Thecodontion – Jurassic

Basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale.

I Thecodontion sono un gruppo romano di black death che si presenta con la seguente frase : no guitars, just death.

Infatti i bassi sono due, distortissimi ed incredibili, con una batteria ancestrale; lo scopo principale della band è quello di ricreare una situazione di musica tribale per vomitare una rabbia antica, quasi preistorica, e appunto la sconfinata preistoria, i fossili e tutto ciò che è correlato a queste cose sono gli argomenti dei testi.
Il risultato è qualcosa di furioso e di assolutamente credibile, è un sound peculiare ed inedito: il gruppo è in giro dal 2016, ha prodotto un demo nel 2017, Thecodontia, per poi andare a suonare in giro con altri gruppi romani. Questo 7” è una delle prove più affascinanti che si possano ascoltare negli ultimi tempi, perché è incredibile che canzoni su animali e fossili della preistoria siano tanto belle da creare una vera e propria dipendenza. La musica è incalzante, come un gruppo di pterodattili che ti insegue e ti mangia prima o poi, sputandoti fuori destinandoti a diventere un fossile, forse. Il suono di questi brani è devastante, alcuni lo potrebbero definire war metal, ma è più un massacro a senso unico che una guerra. I due bassi creano un effetto che dovrebbe convincere anche chi ama le chitarre, delle quali alla fine non si sente la mancanza: basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale. È bellissimo anche andare a cercare di cosa parla questo gruppo, ovvero gli animali dei titoli. Infatti il sette è un concept su quattro specie che vivevano durante il Giurassico: raramente si può trovare qualcosa di più nozionistico ed affascinante dello studio della preistoria, materia non facile, ma se si entra in un Museo Archeologico o di Storia Naturale non si potrà che restarne affascinati, perché in fondo è qualcosa di molto metal. Un’altra delle particolarità di questo disco è la produzione, adeguata e molto ben bilanciata, assolutamente non approssimativa: Jurassic è una delle uscite più interessanti degli ultimi tempi, una porta per un universo che è ancora dentro di noi, basti pensare a quanto è durata la preistoria e quanto sta durando l’era moderna, alla cui fine non manca poi così tanto.

Tracklist
1.Normannognathus wellnhoferi (Crests)
2.Rhamphorhynchus muensteri (Wingset)
3.Barosaurus lentus (Sundance Sea Stratigraphy)
4.Breviparopus taghbaloutensis (Legacy of the Trackmaker Unknown)

Line-up
G.E.F. – vocals, songwriting, arrangements
G.D. – bass, lyrics and concept, arrangements

L.S. – (live) bass
V.P. – (live) drums

THECODONTION – Facebook

Valtari – Origin Enigma

Origin Enigma mette in campo tutti i cliché del genere, prendendo qualcosina da tutte le band più importanti sia della prima che della seconda generazione, mantenendo una gelida atmosfera di stampo black per tutta la durata dell’opera ed inserendo valanghe di melodie classiche.

Le sonorità scandinave di stampo melodic death continuano ad influenzare musicisti e realtà in ogni parte del mondo, in questo caso parliamo dei Valtari, one man band australiana.

Il polistrumentista Marty Warren è l’ideatore di questo che di fatto è un tributo al death metal melodico, arrivato con Origin Enigma al terzo full lenght dopo il debutto uscito nel 2012, Fragments of a Nightmare, e Huntar’s Pride secondo lavoro licenziato un paio d’anni dopo.
Origin Enigma mette in campo tutti i cliché del genere, prendendo qualcosina da tutte le band più importanti sia della prima che della seconda generazione, mantenendo una gelida atmosfera di stampo black per tutta la durata dell’opera ed inserendo valanghe di melodie classiche che ricordano a più riprese In Flames, Children Of Bodom, Omnium Gatherum, Insomnium e Dimmu Borgir.
Niente di originale quindi, ma sicuramente ben fatto e di sicura presa per i fans accaniti del genere, con qualche atmosfera gotica volta a tratti spezzare un ritmo che dalla prima nota dell’opener Oblivion porta dritti alla conclusiva The Great Unknown.
Prodotto leggermente meglio l’album avrebbe meritato mezzo voto in più, ma siamo ai dettagli: Marty Warren, alias Valtari, ha fatto un buon lavoro ed Origin Enigma risulta un album melodic death senza sorprese ma anche senza cadute, del quale quindi è consigliato l’ascolto.

Tracklist
1.Oblivion
2.Your Enemy
3.Blinded
4.All for You
5.Origin Enigma
6.Taste Your Victory
7.Memories Fade
8.Forever
9.Towton 1461
10.The Great Unknown

Line-up
Marty Warren – Everything

VALTARI – Facebook

Humanity Delete – Werewolves in the Iron Sky

Werewolves in the Iron Sky è altro buon lavoro targato Rogga Johansson, uno che di death metal ne macina a quantità industriali ogni anno, sempre con la stessa attitudine, passione e, perché no, talento.

Rogga Johansson, oltre alle molteplici collaborazioni con artisti della scena death metal internazionale e all’attività con le sue diverse band, trova anche il tempo di portare avanti la sua creatura solista Humanity Delete nella quale canta e suona tutti gli strumenti.

Addirittura ideato nel 2003, il progetto è stato poi ripreso dal polistrumentista e compositore svedese nel 2012, anno di uscita del primo lavoro, Never Ending Nightmares, seguito dopo quattro anni da Fuck Forever Off.
All’insegna di un death metal foriero di tempeste thrash e grindcore, il sound che Johansson ha creato per gli Human Delete vede nel 2018 il suo picco creativo, prima con lo split Anthems of Doom – Lethal Onslaught, insieme ai deathsters greci Carnal Garden, e poi con questo nuovo album intitolato Werewolves in the Iron Sky: nove brani per mezzora di assalto sonoro a cui il nostro ci ha abituato, scontandosi per pochi dettagli da molte delle sue proposte, ma sempre con un’attitudine ed un approccio alla materia non così comuni come si potrebbe pensare.
Werewolves in the Iron Sky si muove tra il death metal old school e lo sferragliante approccio del grindcore, con sfuriate thrash e rallentamenti che variano l’ascolto e ci permettono di assaporare il sangue che sgorga da brani come I Grip Rip Your Heart, Prototype Metal Claw e la monolitica Lunar Rites.
Werewolves in the Iron Sky è altro buon lavoro targato Rogga Johansson, uno che di death metal ne macina a quantità industriali ogni anno, sempre con la stessa attitudine, passione e, perché no, talento.

Tracklist:
1.Werewolves in the Iron Sky
2.I Grip Rip Your Heart
3.Fur (Fur Immer)
4.Merge with the Beast
5.Prototype Metal Claw
6.Werewolf Reich
7.Conjure the Moon
8.Lunar Rites
9.Werewolf reich II

Line-up
Rogga Johansson – All instruments, Vocals

DunkelNacht – Empires Of Mediocracy

L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne risaltano la qualità indiscussa delle composizioni. Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht, autori con Empires Of Mediocracy di un album che gli amanti del genere non possono perdere, bravi e diabolici.

In arrivo dalla scena death/black metal transalpina i DunkelNacht licenziano il loro terzo lavoro, questo ottimo Empires Of Mediocracy composto da otto capitoli di un concept che analizza a suo modo il genere umano e le sue origini.

Attivo dal 2005, il quartetto di Lille dopo vari split e demo esordì sulla lunga distanza con Atheist Dezekration nel 2010, seguito quattro anni dopo da Revelatio, licenziato dalla Wormholedeath, mentre Empires Of Mediocracy vede la luce tramite Non Serviam Records.
L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne esaltano la qualità indiscussa delle composizioni.
La band ha fatto davvero un gran lavoro, rimanendo in un contesto estremo violento, ma perfettamente leggibile, grazie ad una produzione perfetta e ad un songwriting davvero eccellente.
I suoni delle varie Servants, Amongst The Remnants Of Liberty e della title track escono dalle casse potenti e cristallini, il growl di M.C. Abagor risulta diabolico e luciferino, mentre le ritmiche alternano mid tempo a devastanti ripartenze creando un vortice di metal estremo, che a tratti placa la sua furia e crea atmosfere oscure.
Il brano che dà il titolo all’album, Empires of Mediocracy, è l’esempio del sound di cui è composta questa nera opera, offrendo un death/black valorizzato da un importante lavoro chitarristico e sorretto da una notevole parte melodica.
Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht bravi e diabolici di Empires Of Mediocracy di un lavoro che gli amanti del genere non dovrebbero perdere.

Tracklist
1. Relentless Compendium
2. Servants
3. Eerie Horrendous Obsession
4. DunkelNacht – Amongst the Remnants of Liberty
5. Verses and Allegations
6. Empires of Mediocracy
7. The Necessary Evil
8. Non Canimus Surdis

Line-up
Heimdall – Guitars, Programmings
Alkhemohr – Bass, Vocals
M.C. Abagor – Vocals
Tegaarst – Drums

DUNKELNACHT – Facebook

Secretpath – Dominatio Tempestatis

Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione.

Bellissimo racconto musicale dell’eterna e liquida lotta dell’uomo contro il mare e le sue più terribili manifestazioni, come le tempeste.

Tutto ciò è opera dei Secretpath, uno dei gruppi del meraviglioso roster della bresciana Masked Dead Records, una delle migliori e più varie incarnazioni del sottobosco italiano. Questo album è un piccolo capolavoro di death metal classicheggiante, furioso e suonato benissimo, quei dischi che ascolti con piacere dall’inizio alla fine e poi riparti da capo. Qui abbiamo all’opera alle chitarre il sempre interessante Pierluigi “Aries” Ammirata, un chitarrista estremamente elegante che produce una cascata di note di forte impronta neoclassica. Alla voce un eccezionale interprete come Paolo “The Voices” Ferrante, che ha una gamma di capacità interpretative inusuale e pressoché infinita. Ascoltare questo disco è come essere trascinati per davvero nell’occhio della tempesta e finirne, proprio come dice il titolo, sotto il dominio. Come tutte le produzioni della casa bresciana la qualità è alta, ma soprattutto è molto originale e vivace, come in un nuovo rinascimento del metal underground. Questo ep è anche di una lunghezza adeguata per far apprezzare al meglio la musica del gruppo ed è disponibile ad offerta libera per il download digitale, mentre è a pagamento per le poche copie ancora rimaste in formato fisico. Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione. Si viene avvinti da questa forma di metal inusuale ai nostri tempi, ma che è invece molto vicina alla concezione più vera del fare musica metallica. Una grande occasione per scoprire il mondo Masked Dead Records, o se già lo conoscete un ulteriore piacere per le vostre orecchie.

Tracklist
1.Antiqua Tempesta
2.Crystal Ice
3.Dominatio Tempestatis
4.Raptus
5.Storm Of Revenge

Line-up
Paolo ” The Voices” Ferrante – Vocals
Pierluigi “Aries” Ammirata – Guitar
Francesco “Storm” Borrelli – Drums

SECRETPATH – Facebook

Descrizione Breve

Hiranya – Breathe Out

La band ha buone potenzialità e il sound in generale è migliorabile: la strada potrebbe essere quella giusta, rivedendo in particolare le parti in cui la band si allontana dal melodic death metal.

La proposta di questo quintetto proveniente dalla Spagna, chiamato Hiranya, si discosta dallo storico sound scandinavo per qualche sfumatura moderna che accompagna il melodic death metal di stampo Arch Enemy, mixandolo con sfumature e soluzioni melodiche care ai nostrani Lacuna Coil, con la cantante Sara che, oltre allo scream, inserisce soluzioni pulite (invero migliorabili) per personalizzare questo secondo album intitolato Breathe Out, che segue di tre anni il debutto Breathe In.

Il nuovo lavoro è stato registrato e mixato da Carlos Santos nei Sadman Studios (Amleto, Vita Imana, Toundra, Somas Cure) e masterizzato da Jens Bogren nei Fascination Street Studios in Svezia (Arch Enemy, Opeth, Soilwork, Kreator, Devin Townsend , Dark Tranquility), e si presenta quindi con tutte le carte in regola per non deludere gli appassionati del death metal melodico, che troveranno nei brani più spinti buoni motivi per dare una chance al gruppo di Madrid.
Breathe Out perde qualcosina quando la furia metallica si attenua per lasciare spazio ad atmosfere dark/rock, che spezzano la tensione creata dal sound modern/melodic death del combo senza però lasciare traccia.
Brani come Far Away, Conformism o Insanity trascinano l’album con le loro sfuriate melodic death, l’anima moderna è sempre presente, sottolineata da spunti elettronici o ritmiche che qua e là sanno di metalcore, rivelandosi la parte più convincente del sound creato dagli Hiranya.
La band ha buone potenzialità e il sound in generale è migliorabile: la strada potrebbe essere quella giusta, rivedendo in particolare le parti in cui la band si allontana dal melodic death metal.

Tracklist
1.Iemon
2.Far Away
3.Conformism
4.Transparency
5.Shot
6.Harpy
7.Insanity
8.Ángel
9.Anger
10.Oiwa
Line-up
Sara – Vocals
Johnny W. – Guitar
Dani – Guitar
Jio – Bass Guitar
Carlos Vivas – Drums

HIRANYA – Facebook

Mechanical God Creation – The New Chapter

La The Goatmancer Records si è presa cura del nuovo album targato Mechanical God Creation e la bestia estrema torna ad annichilire con una dozzina di esplosioni sonore che, tra ripartenze death/thrash, frenate di scuola classica e melodie strepitose, segnano questa prima metà dell’anno, almeno per quanto riguarda le nuove uscite del genere.

Nella scena death metal tricolore ormai da anni si viaggia su livelli qualitativamente alti, con il metal estremo che permette agli artisti di sfogare tutta la loro creatività in sonorità dalle atmosfere lontane tra loro ma facenti parte di un unico straordinario modo di concepire e suonare musica dura.

Dalle atmosfere progressive a quelle swedish death, dalle influenze statunitensi a quelle black/death della scena est europea, per gli amanti del buon vecchio death metal c’è solo l’imbarazzo della scelta, senza dimenticare (come nel caso dei Mechanical God Creation) il death/thrash.
Il quintetto lombardo attivo dal 2006, arriva con questo nuovo macigno sonoro al terzo full length, sei anni dopo il precedente Artifact of Annihilation e nove dal debutto licenziato nel 2010 ed intitolato Cell XIII.
Si cammina in un mondo distrutto, sulle ceneri di un’umanità collassata e la colonna sonora della fine del mondo non può che essere un death/thrash metal dalle atmosfere apocalittiche, tecnicamente sopra la media, pregno di melodie chitarristiche che tradiscono ispirazioni melodic death si una struttura classica che accomuna il death metal statunitense, con la furia slayerana che ricorda monumenti estremi come Season In The Abyss.
A raccontare di questa fine annichilente è il growl disumano di Luciana “Lucy” Catananti, una delle migliori vocalist del genere in senso assoluto, straordinaria interprete delle devastanti tracce che compongono questo The New Chapter, nuovo capitolo di una band rimasta in silenzio troppo tempo.
Oltre alla cantante segnaliamo il gran lavoro di tutta la band, che vede Mirko e Francesco alle chitarre, Jesus al basso e Carlo alla batteria, autrice di una serie di brani che rendono imperdibile questo gioiellino estremo come I Am The Godless Man, la devastante e tecnicissima Till the Sun Is No Longer Black, la monumentale Overlord (PT II) e la melodica Bow To Death.
La The Goatmancer Records si è presa cura del nuovo album targato Mechanical God Creation e la bestia estrema torna ad annichilire con una dozzina di esplosioni sonore che, tra ripartenze death/thrash, frenate di scuola classica e melodie strepitose, segnano questa prima metà dell’anno, almeno per quanto riguarda le nuove uscite del genere.

Tracklist
1.The New Chapter
2.I Am the Godless Man
3.Till the Sun is No Longer Black
4.Walking Dead (pt.I)
5.Before the Dawn
6.Overlord (pt.II)
7.What Remains (pt.III)
8.Black Faith
9.Dark Echoes
10.Bow to Death
11.Warface
12.Red Blood on White Snow

Line-up
Lucy – Vocals
Jesus – Bass
Francesco – Guitar
Mirko – Lead Guitar
Carlo – Drums

MECHANICAL GOD CREATION – Facebook

Phobonoid – La Caduta Di Phobos

La peculiarità delle opere targate Phobonoid era già in pectore nei lavori precedenti, ma qui trova una sua importante conferma e se l’unica difficoltà nell’ascolto de La Caduta di Phobos risiede nel suo fluire come se si trattasse di una sola traccia, non c’è dubbio che i quaranta minuti necessari per ascoltare l’intero lavoro si riveleranno decisamente ben spesi.

A quattro anni dal primo full length omonimo, e a sei dall’ep di esordio Orbita, si rifà vivo il progetto Phobonoid, interessante realtà creata da Lord Phobos.

La più grande delle due lune di Marte è un riferimento costante in tutto l’immaginario poetico e musicale creato dal musicista trentino e non sorprende, quindi, che il concept continui a seguire quelle coordinate accompagnato da un sound in cui convergono pulsioni industrial, black e doom. Come nei lavori precedenti il contributo della voce viene confinato sullo sfondo dalla produzione ma, fondamentalmente, il fulcro dell’operato di Lord Phobos risiede in una parte musicale che è sempre contraddistinta da un naturale incedere cosmico che, volendo esemplificare al massimo, riporta ai Mechina sul versante industrial black e ai Monolithe per quanto riguarda quello doom.
Tutto ciò contribuisce a rendere il sound nervoso, solenne e al contempo minaccioso, del tutto adeguato al racconto di un viaggio interstellare che il protagonista intraprende per trovare rifugio dopo la distruzione di Phobos; proprio il suo essere sorretto da un’idea ben precisa, anche dal punto di vista concettuale, rende il sound decisamente personale e in grado di emanare un suo oscuro fascino, distribuito in maniera equa lungo tutte le dieci tracce presenti nell’album, nel corso delle quali il passaggio tra le varie sfumature sonore avviene in maniera quanto mai fluida.
La peculiarità delle opere targate Phobonoid era già in pectore nei lavori precedenti, ma qui trova una sua importante conferma e se l’unica difficoltà nell’ascolto de La Caduta di Phobos risiede nel suo fluire come se si trattasse di una sola traccia, non c’è dubbio che i quaranta minuti necessari per ascoltare l’intero lavoro si riveleranno decisamente ben spesi.

Tracklist:
1.26.000 al
2.La Caduta di Phobos
3.Titano
4.TrES-2b
5.CoRot-7b
6.GU Psc b
7.KOI-1843 b
8.WASP-17b
9.MOA-192b
10.A-Crono

Line-up:
Lord Phobos

PHOBONOID – Facebook

Hell’s Guardian – As Above So Below

Anche questo nuovo lavoro è promosso a pieni voti, ora resta solo da supportare una band che nel genere suonato lancia il guanto di sfida alle realtà che giungono da oltre confine, vincendo per freschezza compositiva, impatto diretto e senza fronzoli ed una nuova vena orchestrale che rende raffinate atmosfere e sfumature.

Tornano gli Hell’s Guardian con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore di Follow Your Fate, debutto licenziato nel 2014.

La band bresciana si ripresenta sul mercato con un album che in parte riconferma la propria proposta, anche se nel nuovo As Above So Below trovano più spazio sfumature orchestrali che rendono più raffinato un sound rodato e dalle influenze che guardano come sempre alle terre del nord Europa.
Il gruppo, con il nuovo bassista Claudio Cor al basso ed una manciata di ospiti che danno il loro importante contributo su alcune tracce, come Marco Pastorino (Temperance, Light & Shade), Adrienne Cowan (Seven Spires, Winds of Plauge, Light & Shade), Ark Nattlig Ulv (Ulvedharr), Fabrizio Romani (Infinity) e Mirela Isaincu, convince con un album che porta qualche novità senza stravolgere la propria idea di metal melodico ed estremo, con un lavoro che non mancherà di trovare estimatori tra gli amanti del death metal melodico così come in quelli dai gusti classicamente power.
Ottimo il lavoro chitarristico di scuola Amorphis (Blood Must Have Blood, 90 Days), l’atmosfera symphonic power è presente ma non invadente come in altre realtà
e lo stesso vale per l’epica oscurità classica del death metal melodico, che ovviamente fa la differenza aiutata da un growl possente stemperato a tratti da evocativi interventi delle voci pulite (la title track, My Guide My Hunger).
Anche questo nuovo lavoro è promosso a pieni voti, ora resta solo da supportare una band che nel genere suonato lancia il guanto di sfida alle realtà che giungono da oltre confine, vincendo per freschezza compositiva, impatto diretto e senza fronzoli ed una nuova vena orchestrale che rende raffinate atmosfere e sfumature.

Tracklist
1.Over The Line
2.Crystal Door
3.As Above So Below
4.Blood Must Have Blood
5.Waiting… For Nothing
6.90 Days
7.Lake Of Blood
8.Jester Smile
9.My Guide My Hunger
10.I Rise Up
11.Colorful Dreams

Line-up
Cesare Damiolini – Vocals, Guitars
Freddie Formis – Guitars
Claudio Cor – Bass
Dylan Formis – Drums

HELL’S GUARDIAN – Facebook

Lividity – Perverseverance

Perverserance è caratterizzato da una raccolta di bombe sonore che non deluderanno affatto gli amanti del brutal death.

Per i fans del brutal death metal, fine anno in compagnia degli storici Lividity, gruppo dell’Illinois attivo dal lontano 1993 e con una discografia che oltre ad una marea di ep, split, live e compilation si avvale di cinque full length.

Un appuntamento da non perdere questo con la band statunitense, una vera macchina da guerra brutale e devastante che non perde colpi, almeno all’ascolto del nuovo lavoro intitolato Perverseverance.
Il quartetto di perversi serial killer provenienti da Decatur rilasciano tramite la Metal Age Productions questa tellurica raccolta di brani brutal/grind, una tempesta di blast beat, growl disumani e riff potentissimi, il tutto condito da un’insana voglia di sangue, torture e smembramenti dal depravato istinto sessuale.
Questo è il brutal death, prendere o lasciare, senza compromessi, più difficile da suonare di quanto si creda e perfettamente in grado di dire ancora la sua nel mondo del metal estremo, specialmente se a suonarlo è gentaglia come i Lividity.
Perverseverance è caratterizzato da una raccolta di bombe sonore che non deluderanno affatto gli amanti del genere.

Tracklist
1. Kill Then Fuck
2. The Pussy Horde
3. Meat for the Beast
4. Cumming With Labial Pulp
5. Whore Destroyer
6. Bitch Cunt Fuck
7. Violated in the Vatican
8. Parasitic Infestation
9. Something´s Dead
10. Tampered Flesh
11. Pussy Lover-Salvation
12. Perverseverance

Line-up
Von Young – Vocals, guitars
Dave Kibler – Guitars, vocals
Jake Lahniers – Bass, vocals
Garrett Scanlan – Drums

LIVIDITY – Facebook

Eresia – Airesis

Il ritorno, graditissimo ed a lungo atteso, di una band realmente storica del death made in Italy.

In greco Airesis significa scelta.

In età moderna, coloro che compivano scelte altre rispetto ai canoni socio-culturali (e soprattutto teologici) dominanti, erano giudicati – e, spessissimo, condannati – in quanto eretici. Ecco quindi spiegato il nome di questa band ed il titolo del loro fantastico disco, che esce per la sempre attentissima Andromeda Relix, di Gianni Della Cioppa. Il trio italiano si costituì, nel lontano 1995, come Suicide, sotto le insegne di un punk duro e radicale. Quando poi mutarono il loro nome in Eresia, passarono ad un death metal totalmente privo di compromessi, implacabile e feroce, comunque non scevro delle istanze crust dei primi giorni. Un’attitudine che, complice anche il cantato in lingua madre (lungo l’intera carriera), avvicina i tre agli altrettanto storici Distruzione, a fianco dei quali gli Eresia hanno suonato dal vivo. Altri concerti li hanno visti condividere il palco con mostri sacri quali Tankard, Marduk e Dew-Scented. Gli Eresia, dopo la prima demo tape (del 1998) hanno inciso l’album (rimasto inedito sino ad oggi) Parole al buio e Moto imperpetuo (2001), divenuto col passare del tempo un autentico pezzo da collezione, con entusiastici pareri di critica ed anche lusinghieri riscontri di vendita. Malgrado i cambi di line-up, il gruppo è giunto con orgoglio sino ai giorni nostri. Questo Airesis si compone di quattro pezzi estratti da Parole al buio, con nuovi arrangiamenti e totalmente riregistrati, due brani inediti live e tutto il secondo album da moltissimo tempo andato esaurito. Abbiamo dunque tra le mani un prodotto assolutamente da avere. Anzi, dirò di più: è inutile andare a cercare dischi odierni magari ben fatti da band interessanti, se prima non ci si procura lavori come questo, basilare concentrato di death tradizionale, con innesti brutal e thrash, lontanissimo da atmosfere oggi sin troppo di moda. Perché l’estremo non è nato per fare atmosfera, ricordiamolo una buona volta. Perché qui si parla di Storia, con la S maiuscola. E di Maestri. Della notte e della morte, of course. Questo è il death metal, signori.

Tracklist:
01. Dahmer
02. Fai o Muori
03. Parole al Buio
04. Habitat Brutale
05. Fragile [Live]
06. Silente Anelito d’Odio [Live]
07. Eresia (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
08. Es (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
09. Ultima Notte (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
10. Nato per Uccidere (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
11. Moto Imperpetuo (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
12. Acrono (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
13. Sei Solo (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
14. Altrove (from “Moto Imperpetuo”, 2001)
15. Metamorfosi (from “Moto Imperpetuo”, 2001)

Line-up
Massimo Bravi – Bass / Vocals
Claudio Bonfante – Drums
Andrea Reni – Guitars

ERESIA – Facebook

Gorgon – Elegy

Un lavoro riuscito questo Elegy, il cui sound ripropone i cliché usati a suo tempo dai gruppi più famosi, ma non manca di regalare momenti pregni di epiche sinfonie perfettamente incastonate tra le trame estreme del gruppo parigino.

I Gorgon sono una band transalpina attiva da una manciata d’anni e con un debutto alle spalle uscito tre anni fa (Titanomachy).

Capitanati dal polistrumentista Paul Thureau, arrivano al loro secondo lavoro con Elegy, un’opera che al metal estremo aggiunge parti sinfoniche ed atmosfere melodiche orientali.
Ne esce un buon esempio di quel lato sinfonico del death/black portato agli onori da Bal Sagoth e Dimmu Borgir, anche se l’anima esotica del sound differenzia la band dai loro più illustri colleghi.
In un opera del genere è forte un approccio progressivo che si evince tra le trame di brani dal piglio magniloquente come Nemesis o The Plague, con il concept che venera la donna come creatrice di vita dedicando a Eva e Pandora, a Ecate e Maria Vergine alcune delle tracce dell’album.
Ottimo è il lavoro vocale di Safa Heraghi (Dark Fortress, Devin Townsend Project, Schammasch) e di Felipe Munoz (Finntroll, Frosttide): la voce eterea della cantante, presente su tutti i brani, dona crea un’atmosfera ancora più epica e sognante all’album che non teme lo scorrere dei minuti ed arriva alla sua conclusione tra sinfonie e cavalcate metalliche dal buon impatto emotivo.
Un lavoro riuscito questo Elegy, il cui sound ripropone i cliché usati a suo tempo dai gruppi più famosi, ma non manca di regalare momenti pregni di epiche sinfonie perfettamente incastonate tra le trame estreme del gruppo parigino.

Tracklist
1.Origins
2. Under a Bleeding Moon
3. Nemesis
4.The Plagues
5.Into The Abyss
6.Ishassara
7.Of Divinity and Flesh
8.Elegy

Line-up
Aurel Hamoniaux – Bass, Vocals (backing)
Julien Amiot – Guitars
Paul Thureau – Vocals, Guitars, Bouzouki, Orchestrations
Charles Phily – Drums, Vocals (choirs)

GORGON – Facebook

Hiss From The Moat – The Harrier

The Harrier è di fatto un bombardamento sonoro dove tradizione e sfumature moderne trovano la loro perfetta alchimia, in un metal estremo di matrice death/black, derivativo quanto si vuole ma che lascia comunque una sensazione di forte personalità in chi l’ha creato e suonato.

Tornano con un nuovo devastante lavoro gli Hiss From The Moat, band che vede l’ex Vital Remains e Hour Of Penance James Payne insieme ad un trio di musicisti nostrani (Carlo Cremascoli al basso, Giacomo “Jack” Poli alla chitarra ed il neo arrivato Massimiliano Cirelli alla chitarra e alla voce).

Un gruppo dal taglio internazionale a tutti gli effetti, tornato dopo sei anni dal precedente Misanthropy, album che ne vedeva il debutto sulla lunga distanza, ed ora sul mercato estremo con The Harrier, opera che continua la crescita del gruppo in una notevole realtà death/black metal.
Registrato, mixato e masterizzato allo SPVN Studio di Milano con Stefano Orkid Santi, The Harrier è di fatto un bombardamento sonoro dove tradizione e sfumature moderne trovano la loro perfetta alchimia, in un metal estremo di matrice death/black, derivativo quanto si vuole ma che lascia comunque una sensazione di forte personalità in chi l’ha creato e suonato.
Un gruppo che sa quel che vuole e trasmette questa sensazione di convincente sicurezza in chi ascolta: non male davvero per questi paladini del death/black devastante e nero come la pece.
Politica, religione ed altre piaghe che nei secoli hanno distrutto l’umanità e la sua storia, vengono raccontate attraverso un metal estremo appesantito da uno strato di catrame musicale, nero, viscido ed impermeabile a qualsivoglia forma di pentimento, in una corsa verso l’abisso a colpi di violento metallo che se continua ad ispirarsi alla scena dell’est europeo trova una sua precisa identità in brani apocalittici come la title track, nella nera epicità smossa dall’epica Slaves To War e nel black metal alla Behemoth di God Nephasto.
In conclusione, un ritorno assolutamente da non perdere che conferma le buone qualità del gruppo transcontinentale, una delle più convincenti realtà della scena estrema degli ultimi anni.

Tracklist
1.The Badial Despondency
2.The Harrier
3.I Will Rise
4.The Passage to Hell
5.Slaves to War
6.Sine Animvs
7.The Abandonment
8.The Allegory of Upheaval
9.God Nephasto
10.Unperishing
11.The Decay of Lies

Line-up
Max Cirelli – Vocals/Guitar
James Payne – Drums
Jack Poli – Guitar
Carlo Cremascoli – Bass

HISS FROM THE MOAT – Facebook

Hecate Enthroned – Embrace of the Godless Aeon

Chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di alcuni brani ben costruiti, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva.

Quando una band fin dai suoi esordi viene subito additata quale copia di un’altra di successo emersa precedentemente, tale nomea diviene poi molto difficile da scrollarsi di dosso.

Certo che quando si parla di un gruppo come gli Hecate Enthroned, in giro ormai da un quarto di secolo, tutto questo appare paradossale ma è in effetti innegabile che la band inglese abbia vissuto la propria carriera sotto l’ombra ingombrante dei Cradle of Filth, finendo sempre per trovarsi un passo indietro rispetto alle mosse di Dani e soci, anche nei momenti può opachi attraversati da questi ultimi.
Questo ultimo album, Embrace of the Godless Aeon, è solo il secondo negli ultimi 15 anni per gli Hecate Enthroned, e se questo poteva indurre a pensare ad un’evoluzione stilistica o ad uno scostamento rispetto ai propri modelli ci si sbaglia di grosso, perché alla fine tutto appare per assurdo più filthiano di quanto non lo sia oggi la stessa band del Suffolk.
Chiaramente, chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di brani ben costruiti come Revelations in Autumn Flame e Silent Conversations with Distant Stars, o apprezzabilmente solenni come Erebus and Terror, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva. Lo stesso ricorso ad una voice femminile come quella di Sarah Jezebel Deva, protagonista nei migliori album dei Cradle Of Filth, non è certamente un qualcosa che possa far presupporre un distacco, anche parziale, dal solco stilistico seguito in tutti questi anni.
Poi, a ben vedere, come spesso ribadiamo in tali contesti, la derivatività di una proposta non è mai un ostacolo insormontabile a patto che ciò sia associato ad un impeto ed una freschezza capaci di spazzare via gli strati di polvere che ricoprono sonorità ascoltate centinaia di volte negli ultimi vent’anni.
Per esemplificare ciò che intendo, basti confrontare questo parto degli Hecate Enthroned con quello dei coreani Dark Mirror Ov Tragedy, capaci di inserire su uno scheletro compositivo altrettanto debitore delle band guida del symphonic black tutti quegli elementi di interesse e le brillanti intuizioni melodiche che, purtroppo, si rinvengono solo in minima parte in in questo discreto e poco più Embrace of the Godless Aeon.

Tracklist:
1. Ascension
2. Revelations in Autumn Flame
3. Temples That Breathe
4. Goddess of Dark Misfits
5. Whispers of the Mountain Ossuary
6. Enthrallment
7. The Shuddering Giant
8. Silent Conversations with Distant Stars
9. Erebus and Terror

Line-up:
Nigel – Guitars
Dylan Hughes – Bass
Andy – Guitars
Pete – Keyboards
Gareth Hardy – Drums
Joe Stamps – Vocals

HECATE ENTHRONED – Facebook

Altarage – The Approaching Roar

The Approaching Roar è composto da nove movimenti che formano un inno all’apparenza disarticolato, ma perfettamente logico nel suo andamento, in cui le note non sono mai fini a sé stesse: un’opera che racchiude più di altre il concetto di estremo e quindi in grado di svelare la sua animalesca bellezza solo agli amanti del genere.

La proposta dei deathsters spagnoli Altarage segue una linea compositiva che ne fa un tornado di note provenienti dall’abisso in un vorticoso salire verso la superficie.

Questa tempesta elettrica si porta dietro demoni e diavoli che attraversano corpi e si impossessano delle anime seguendo il corso di un caos primordiale scaturito da questa insana musica estrema creata dal gruppo basco.
Sono giunti al terzo lavoro gli Altarage, quindi la loro proposta non è più una sorpresa ed il muro sonoro formato da una apparente alleanza tra black, death e sludge metal continua la sua totale devastazione, senza remore e compromessi.
Il terzo album in soli quattro anni, un record di questi tempi, segno di una vocazione per il male in musica in pieno fermento e creatività, porta il quartetto a questo immane lavoro in cui non c’è spazio per melodie, facili riff o chorus, ma solo musica portata all’estremo.
Black, death e sludge si diceva, grazie ad un sound che si nutre di questi generi e viene sferzato da venti imputriditi provenienti dall’inferno, dove il growl è un latrato demoniaco e gli strumenti sono le armi per portare caos e male sulla terra.
The Approaching Roar è composto da nove movimenti che formano un inno all’apparenza disarticolato, ma perfettamente logico nel suo andamento, in cui le note non sono mai fini a sé stesse: un’opera che racchiude più di altre il concetto di estremo e quindi in grado di svelare la sua animalesca bellezza solo agli amanti del genere.

Tracklist
1. Sighting
2. Knowledge
3. Urn
4. Hieroglyphic Certainty
5. Cyclopean Clash
6. Inhabitant
7. Chaworos Sephelln
8. Werbuild
9. Engineer

ALTARAGE – Facebook

Feed Them Death – No Solution/Dissolution

Un’opera estrema violenta e senza compromessi in cui il songwriting, oltre a risultare costantemente di alto livello, non perde mai la bussola e le varie tracce scorrono via senza intoppi, lasciando sempre una sensazione di orecchiabilità, gradita sicuramente dai fans del genere.

Feed Them Flesh è la creatura di Void, bassista e cantante dei seminali Antropofagus di No Waste Of Flesh ed Alive Is Good… Dead Is Better, qui alle prese con un solo project all’insegna del più feroce death/grind,

Dopo il primo assaggio con l’ep uscito nel 2017 che portava lo stesso titolo, Void torna con una versione più lunga e completa raddoppiando il minutaggio e passando così dalle cinque tracce del precedente lavoro (tutte presenti su questo full length) ad una dozzina di mazzate estreme notevoli.
A parte il contributo di due ospiti come Argento (Spite Extreme Wing, Antropofagus) e Christian Montagna (Preda, Cast Thy Eyes), presenti su due brani, il nostro fa tutto da solo creando un sound vorticoso che prende spunto in egual misura dal death metal e dal grind.
Ne esce un’opera estrema violenta e senza compromessi in cui il songwriting, oltre a risultare costantemente di alto livello, non perde mai la bussola e le varie tracce scorrono via senza intoppi, lasciando sempre una sensazione di orecchiabilità, gradita sicuramente dai fans del genere.
Groove, velocità ed impatto brutale rimangono le armi con cui Void ci attacca al muro, con una forza sovraumana espressa da vere deflagrazioni sonore come Exposed Paradising Dissent o First Time Death.
La sete di violenza in musica degli amanti di queste sonorità viene sicuramente appagata da questo nuovo mostro musicale che, spezzate le catene, vi travolgerà con tutta la sua furia death/grind.

Tracklist
1.Cadavoracity I
2.Exposed Parading Dissent
3.Bloodshed Theatre
4.The Horrific Balance
5.Terrific Gods Caravan
6.First Time Dead
7.Prosperity / Captivity
8.Doctrine of Approximation
9.Penance In the Wrong Direction
10.Inception in Rot
11.Divide + Conquer
12.Cadavoracity II

Line-up
Void – All instruments, Vocals, Songwriting, Lyrics

FEED THEM DEATH – Facebook

Equipoise – Demiurgus

Demiurgus valica montagne musicali ed oltrepassa confini, viaggiando su territori in cui metal estremo, tecnica individuale e parti progressive costruiscono ponti di spartiti su fiumi di note in piena.

Dopo un primo ep rilasciato nel 2016, arrivano al debutto sulla lunga distanza gli Equipoise con Demiurgus, mastodontico lavoro che non lascerà certo indifferenti i fans del death metal tecnico e progressivo.

Sette musicisti provenienti da varie band del circuito estremo, uniti sotto lo stesso monicker producono grande musica: questo in sintesi è quello che troverete in Demiurgus, un’ora abbondante di scale musicali, fughe metalliche, ritmiche da capogiro e tanto death metal valorizzato da un ottimo songwriting.
Beyond Creation,Virulent Depravity, Ashen Horde, The Fractured Dimension, Abigail Williams, Hate Eternal, Perihelion, Wormhole sono solo alcuni dei gruppi che fanno parte del curriculum dei musicisti coinvolti nel progetto Equipoise, una bestia progressiva che non conosce limiti, tra furia e tecnica esecutiva sorprendente così come una forma canzone che invoglia l’ascolto di devastanti e tecniche prove di forza come Alchemic Web of Deceit o Dualis Flamel o accenni a generi lontanissimi dal metal estremo, come in molte delle opere del genere, in brani stratosferici come Waking Divinity o Cast Into Exile.
Demiurgus valica montagne musicali ed oltrepassa confini, viaggiando su territori in cui metal estremo, tecnica individuale e parti progressive costruiscono ponti di spartiti su fiumi di note in piena.
Consigliato agli amanti del genere e di band che vanno dai Cynic agli Obscura, dagli Atheist ai Beyond Creation, Demiurgus si candida già da ora come uno degli album di quest’anno appena iniziato, almeno per quanto riguarda il technical progressive metal.

Tracklist
1.Illborn Augury
2.Sovereign Sacrifices
3.Alchemic Web of Deceit
4.A Suit of My Flesh
5.Shrouded
6.Sigil Insidious
7.Reincarnated
8.Dualis Flamel
9.Eve of the Promised Day
10.Waking Divinity
11.Ecliptic
12.Squall of Souls
13.Cast into Exile
14.Ouroboric

Line-up
Stevie Boiser – Vocals/Lyrics
Phil Tougas – Guitars
Nick Padovani – Guitars/Composition
Sanjay Kumar – Guitars
Hugo Doyon-Karout – Fretless/Fretted Bass
Jimmy Pitts – Keyboards/Synths
Chason Westmoreland – Drums

EQUIPOISE – Facebook

Throne Of Flesh – Dogma

La buona qualità sonora e l’approccio old school sorprenderà i vecchi fans del metal noventiano, facendo salire l’attesa per la prossima mossa dei Throne Of Flesh.

Quando si parla di death metal classico nel nostro paese le sorprese sono sempre dietro l’angolo, con lavori magari sottovalutati rispetto a quelli in arrivo dagli altri paesi, ma meritevoli dell’attenzione di chi fagocita metal estremo abitualmente.

I Throne Of Flesh sono una nuovissima band che si affaccia sul mercato tricolore con Dogma, demo di quattro brani all’insegna di un death old school che non lascia spazio a dubbi sulle intenzioni del trio composto da Flavio Tempesta alla chitarra (Disease, Zora, Sudden Death, Clg, Pandemic Procession), Joseph alla voce (Bestial Vomit, Clg) e Tat0 al basso (Glacial Fear, Zora, Antipathic, A Buried Existence, Unscriptural).
L’esperienza non manca di certo a questi musicisti e confluisce tutta in questo poker di brani che fin dall’opener 24 Obnoxius Reeks Of Holiness ci investono con una carica aggressiva senza compromessi, fatta di blast beat, rallentamenti e ripartenze tipiche del death metal novantiano sagacemente suddiviso tra la tradizione statunitense e quella scandinava.
La buona qualità sonora e l’approccio old school sorprenderà i vecchi fans del metal estremo di quegli anni, facendo salire l’attesa per la prossima mossa dei Throne Of Flesh.

Tracklist
1.24 Obnoxius Reeks Of Holiness
2.Throne Of Mendacious Heritage
3.Inverted
4.Tracheotomized By Ants

Line-up
Flavio Tempesta – Guitars
Joseph Di porto – Vocals
Giuseppe Tato Tatangelo – Bass

THRONE OF FLESH – Facebook

Kommandant – Blood Eel

I Kommandant sono uno dei gruppi migliori che si possano ascoltare, e chi ama certo black metal d’assalto contaminato qui troverà la propria epifania. Devastanti, con una produzione fantastica, suoni giganteschi e tanto dolore.

Tenebre, buio, nero, un soffocante orizzonte di oscurità e morte, gli unici suono sono quelli della violenza e del dolore.

Black metal malvagio che fa sanguinare le orecchie, risveglia la bestia primordiale che è in noi e ne volgiamo ancora, e ancora, mentre gli schizzi del sangue colorano il muro davanti a noi. I Kommandant vengono da Chicago, sono nati dal nulla nel 2005 e sono uno dei gruppi più peculiari e terribili del black death metal. Loro non fanno musica, ti aggrediscono alle spalle per massacrar te e la tua genia, con composizioni che vanno tutte ben oltre i cinque minuti e sono tutte piccoli capolavori. Questi americani giocano in una categoria diversa rispetto a tutti, una categoria che esisteva già prima, ma loro hanno alzato notevolmente il livello, e la l’attiva etichetta triestina ATMF non se li è lasciati scappare. Blood Eel è l’ultimo notevolissimo episodio di una discografia distruttiva e molto densa, piena di split e di collaborazioni. L’ultimo disco non è la colonna sonora dell’apocalisse, ma di qualcosa ancora peggiore, l’araldo di una morte quotidiana che arriva dallo spazio profondo, e viene chiamata vita. I Kommandant mettono in musica l’oppressione, la violenza e il peso di vivere tempi oltraggiosi, tempi che non sono salubri e qui in Blood Eel c’è tutto, suonato velocissimo, con grande tecnica, e con lo scopo di sopraffare l’ascoltatore che non viene mai percepito come tale, ma è un obiettivo da colpire come tutti gli altri. Qui dentro ci sono tantissime cose, la furia, l’attesa, il black, il death, la dark ambient e anche momenti neo folk. I Kommandant sono uno dei gruppi migliori che si possano ascoltare, e chi ama certo black metal d’assalto contaminato qui troverà la propria epifania. Devastanti, con una produzione fantastica, suoni giganteschi e tanto dolore.

Tracklist
1.Absolutum
2.Blood Eel
3.The Struggle
4.Ice Giant
5.Cimmerian Thrust
6.Aeon Generator
7.Moon…The Last Man

KOMMANDANT – Facebook

Ossuarium – Living Tomb

Per gli Ossuarium, Living Tomb rappresenta un primo passo su lunga distanza di grande efficacia e che evidenzia come un’espressione stilistica apparentemente dai pochi margini di manovra possa essere, sempre e comunque, resa in maniera convincete e soprattutto coinvolgente.

Arriva da Portland, Oregon, questa nuova realtà dedita ai un death metal dai consistenti rimandi doom.

Se tutto questo può risultare poco stuzzicante in virtù di una quasi certa adesione a consolidati schemi stilistici, va detto a beneficio di chi ci si voglia accostare che raramente al primo tentativo si riscontrano opere così ben focalizzate e di simile spessore. La band statunitense infatti maneggia questa insidiosa materia con grande perizia: il sound non assume mai ritmiche troppo veloci attestandosi su tempi cadenzati sui quali vengono spesso inseriti passaggi più rarefatti o efficaci parti di chitarra solista.
In Living Tomb l’immaginario putrido e catacombale non è fine a se stesso perché l’approccio degli Ossuarium è del tutto adeguato alla bisogna, con il valore aggiunto di una bontà esecutiva che non lascia dubbi, così come la produzione.
I nostri sanno coinvolgere pur con il loro sound per nulla ammiccante, grazie a spunti melodici che vengono inseriti nel contesto con grande fluidità e che. ovviamente. corrispondono per lo più ai momenti in cui l’anima doom viene messa in primo piano (emblematica l’ottima Corrosive Hallucinations), un aspetto questo che si manifesta maggiormente nella seconda metà del lavoro.
Per gli Ossuarium, Living Tomb rappresenta un primo passo su lunga distanza di grande efficacia e che evidenzia come un’espressione stilistica apparentemente dai pochi margini di manovra possa essere, sempre e comunque, resa in maniera convincete e soprattutto coinvolgente.

Tracklist:
1. Intro
2. Blaze Of Bodies
3. Vomiting Black Death
4. Corrosive Hallucinations
5. Writhing In Emptiness
6. End Of Life Dreams And Visions Pt. 1
7. Malicious Equivalence
8. End Of Life Dreams And Visions Pt. 2

Line-up:
Ryan Koger – Drums
Daniel Kelley – Vocals, Guitar
Jeff Roman – Bass
Nate McCleary – Guitars (lead)

https://www.facebook.com/ossuariumdeath