory, si sposta maggiormente verso un’interpretazione più aspra e nel contempo evocativa in stile Primordial. La splendida seconda traccia, Of Ordeals And Triumph, è abbastanza emblematica in tal senso, andando a lambire in maniera convinta le sonorità tipiche della band irlandese.
Questo accostamento serve sostanzialmente ad inquadrare il sound offerto dai Nephilim’s Howl, perché poi ogni entità dotata di un minimo di personalità fa storia a sé, immettendo nel proprio sound elementi di discontinuità rispetto ai propri modelli: i nostri, infatti, prendendo la mossa dalle basi citate, si muovono obliquamente tra pulsioni post metal (Hate Revelations) o sludge (Against The Worlds That Bind Us), per poi far confluire il tutto in una traccia più complessa ma dannatamente intrigante come la conclusiva Through The Marrow Of Human Suffering I, II & III.
L’album si snoda inizialmente esibendo il proprio lato più intenso ed epico per poi progressivamente incupirsi fino, appunto, ad un finale dagli accenni talvolta claustrofobici: il bello è che i Nephilim’s Howl risultano credibili nell’esibizione di ognuna di queste sfumature, dimostrando una buona varietà compositiva e nel contempo chiarezza di intenti su come sviluppare la propria idea di black doom.
L’interpretazione vocale di Reavhan è efficace in ogni sua veste mentre VJR tesse con sapienza tutte le trame strumentali ben coadiuvato dal lavoro percussivo di AEK, e tutto questo rende Through The Marrow Of Human Suffering un album ineccepibile sotto ogni aspetto, capace di offrire peraltro spunti stilistici molto meno inflazionati di altri: direi che gli elementi per tenere nella dovuta considerazione questo debutto dei Nephilim’s Howl ci sono davvero tutti.

Tracklist:
1. Void Reflections I – Remembrance
2. Of Ordeals And Triumph
3. Hate Revelations
4. Against The Worlds That Bind Us
5. Through The Marrow Of Human Suffering I, II & III

Line-up:
Reavhan – Vocals
AEK – Drums & percussions
VJR – Guitars, bass & synth

NEPHILIM’S HOWL – Facebook

ÆRA – Of Forsworn Vows

Of Forsworn Vows è un’ep già sicuramente esaustivo riguardo alle potenzialità di un nome nuovo come gli ÆRA,  in possesso di tutti crismi per ritagliarsi una posizione di riguardo nella scena black metal.

Buon ep d’esordio per il duo cileno/statunitense ÆRA.

Il musicista sudamericano Ulf Kveldulfsson propone un black metal atmosferico e dalle propensioni viking/pagan sul quale si poggiano le vocals abrasive di Tzel Vae, autore anche dei testi.
Questo primo assaggio che esce in CD per l’etichetta italiana De Tenebrarum Principio (dopo essere stato pubblicato in cassetta in edizione limitata) ci offre una realtà in grado di interpretare con buon piglio e spunti interessanti il genere nelle sue sembianze tipicamente scandinave.
Non so se quello del polistrumentista cileno sia un nickname oppure derivi effettivamente da discendenze nordeuropee, fatto sta che, comunque sia, in entrambi i casi  le sue generalità non appaiono affatto fuori luogo, alla luce dell’ortodossia e la padronanza con la quale viene affrontata la materia.
I tre brani, mediamente sui sette minuti di durata, sono abbastanza esaustivi riguardo alla capacità del duo di esprimere il meglio di un genere esibito con un piglio decisamente diretto, senza divagazioni e focalizzato con buona continuità sulla produzione di atmosfere epiche e solenni: Of Forsworn Vows è un’ep già sicuramente esaustivo riguardo alle potenzialità di un nome nuovo come gli ÆRA,  in possesso di tutti crismi per ritagliarsi una posizione di riguardo nella scena: in tal senso, l’inevitabile prova del nove sarà costituita da un’eventuale prossimo full length sulla cui bontà mi sento già fin d’ora di scommettere.

Tracklist:
1. The Kvlt ov Dream
2. Owls Not What They Seem
3. Thoughts Like Silver Bullets
4. Symmetric Kakophony
5. Leviathan
6. Dunwich Shaman
7. Wanderlvst
8. Valley Ov The Past Lives
9. Her Cosmic Song

Line up:
Tzel Vae – Vocals, Lyrics
Ulf Kveldulfsson – All instruments, Songwriting

ÆRA – Facebook

Corpus Christii – Delusion

Delusion non è solo un lavoro con lo sguardo rivolto al passato, perché il malessere ed il disincanto sono oggi ancor più di allora compagni non graditi dell’umanità, e i Corpus Christii veicolano al meglio tali sentimenti senza trincerarsi dietro produzioni minimali o esecuzioni strumentali approssimative.

Con i Corpus Christii ritorniamo nel fertile sottobosco del black metal portoghese, incontrandone una delle due espressioni più longeve.

Nocturnus Horrendus, al secolo Alexander Mota, è uno dei personaggi di spicco della scena, muovendo i primi passi con i Corpus Christii addirittura già nel secolo scorso, oltre ad essere attivo in altre band tra le quali vanno citati senz’altro i Morte Incandescente.
Delusion è l’ottavo full length per questo suo progetto, nel corso del quale è stato accompagnati da diversi musicisti e che vede oggi quale suo partner J. Goat; a livello stilistico il black che viene qui offerto non presenta particolari peculiarità puntando tutti sull’ortodossia e sull’impatto, facendo propri i modelli scandinavi e restituendone gli spunti in maniera piuttosto fedele.
Proprio questo dato, che a molti potrà apparire un punto debole, è semmai l’aspetto fondamentale che giustifica ampiamente una tale scelta stilistica: quello dei Corpus Christii è IL black metal, cupo, misantropico, incompromissorio e privo di concessioni melodiche o atmosferiche, come forse non si suona nemmeno più nelle lande dove il genere è nato.
Proprio la scena portoghese, come abbiamo già avuto modo di constatare direttamente parlando di una serie di uscite davvero convincenti, in tal senso si può considerare la più degna continuatrice, almeno a livello attitudinale, di quel movimento che all’inizio degli anni ’90 cambiò non poco il modo di intendere e vivere il metal estremo.
Delusion non è però solo un lavoro con lo sguardo rivolto al passato, perché il malessere ed il disincanto sono oggi ancor più di allora compagni non graditi dell’umanità, e Nocturnus Horrendus veicola al meglio tali sentimenti senza trincerarsi dietro produzioni minimali o esecuzioni strumentali approssimative; qui tutto è reso in maniera intelligibile ed adeguata ai tempi, facendo pervenire anche ai più duri d’orecchi un messaggio forte e chiaro: il black metal è sempre vivo e vegeto, e anche chi lo detesta dovrà necessariamente farci i conti per molto tempo ancora.

Tracklist:
1. The Curse Within Time
2. Chamber Soul
3. Become the Wolf
4. I See, I Become
5. Facing Concrete Mountains
6. Seeker of All
7. I Am the Night
8. Near the End
9. Carrier of Black Holes

Line up:
Nocturnus Horrendus – Guitars, Bass, Vocals, Lyrics
J. Goat – Guitars, Bass

CORPUS CHRISTII – Facebook

Wormwood – Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth

La band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e ricco di ampie aperture epiche e melodiche.

Dalla Svezia ecco arrivare i Wormwood, portatori di un black metal melodico e dalle sfumature viking/folk.

Come sempre, in questi casi l’attenzione va posta sulla bontà compositiva ed esecutiva della proposta piuttosto che sulla sua originalità e, in tal senso, Ghostlands: Wounds from a Bleeding Earth non delude affatto: in circa un’ora la band di Stoccolma ci trasporta nel proprio mondo, molto meno oscuro e misantropico rispetto alle abitudini del genere, privilegiando invece un impatto più diretto e come detto ricco di ampie aperture melodiche.
L’album si snoda con grande efficacia, specialmente nei più efficaci ed incalzanti brani iniziali, lasciando sfogare al meglio una magnifica vena epica che, dopo una parte centrale pervasa maggiormente da una componente folk, con la comunque bella accoppiata Silverdimmans återsken / Tidh ok ödhe, per poi riprendere nuovamente con un incedere dai tratti più marcatamente viking.
Il fatto stesso che Rydsheim, chitarrista e fondatore della band assieme alla copia ritmica Borka/Jothun, suoni stabilmente dal vivo negli storici Månegarm non è certo un caso, e il risultato fa capire come l’influsso dei nomi più importanti sia stato sicuramente ben assimilato, perché non accade così frequentemente che un full length d’esordio si dimostri così maturo e ben focalizzato a livello compositivo.
Peccato solo che il posizionamento in scaletta, subito dopo l’intro, di un brano perfetto e di sfolgorante bellezza come The Universe Is Dying finisca leggermente per offuscare con la sua luce il resto di un lavoro che si mantiene, costantemente, su una soglia d’eccellenza senza denotare particoloari cali di tensione.
I Wormwood, con Ghostlands:Wounds from a Bleeding Earth, si propongono come nuovi potenziali protagonisti della fertile scena viking/folk black scandinava.

Tracklist:
1. Gjallarhornet
2. The Universe Is Dying
3. Under hennes vingslag
4. Godless Serenade
5. Oceans
6. Silverdimmans återsken
7. Tidh ok ödhe
8. Beneath Ravens and Bones
9. The Windmill
10. What We Lost in the Mist
11. The Boneless One
12. To Worship

Line up:
Borka – Bass
Johtun – Drums
Nox – Guitars
Rydsheim – Guitars
Nine – Vocals

WORMWOOD – Facebook

Belphegor – Totenritual

Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance.

Dopo tre anni di astinenza da Conjuring The Dead ritorna la congrega austro satanica nota nei grimori come Belphegor.

Dal lontano 1995, se si vogliono considerare solo i dischi completi, i Belphegor massacrano le nostre orecchie e il nostro cervello, cercando di aprire i cancelli dell’inferno. Con molta onestà ci si poteva aspettare una prova certamente dignitosa e magari un po’ molle, invece gli austriaci firmano uno dei loro album più belli e complessi dal punto di vista compositivo. La potenza è la stessa se non addirittura di più, ma è distribuita in maniera diversa. I Belphegor hanno costruito una carriera sulla potenza sonora nel tentativo di saturare ogni possibile stilla di spazio con un suono nero e marcio. Oltre a tutto ciò ora, gli austriaci hanno portato a compimento ciò che avevano cominciato a far intravedere con i due album precedenti, e in particolare con l’ultimo Conjuring The Dead, ovvero composizioni con molti sviluppi sonori, dove la potenza black metal si sposa con quella del death come sempre, ma con un respiro più ampio. I Belphegor sono entrati in una fase differente della loro maniera di comporre, e hanno reso il loro suono più ricco e variegato rendendolo ancora più possente e magnifico. Totenritual è una danza sull’abisso e a volte ben oltre, non ci si ferma nemmeno davanti alla morte e tutto parla di Satana e delle ribellione primigenia dell’uomo. La musica del disco ci proietta in una nera cava fatta di dolore e molto vicina al sud del paradiso, dove ci sono demoni che ci faranno soffrire molto. Piovono membra sanguinolente, e noi persi sulla spiaggia mentre aspettiamo Caronte non possiamo fare altro che resistere, ma non possiamo vincere. Il gruppo austriaco firma una delle sue opere più nere e potenti, con una produzione davvero magistrale, e perfettamente centrata nel renderne il suono il migliore possibile, addirittura sopra il livello di Black Magick Necromance. Si sale e si scende in continuazione, non c’è tregua, anche se sono notevoli gli intarsi melodici in mezzo alla lava. I Belphegor si amano o si odiano, e c’è chi adora solo i primi album, ma qui c’è un’opera di valore assoluto, un massacro senza se e senza ma, fatto alla loro maniera.
Venite, manca il vostro sangue in calce al contratto.

Tracklist
1. Baphomet
2. The Devil’s Son
3. Swinefever – Regent of Pigs
4. Apophis – Black Dragon
5. Totenkult – Exegesis of Deterioration
6. Totenbeschwörer instrumental
7. Spell of Reflection
8. Embracing a Star

Line-up
Helmuth: Heretic Grunts/ Chainsaw
Serpenth: Bass Devastator/ Vokills
Bloodhammer: Drums
Impaler: 6-String Storm [Live]

BELPHEGOR – Facebook

Sarkrista – Summoners of the Serpents Wrath

Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Quattro anni dopo il debutto The Acheronian Worship, i tedeschi Sarkrista si riaffacciano con un nuovo full length dopo alcune uscite di minutaggio ridotto.

Nel frattempo, il loro black di matrice decisamente il old school, pur senza evidenziare uno snaturamento eccessivo, si è evoluto in una forma senz’altro più melodica ed accattivante, andando un po’ in controtendenza rispetto alla scena germanica ma trovando, in ogni caso, una propria identità definita.
Il tremolo picking guida decisamente il sound verso un’interpretazione del black piuttosto atmosferica senza far venire meno le caratteristiche essenziali del genere; è cosi, quindi, che l’album si snoda lungo un serie di brani di grande impatto, spesso trascinanti (The Gathering of Blackest Shadows, He, Who Liveth and Reigneth Forevermore, Rituals of Flames and Skulls) con il solo lievissimo difetto di mantenere un andamento ritmico pressoché costante dall’inizio alla fine.
Detto ciò, non è affatto banale imbattersi in lavori che coniughino in maniera così efficace la tradizione di un genere con elementi in grado di tenere costantemente viva l’attenzione dell’ascoltatore: gli ottimi Sarkrista ci riescono nel migliore dei modi senza particolari sbavature e alla loro adesione piuttosto netta alla tradizione del genere non credo sia estranea la collocazione geografica all’estremo nord della Germania, che li vede così molto più vicini ai modelli scandinavi rispetto a quelli dei länder meridionali.
Ottima produzione, belle canzoni, intensità e padronanza assoluta del genere: in sintesi, il black metal in una delle sue vesti migliori.

Tracklist:
1. Intro
2. The Lurking Giant
3. The Gathering of Blackest Shadows
4. Summoners of the Serpents Wrath
5. Ascending from the Deep
6. He, Who Liveth and Reigneth Forevermore
7. The Sea Pt. 2 (My Cold Grave)
8. Black Devouring Flames
9. Rituals of Flames and Skulls

Line up:
Exesor – Drums, Bass
Farbauti – Guitars
Revenant – Vocals, Guitars

SARKRISTA – Facebook

Novae Militiae – Gash’khalah

La band è di livello superiore e ci annichilisce con black metal senza compromessi: la Francia si dimostra ancora una terra prolifica per l’arte nera.

Tenebrosi cori con un sinistro clangore di catene ci introducono alla seconda opera dei francesi Novae Militiae, già presentatisi nel 2011 con Affliction of the Divine: della band si sa soltanto che è originaria di Parigi mentre non si ha idea di chi e cosa suoni, né dove sia stato registrato il disco.

L’unica cosa su cui dobbiamo concentrarci è il puro suono del black metal denso, incompromissorio, violento, figlio delle migliori espressioni estreme d’oltralpe (Antaeus, Arkhon Infaustus). Non vi sono le commistioni post-black, post metal di cui alcune buone band francesi si nutrono, qui l’unico verbo è l’arte nera vomitata con violenza a incarnare il puro spirito del genefre. Fin dall’inizio la lezione è chiara, brani come Chasm of the cross e la violentissima Daemon est deus inversus annichiliscono con la loro furia iconoclasta, le melodie sono malate, oscure e sono sommerse da uno scream brutale e luciferino. I brani sono lunghi, carichi di odio, intensi a creare un rituale occulto dove non ci sono speranze per chi vi si addentra.
E’ il grido bestiale di una band che non si piega e lascia fluire come un fiume in piena la sua arte dannata infliggendo all’ascoltatore arcane e forti emozioni; la durata di circa un’ora impone di essere nel giusto mood per riuscire ad uscire sani di mente da questa agonia sonora. I ritmi cadenzati di Annunciatione e Fall of the idolsprovocano, ricordando a mio parere anche il Religious Bm, momenti di sconfinata angoscia e mistero dove l’atmosfera si impregna di zolfo e occulto e veramente l’inferno dista pochi passi. La perversa e blasfema follia non conosce pause e nel brano finale Seven cups of divine outrage l’atmosfera infernale sublima i nostri sensi e fa ricordare i tempi passati quando pronunciare la parola black metal impressionava e atterriva l’ascoltatore.

Tracklist
1. The Chasm of the Cross
2. Daemon Est Deus Inversus
3. Orders of the Most-High
4. Koakh Harsani
5. Annunciation
6. Black Temple Consecration
7. Fall of the Idols
8. Seven Cups of Divine Outrage

NOVAE MILITIAE – Facebook

Osculum Infame – Axis Of Blood

Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Partiamo da questa importantissima considerazione: in Francia si suona grande metal estremo, molto del quale fuori dai soliti schemi.

Noi che per vocazione vi parliamo di sonorità per lo più underground, siamo da anni sottoposti agli ascolti di opere in arrivo dalla terra transalpina: molte sono piacevoli novità, altri nuovi lavori di realtà storiche dell’ underground estremo francese, per molti territorio impervio e poco conosciuto, a meno che non siate esperti della scena.
L’Osculum Infame, nel linguaggio della demonologia, è il bacio sull’ano con cui la strega saluta il diavolo nel corso del sabba, ma è anche il monicker con cui agisce questa notevole band parigina, devota al black metal ed attiva dai primi anni novanta.
Con il primo ed unico full length diventato di culto (Dor-nu-Fauglith 1997) ed una serie di ep, il quintetto si è costruito una fama sinistra che lo ha portato fino ai giorni nostri e all’uscita di quello che è il suo secondo lavoro sulla lunga distanza, un’opera nera dal titolo Axis Of Blood.
Accompagnato da una copertina che ci ricorda cosa si incontra tra le buie strade in luoghi e tempi dove domina l’oscuro signore, l’album risulta uno splendido spaccato di musica demoniaca e satanica, fuori dalle mode, inquietante e autentico come ci hanno abituato le band provenienti dalla scena francese.
Attenzione però, perché Axis Of Blood non è il solito album prodotto male ed ovattato per suscitare chissà quali suggestioni in giovani blacksters brufolosi: il sound prodotto è perfetto e professionale, le atmosfere oscure e diaboliche raggelano come non mai la stanza di chi si mette all’ascolto dell’opera, noncurante di quale forza si possa risvegliare dal torpore di anni nel più profondo silenzio.
Licenziato dal gruppo nel 2015 e ritornato sul mercato per mezzo della Necrocosm, Axis Of Blood torna a far parlare dei suoi creatori, anche per mezzo di un documentario uscito all’inizio dell’anno sulla nascita e lo sviluppo della scena black metal francese intitolato Blu Bianco Satana, a conferma dell’assoluta attitudine dei protagonisti riguardo alla cultura del genere e a tutto quello che ne consegue.
Musica estrema di altissimo livello, sinistra, diabolica e con quel talento naturale che i francesi hanno nel saper rendere raffinata anche una proposta come Axis Of Blood.

Tracklist
1.ApokalupVI
2.Cognitive Perdition of the Insane
3.Kaoïst Serpentis
4.My Angel
5.Absolve Me Not!
6.Let There Be Darkness
7.Inner Falling of the Glory of God
8.White Void
9.Asphyxiated Light
10.I in the Ocean of Worms
11.Solemn Faith

Line-up
Dispater – Guitars
I. Luciferia – Guitars, Keyboards
S.RV.F – Bass
Malkira – Drums
Deviant Von Blakk – Vocals, Guitars, Bass

OSCULUM INFAME – Facebook

Wormwitch – Strike Mortal Soil

Strike Mortal Soil è un album che convince nel corso dei suoi quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale.

Un paio di anni fa abbiamo fatto la conoscenza di Colby Hink, musicista canadese alle prese con una notevole interpretazione del black metal atmosferico con il suo progetto solista Old Graves.

Lo ritroviamo oggi alla guida di un ben più incalzante trio denominato Wormwitch e dedito ad una versione del genere ben più movimentata e definibile, a grandi linee, come black/death n’roll, risultando un potenziale crocevia dove gli Entombed “wolveriniani” incontrano gli ultimi Satyricon e Darkthrone e, tutti assieme, omaggiano doverosamente i Motorhead.
Al di là delle sensazioni più o meno soggettive che Strike Mortal Soil possa lasciare nell’ascoltatore, è fuor di dubbio che questo primo full length dei Wormwitch sia una buonissima esecuzione di uno stile che rifugge i fronzoli e va dritto all’obiettivo, grazie al suo carico di groove e ad una notevole prova d’assieme, con il ringhio del bassista Robin Harris ad imperversare lungo tutta la durata del lavoro ed un Hink che lascia da parte i delicati arpeggi della sua veste solista per sfornare riff ficcanti a getto continuo, sorretto anche dal lavoro percussivo di un bravo Cam Sauders.
Quaranta minuti intensi, feroci e che non lasciano tregua al rachide cervicale, salvo qualche mortifero rallentamento piazzato qua e là: Strike Mortal Soil è un album che convince, trovando la sua probabile punta in Everlasting Lie, non a caso la traccia scelta per essere abbinata ad un video, ma con tutti gli altri nove brani collocabili tranquillamente su uno stesso apprezzabile livello.

Tracklist:
1. As Above
2. Howling From the Grave
3. Weregild
4. Even the Sun Will Die
5. Relentless Death
6. Cerulean Abyss
7. Everlasting Lie
8. …And Smote His Ruin Upon the Mountainside
9. Mantle of Ignorance
10. So Below

Line up:
Colby Hink – Guitar
Robin Harris – Bass/Vocals
Cam Saunders – Drums

WORMWITCH – Facebook

Perished – Kark

Atmosferici, ma senza spingersi fino ad un approccio sinfonico, e aspri, ma senza scadere in soluzioni monocordi, i Perished proponevano in maniera esemplare il genere, probabilmente in una forma anche più convincente rispetto a nomi ben più celebrati.

Facciamo un bel passo indietro di circa un ventennio dedicandoci alla ristampa di Kark, primo dei due full length pubblicati dai Perished, band black metal norvegese scioltasi poi nel 2003, dopo la pubblicazione di Seid.

L’attiva etichetta italiana ATMF rimette in circolazione questo lavoro in formato digitale ed in CD (dopo che due anni fa la Darkness Shall Rise si era occupata della riedizione solo come musicassetta) compiendo un’opera di divulgazione e recupero di un album di sicuro valore, passato però in secondo piano all’epoca della sua uscita: comprensibile, se pensiamo che nel 1998a le band di maggior spicco erano reduci da lavori fondamentali come Anthems To The Welkin At Dusk (Emperor), Nemesis Divina (Satyricon) e Enthrone Darkness Triumphant (Dimmu Borgir), con l’attenzione degli appassionati focalizzata essenzialmente su una manciata di nomi di simile levatura.
I Perished proponevano però con grande competenza e buoni esiti un black metal che, tutto sommato, finiva per risultare una via di mezzo tra gli stili delle band citate, peccando in tal senso in peculiarità ma risultando ben più che gradevole o meritevole di una limitata attenzione.
Atmosferico, ma senza spingersi fino ad un approccio sinfonico, e aspro, ma senza scadere in soluzioni monocordi, il quartetto di Hommelvik proponeva in maniera esemplare il genere, a mio avviso in una forma anche più convincente rispetto a nomi ben più celebrati: probabilmente il trovarsi lontano geograficamente dalle due fucine del black metal come Bergen e Oslo ha continuato a rendere i Perished più marginali di quanto avrebbero dovuto.
Con i suoi validi otto brani originali, tra i quali spicca una magnifica Paa Nattens Vintervinger, più le tre bonus track costituite da altrettante tracce provenienti dal demo Through the Black Mist del 1994 (A Landscape Of Flames, quando i nostri si esprimevano ancora in inglese) e dall’ep autointitolato del 1996 (Kald Som Aldri Foer e Gjennom Skjaerende Lys), Kark risulta un lavoro che merita d’essere quantomeno riscoperto, rappresentando una nitida fotografia di quello che nel secolo scorso era il valore delle band cosiddette di retrovia del black metal norvegese.

Tracklist:
1.Introduksjon
2.Imens Vi Venter…
3.Stier Til Visdoms Krefter
4.Paa Nattens Vintervinger
5.Iskalde Stroemmer
6.Og Spjuta Fauk
7.Befri De Trolske Toner
8.Renheten Og Gjenkomsten
9.A Landscape Of Flames
10. Kald Som Aldri Foer
11.Gjennom Skjaerende Lys

Line-up:
Bruthor – Bass
Jehmod – Drums
Ymon – Guitars
Bahtyr – Vocals

Pulvis Et Umbra – Atmosfear

Atmosfear non si rivela un ascolto facile, perché il sound non si limita mai ad un’unica soluzione: le parti atmosferiche incutono ancora più terrore, mentre le sfuriate estreme alternano veloci e violente parti blackened death metal a più cadenzate ritmiche deathcore.

Tra i meandri estremi nascosti nel nostro paese vivono realtà che si nutrono di ispirazioni tradizionali e moderne, lasciate sfogare in un sound la cui la parola d’ordine è massacro, devastante maligno e senza soluzione di continuità.

Noi italiani, poi, vi aggiungiamo poi quel pò di atmosfere oscure di cui siamo maestri e che rendono le proposte personali in un genere dove la ripetitività è pari alla violenza espressa.
Con i Pulvis Et Umbra, one man band creata dal polistrumentista lombardoDamy Mojitodka che. con questo nuovo lavoro chiamato Atmosfear, giunge al traguardo del terzo full length dopo Reaching The End (2012) ed Implosion Of Pain (2014), ci troviamo al cospetto di un sound che amalgama e alterna death, black e soluzioni moderne dalle tinte horror ed evil, una commistione di atmosfere e sfumature estreme che non lascia scampo.
Aiutato da altri musicisti quasi esclusivamente in sede live, Mojitodka canta e suona tutti gli strumenti, aiutato da Riccardo Grechi per i suoni di batteria e da Lility Caprinae al microfono nella black metal song Crows Belong To Her.
Atmosfear non si rivela un ascolto facile, perché il sound non si limita mai ad un’unica soluzione: le parti atmosferiche incutono ancora più terrore, mentre le sfuriate estreme alternano veloci e violente parti blackened death metal a più cadenzate ritmiche deathcore.
Affiorano melodie nei solos della melodic death metal Darkest Sorrow, ma è solo un attimo prima della caduta nell’abisso con la superba Divinity Or Icon, brano di una fredda malignità che scuote e sconvolge, mentre il demone ci porta via l’anima.
Unica pecca di questo lavoro è la produzione, che a tratti nelle parti più violente tende ad appiattire il suono, mentre la tensione estrema rimane altissima così come la componente oscura.
Hanno del teatrale le sfumature su cui si muove Atmosfear, che infligge l’ultimo mortale colpo con il black/doom della demoniaca Blinded By Thoughts e chiude la porta dell’inferno con l’outro strumentale Predominio Tecnologico.
Un buon lavoro, consigliato agli amanti del metal estremo aperti a più soluzioni stilistiche che portino in ogni caso ad un solo approdo, il male assoluto.

Tracklist
1.The Soul Collectress
2.Atmosfear
3.Crows Belong To Her
4.Virus
5.Darkest Sorrow
6.Divinity Or Icon
7.The Price Of Trust
8.Can’t Handle
9.Blinded By Thoughts
10.Predominio Tecnologico

Line-up
Damy Mojitodka – all instruments / vocals
Mirko Costa – Guitar (session live member)
Francesco Garatti – Guitar (session live member)
Riccardo Grechi – Drums (session live member)

PULVIS ET UMBRA – Facebook

Throne Of Heresy – Decameron

Un gran bel disco di black/death scandinavo, per esecuzione, intensità e propensione melodica, realmente da godersi dalla prima all’ultima nota.

Spostiamoci per una volta, almeno per quanto mi riguarda, nei territori del black death melodico e chi, meglio di una band svedese, poteva offrire un’interpretazione ottimale del genere?

I Throne Of Heresy sono attivi da qualche anno e hanno già pubblicato, con questo Decameron, tre album di ottima fattura, ma indubbiamente l’opera di cui ci occupiamo si rivela un progetto piuttosto ambizioso, trattandosi di un concept sulla peste (altrimenti detta morte nera, che guarda caso corrisponde anche al genere musicale offerto) scritto dal vocalist Thomas Clifford.
Musicalmente parlando, l’approccio melodico della band di Linkoping porta ad un livello superiore l’impatto delle pulsioni estreme, offrendo una buona varietà stilistica abbinata alla produzione continua di chorus trascinanti.
L’opener The Shores of Issyk-Kul si rivela già un buon esempio di quanto riserveranno i Throne Of Heresy raccontando l’esordio e la propagazione dell’epidemia: se il brano in questione vive di un notevole impatto melodico, Siege Of Caffa è invece una travolgente cavalcata destinata a lasciare il segno (e giustamente la band ci ha costruito sopra un video); notevole anche la title track, resa epica ed evocativa nella sua parte iniziale dal contributo vocale dell’ospite Karl Beckman (King of Asgard/ex-Mithotyn), così come Alvastra con il suo crescendo conclusivo, ma Decameron vive comunque di una buona compattezza che mantiene il livello costantemente medio alto con i suoi ritmi incalzanti gratificati da una ottima produzione opera di Magnus Andersson (bassista dei Marduk).
Un gran bel disco per esecuzione, intensità e propensione melodica, realmente da godersi dalla prima all’ultima nota.

Tracklist:
1. The Shores of Issyk-Kul
2. Pax Mongolica
3. Siege of Caffa
4. The Plague Ships
5. Decameron
6. Liber Secretorum
7. JÑrtecken
8. A Silent Vigil
9. Alvastra
10. The Pale Burden

Line-up:
Mathias Westman – Drums
Tomas Göransson – Guitars
Björn Ahlqvist – Bass
Thomas Clifford – Vocals
Lars Björkens – Guitars

THRONE OF HERESY – Facebook

Kval – Kval

Kval è un lavoro che a molti potrà apparire obsoleto ma che, in realtà, racchiude molto dell’essenza di quelli che furono i primi passi del black metal atmosferico, e questo è già di per sé un buon motivo per ascoltarlo, se non bastasse un impatto melodico tutt’altro che trascurabile.

Se si dovesse trovare un album che esemplifichi per i neofiti cosa sia il black metal atmosferico, credo che questo primo passo autointitolato della one man band finnica Kval sia perfetto in tal senso.

In realtà, a ben vedere, questo non sarebbe a tutti gli effetti il full length d’esordio, visto che si tratta della versione ri-registrata dell’album Kuolonkuu, edito con il nome Khaossos nel 2015 e oggi rimesso in circolazione dalla Hypnotic Dirge con una nuova copertina e l’aggiunta di una breve traccia strumentale.
Da quanto premesso, si capisce quanto sia stata opportuna questa operazione, visto che qui siamo al cospetto di un’interpretazione del genere senz’altro ossequiosa dei dettami di Burzum e Forgotten Woods, come da note di presentazione, ma che va anche oltre offrendo una serie di brani capaci di catturare l’attenzione e di avvolgere con il loro approccio molto tradizionale e ricco di ottime intuizioni melodiche appoggiate sul classico ronzio di sottofondo, caratteristica di gran parte delle produzioni novantiane.
Kval strepita in lingua madre testi colmi di negatività sopra un tappeto di black che fa della sua linearità il proprio punto di forza: la produzione che opprime la voce è la normalità, in un lavoro che si snoda su ritmi costantemente compassati, con brani segnati da spunti melodici che vengono reiterati fino ad ottenere l’assuefazione desiderata: il musicista finlandese, però, sa anche fermare la sua ragionata corsa inserendo qualche passaggio acustico o piazzando tastiere minimali ma irresistibili come in quella che fu la title track nella prima stesura, Kuolonkuu.
L’album vede come fulcro quattro tracce che da sole vanno ben oltre la mezz’ora di durata (oltre a quella appena citata, la magnifica Sokeus, Harheinen e Polkuni Vailla Suuntaa) visto che, assieme allo strumentale inedito Kaiku Tyhjyydesta, in chiusura ed apertura si trovano due brani ambient (Usva e Toisella Puolen): Kval è un lavoro che a molti potrà apparire obsoleto ma che, in realtà, racchiude molto dell’essenza di quelli che furono i primi passi del black metal atmosferico, e questo è già di per sé un buon motivo per ascoltarlo, se non bastasse un impatto melodico tutt’altro che trascurabile.

Tracklist:
1 – Usva
2 – Sokeus
3 – Harheinen
4 – Kaiku Tyhjyydesta
5 – Polkuni Vailla Suuntaa
6 – Kuolonkuu
7 – Toisella Puolen

Line up:
Kval

KVAL – Facebook

Lilyum – Altar Of Fear

Il black metal per i Lilyum non è solo un rivestimento musicale, bensì l’espressione di un modo d’essere, la naturale conseguenza dell’attrazione fatale per tutto quanto sia oscuro e comunque avulso dai conformismi.

I Lilyum sono da oltre un decennio una delle migliori espressioni del black metal italiano, nonché probabilmente anche una delle più sottostimate in relazione al valore espresso, all’interno di un percorso musicale che giunge con Altar Of Fear al settimo full length.

Kosmos Reversum, che della band è l’anima ed il fondatore, non è tipo da curarsi più di tanto di tutto questo, perché ben conosce le sfaccettature dell’ambiente musicale essendovi coinvolto anche in altre vesti, e giustamente prosegue a testa alta per la propria strada, lasciando che a parlare sia la sua musica, un black che continua ad esibire gli aspetti tradizionali del genere con una brillantezza ed una competenza tali da non farlo mai apparire obsoleto.
Altar Of Fear, del resto, arriva dopo due ottimi lavori come Glorification Of Death e October’s Call, e non sorprende affatto quindi la qualità che i Lilyum continuano ad esibire, nonostante le sostanziali novità nella line up: intanto, l’interruzione del sodalizio con il vocalist Xes, iniziato con Crawling In The Past nel 2010, poteva non risultare del tutto indolore visto, che a mio avviso, parliamo di uno dei migliori interpreti in campo black (come continua a dimostrare con gli Infernal Angels), ma il ritorno di Lord J. H. Psycho (anche chitarra, basso e tastiere), che aveva ricoperto il ruolo nei primi due full length Ultimatum e e Fear Tension Cold, non lo fa rimpiangere nonostante la differenza di stile che riconduce il tutto ad un più classico screaming in vece del growl del suo predecessore; infine, il nuovo album segna anche l’ingresso stabile in formazione del batterista Frozen (anche negli ottimi siciliani Krowos) dopo che questi aveva prestato la sua opera come session man nel periodo a cavallo tra i due decenni.
Tutto questo, non so quanto incidentalmente, porta ad un inasprimento delle sonorità rispetto al recente passato, mettendo in luce un approccio più diretto ma non meno efficace: del resto il black metal per i Lilyum non è solo un rivestimento musicale, bensì l’espressione di un modo d’essere, la naturale conseguenza dell’attrazione fatale per tutto quanto sia oscuro e comunque avulso dai conformismi, anche se abbiamo visto quanto, in questi ultimi anni, il genere sia stato manipolato e restituito in maniera diametralmente opposta allo spirito che animava i suoi creatori.
Altar Of Fear è, però, tutt’altro che una rappresentazione becera e minimale del black, in quanto risulta curato nei suoi dettagli, eseguito e prodotto come dovrebbe essere un disco di questo tipo e lasciando che i suoni giungano alle orecchie dell’ascoltatore con le proprie ruvidezze e senza essere edulcorati, pur essendo ugualmente contraddistinti da una loro pulizia: l’opener Alkahest è una dimostrazione eloquente di quanto appena affermato, nel suo svilupparsi con la giusta dose di cattiveria ed attitudine, e questa sarà la tendenza di un lavoro comunque per nulla monolitico, visto che i Lilyum non disdegnano passaggi più ragionati, spesso ai limiti dell’ambient, come avviene nel collegamento tra la fine di The Watchers’ Departure e l’inizio di Voices From The Fire, oppure dimostrano un gusto melodico di prim’ordine, pur se compresso sempre da una ritmica frenetica, racchiuso nelle atmosfere della magnifica Tomorrows Worth Erasing.
Anche la conclusiva Siege The Solar Towers, con i suo anomali dieci minuti di durata, può essere presa ad emblema di quello che non si può definire un nuovo corso per i Lilyum, bensì la fruttuosa ricerca di soluzioni differenti senza che venga meno la continuità stilistica ed il tratto personale che Kosmos Reversum è sempre riuscito a conferire al sound della sua band.
Pertanto non posso che ribadire quanto già dichiarato inizialmente, esortando chiunque apprezzi il black nella sua vera essenza a non perdere l’occasione di ascoltarne una delle sue più autentiche e coinvolgenti raffigurazioni.

Tracklist:
1.Alkahest
2.Siege the Solar Towers
3.The Watchers’ Departure
4.Voices from the Fire
5.Tomorrows Worth Erasing
6.Stain of Salvation
7.Siege the Solar Towers

Line-up:
Kosmos Reversum – rhythm and lead guitars, clean guitars on 6
Lord J. H. Psycho – vocals; bass guitar, lead, harmony and clean guitars, ebow, synthesizers, samples and ambience, additional rhythm guitars on 2, 5 and 7
Frozen – drums and percussion

LILYUM – Facebook

Atriarch – Dead as Truth

La band ribadisce la bontà della sua arte, continuando il suo desolato, apocalittico e personale percorso artistico.

Non hanno bisogno di un’opera di lunga durata gli statunitensi Atriarch per ribadire, dopo tre full length, la bontà del loro percorso artistico sempre monolitico, atmosferico e soprattutto molto personale.

Anche il cambio del chitarrista, ora Joshua Dark al posto di Brooks Blackhawk, non ha sostanzialmente modificato la trama sonora imbastita dal quartetto che rimane carica di oscura atmosfera ed è frutto di una commistione di post-punk, nera darkwave, black doom e lampi di deathrock; grande lavoro della sezione ritmica dove la batteria è molto varia e potente ed il suono del basso sempre presente e poderoso sposta, forse, il suono su atmosfere più darkwave e post punk, meno su suoni metallici. Tale sensazione non scalfisce nel modo più assoluto l’essenza dell’arte del quartetto; fin dal primo brano Inferno si è chiamati a immergersi nelle tenebre più oscure, i ritmi sono lenti, ritualistici, apocalittici e scandiscono allucinazioni in cui orizzonti plumbei e confusi si scontrano in un universo desolato. La voce potente e declamatoria di Lenny Smith ci accompagna narrandoci di storie di violenza, odio, disperazione e morte. La musica degli statunitensi, di Portland, incastonando il meglio di certa ossessiva darkwave (Bauhaus, Killing Joke) in strutture black e doom crea una interpretazione decisamente unica del suono estremo, generando sublimi muri di suono che in Dead ricordano anche maestosità come i Joy Division dove …”love is lost, life forgot, nothing left inside”. Gli altri quattro brani per un totale di poco più di mezz’ora affondano e penetrano nell’anima di noi ascoltatori generando un’energia devastante, purificatrice per un mondo dolente incapace di risollevarsi dalle sue miserie.

Tracklist
1. Inferno
2. Dead
3. Devolver
4. Void
5. Repent
6. Hopeless

Line-up
Andy Savage – Bass
Joshua Dark – Guitars
Maxamillion Avila – Drums
Lenny Smith – Vocals

ATRIARCH – Facebook

Esoctrilihum – Mystical Echo From A Funeral Dimension

Il black targato Esoctrilihum è per lo più ripiegato su sé stesso, privo com’è di aperture melodiche o atmosferiche, salvo poi concedersi pause improvvise per lasciare spazio a momenti acustici o ambient.

Prima uscita per questo ennesimo progetto solista denominato Esoctrilihum, il cui promotore è il musicista francese Asthâghul.

L’appartenenza al roster della I,Voidhanger, di norma, dovrebbe garantire sonorità introspettive ed oscure, il tutto abbinato ad una notevole qualità media e ad una vena sperimentale che rende l’ascolto impegnativo quanto gratificante.
Mystical Echo From A Funeral Dimension tiene quasi del tutto fede a queste coordinate, salvo la capacità penetrativa del sound che, questa volta, fatica non poco a superare i primi ostacoli frapposti tra sé e l’ascoltatore.
Il black targato Esoctrilihum è per lo più ripiegato su sé stesso, privo com’è di aperture melodiche o atmosferiche, salvo poi concedersi pause improvvise per lasciare spazio a momenti acustici o ambient: il problema che affligge un po’ tutto il lavoro è l’apparente scollamento tra le varie parti, al quale deve essere aggiunto l’aspetto non secondario di una durata (un’ora circa) che rende l’assimilazione del lavoro ancora più problematica.
Asthâghul ha sicuramente le idee molto chiare dal punto di vista lirico-concettuale, e la sua visione a dir poco fosca dell’esistenza (propria e altrui) ben si sposa con le sonorità offerte, al netto ovviamente di quella farraginosità che appesantisce un po’ tutti i brani: è apprezzabile, infatti, il tentativo di unire l’estrosità del black transalpino con la gelida solennità di quello tedesco e lo spirito primitivo di quello scandinavo, ma nel mettere molta carne al fuoco inevitabilmente non tutta finisce per essere cotta alla perfezione.
Certo che, ascoltando una traccia oggettivamente impressionante come Infernus Spiritas, con un incedere ossessivo che meglio si amalgama ai rallentamenti e alle oasi acustiche, non è difficile capire come mai l’etichetta italiana si sia accaparrata i servizi degli Esoctrilihum, intuendone probabilmente quel notevole potenziale che, a mio avviso, se fosse stato maggiormente focalizzato avrebbe potuto rendere irrinunciabile un lavoro come Mystical Echo From A Funeral Dimension, capace invece di conquistare solo ad intermittenza

Tracklist:
1. Ancient Ceremony From Astral Land
2. Following The Mystical Light Of The Shadow Forest
3. Prayer Of The Lamented Souls
4. Infernus Spiritas
5. Shtalosoth
6. BltQb (Black Collapse)
7. Mighty Darkness

Line-up:
Asthâghul – all instruments and vocals

ESOCTRILIHUM – Facebook

Nyss – Princesse Terre (Three Studies of Silence and Death)

Dischi come questo sono un arricchimento culturale ed un estremo oscuro piacere per gli amanti del genere, perché qui ci troviamo a livelli altissimi.

Black metal esoterico, atmosferico e maledettamente affascinante.

I Nyss sono un duo francese che dopo aver pubblicato quattro ep arriva al debutto per Avantgarde Music, ed è un gran disco di black metal moderno e sperimentale. I pezzi sono tre, la presentazione è molto semplice, la musica viene messa in primo piano ed occupa lo spazio più importante del progetto, tanto che si hanno pochissime informazioni sul gruppo, come nella tradizione dei gruppi francesi di black metal. Ascoltando il loro debutto intitolato Princesse Terre (Three Studies Of Silence And Death) si apre un mondo popolato di dolore e di verità negate, un affondare nella nostra maledizione, il tutto reso con un black di taglio atmosferico molto debitore alle origini ed all’ortodossia del genere. Il risultato è un disco eccezionale, moderno e sperimentale ma soprattutto sovraccarico di emozioni, in un continuo rollio di tempi ed atmosfere. I tre pezzi sono altrettante piccole nere sinfonie legate fra loro dal filo comune della sofferenza, mediate da una composizione al di sopra della media, con un piglio che solo i grandi gruppi black hanno, soprattutto nei crescendo con chitarre e tastiere molto presenti nel disco. Le tre lunghe suite hanno migliaia di sorprese in serbo, come un vecchio castello abbandonato infestato dagli spiriti, ma quel vecchio castello è la nostra anima. I Nyss confermano e superano quanto di buono avevano fatto nelle precedenti uscite, ed appartengono di diritto a quell’aristocrazia black metal atmosferica che sta contando ottime uscite, come potete bene vedere nel catalogo della stessa Avantgarde Music. Dischi come questo sono un arricchimento culturale ed un estremo oscuro piacere per gli amanti del genere, perché qui ci troviamo a livelli altissimi.

Tracklist
I
II
III

Line-up
Þórir Nyss ~ Instruments of the art
L.C. Bullock ~ Invocations

NYSS – Facebook

Narbeleth – Indomitvs

In Indomitvs non troviamo alcuna tentazione avanguardistica, sinfonica o atmosferica: Narbeleth è sinonimo di puro e fedele black scandinavo, sebbene la sua progressiva crescita stia avvenendo da una zona del pianeta ben lontana dalle gelide e maestose foreste del Nord Europa.

Narbeleth è il progetto musicale del musicista cubano Dakkar, il cui operato è già stato trattato in occasione dei due lavori precedenti, A Hatred Manifesto e Through Blackness and Remote Places.

Indomitvs è il quarto full length pubblicato a partire dal 2013 e rappresenta il consolidamento di una posizione di tutto rispetto assunta dal musicista dell’Avana, rappresentando peraltro un qualcosa che nulla ha a che vedere con la normale curiosità destata dalla provenienza caraibica, oggettivamente anomala quando il genere trattato è il black metal.
Dakkar non fa nulla per trasformare la materia, ma la prende nella sua versione primitiva riversandola sullo spartito con convinzione e competenza: è così, infatti che il black riacquista le sue sembianze originarie grazie ad un incedere ruvido, diretto, ma non privo di un senso melodico in grado di fare la differenza rispetto ad una sterile riproposizione del genere.
Come d’abitudine, il nostro chiude i propri lavori con una cover che omaggia importanti nomi (non sempre tra i più famosi) del passato e così, dopo Darkthone, Urgehal e Judas Iscariot, in Indomitvs è la volta degli Arckanum, il cui atteso ritorno peraltro uscirà sempre per Folter Records a fine settembre: un segni di profondo rispetto da parte di Dakkar per le radici del genere, ma anche un sintomo di apertura verso un’interpretazione fedele e di ampio respiro, trattandosi a ben vedere di quattro realtà piuttosto differenti tra loro.
Per il resto, i sette brani offerti si equivalgono, senza toccare vette irraggiungibili ma neppure scendendo mai al di sotto di un buon livello, in virtù di un approccio sincero riscontrabile in maniera esemplare nelle ottime When the Sun Has Died, Via Profane Crafts e soprattutto The First to Rise, nella quale l’evocazione di antiche divinità è accompagnata anche da un pregevole lavoro di chitarra solista.
In Indomitvs non troviamo alcuna tentazione avanguardistica, sinfonica o atmosferica: Narbeleth è sinonimo di puro e fedele black scandinavo, sebbene la sua progressiva crescita stia avvenendo da una zona del pianeta ben lontana dalle gelide e maestose foreste del Nord Europa.

Tracklist:
1. The Distortion of Life
2. When the Sun has Died
3. The Lower Point of the Star
4. Herald of the Dawn
5. The First to Rise
6. Via Profane Crafts
7. Sinister Laberynths of Human Soul
8. Daudmellin (Arckanum cover)

Line-up:
Dakkar – All vocals, Guitars, Bass

NARBELETH – Facebook

Atrexial – Souverain

Sembra che, dopo tanti anni trascorsi negli abissi dell’underground estremo, Naga S.Maelstrom e compagni abbiano trovato la via giusta per arrivare almeno alla superficie, con l’aiuto di una label che di sonorità death/black se ne intende.

Metal estremo nero come la pece, inglobato in un armageddon di suoni death/black in arrivo da Barcellona.

Una reunion di demoni sotto il monicker Atrexial, provenienti da alcune realtà della scena underground catalana, chiamati a raccolta da Naga S. Maelstrom, chitarrista degli Human Carnage, death metal band inattiva da un bel po’ di anni, raggiunto da Louen (chitarra e voce) e Labelua (batteria).
Il trio, diventato nel frattempo un quartetto con l’arrivo di Belegurth, licenzia il suo esordio sotto Gods Ov War, questo minaccioso Souverain che nulla toglie e nulla aggiunge al mondo oscuro del metal estremo, ma si colloca tra quelle opere di nicchia che gli estimatori del genere potrebbero trovare malignamente gradevole.
Death/black alla Behemoth, con molti tratti distintivi che ci portano pure in Svezia, specialmente quando la band lascia i mid tempi e le ritmiche death, per abbandonarsi al black metal duro e puro e prodotto discretamente, quanto basta per rendere il maelstrom musicale godibile, Souverain risulta un buon lavoro di genere, attraversato da venti maligni che portano burrasche estreme, alternando death/black a sferzate black metal, mentre attimi di atmosferici ricami acustici sfumano in ripartenze e assalti sonori dal buon impatto.
Qualche brano più ordinario lascia il palcoscenico a buone cavalcate estreme come Under The Scourge Of Lamashtu o Illuminator, dando in pasto ai fans del genere un album certamente dotato della giusta attitudine.
Sembra che, dopo tanti anni trascorsi negli abissi dell’underground estremo, Naga S.Maelstrom e compagni abbiano trovato la via giusta per arrivare almeno alla superficie, con l’aiuto di una label che di sonorità death/black se ne intende.

Tracklist
1.Enthronement (Intro)
2.The Hideous Veil of Innocence
3.Under the Scourge of Lamashtu
4.Unmerciful Imperial Majesty
5.Illuminatur
6.The Ominous Silence
7.Ascension
8.Shadows of the Nephilim Throne
9.Trinity
10.Souverain
11.Eternal (Outro)

Line-up
Naga S. Maelstrom – Bass, Guitars, Synths
Labelua – Drums
Louen – Guitars, Vocals (lead)

ATREXIAL – Facebook