Rapture – Paroxysm Of Hatred

Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Death/thrash che sputa puro odio e violenza, con un sound che partendo da una base thrash old school si potenzia di cattiveria death per un risultato annichilente: questo è Paroxysm Of Hatred, nuovo lavoro dei greci Rapture, secondo full length dopo Crimes Against Humanity, uscito nel 2015, ed una manciata di ep.

Il quartetto proveniente dalla capitale ellenica non si risparmia e parte veloce e cattivo come pochi, rifilando una serie di mitragliate per una quarantina di minuti senza soluzione di continuità: questo è un death/thrash vecchia scuola che  molto deve ai primi Slayer, ma che si ricopre di una discreta gloria con questi otto brani spietati e assassini.
Odio, misantropia, orrore, guerra e morte, descritte con l’aiuto di un metal feroce ed aggressivo, suonato bene e prodotto quel tanto che basta per arrivare in fondo all’ascolto senza problemi (una virtù non da poco per il genere).
I Rapture ci sanno fare, interpretano la musica estrema con attitudine e quell’impatto necessario per convincere lungo tutto l’ascolto dell’album che forma, nella sua interezza, un assalto sonoro devastante.
Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school appunto di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Tracklist
1.Thriving on Atrocity
2.Vanishing Innocence
3.Redemption Through Isolation
4.Paroxysm of Hatred: Procreation
5.Misanthropic Outburst
6.Taken by Apathy
7.Quintessence of Lunacy
8.Paroxysm of Hatred: Revelation

Line-up
Stamatis Petrou – Bass
Nikitas Melios – Guitars
Apostolos Papadimitriou – Guitars, Vocals
Giorgos Melios – Drums

RAPTURE – Facebook

Lloth – Athanati

In Athanati, i Lloth antepongono a tutto un’emotività che si percepisce ad ogni nota, nonostante il dolore venga esplicitato tramite un sound robusto e spesso rabbioso, per quanto ammantato senza soluzione di continuità da un afflato melodico in grado di fare la differenza.

La storia dei Lloth è legata a stretto filo con quella delle Astarte, la band con la quale brillò fulgida la stella di Maria Tristessa Kolokouri prima che gli dei dell’Olimpo decidessero di richiamarla al loro cospetto.

Questo è infatti l’iniziale monicker che una delle prime band estreme interamente al femminile utilizzò prima di quello che la fece poi conoscere agli appassionati più attenti: non a caso i Lloth sarebbero dovuti rinascere parallelamente alle Astarte, se non fosse arrivata la malattia a interrompere bruscamente un progetto volto a sviluppare ulteriormente il black death melodico di tipica matrice mediterranea.
In ossequio alla memoria di Maria i riformati Lloth hanno pubblicato lo scorso anno questo Athanati (immortale, in greco) e, guidati dal marito della musicista Nicolas Sic Maiis, sono riusciti a dar vita a cinquanta minuti di musica magnifica, intensa ed emozionante, come spesso accade quando la vis compositiva si nutre delle avversità e del tentativo di elaborare i lutti per trasformare il dolore in una forma artistica dall’impatto dirompente.
Nel fare ammenda per l’aver ascoltato Athanati solo oggi, a sei mesi dalla sua uscita, non posso fare a meno di dire che un lavoro di tale spessore non ha avuto il risalto che avrebbe meritato; davvero strano, visto che il black death melodico costruito dai Lloth è quanto di più trascinante e coinvolgente sia stato dato ascoltare negli ultimi anni, grazie ad una formula che, partendo dalle basi poste da band come Moonspell e, ovviamente, Rotting Christ e Nightfall, ne incrementa la componente epica del sound innestandovi quel senso melodico che è marchio di fabbrica delle band dell’Europa meridionale.
Ma, come sempre, le parole rischiano essere riduttive per un lavoro che non molla mai la presa, baciato com’è da un songwriting eccellente e da un’esecuzione strumentale lineare quanto impeccabile, con il growl profondo di Nicolas Sic Maiis a condurre le danze, aiutato in alcune tracce da numi tutelari della scena metal ellenica come Efthimis Karadimas, in In the Name of Love (Sacrifice), e Sakis Tolis, in Hell (Is a Place on Earth), senza dimenticare i vocalizzi offerti in Tristessa da Androniki Skoula, cantante dei Chaostar di Christos Antoniou.
Athanati offre una serie di brani splendidi, tra i quali si farebbe fatica ad estrarre dal mazzo un potenziale singolo solo per l’imbarazzo della scelta tra la title track (che trae linfa da Alma Mater dei Moonspell), Born Of Sin (per quel che vale la mia preferita) con una melodia chitarristica pressoché indimenticabile, In the Name of Love (Sacrifice), ultima traccia composta da Maria e che nell’interpretazione congiunta di Nicolas ed Efthimis finisce per renderne ancora tangibile la presenza tra di noi, Empitness (e non poteva essere diversamente con il già citato contributo di Sakis) e il conclusivo epico inno intitolato I (Dead Inside).
E se Pan,  Alles in Black e Hell (Is a Place on Earth) sono comunque bellissimi pezzi, che magari restano solo un pizzico meno agganciati alla memoria rispetto a quelli citati, vanno segnalati ancora due episodi importanti nell’economia dell’album per il loro significato intrinseco, come Archos, dedicata al figlio della coppia, dai ritmi più rallentati ed avvolgenti, ed il poetico intermezzo acustico di Tristessa.
Athanati potrà anche difettare in originalità, perché l’influenza di Rotting Christ e Nightfall è percepibile, non solo per l’imprimatur fornito all’album dai rispettivi leader, però la grandezza dei Lloth sta proprio nel far passare questo aspetto in secondo piano, anteponendo a tutto un’emotività che si percepisce ad ogni nota, nonostante il dolore venga esplicitato tramite un sound robusto e spesso rabbioso, per quanto ammantato senza soluzione di continuità da un afflato melodico in grado di fare la differenza.
Questo è un album stupendo, che lascia quale unico interrogativo quello sulla capacità dei Lloth di esprimersi nuovamente in futuro su questi livelli, quando potrebbero essere chiamati a dover comporre un’opera il cui significato non vada, come in questo caso, oltre quello prettamente musicale, anche se mi sento di scommettere sul fatto che Maria continuerà a lungo e con gli stessi esiti a fungere da Musa ispiratrice della band.

Tracklist:
1. Athanati
2. Archos
3. Pan
4. Born in Sin
5. In the Name of Love (Sacrifice)
6. Alles in Black
7. Hell (Is a Place on Earth)
8. Emptiness
9. Tristessa
10. I (Dead Inside)

Line-up:
Panthimis – Bass
Setesh – Guitars
Vaelor – Guitars
Nicolas Sic Maiis – Vocals

Guests:
Foivos Andriopoulos – Drums
Efthimis Karadimas – Vocals (additional) (track 5)
Sakis Tolis – Vocals (additional) (track 7)
Androniki Skoula – Vocals (additional) (track 9)

LLOTH – Facebook

Dephosphorus – Impossible Orbits

La musica dei Dephosphorus accoglie gran parte dei generi di cui si compone il lato più violento del metal e lo scaglia nello spazio perfettamente assemblato in un sound siderale, mistico ed affascinante, rendendo l’ascolto un’esperienza da vivere, specialmente se siete amanti dei suoni estremi dal taglio grind.

Dallo spazio profondo tornano i greci Dephosphorus, entità aliena della scena grind europea.

Una carriera iniziata dieci anni fa ha portato il gruppo fino ad oggi, con tre album pubblicati ed una manciata di split ed ep a continuare un discorso musicale che, partendo da una base grindcore, immette nello spazio cosmico un sound formato da death, black metal e hardcore, ovvero un caos lucido e micidiale, freddo come il buio nel profondo dell’universo, risvegliato dallo scream urlante del vocalist Panos Agoros.
Impossible Orbits risulta così un navigare senza meta nello spazio astrale, mentre il silenzio è rotto dall’opener  Above The Threshold e dal black metal che si insinua come un virus extraterrestre di The Light Of Ancient Mistakes.
Metal estremo che ha la sua forza nell’originalità non solo concettuale, la musica dei Dephosphorus accoglie gran parte dei generi di cui si compone il lato più violento del metal e lo scaglia nello spazio perfettamente assemblato in un sound siderale, mistico ed affascinante, rendendo l’ascolto un’esperienza da vivere, specialmente se siete amanti dei suoni estremi dal taglio grind.

Tracklist
1.Above the Threshold
2.Micro-Aeons of Torment
3.Rational Reappraisal
4.Αστερόσκονη (Asteroskoni)
5.Impossible Orbits
6.Imagination Is Future History
7.The Light of Ancient Mistakes
8.Suspended in a Void Universe
9.Blessed in a Hail

Line-up
Thanos Mantas – Guitars
John Votsis – Drums
Panos Agoros – Vocals
Costas Ragiadakos – Bass

DEPHOSPHORUS – Facebook

Drawn And Quartered – Feeding Hell’s Furnace

Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Altra ristampa licenziata dalla label francese Krucyator Productions questa volta dedicata ad un combo storico della scena death metal statunitense, i Drawn And Quartered.,

Il trio si forma a Seattle nel lontano 1993, diventando una band di culto nel panorama estremo con una serie di lavori di ispirazione old school e molto vicino al brutal.
Sei lavori sulla lunga distanza ed una manciata di opere minori sono l’eredità che i Drawn And Quartered hanno lasciato fino ad ora agli amanti del genere, questo brutale assalto estremo dal titolo Feeding Hell’s Furnace uscì cinque anni fa sotto l’ala dell’etichetta greca Nuclear Winter Records, ed ora è reso disponibile dalla label transalpina anche in musicassetta.
Con due bonus track come piccolo regalo per i fans tratte dall’ep Conquerors of Sodom del 2011 (la title track e Seed Of Insanity), Feeding Hell’s Furnace è ancora una volta pronto a brutalizzare i padiglioni auricolari dei deathsters dai gusti old school.
Il trio americano è una macchina da guerra, la tensione è altissima, l’oscurità regna sovrana e l’album non concede tregua tra furiosi blast beat, atmosfere maligne ed eterne cadute negli abissi più profondi dove regna il male.
Vecchie volpi del genere, i tre musicisti sanno come manipolare la materia, portando un attacco frontale che non conosce pause, di chiara scuola Bay Area tra Cannibal Corpse, Morbid Angel e Massacre.
Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Tracklist
1. Stabwound Invocation
2. Feeding Hell’s Furnace
3. A World in Ashes
4. Mutilated Offerings
5. Lustmörder
6. Horde of Leviathan
7. Gravescape
8. Cryptic Consecrations
9. No Absolution
10. Conquerors of Sodom
11. Seed of Insanity

Line-up
Kelly Kuciemba – Guitars
Herb Burke – Bass, Vocals
Dario Derna – Drums

DRAWN AND QUARTERED – Facebook

Paroxsihzem – Paroxsihzem

I canadesi Paroxsihzem tornano dall’inferno grazie alla Krucyator Productions che ristampa in formato musicassette il loro unico lavoro sulla lunga distanza in dieci anni di attività, uscito originariamente autoprodotto nel 2010, poi ristampato due anni dopo dalla Dark Descent Records e nel 2013 licenziato in vinile dalla Hellthrashers Productions.

La loro discografia viene completata da una manciata di lavori minori tra cui l’ultimo diabolico parto uscito lo scorso anno in formato ep, dal titolo Abyss Of Coiling Atrocities.
I Paroxsihzem sprigionano caos in musica, e il loro metal estremo, misantropico e marcio fino al midollo risulta davvero insostenibile se non si è avvezzi ai generi di cui sopra estremizzati da piaghe di disagio notevoli.
Questo album omonimo rispecchia la totale mancanza di speranza e luce, con la band avvolta nell’oscurità ed ispirata da filosofie diaboliche in un contesto di musica primordiale, pesantissima e senza compromessi: un macabro esempio di metal estremo senza soluzione di continuità, brutale ed oscuro che ne esce come una lunga litania estrema divisa in sette terribili e maligni capitoli.
Gli estimatori della band canadese, in attesa del prossimo capitolo dopo l’ep dello scorso anno, nel frattempo si possono gustare questa sofferenza in musica targata Krucyator Productions.

Tracklist
1.Intro
2.Vanya
3.Nausea
4.Deindividuation
5.Godot
6.Tsirhcitna Eht
7.Aokigahara

Line-up
Album Line Up:
Impugnor — Guitar/Bass
Krag — Vocals
Frog — Drums

Current Line Up:
Impugnor — Guitars/Bass
Krag — Vocals
Abhorr — Guitar
Abyss — Drums
Subjugator — Bass

PAROXSIHZEM – Facebook

Auroch – From Forgotten Worlds

Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.

Uscito originariamente nel 2012, From Forgotten Worlds è il primo full length dei canadesi Auroch, ristampato dalla Krucyator Productions in versione musicassetta.

La band, attiva dal 2008, dopo altri due lavori sulla lunga distanza (Taman Shud del 2014 e Mute Books, uscito lo scorso anno) ed una manciata di lavori minori, ha avuto nel frattempo qualche cambio in line up, ora composta da Sebastian Montesi (chitarra e voce), Shawn Hache (basso e voce) e Zack Chandler (batteria).
From Forgotten Worlds ai tempi dell’uscita confermava le ottime impressioni suscitate dai due precedenti demo, con il loro metal estremo che prendeva forza tanto dal death metal quanto dal black, sconfinando addirittura nel grind.
Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.
Licenziato dalla Hellthrashers Productions in cd, l’album fu ristampato in vinile lo scorso anno via 20Buckspin e ora in musicassetta, a ribadire l’assoluta attitudine underground del progetto.
Siamo al cospetto di un sound senza compromessi, marcio ed estremo, occulto e misantropico, un muro sonoro attraverso il quale la luce non passa ed il buio regna sul mondo governato dagli Auroch.
Morbid Angel e Deicide, rafforzati da tempeste di thrash e black metal, sono gli ispiratori di brani davvero mostruosi come Fleshless Ascension (Paths Of Dawn) e Terra Akeldama, i migliori di un lavoro sicuramente da non perdere per gli amanti del metal estremo più oscuro e maligno.

Tracklist
1. From Forgotten Worlds
2. Fleshless Ascension (Paths of Dawn)
3. Slaves to a Flame Undying
4. Dregs of Sanity
5. Pathogenic Talisman (For Total Temporal Collapse)
6. Terra Akeldama
7. Bloodborne Conspiracy
8. Tundra Moon

Line-up
ALBUM LINEUP:
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals, Bass, Lyrics
Paul Ouzounov— Guitars, Vocals
Zack Chandler— Drums

Current Line Up :
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals
Shawn Hache— Bass, Vocals
Zack Chandler— Drums

AUROCH – Facebook

Azziard – Metempsychose

Di Metempsychose colpisce la potenza che viene sprigionata da ogni singola nota , con i rari rallentamenti vicini al doom che hanno la funzione di una breve sosta, utile per riprendere il fiato prima che che la macchina si rimetta in moto con tutto il suo carico di malevola oppressione.

Terzo full length per i francesi Azziard, band alle prese da una quindicina d’anni con un’interessante interpretazione della materia black/death.

Metempsychose è cantato interamente in lingua madre ed è incentrato a livello di tematiche sull’opera del noto psicologo svizzero Carl Jung; vista la materia trattata la musica procede di conseguenza, con l’esibizione di sonorità opprimenti, claustrofobiche ma anche denotate da una produzione efficace, capace di restituire al meglio tale turbinio di sensazioni senza farlo apparire un coacervo di rumori ovattati.
Questo, a mio avviso, aumenta non poco il valore di un album la cui componente death fa approdare a più di un passaggio contraddistinto da riff piuttosto geometrici, ai quali fanno da contraltare ritmiche tipicamente black con il drumming di Anderswo decisamente in evidenza.
Musicalmente gli Azziard non sono sperimentali come gran parte delle band provenienti dalla Francia, ma non per questo il loro black metal si può considerare di semplice assimilazione: le dissonanze non mancano e comunque non viene mai meno in ciascun brano un’aura inquieta e drammatica; anche l’interpretazione vocale del fondatore della band A.S.A. è davvero molto efficace, trovando un’espressiva via di mezzo tra growl e screaming, senza dimenticare in tal senso anche l’apporto degli ospiti Julien Truchan (Benighted) e Psycho (Antilife).
Il quadro complessivo delinea senza ombra di dubbio un album dal notevole impatto e che, sicuramente, è in grado di spingersi fino alle orecchie di chi apprezza il metal estremo, pesante e pensante, al di là delle barriere di genere: Metempsychose è alla fine una gragnuola di colpi che si abbatte sull’ascoltatore senza particolare misericordia, disturbando il giusto il suo già inquieto sonno.
Così, se L’Enfer sembra da subito uno dei brani più impattanti ascoltati quest’anno, Ascension e Unus Mundus ne raggiungono puntualmente la forza dirompente e allo stesso tempo evocativa, rappresentando i picchi di un lavoro di qualità spaventosa, come lo sono la convinzione e la competenza con le quali viene gestito l’approccio al genere.
Se gli Azziard non possono essere considerati degli innovatori, nessuno può togliere loro la patente di interpreti di livello assoluto di un black/death che non ha proprio nulla da invidiare a nomi più celebrati come lo possono essere i per esempio i Behemoth: di Metempsychose colpisce la potenza che viene sprigionata da ogni singola nota , con i rari rallentamenti vicini al doom che hanno la funzione di una breve sosta, utile per riprendere il fiato prima che che la macchina si rimetta in moto con tutto il suo carico di malevola oppressione.
Un gran bel disco, per una band che pare aver trovato la sua definitiva e matura forma espressiva.

Tracklist:
1. Premier Jour
2. L’Enfer
3. L’Anachorète, Dies
4. Ascension
5. Le Meurtre du Héros
6. Second Jour
7. Archétype
8. Unus Mundus
9. Psyché
10. Le Sacrifice

Line-up:
A.S.A. : Vocals
Nesh : Guitars
Anderswo : Drums
Gorgeist : Guitars
Sarnath : Bass

AZZIARD – Facebook

Myth Of A Life – Chimera

La caratteristica principale del sound del gruppo di Sheffield è la capacità di mantenere un approccio di ispirazione scandinava (primi In Flames, At The Gates), lasciando che ritmiche e sfumature guardino al più moderno metal estremo statunitense senza snaturare l’approccio nordico, come appunto negli In Flames post Clayman.

I Myth Of A Life sono una band di stanza nel Regno Unito, ma di fatto da considerare una band internazionale.

I musicisti coinvolti si rincorrono in una line up volubile, tanto che lo scorso album (She Who Invites) era stato registrato da una formazione che al momento dell’uscita era cambiata di ben quattro elementi con il solo Phil Dellas unico superstite, dietro al microfono.
Il gruppo torna sul finire dell’anno e ancora una volta troviamo non pochi cambiamenti, con il numero di musicisti ridotto a due (Dellas, viene affiancato da William Price al basso e alla chitarra).
Un anno è passato dal precedente full length e i Myth Of Life confermano con questi tre brani più intro la bravura con cui si approcciano al death metal melodico.
Dura poco più di dieci minuti ma Chimera risulta di un’intensità pazzesca: il sound della band mantiene inalterato il mood che aveva caratterizzato i brani di She Who Invictes, quindi grande impatto, ottima tecnica, cavalcate furiose e tanta melodia, con un Dellas sugli scudi tra un rabbioso screaming e un profondo growl.
La chitarra impazza prendendoci per i capelli e trascinandoci senza pietà, i solos melodici suonati a velocità sostenute esaltano, così che la title track si dimostra subito un gran pezzo di granito melodic death.
La caratteristica principale del sound del gruppo di Sheffield è la capacità di mantenere un approccio di ispirazione scandinava (primi In Flames, At The Gates), lasciando che ritmiche e sfumature guardino al più moderno metal estremo statunitense senza snaturare l’approccio nordico, come appunto negli In Flames post Clayman.
Le due tracce che completano l’EP (God Within e The True Face Of Death) confermano l’ottimo trend del gruppo britannico e Chimera non fa che alzare le aspettative sul prossimo full length.

Tracklist
1. Omen
2. Chimera
3. God Within
4. The True Face Of Death

Line-up
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
William Price – guitars, bass

MYTH OF A LIFE – Facebook

Stillborn – Mirrormaze & Die in Torment 666

Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

La Godz Ov War ci presenta i primi due album licenziati dagli Stillborn, realtà anticristiana di stanza a Mielec, in Polonia.

Usciti originariamente tra il 1999 ed il 2001, i due lavori in questione risultano l’inizio della carriera musicale del combo polacco, che in seguito darà alle stampe un paio di lavori minori e ben cinque full length di cui Testimonio de Bautismo è l’ultimo malefico parto uscito lo scorso anno.
Vecchi ormai di quasi vent’anni, i due demo difettano di una produzione old school, ma il death/black metal di cui sono portatori tiene bene lo scorrere del tempo. risultando sempre cattivo, maligno ed oscuro.
Una raccolta di brani che ben presenta il sound del gruppo polacco, in linea con la scena estrema dell’est europeo e che alterna sfuriate black metal a più possenti trame death.
L’attitudine e l’impatto sono perfettamente in simbiosi con la nera fiamma che brucia ininterrottamente tra le note di brani  diretti e senza fronzoli e che sputano veleno in pochi minuti.
Un growl più profondo ed uno scream diabolico si danno il cambio portando il verbo satanista in musica, mentre l’oscurità regna tra lo spartito di Crave For Killing e Mirrormaze (da Mirrormaze) o Keep Dying e Millennium Of Hatred (da Die In Torment 666).
Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

Tracklist
1.Crave For Killing
2.Hefaystos
3.Die In Torment
4.Nailed Hessus
5.Mirrormaze
6.Morphine Laboratory
7.Stillborn
8.Artror City
9.Molestation*
10.Iconoclast* (Mirromaze Era version)
11.Keep Dying
12.Blasphemous Perversion
13.Whore
14.Millenium of Hatred
15.Blood, Chains & Whips
16.Iconoclast (D.I.T.666 Era version)
17.God Is Good

Line-up
Line Up Mirrormaze:
Killer – Guitars, Bass, Vocals
Rafał R. – Drums
Grzegorz O. – Guest Growling
Łukasz P. – Sample

Line Up Die In Torment 666:
Killer – Guitars, Vocals
Rafał R. – Drums
Andrzej T. – Bass
Łukasz M. – Vocals

STILLBORN – Facebook

Desecrated Grounds – Lord Of Insects

Lord Of Insects è un album per gli amanti del death/thrash senza compromessi ed è a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Una nuova band si affaccia sul panorama estremo underground, i finlandesi Desecrated Grounds, quintetto proveniente dalla capitale attivo da tre anni e di questi tempi fuori con il primo album Lord Of Insects.

Death thrash metal con un taglio hardcore è quello che ci propongono i cinque guerrieri, una tempesta senza soluzione di continuità che unisce la potenza del death metal old school e la velocità e violenza del thrash metal suonati con un’attitudine hardcore che ne accentua la pericolosa indole estrema.
Lord Of Insects è un lavoro devastante, ma anche una prova solo a tratti convincente, così che la proposta non può che essere consigliata ai soli fans della violenza in musica.
I difetti non mancano, perché alla lunga l’album soffre di una leggera ripetitività, tipica di quando il sound è un mostro musicale estremo e senza compromessi: manca infatti nei brani quel quid che faccia in modo di ricordarsi di loro, mentre l’album si presenta come un muro sonoro invalicabile.
Il groove fa capolino solo  a tratti (Stabwound Addict) rendendo ancora più profondo il suono, mentre il growl rabbioso risulta monocorde.
Un album che per gli amanti del genere risulterà sicuramente una randellata notevole ed è solo a loro che va consigliato, con tutte le perplessità del caso.

Tracklist
1.The Story Untold
2.Awaken
3.Lord of Insects
4.Stabwound Addict
5.Sewing the Head Back
6.Filth
7.The Death in Me
8.The Manifest
9.Valve

Line-up
Keijo Loisa – Guitars
Erno Hulkkonen – Guitars
Jere Sjöblom – Bass
Jussi Salminen – Vocals
Tapio Christiansen – Drums

DESECRATED GROUNDS – Facebook

Tribulation – Down Below

Un album per le anime notturne, ispirato e coinvolgente, sempre in bilico tra death metal melodico e dark rock.

Una gradita sorpresa è questo nuovo album degli svedesi Tribulation, attivi dall’alba del nuovo millennio prima come Hazard e poi dal 2004 con l’attuale monicker, con il quale hanno dato alle stampe una manciata di lavori minori e quattro full length di cui questo Down Below è sicuramente il migliore.

Il death metal pregno di attitudine black degli esordi infatti si è trasformato in un metal dalle tinte horror, che prende dal death l’oscurità e la pesantezza in qualche ritmica, ma lascia alle melodie dark il compito di rendere sempre più convincente la proposta del gruppo.
Il sound di questo lavoro, infatti, si potrebbe tranquillamente annoverare tra il death metal melodico, ricamato di neri pizzi dark rock, valorizzato da riff doom dark ed atmosfere melanconicamente horror.
A tratti nei brani affiora una raffinatezza compositiva che non ti aspetti e che fa di brani come The Lament o Lady Death dei perfetti esempi di dark rock appesantiti dalla componente metal, quel tanto che basta per accontentare i fans dei primi Katatonia, dei Sentenced o dei Sisters Of Mercy.
La band lascia fuori dal suo mondo inutili parti in clean per lasciare ad uno scream profondo il compito di accompagnare la musica, e la scelta non può che risultare felice, mantenendo intatta la parte estrema che lotta con le splendide melodie dark/evil di Cries From The Underworld e soprattutto Lacrimosa, brano top di questo nuovo lavoro targato Tribulation.
Death metal e dark rock, un connubio di certo non originale ma che nel sound di Down Below trova una dimensione consona, nobilitato dalle splendide melodie create da una band che mantiene alta la qualità della sua proposta con The World, brano alla Fields Of The Nephilim che lascia spazio al gran finale, con Here Be The Dragon e le sue oscure sinfonie dark.
Un album per le anime notturne, ispirato e coinvolgente, sempre in bilico tra death metal melodico e dark rock, pregno di splendide atmosfere horror ed oscuro quanto basta per piacere incondizionatamente a chi si bea del freddo abbraccio delle tenebre.

Tracklist
01. The Lament
02. Nightbound
03. Lady Death
04. Subterranea
05. Purgatorio
06. Cries From The Underworld
07. Lacrimosa
08. The World
09. Here Be Dragons

Line-up
Johannes Andersson – Bass, Vocals
Adam Zaars – Guitars
Jonathan Hultén – Guitars
Jakob Johansson – Drums

TRIBULATION – Facebook

 

Avatar – Avatar Country

Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Siamo arrivati al settimo album della saga targata Avatar, una delle band più originali e sorprendenti che il metal possa annoverare tra le sue fila.

Nato come melodic death metal band, infatti, il gruppo svedese ha cambiato pelle non solo tra un album e l’altro ma addirittura all’interno della stessa opera, lasciando pochissimi punti di riferimento stilistici e passando tra i generi dei più disparati come un ape in un bellissimo prato fiorito.
Capitanati dall’incredibile ugola del singer Johannes Michael Gustaf Eckerström, capace come la musica di trasformarsi a suo piacimento in un singer death ed un attimo dopo lanciare il suo grido di battaglia dai toni power metal, per poi avanzare marziale come un cantante industrial metal, la band ci consegna un concept incentrato sulla storia di un uomo destinato a diventare un re, arrivato nell’arida terra di Avatar per regnare a colpi di metal, vario, alternativo e soprattutto fuori dagli schemi.
L’album parte magnificamente con l’intro Glory To Our King, che lascia spazio al power metal della poderosa Legend Of The King per poi aprirsi al modern southern rock di The King Welcome You To Avatar Country; King’s Harvest è un brano moderno e dalle reminiscenze industrial, mentre A Statue Of The King è un massacro alla Slipiknot, fino al chorus che torna al metal più classico.
Avatar Country è una continua altalena di sorprese, un luna park di emozionante musica moderna che non conosce barriere né confini, suonata in modo impeccabile e non potrebbe essere altrimenti visto i continui cambiamenti di umori e velocità.
King After King è una semi ballad dal tiro tradizionalmente heavy, attraversata da un assolo nella parte centrale, mentre le due parti di Silent Song Of The King concludono l’album: la prima, Winter Comes When the King Dreams of Snow è un’intro atmosferica che ci accompagna verso la seconda parte, The King’s Palace, traccia strumentale che conclude questo ottimo e variopinto lavoro.
Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Tracklist
1. Glory to Our King
2. Legend of the King
3. The King Welcomes You to Avatar Country
4. King’s Harvest
5. The King Wants You
6. The King Speaks
7. A Statue of the King
8. King After King
9. Silent Songs of the King Pt. 1: Winter Comes When the King Dreams of Snow
10. Silent Songs of the King Pt. 2: The King’s Palace

Line-up
Johannes Michael Gustaf Eckerström – Vocals
John Alfredsson – Drums
Kungen – Guitars
Tim Öhrström – Guitars
Henrik Sandelin – Bass

AVATAR – Facebook

Wojczech / Krupskaya – Wojczech / Krupskaya

La 7 Degrees Records ci presenta uno split in versione 12″ che vede alternarsi due band attive nella scena underground estrema: i tedeschi Wojczech e i britannici Krupskaya.

La 7 Degrees Records ci presenta uno split in versione 12″ che vede alternarsi due band attive nella scena underground estrema: i tedeschi Wojczech e i britannici Krupskaya.

I primi si possono ormai considerare dei veterani della scena death/grind:  la loro data di inizio delle belligeranze risulta il 1993 ed in tutti questi anni il quartetto non è stato certo a guardare, pubblicando una vagonata di split insieme ad altrettante band provenienti dai più svariati paesi e due full length, Sedimente, uscito nel 2005 e Pulsus Letalis, targato 2010.
Il loro sound è un massacrante e moderno death/grind supportato dalla doppia voce, e si spinge in territori vicini al black metal per una buona alternanza di ritmiche ed umori estremi che favoriscono l’ascolto.
Sickening Discretion sa di death metal scandinavo, portato alle estreme conseguenze da un massacro ritmico tipico del grind risultando un brano davvero interessante; una band da seguire e senz’altro da rivalutare per gli amanti del genere che avranno di che sorridere mentre la propria testa comincerà a sanguinare per i colpi inferti dai Krupskaya e dai loro quattro potentissimi brani.
Meno conosciuto e poco incline a lasciare informazioni è invece il gruppo proveniente da Stoke-on-Trent, attivo da una dozzina d’anni, con un curriculum fatto di un paio di lavori e varie compilation, più gli immancabili split da tradizione nel genere, che si rifà ai maestri inglesi Napalm Death.
Quindi eccoci di fronte ad un grind devastante e feroce, suonato da una macchina da guerra estrema che non fa prigionieri e che nella sua poca originalità ha nell’impatto la sua travolgente forza.
La band ci presenta quattro brani,tra i quali Frozen Bodies Against The Wire e Skin Of The Cruciform To Ash risultano devastanti esempio di grind, tra rallentamenti al limite dello sludge e ripartenze fulminee e letali.
Due gruppi molto diversi tra loro ma allo stesso tempo portatori di musica estrema senza compromessi.

Tracklist
1.Wojczech – Burning Solids
2.Wojczech – Sickening Discretion
3.Wojczech – Stunde des Wolfes
4.Krupskaya – Frozen Bodies Against the Wire
5.Krupskaya – A Dawn of Shattered Silence
6.Krupskaya – Theosophical Separation of Earth
7.Krupskaya – Skin of the Cruciform to Ash

Line-up
Krupskaya:
Alex – vocals
Tim – guitar
Ed – drums

Wojczech:
Stephan Gottwald – Drums
Stephan Kurth – Guitars, Vocals
Danilo Posselt – Vocals
Andy Colosser – Vocals, Bass

WOJCZECH – Facebook

KRUPSKAYA – Facebook

Bleeding Gods – Dodekathlon

L’ascoltatore si rimbocca le maniche ed aiuta Ercole nelle sue leggendarie dodici fatiche, tra sfuriate death/thrash e atmosfere oscure che le orchestrazioni epico guerresche rendono ancora più mastodontiche.

Puntuale arriva la prima bomba death metal del nuovo anno.

A lanciarla è la Nuclear Blast che prende tra le sue fila gli olandesi Bleedings Gods e licenzia il loro nuovo album, Dodekathlon, un epico e monumentale lavoro di death metal old school, tra ritmiche thrash, orchestrazioni e tanto metal estremo made in Netherlands.
Le dodici fatiche di Ercole sono raccontate da questi cinque dei dell’olimpo estremo di chiara ispirazione orange, ma senza tralasciare (specialmente in questo album) di richiamare altri nomi immortali del death epico ed oscuro come i Septic Flesh, gli Hypocrisy, i nostrani Fleshgod Apocalypse e gli ultimi micidiali Kreator.
La band, al secondo lavoro, sforna un gioiellino che nel genere fa piazza pulita, essendo suonato con l’esperienza di musicisti in giro da anni a martoriare strumenti sui palchi di mezzo mondo.
L’ascoltatore si rimbocca le maniche ed aiuta Ercole nelle sue leggendarie dodici fatiche, tra sfuriate death/thrash, atmosfere oscure che le orchestrazioni epico guerresche rendono ancora più mastodontiche: From Feast To BeastBirds Of Hate, dove i Kreator incontrano la band olandese per una jam estrema nella dimora degli dei, Savior Of Crete, l’intermezzo strumentale Tyrannical Blood, che con le sue armonie acustiche accompagnate da un recitato ci introduce alle ultime quattro fatiche, e la sinfonia estrema di Tripled Anger che non lascia scampo, sono i brani da sottolineare in una tracklist che non ha cedimenti.
Con Hound Of Hell si concludono le fatiche del nostro eroe e questo bellissimo lavoro, ma il leggendario guerriero è destinato a fare gli straordinari perché premere nuovamente il tasto play è inevitabile.
Dodekathlon è un’opera bellissima ed emozionante, suonata divinamente e nobilitata da un songwriting di un’altra categoria.

Tracklist
1.Bloodguilt
2.Multiple Decapitation
3.Beloved By Artemis
4.From Feast To Beast
5.Inhuman Humiliation
6.Birds Of Hate
7.Saviour Of Crete
8.Tyrannical Blood
9.Seeds Of Distrust
10.Tripled Anger
11.Hera´s Orchard
12.Hound Of Hell

Line-up
Mark Huisman – Vocals
Ramon Ploeg – Guitar
Gea Mulder – Bass & Backing vocals
Rutger van Noordenburg – Guitar
Daan Klemann – Drums

BLEEDING GODS – Facebook

Funeral Chant – Funeral Chant

Il lavoro scorre via feroce e d’impatto, con la traccia d’apertura che mostra il meglio dei Funeral Chant ed il resto dei brani che si attestano su un livello non dissimile, con il pregio non da poco di rifuggire per quanto possibile la ripetitività.

Esordio per i Funeral Chant, quintetto californiano nato dalle ceneri di un’altra band denominata Dead Man.

Il genere offerto in questi quattro brani abbraccia lo spettro delle sonorità estreme, con il black metal a fungere da base per escursioni su territori death e thrash: il sound è diretto ma non privo di una certa ricercatezza, anche se a livello di produzione la voce sembra provenire dall’abituale sgabuzzino adiacente la sala di registrazione, ma si tratta di un’evenienza cosi frequente che fa pensare più ad una precisa scelta che non ad imperizia.
Detto ciò, il lavoro scorre via feroce e d’impatto, con la traccia d’apertura che mostra il meglio dei Funeral Chant ed il resto dei brani che si attestano su un livello non dissimile, con il pregio non da poco di rifuggire per quanto possibile la ripetitività.
Chiaramente, per emergere in maniera più decisa al prossimo giro sarà necessario approdare ad un sound maggiormente identificabile, oltre che ritoccare alcune sbavature che non impediscono a questo primo passo dei Funeral Chant di rivelarsi piuttosto godibile.

Tracklist:
1. Spiral into Madness
2. Cacophony of Death
3. Flood of Damnation
4. Cosmic Burial
5. Morbid Ways (Repugnant cover)
6. Funeral Chant

Line-up:
Cruel Force: drums
Doom of Old: guitar
† Voidbringer: vocals, guitar
Vomitor: bass guitar

FUNERAL CHANT – Facebook

Inner Hate – Reborn Through Hate

Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

La Sicilia è terra di rock e di metal: i gruppi delle varie scene sparse sul territorio sono stati ampiamente trattati da MetalEyes, che da anni ha dedicato la giusta attenzione alle più meritevoli realtà nate a sud dello stretto.

E’ quindi con piacere che vi presentiamo i thrashers Inner Hate, trio proveniente da Caltanissetta composto da Daniel Ferrara (voce, chitarra), Matt Amodeo (basso) e l’ex Thrash Bombz Vincenzo Lombardi (batteria).
La band si è formata nel 2013 ed ha già dato alle stampe un primo ep, First Hate To The World: Reborn Through Hate, anche per l’entrata in formazione di Lombardi, è un nuovo inizio per gli Inner Hate che, quattro anni dopo, tornano a mietere vittime con il loro metal estremo che si nutre di thrash come di death metal di matrice scandinava, costruendosi un sound personale ed assolutamente coinvolgente.
I quattro brani risultano altrettante esplosioni di adrenalinico metal estremo, old school nell’attitudine, violentissimo nell’impatto e valorizzato da un ottimo lavoro strumentale: nei riff di scuola scandinava troviamo la perfetta commistione con le ritmiche thrash, a formare una sacra alleanza che affianca i Kreator agli Entombed e ai primi Edge Of Sanity.
Funziona alla grande questa fusione di note nata sulle rive del mediterraneo, un patto mortale tra generi “nordici” nel caldo delle terre siciliane, mentre la devastante Time To Kill lascia spazio alla conclusiva title track, un brano perfetto per attendere l’armageddon.
Se gli Inner Hate dovessero mantenere questo livello per un intero full length sarebbe davvero un colpo notevole, quindi il consiglio è quello di non perdersi questo ep attendendo al più presto altre buone nuove da parte di questa ennesima notevole realtà nazionale.

Tracklist
1.Sentenced to Damnation
2.Unholy Cross of Death
3.Time to Kill
4.Reborn Through Hate

Line-up
Mattia Amodeo – Bass
Daniel Ferrara – Guitars, Vocals
Vincenzo Lombardi – Drums

INNER HATE – Facebook

Nephren-Ka – La Grande Guerre De L’èpice

L’album è un ottimo esempio di quello che nel genere specifico si dovrebbe trovare: tanta tecnica al servizio di un sound coinvolgente e che non dimentica i semplici ascoltatori, lasciando ad altri la mera tecnica da sfoggiare tra musicisti.

Negli ultimi tempi ho avuto modo di ascoltare una manciata di lavori estremi nei quali la mera tecnica esecutiva soffocava letteralmente il lato più atmosferico ed emotivo, creando solo un’insieme di suoni tecnicamente ineccepibili ma freddi e fuori da ogni minima forma canzone.

Questo non succede con l’ultimo lavoro dei Nephren-ka, gruppo transalpino che suona del technical death metal brutale e old school.
Siamo al secondo full length di una carriera iniziata dieci anni fa e che ha visto la band produrre il classico demo di debutto, un ep ed il primo lavoro sulla lunga distanza rilasciato nel 2013 (The Fall Of Omnius).
Ispirato come sempre dai romanzi che formano il ciclo di Dune scritto da Frank Herbert, La Grande Guerre De L’èpice è un ottimo esempio di metal estremo e brutale, tecnicamente ineccepibile ma ben legato ad una trama sonora stabile, così che i brani non scappano all’ascolto a cavallo di cervellotici passaggi strumentali.
Il gruppo francese sa come gestire al meglio un genere come il death metal più tecnico e quindi tutto funziona a meraviglia facendo di La Grande Guerre De L’èpice un lavoro altamente riuscito.
Brani come The Demise of Ix o New Melange For The Real God sono attraversati da un’aura epica che avvicina non poco il sound ai maestri Nile, una delle maggiori influenze del gruppo insieme a Origin e, per la parte maggiormente old school, i Bolt Thrower.
L’album è un ottimo esempio di quello che nel genere specifico si dovrebbe trovare: tanta tecnica al servizio di un sound coinvolgente e che non dimentica i semplici ascoltatori, lasciando ad altri la mera tecnica da sfoggiare tra musicisti: i Nephren-Ka ci sono riusciti dove altri gruppi più blasonati hanno invece fallito, complimenti al gruppo francese.

Tracklist
1.Watch and Learn
2.Plan to Master the Universe
3.The Demise of Ix
4.Proditoris Gloriosa
5.Idar Fen Adijica
6.New Melange for the Real God
7.The Great Spice War
8.Fenring’s Test
9.From High Hopes to Failure Complete
10.Mirror Mirror (Candlemass cover)

Line-up
Laurent Chambe – Vocals/Guitars
Sebastien Briat – Guitars/Backing vocals
Thibault « Zakk » Gosselin – Bass
Thibaud Pialoux – Drums

NEPHREN-KA – Facebook

Aporya – Dead Men Do Not Suffer

Dead Men Do Not Suffer, grazie al lavoro chitarristico di grande classe fornito da Cristiano Costa, pur essendo catalogabile alla voce death doom potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.

Il Brasile non sembrerebbe essere terreno fertile per il doom come per i generi più estremi o il metal classico, almeno a livello quantitativo; la qualità, invece, non può essere messa in discussione se pensiamo ad una scena capace di offrire nomi già consolidati come HellLight eMythological Cold Tower, o di più recente affermazione come i Jupiterian.

A provare ad inserirsi in tale novero provano gli Aporya, band nata solo scorso anno per l’impulso del chitarrista Cristiano Costa che ha poi trovato il suo ideale completamento nel vocalist Tiago Monteiro: Dead Men Do Not Suffer è il titolo del loro interessante esordio, all’insegna di un death doom melodico che a tratti ricorda i Tiamat epoca Clouds, specialmente in un brano come One More Day, forse anche a di un’impostazione vocale a tratti simile a quella utilizzata ai tempi da Edlund, con un growl non troppo profondo e a tratti quasi sussurrato.
Al di là di questo, si capisce che gli Aporya sono un progetto nato dalla mente di un chitarrista proveniente dal metal classico, visto l’abbondante quanto appropriato ricorso ad assoli dolenti e melodici che prendono piede, soprattutto, nella seconda metà dell’album, invero ingannevole al suo avvio con un brano death tout court (ma notevolissimo) come Cry of the Butterfly, che va a spezzare l’iniziale incantesimo creato dalla tenue intro Blood Rain.
Da The Sad Tragedy (I’m Crushed Down) in poi il lavoro comincia ad assumere le coordinate promesse, ovvero quelle di un death doom melodico, elegante ma dall’impatto emotivo che si mantiene sempre apprezzabile, grazie al connubio tra le linee chitarristiche, il soffuso supporto delle tastiere ed un’interpretazione vocale che non va a sovrapporsi in maniera eccessiva alle tessiture strumentali.
Dead Men Do Not Suffer prende quota ancora più nella sua parte finale, in coincidenza con quei brani nei quali Costa sfoga tutto il suo sentire melodico abbinato ad un tocco chitarristico di grande classe; anche per questo l’album, pur essendo catalogabile alla voce death doom, potrebbe rivelarsi molto appetibile anche per chi apprezza l’ heavy metal dai tratti più malinconici.
In definitiva gli Aporya si rivelano una gradita sorpresa e l’approdo alla configurazione di band vera propria, finalizzata alla riproposizione dal vivo dei brani contenuti nell’album, non potrà che rivelarsi un valore aggiunto nell’ambito di un percorso iniziato nel migliore dei modi.

Tracklist:
1. Blood Rain
2. Cry of the Butterfly
3. The Sad Tragedy (I’m Crushed Down)
4. Little Child in the Grave
5. One More Day
6. Pain and Loneliness
7. Dead Men Do Not Suffer

Line-up:
Cristiano Costa – Guitars (lead), Songwriting
Tiago Monteiro – Vocals, Lyrics

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Druid Lord – Grotesque Offerings

Un lavoro che saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.

Quando si avvicina la fine dell’anno succede spesso di ritrovarsi al cospetto di band notevoli, che in Zona Cesarini (come si dice in gergo calcistico), piazzano i loro splendidi lavori come un goal all’ultimo secondo di un’avvincente partita.

Quest’anno, parlando di death metal dalle chiare influenze doom, la plastica rovesciata che vale un campionato la fanno gli statunitensi Druid Lord con questo Grotesque Offerings, monumentale esempio di musica del destino potenziata da sua maestà il death e resa ancora più estrema ed affascinante da un concept horror preso in prestito dalla cultura cinematografica e fumettistica degli anni settanta.
Il quartetto nasce in Florida nel 2010 e di quell’anno è l’esordio sulla lunga distanza Hymns for the Wicked, seguito da una serie di ep e split che accompagnano la band fino al mastodontico Grotesque Offerings, che nasce e prende forma in qualche profondità infernale e torna in superficie a trasformare questo fine 2017 in una marcia inesorabile verso la perdizione ed il puro terrore.
Il lavoro saggiamente mantiene la sua natura underground, rendendo i Druid Lord un gruppo da seguire, almeno per chi ama il genere ed il death metal rallentato e appesantito da cascate di watt che si trasformano in magma infernale.
Composto da una serie di brani atmosfericamente perfetti per notti da incubi (l’opener House Of Dripping Gore, Night Gallery, il capolavoro doom/horror Evil That Haunts This Ground e la discesa nel pozzo delle anime dannate intitolata Last Drop Of Blood) l’album è una notevole opera estrema, lenta ed inesorabile e composta da attimi davvero suggestivi.
Immaginate gli Asphyx, i primi Cathedral e i primi Paradise Lost amalgamati con il doom classico di Pentagram e Candlemass, ed ispirati dai film della Hammer (la nota casa di produzione britannica, molto attiva negli anni settanta): ecco gli ingredienti che rendono Grotesque Offerings imperdibile.

Tracklist
1.House of Dripping Gore
2.Night Gallery
3.Spells of the Necromancer
4.Evil That Haunts This Ground
5.Black Candle Seance
6.Creature Feature
7.Into the Crypts
8.Murderous Mr. Hyde
9.Last Drop of Blood
10.Final Resting Place

Line-up
Pete Slate- Lead & Rhythm Guitar
Tony Blakk- Vocals & Bass
Ben Ross- Rhythm & Lead Guitar
Elden Santos – Drums

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