Watain – Trident Wolf Eclipse

La storia parla già per i Watain, che regalano un altro monolite musicale a tutti gli amanti del black.

Il sentiero dei Watain non è mai caritatevole, ma sempre caratterizzato da una forza ed un’energia unica.

Il 2018 si apre così, con Trident Wolf Eclipse, per una band che ha già un suo posto di diritto nella storia del genere nero per definizione, il black metal.
La copertina dell’album, come spesso è consuetudine per la band svedese, si presenta con un (non)colore che più che bianco e nero è nichilisticamente e fieramente grigio. Ed è proprio questo clima di dissacrazione che ritroviamo trasportato in musica per tutto l’album.
Esattamente come un branco di lupi, i Watain mostrano ad ogni nota di essere famelici fino all’estremo. A fare da capobranco, ovviamente, la voce di Erik Danielsson, che sembra nato esattamente per occupare quel ruolo. L’ascoltatore amante della forza distruttiva del black, nonché dei Watain stessi, non potrà che essere felice di isolarsi dal mondo esterno e chiudersi in un tunnel di eccesso sonoro come quello di Trident Wolf Eclipse.
Il brano d’apertura, Nuclear Alchemy, avvisa dal primo secondo chi ascolta su quella che sarà la linea forsennata di tutto il disco. Non c’è da sorprendersi, infatti, che in ben 41 minuti non ci sia un solo secondo di stasi o di angelica riflessione, e nemmeno per qualche intermezzo più melodico. Non è nello stile dei Watain.
In questo nuovo album, la band svedese ha fatto esattamente ciò che sa fare meglio e che ha sempre fatto: eliminare e distruggere con l’odio in corpo fino allo sfinimento. Sicuramente ogni fan sarà entusiasta del fatto che, in 20 anni di carriera, l’attitudine di una band che è un punto di riferimento del genere sia rimasta la stessa.

Tracklist
1. Nuclear Alchemy
2. Sacred Damnation
3. Teufelsreich
4. Furor Diabolicus
5. A Throne Below
6. Ultra (Pandemoniac)
7. Towards the Sanctuary
8. The Fire of Power

Line-up
Erik Danielsson – voice/ bass
P. Forsberg – guitar
H. Jonsson – drums

WATAIN – Facebook

Stillborn – Mirrormaze & Die in Torment 666

Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

La Godz Ov War ci presenta i primi due album licenziati dagli Stillborn, realtà anticristiana di stanza a Mielec, in Polonia.

Usciti originariamente tra il 1999 ed il 2001, i due lavori in questione risultano l’inizio della carriera musicale del combo polacco, che in seguito darà alle stampe un paio di lavori minori e ben cinque full length di cui Testimonio de Bautismo è l’ultimo malefico parto uscito lo scorso anno.
Vecchi ormai di quasi vent’anni, i due demo difettano di una produzione old school, ma il death/black metal di cui sono portatori tiene bene lo scorrere del tempo. risultando sempre cattivo, maligno ed oscuro.
Una raccolta di brani che ben presenta il sound del gruppo polacco, in linea con la scena estrema dell’est europeo e che alterna sfuriate black metal a più possenti trame death.
L’attitudine e l’impatto sono perfettamente in simbiosi con la nera fiamma che brucia ininterrottamente tra le note di brani  diretti e senza fronzoli e che sputano veleno in pochi minuti.
Un growl più profondo ed uno scream diabolico si danno il cambio portando il verbo satanista in musica, mentre l’oscurità regna tra lo spartito di Crave For Killing e Mirrormaze (da Mirrormaze) o Keep Dying e Millennium Of Hatred (da Die In Torment 666).
Un’opera di ripescaggio assolutamente solo per i fans del gruppo o per chi ama il verbo nero nella sua versione più underground e senza compromessi.

Tracklist
1.Crave For Killing
2.Hefaystos
3.Die In Torment
4.Nailed Hessus
5.Mirrormaze
6.Morphine Laboratory
7.Stillborn
8.Artror City
9.Molestation*
10.Iconoclast* (Mirromaze Era version)
11.Keep Dying
12.Blasphemous Perversion
13.Whore
14.Millenium of Hatred
15.Blood, Chains & Whips
16.Iconoclast (D.I.T.666 Era version)
17.God Is Good

Line-up
Line Up Mirrormaze:
Killer – Guitars, Bass, Vocals
Rafał R. – Drums
Grzegorz O. – Guest Growling
Łukasz P. – Sample

Line Up Die In Torment 666:
Killer – Guitars, Vocals
Rafał R. – Drums
Andrzej T. – Bass
Łukasz M. – Vocals

STILLBORN – Facebook

Man Daitõrgul – Gulkenha

L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Non è mia abitudine esprimermi in maniera poco lusinghiera su un disco sottoposto alla mia attenzione: è vero che spesso ciò non si rivela necessario, ma il motivo è che si preferisce dalle nostre parti lasciare spazio alle opere più meritevoli evitando di dedicare tempo e spazio a quello che talvolta viene visto come una sorta di accanimento nei confronti di musicisti che, a prescindere, meritano sempre e comunque il massimo rispetto come persone e come artisti.

Quando è però il musicista stesso a richiedere una recensione, bypassando quella che è la canonica trafila della mail o del comunicato proveniente da label o agenzie di promozione, è una dovere morale quello di acconsentire anche se, non necessariamente, quanto ne verrà fuori avrà connotazioni positive, con la certezza che sia sempre preferibile per chiunque ottenere un riscontro negativo, ma articolato, piuttosto che essere ignorati.
Di questo primo full length della one man band spagnola Man Daitõrgul bisogna innanzitutto dire che siamo di fronte ad un lavoro ricco di buone idee, che vanno dal songwriting al concept stesso, con tanto di lingua immaginaria (il baaldro) creata dalla fervida fantasia di Nagh Ħvaëre, purtroppo non assecondate a dovere a livello di realizzazione a causa di oggettivi e talvolta macroscopici difetti.
Il contenuto di Gulkenha è un black metal dai connotati pagan-epic che funzionerebbe discretamente se non fosse penalizzato da suoni rivedibili e decisamente scolastici per quanto riguarda la chitarra (molto meglio il lavoro tastieristico, per quanto piuttosto lineare) e da un’interpretazione vocale piatta, con un growl recitativo in stile Bal-Sagoth poco espressivo e troppo in primo piano rispetto al sottofondo musicale; purtroppo le cose non vanno meglio quando si tenta un approccio corale con voci pulite, perché per esempio le stonature in Kħazesis Gleivarka e Gulke Nagh non possono essere ignorate, pur con tutta la benevolenza possibile.
Così, alla fine, restano da salvare alcuni interessanti spunti strumentali come l’incipit della stessa Gulke Nagh, che riesce a restituire un po’ di quell’evocatività che dovrebbe essere il tratto distintivo dell’album, almeno prima che siano nuovamente le voci a riprendere il proscenio, e il ritmato incedere di Neħvreskйgaidaŋ, che essendo la traccia di chiusura lascia se non altro un ricordo piacevole del lavoro.
Spiace doverlo dire, ma Gulkenha ha poche speranze di ritagliarsi un minimo di spazio all’interno di una scena musicale cosi vasta e il più delle volte qualificata: un peccato, perché l’idea di partenza è sicuramente valida ma tale scintilla finisce per spegnersi in una trasposizione musicale che si rivela deficitaria.
L’auspicio è che Nagh Ħvaëre prosegua il suo cammino cercando di rimediare ai punti deboli evidenziatisi all’ascolto di questo full length, anche perché, ribadisco, in quanto espresso dal progetto Man Daitõrgul ci sono diversi aspetti positivi sui quali porre le basi per ripartire.

Tracklist:
1. Ħaram am Drokelйa
2. Kħazesis Gleivarka
3. Man Daitõrgul / Slăm Iƥe Kaldrath
4. Bo Sevakaëra na Drokeŋ
5. Togul Daitõren
6. Evaƥ og Ovre Voħrænŋ
7. Gulke Nagh
8. Neħvreskйgaidaŋ

Line-up:
Nagh Ħvaëre – All instruments, Vocals

MAN DAITORGUL – Facebook

Exterior Palnet – Dorsa

Dorsa rappresenta l’esordio per la band di Zagabria, capace di fare centro al primo colpo con questo breve ma intenso lavoro intriso di un’aura cosmica.

Gli Exterior Palnet fanno parte di una scena croata che, riguardo al black metal, sta cominciando a fornire segnali interessanti.

Dorsa rappresenta l’esordio per la band di Zagabria, capace di fare centro al primo colpo con questo breve ma intenso lavoro intriso di un’aura cosmica, parzialmente debitore nei confronti di innovatori quali Deathspell Omega e Blut Aus Nord, ma ugualmente in possesso di una cifra personale che resta ben impressa dal primo all’ultimo minuto dell’opera.
Come sempre accade, lo spartiacque in album di questo genere è costituito dal grado di intensità che i musicisti si rivelano in grado di immettere nel loro sound: fin dalle prime note Dorsa fa presagire che il viaggio interstellare sarà periglioso ma ricco di soddisfazioni, veleggiando senza interruzione tra le sette tracce che lo compongono.
Sia nei momenti più riflessivi sia quando fanno girare i motori a pieni giri, gli Exterior Palnet danno la sensazione di possedere un innato controllo della materia e, oggettivamente, una traccia come II è una delle cose migliori ascoltate in tempi recenti in ambito black metal, esaltata poi da una registrazione ottimale per la quale i ragazzi croati si sono affidati agli studi di registrazione di Brad Boatright in quel di Portland.
Volendo fare i pignoli, potrebbe non trovare consensi unanimi l’uso della voce, che è una sorta di recitato urlato in stile Mr.Curse degli A Forest Of Stars, ma sinceramente si tratta solo di un dettaglio, all’interno di un disco che convince e sorprende sempre più dopo ogni ascolto, ed è davvero incredibile dover sopportare i continui piagnistei di chi rimpiange i bei tempi andati, quando mai come in questo periodo storico ci sono state così tante band capaci di offrire album di livello superiore alla media.
Dorsa è uno di questi, regalato da una band la cui provenienza da una nazione dalla ridotta tradizione in materia di metal estremo, paradossalmente, favorisce un approccio meno vincolato a modelli ben definiti: da ascoltare come se si trattasse della soundtrack di un film ambientato nello spazio, ma ovviamente senza il canonico happy ending.

Tracklist:
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI
7. VII

Line-up:
Josip Vladić – Drums, Songwriting
Bruno Čavara – Guitars, Bass, Percussion, Songwriting
Mario Bošnir – Keyboards
Tomislav Hrastovec – Vocals, Lyrics

EXTERIOR PALNET – Facebook

Hetman – Sewn From The Ashes Book

Questa interpretazione del pagan black metal appare davvero accattivante, perché tutto sommato rifugge gli stilemi consueti trovando una sua peculiarità senza smarrire le coordinate di base del genere.

E’ ancora l’Ucraina ad offrire una nuova ottima one mand band che si muove in ambito black, anche se tecnicamente ad aiutare il bravo Cerberus ci sarebbe l’altrettanto  valido Storm alla batteria.

Comunque sia, questo progetto denominato Hetman arriva al terzo full length, un traguardo che, come spesso accade, ci fornisce elementi decisivi per determinare il valore di una band.
Ebbene, questa interpretazione del pagan black metal appare davvero accattivante, perché tutto sommato rifugge gli stilemi consueti trovando una sua peculiarità senza smarrire le coordinate di base del genere; addirittura mi spingerei a dire che inserire gli Hetman nel black metal è quasi una forzatura, visto che in certi momenti semmai uno dei riferimenti che emergono con più decisione sono gli Amorpohis, senza dimenticare chiaramente la lezione dei Bathorìy, al netto dell’uso dello screaming e di periodiche sfuriate in blast beat, che costituiscono i soli elementi che giustificano la collocazione nel genere.
Chiarito tutto ciò, non resta che ascoltare Sewn From The Ashes Book (tenendo conto che il tutto avviene in madre lingua e che la stessa band e il titolo dell’abum e dei brani si presentano al pubblico in cirillico) e ciò non si rivela affatto tempo perso, perché Oleksiy Bondarenko si dimostra un musicista di notevole spessore, sia per un songwriting vario e sempre orientato ad agganciare l’attenzione dell’ascoltatore, con passaggi di ampio respiro melodico ed il valore aggiunto di un pacchetto esecuzione/produzione inattaccabile.
Volendo trovare un piccolo difetto al lavoro si può dire solo che, dopo il magnifico trittico inziale The Gateway / The Seventh Heaven / How Quiet on Earth! How Quiet!… l’album tende a scemare leggermente di livello ed intensità, ma direi più per “colpa” della qualità eccelsa di questi brani che non per la pochezza dei restanti.
Poco male, visto quanto di buono Cerberus è in grado di offrire agli appassionati del metal dalle sfumature pagan black, i quali troveranno negli Hetman un nuovo gradito nome da appuntarsi sul proprio taccuino virtuale

Tracklist:
1.Брама (The Gateway)
2.Сьоме небо (The Seventh Heaven)
3.Як тихо на землі!Як тихо… (How Quiet on Earth! How Quiet!..)
4.Грудочка Землі (The Pile of Soil)
5.Пам’ятай хто ми (Remember Who We Are)
6.Доторкнись до каміння в степу (Touch the Stones in the Steppe)
7.Горде слово (The Proud Word)
8.В серце кожного (To the Heart of Everyone)

Line-up:
Oleksii Bondarenko – All instruments and vocals

Malvento – Pneuma

I Malvento odierni raccolgono idealmente il testimone dell’occult metal italiano, portandolo fieramente lungo il tratto di percorso loro assegnato, con la consapevolezza di chi sa perfettamente che questa strada può essere ancora lunga e foriera di altri lavori di qualità eccelsa come Pneuma.

I campani malvento sono una delle band appartenenti alla scena black metal italiana nate ancora nel secolo scorso, per cui in questo caso è lecito parlare di una realtà collaudata e formata da musicisti esperti.

Una carriera così lunga ha fornito una produzione quantitativamente nella media, considerando che Pneuma è sì solo il quarto full length ma arriva a ben sette anni di distanza dal precedente.
Se prima ho parlato di black metal va doverosamente precisato che, con questo lavoro, si compie una sorta di definitivo distacco dal genere, almeno nella sua versione più canonica, portando a termine un processo iniziato già con Oscuro Esperimento Contro Natura.
Pneuma si snoda così come se si trattasse di un flusso guidato da un’oscura vena esoterica, nel corso del quale il vocalist Zim recita con un sussurro maligno testi in italiano di notevole impatto e profondità, appoggiati su un tessuto sonoro che fonde mirabilmente dark wave e dark ambient conferendo al tutto un senso melodico capace di fare la differenza.
Volendo fare un parallelismo con un’altra realtà nazionale tornata all’attività dopo un lungo silenzio, nel lavoro dei Malvento troviamo diversi punti di incontro, perlomeno a livello di approccio concettuale, con gli ultimi The Magik Way, però a mio avviso il trio partenopeo si rivela superiore proprio perché in grado di provocare un maggiore coinvolgimento emotivo.
A tale riguardo ritengo che tale risultato venga raggiunto proprio grazie a quella componente dark che porta, per esempio, un brano magnifico come Notte a sembrare un’ipotetica versione irrobustita e malevola dei Cure di Pornography; il tutto viene alternato a spunti ambient (con una fenomenale Vortex) che si trasformano nell’ideale colonna sonora di un rituale esoterico.
Non dobbiamo nasconderci dietro la falsa modestia negando che in Italia ci sia la maggiore concentrazione di band capaci di mettere in musica in maniera credibile tali tematiche, perpetuando una tradizione che viene da lontano e che abbraccia trasversalmente in vari generi: i Malvento odierni raccolgono idealmente tale testimone portandolo fieramente lungo il tratto di percorso loro assegnato, con la consapevolezza di chi sa perfettamente che questa strada può essere ancora lunga e foriera di altri lavori di qualità eccelsa come Pneuma.

Tracklist:
1. Pneuma (Intro)
2. Notte
3. La via sinistra
4. L’incanto
5. Vortex
6. Respiro notturno
7. Apuania
8. Le danze
9. Il risveglio (Outro)

Line-up:
Zin – Bass, Vocals
Nefastus – Drums, Guitars
Whip – Synthesizer, Programming

MALVENTO – Facebook

The Negative Bias – Lamentation of the Chaos Omega

Il black metal può risultare efficace sia nella sua forma più scarna e primitiva sia in quelle più trasversali ed inquiete, come lo è questa, quando a fare la differenza sono la credibilità e la competenza dei suoi interpreti.

A conferma di quanto il black metal possa offrire una quantità pressoché infinita di interpretazioni, ecco giungere l’esordio degli austriaci The Negative Bias.

Fin dalle prime note appare evidente come da questo Lamentation of the Chaos Omega ci sia da attendersi grande musica offerta con cura dei particolari e una mirabile misura nel dosaggio dei diversi elementi che ne vanno a comporre il sound.
The Golden Key To A Pandemonium Kingdom è infatti un brano magnifico con il quale il trio viennese di lancia a perdifiato in un’esibizione di odio cosmico che in questo case gode di ottime linee melodiche, così come la successiva traccia Journey Into The Defleshed Paradise (se possibile ancora più bella dell’opener) e che, in seguito, andrà a spaziare anche su territori ambient/avanguardisti senza mai perdere il filo del discorso.
Come si diceva pocanzi, il black può risultare efficace sia nella sua forma più scarna e primitiva sia in quelle più trasversali ed inquiete, come lo è questa, quando a fare la differenza sono la credibilità e la competenza dei suoi interpreti.
I The Negative Bias danno ampie garanzie in tal senso ed offrono un album di raro spessore in ogni frangente, sia quando spingono al massimo i motori (Tormented By Endless Delusions) sia quando arrestano la loro corsa in una sorta di distaccata contemplazione del caos (Cryptic Echoes From Beyond Dimensions).
Lamentation of the Chaos Omega è un album pressoché perfetto, un altro di quelli che avrebbe meritato a posteriori una posiziono di rilievo nelle nostre classifiche di fine anno: I.F.S. ha costruito un progetto destinato a lasciare il segno, perché non è così consueto ascoltare una prima uscita, per quanto ad opera di musicisti di comprovata esperienza, così ben focalizzato in ogni suo aspetto (esecuzione, concept e produzione).

Tracklist:
1 The Golden Key To A Pandemonium Kingdom
2 Journey Into The Defleshed Paradise
3 Tormented By Endless Delusions
4 The Undisclosed Universe Of Atrocities
5 Cryptic Echoes From Beyond Dimensions
6 And Darkness Should Be The End Of Cosmic Faith

Line-up:
I.F.S – Vocals, Lyrics, Concept,
S.T – Studio Strings
Florian Musil – Studio Drums

THE NEGATIVE BIAS – Facebook

Funeral Chant – Funeral Chant

Il lavoro scorre via feroce e d’impatto, con la traccia d’apertura che mostra il meglio dei Funeral Chant ed il resto dei brani che si attestano su un livello non dissimile, con il pregio non da poco di rifuggire per quanto possibile la ripetitività.

Esordio per i Funeral Chant, quintetto californiano nato dalle ceneri di un’altra band denominata Dead Man.

Il genere offerto in questi quattro brani abbraccia lo spettro delle sonorità estreme, con il black metal a fungere da base per escursioni su territori death e thrash: il sound è diretto ma non privo di una certa ricercatezza, anche se a livello di produzione la voce sembra provenire dall’abituale sgabuzzino adiacente la sala di registrazione, ma si tratta di un’evenienza cosi frequente che fa pensare più ad una precisa scelta che non ad imperizia.
Detto ciò, il lavoro scorre via feroce e d’impatto, con la traccia d’apertura che mostra il meglio dei Funeral Chant ed il resto dei brani che si attestano su un livello non dissimile, con il pregio non da poco di rifuggire per quanto possibile la ripetitività.
Chiaramente, per emergere in maniera più decisa al prossimo giro sarà necessario approdare ad un sound maggiormente identificabile, oltre che ritoccare alcune sbavature che non impediscono a questo primo passo dei Funeral Chant di rivelarsi piuttosto godibile.

Tracklist:
1. Spiral into Madness
2. Cacophony of Death
3. Flood of Damnation
4. Cosmic Burial
5. Morbid Ways (Repugnant cover)
6. Funeral Chant

Line-up:
Cruel Force: drums
Doom of Old: guitar
† Voidbringer: vocals, guitar
Vomitor: bass guitar

FUNERAL CHANT – Facebook

Wending Tide – The Painter

The Painter ha il solo difetto d’essere un ep, perché, al termine dell’ascolto, permane forte il desiderio di ascoltare quanto prima del nuovo materiale proveniente da questo bravissimo musicista neozelandese.

Sempre dalla ricca faretra della Naturmacht ecco arrivarci questo notevole prodotto proveniente dell’emisfero australe.

Wending Tide è il nome di una delle non così frequenti realtà musicali provenienti dalla Nuova Zelanda portate alla nostra attenzione: le note biografiche al riguardo sono pressoché nulle per cui altro non dato sapere, se non il fatto che siamo al cospetto di una one man band.
Non resta quindi che parlare della musica offerta, che è un ottimo black metal atmosferico dalla forte impronta nordamericana, cosa che viene esplicitata senza troppi giri di parole fin dai titoli dei due brani centrali Cascading Auburn I e II; uno spiccato senso melodico pervade ognuna delle quattro tracce nelle quali viene offerto uno spaccato esemplare di quel black metal dai tratti sognanti che va talvolta a sconfinare nello shoegaze.
In questi venti minuti scarsi gli Wending Tide offrono splendidi squarci melodici che non possono lasciare indifferenti, anche perché d’altro canto non viene sacrificata la struttura di base del genere, senza rinunciare né allo screaming né alle consuete sfuriate ritmiche atte a sostenere il flusso armonico creato dal tremolo della chitarra.
The Painter ha il solo difetto d’essere un ep, perché giunti alla fine di Pastel Light permane un forte desiderio di ascoltare quanto prima del nuovo materiale proveniente da questo bravissimo musicista neozelandese.

Tracklist:
1. The Painter
2. Cascading Auburn I
3. Cascading Auburn II
4. Pastel Light

Ovnev – Incalescence

Un album sicuramente interessante e consigliato a chi ama il black atmosferico dalla forte impronta nordamericana e dalle ben dosate sfumature folk.

Secondo full length per la one man band texana Ovnev, autrice di un buon black metal atmosferico del tutto in linea con le produzioni di casa Naturmacht.

L’etichetta tedesca è probabilmente quella che ha nel suo roster il maggior numero di band e progetti solisti dediti a questa specifica forma di black, che affonda le proprie radici in un sentire naturalistico-ambientale ben radicato nel dna dei musicisti di provenienza statunitense.
West non fa eccezione a questa sorta di regola ed offre un album decisamente valido e ricco di buoni spunti melodici, magari non sempre impeccabile dal punto di vista esecutivo, con qualche sbavatura nel lavoro chitarristico che viene ampiamente compensata da una buona intensità e da quella capacità tipica del genere di veicolare le emozioni in maniera molto diretta e priva di alcun filtro.
I cinque brani si equivalgono per valore rendendo l’ascolto di Incalescence senz’altro gradevole: tra questi credo che sia A Living Resonance l’episodio che meglio esprime il senso del sound marchiato Ovnev, che in questo caso riveste musicalmente una storia fantasiosa ma piuttosto interessante riguardante la scoperta di un ecosistema lussureggiante nascosto nel sottosuolo antartico, creato da forme di vita intelligenti e destinato ad essere rivelato all’umanità, con tutte le conseguenze del caso.
La somma di tutti questi fattori rende l’album sicuramente interessante e consigliato a chi ama il black atmosferico dalla forte impronta nordamericana e dalle ben dosate sfumature folk.

Tracklist:
1. Subterranean Premonitions
2. Icy Incalescence
3. A Living Resonance
4. Oracles of the Eternal Wisdom
5. They Reclaimed the Land

Line-up:
West Everything

OVNEV – Facebook

Chaos Moon – Eschaton Mémoire

Grande ritorno della USBM band con un lavoro ricco di passione e personalità …opening the cosmic wound.

Una grande atmosfera e una eccezionale cover disegnata da Jef WhItehead (in arte Wrest dei Leviathan), rendono l’ascolto della nuova opera dei Chaos Moon un’esperienza trascendentale e lisergica; il monicker, attivo dal 2004 con il demo Chaos Rituals, contemplava solo la presenza di Alex Poole come mastermind del progetto e abbracciava maggiormente sonorità funeral che, nel tempo, sono state accantonate per un approccio al black metal molto particolare, con una forte propensione nel creare atmosfere insolite e personali.

Ora la band è diventata un quartetto e ci propone in tre brani, per quaranta minuti di musica, un’opera molto intensa, sofferta, con un suono freddo e con atmosfere nebbiose, frutto di un uso sapiente di synth e varia effettistica. La ricerca della band ha portato a concepire un’opera di un livello superiore, dove l’equilibrio tra un’atmosfera malsana, oscura, decadente e un black feroce, retto da un grande drumming, si mantiene costante senza cedimenti. I brani sono ben “costruiti”, sono fluidi, coinvolgenti e colpiscono sia il cuore che l’intelletto. Un magnifico pezzo come Of wrath and forbidden wisdom, nel suo maestoso ed inquietante sviluppo, crea atmosfere che possono ricordare alcuni temi emperoriani; lo scream accompagna in modo espressivo feroci riff che costantemente caricano il brano di oscura energia. La title track divisa in due momenti alterna furioso, ruvido e caotico black con momenti più pacati, condotti da linee di synth gelide e sferzanti. E’ un’opera che deve essere ascoltata nella sua interezza e con particolare attenzione perché le sensazioni che emana hanno un loro personale fascino: è sempre una sfida per il black riuscire a creare, da materiali noti, nuova e grande Arte Nera.

Tracklist
1. The Pillar, the Fall, and the Key I
2. The Pillar, the Fall, and the Key II
3. Of Wrath and Forbidden Wisdom
4. Eschaton Mémoire I
5. Eschaton Mémoire II

Line-up
Esoterica Guitars, Atmosphere
Jack Blackburn Drums
S.B. Guitars, Atmosphere
E.B. Vocals

CHAOS MOON – Facebook

Kapala – Infest Cesspool

Se l’intento dei Kapala è quello di far sembrare che il sound provenga direttamente dal pozzo nero (cesspool) da loro evocato, allora l’obiettivo è raggiunto, peccato però che tale operato non sia affatto rappresentativo né delle forme più true del black metal, sia soprattutto di una scena indiana che, anzi, si sta dimostrando negli ultimi anni una delle più vive e brillanti del continente in ambito estremo.

Qualcuno si potrà chiedere come mai i dischi dei quali parliamo noi sono normalmente di buon livello o quanto meno degni di ascolto: forse perché siamo fortunati, visto che la maggior parte delle produzioni che ci vengono sottoposte sono oggettivamente valide, ma soprattutto perché, essendo costretti a tralasciare più di un lavoro meritevole d’attenzione, stante l’impossibilità di far fronte a tutte le richieste, riteniamo sia il caso di non disperdere energie occupandoci delle opere meno riuscite.

Però ogni tanto è il caso di fare un’eccezione, soprattutto quando il prodotto che ci viene sottoposto può rivelarsi fuorviante rispetto ad un certo modo di intendere uno stile o un genere musicale, specialmente per qualcuno che ci si dovesse imbattere per la prima volta.
Sappiamo tutti che non è certo a chi suona black metal che si richiede il confezionamento di album perfetti dal punto di vista delle sonorità e della registrazione, e non più di una settimana fa mi sono trovato ad esprimere un sincero apprezzamento per l’ ultimo disco dei Sortilegia, perfetto esempio di come il genere possa essere suonato in maniera “primitiva” e con una produzione definibile eufemisticamente lo-fi senza che venga meno la possibilità di godere appieno di quella che è la sua vera essenza
Ecco, quel lavoro, se confrontato con questo esordio degli indiani Kapala, sembra quasi un prodotto patinato: non nego che, all’ascolto delle prime note di Infest Cesspool, l’istinto sia stato quello di imprecare per l’improvvisa rottura delle cuffie, salvo poi rendermi conto che il problema risedeva altrove …
Questo terzetto asiatico tenta di mettere in scena un raw black metal così definibile solo nelle intenzioni, visto che il tutto sembra arrivare da una radiolina anni settanta malfunzionante, e ciò rende vana ogni possibile considerazione sulle capacità della band di esprimere un contenuto musicale che resta del tutto inintelligibile lungo i venti minuti dell’ep, chiusi da un outro il cui titolo, Atrocity Cacophony, sembra quasi esprimere una tardiva presa di coscienza.
Se poi l’intento dei Kapala è quello di far sembrare che il sound provenga direttamente dal pozzo nero (cesspool) da loro evocato, allora l’obiettivo è raggiunto, peccato però che tale operato non sia affatto rappresentativo né delle forme più true del black metal, sia soprattutto di una scena indiana che, anzi, si sta dimostrando negli ultimi anni una delle più vive e brillanti del continente in ambito estremo.
In buona sostanza, lo scopo essenziale di questa non-recensione era quello chiarire tale concetto; resta solo da augurarsi che lo “scarrafone” immortalato in copertina, volendolo identificare con i Kapala, possa essere oggetto in futuro di una metamorfosi opposta rispetto a quella di Gregor Samsa …

Tracklist:
1. Intro (To War)
2. Homosapiennihilation
3. Kapalik Hellstrike
4. Thermobarik Spear
5. A. K. S
6. Outro (Atrocity Cacophony)

Line-up:
V. I – Bass, Vocals
S – Drums
A.T – Guitars

KAPALA – Facebook

Almyrkvi – Umbra

L’operato di Jónsson colpisce per maturità e qualità e, laddove l’aggettivo atmosferico rischia d’essere utilizzato a sproposito, sicuramente l’interpretazione del genere targata Almyrkvi è molto lontana da quella tradizionale.

Il black metal proveniente dall’Islanda continua ad assumere sempre più importanza di pari passo alle varie sfaccettature che ogni band o progetto solista finisce per esibire.

Almyrkvi è uno degli ultimi frutti di una terra apparentemente arida ed ostile, ma terribilmente ricca dal punto di vista artistico: la band nasce da una costola dei già noti Sinamara, il cui chitarrista Garðar S. Jónsson si fa carico di tutto il comparto compositivo e strumentale, con l’eccezione dalla batteria affidata al già collaudato compagno d’avventura Bjarni Einarsson.
Anche la definizione black metal sta assumendo via via significati differenti a seconda dell’angolazione da cui lo si guardi e, forse, talvolta finisce per apparire addirittura riduttiva: in Umbra, infatti, si rinvengono pulsioni cosmiche e sperimentali che possono rimandare ai Blut Aus Nord ma anche ai più recenti Monolithe (che sicuramente black metal non suonano), il tutto però fatto in maniera così avvincente e personale da raccomandare chi legge a prendere queste citazioni solo come un’indicazione di massima del tipo di sonorità contenute nel lavoro.
L’operato di Jónsson colpisce per maturità e qualità e, laddove l’aggettivo atmosferico rischia d’essere utilizzato a sproposito, sicuramente l’interpretazione del genere targata Almyrkvi è molto lontana da quella tradizionale: qui aleggia costantemente un sentore di gelida minaccia che, quando pare acquietarsi, improvvisamente prorompe in esplosioni repentine, quasi il flusso sonoro corrispondesse a quelle meravigliose anomalie naturalistiche che sono i geyser così diffusi lungo l’irrequieto suolo vulcanico dell’isola.
Parlare delle singole tracce è un esercizio al quale mi sottraggo, ritenendo che Umbra sia un lavoro da ascoltare come se fosse un unico lunghissimo brano; mi limiterò a dire che l’opener Vaporous Flame è forse il momento più morbido e accessibile di un album che, a partire dalla successiva Forlorn Astral Ruins, si trasforma in una terrificante colata di nera lava, alla quale contribuisce il notevole growl di Jónsson, musicista sopraffino al quale il buon Einarsson non fa certo mancare un decisivo supporto ritmico.
Una delle più belle sorprese dell’anno, peccato solo l’aver ascoltato quest’album a classifiche già stilate, perché, per quel che può valere, avrebbe trovato posto davvero molto in alto.

Tracklist:
1. Vaporous Flame
2. Forlorn Astral Ruins
3. Severed Pillars of Life
4. Stellar Wind of the Dying Star
5. Cimmerian Flame
6. Fading Hearts of Umbral Nebulas

Line-up:
Garðar S. Jónsson – All compositions & instruments
Bjarni Einarsson – Drums

ALMYRKVI – Facebook

Ungoliantha – Through The Chaos, Through Time, Through The Death

Un ottimo esempio di black metal sinfonico che possiede la grande dote di non essere il prevedibile scopiazzamento dei Dimmu Borgir e di tutta la successiva genia, mantenendo invece ben salde le radici musicali della propria terra, in quanto le orchestrazioni conservano quell’aura solenne tipica della musica classica dell’est Europa.

E’ sempre più frequente la riedizione di album composti da band dell’estremo est europeo, con il lodevole tentativo di renderli appetibili anche al di fuori dell’area di utilizzo dell’alfabeto cirillico, rivestendoli quantomeno di titoli in inglese, pur mantenendone ovviamente l’impronta della madre lingua a livello lirico.

Questo avviene anche per gli ottimi Ungoliantha, ucraini dalla storia quanto meno singolare, visto che il qui presente Through The Chaos, Through Time, Through The Death, immesso sul mercato dalla Satanic Art Media nello scorso novembre, è il loro primo full length uscito nel 2015 con il più criptico (per noi) titolo Сквозь хаос, сквозь время, сквозь смерть; questo benché le prime apparizioni della band risalgano addirittura alla fine del scolo scorso, per poi ritornare fugacemente con un demo nel 2006 ed infine rompere il nuovo periodo di oblio discografico con il citato lavoro su lunga distanza,
Perché tutto ciò debba interessare chi legge è presto detto: siamo di fronte ad un ottimo esempio di black metal sinfonico che possiede la grande dote di non essere il prevedibile scopiazzamento dei Dimmu Borgir e di tutta la successiva genia, mantenendo invece ben salde le radici musicali della propria terra, in quanto le orchestrazioni conservano quell’aura solenne tipica della musica classica dell’est Europa, riuscendo a delineare il suono in maniera peculiare.
Il bello è che siamo di fronte ad un’opera persino perfettibile in più di un punto (la voce di Lord Sinned non è il massimo dell espressività, ricordando a tratti quella di Gunther Theys degli Ancient Rites, e forse qualcosa di più a livello di produzione si poteva fare ) eppure, nonostante questo l’impatto dirompente degli Ungoliantha non viene mai meno.
Due delle tracce provengono dallo scorso millennio ma la rielaborazione alla quale sono state sottoposte ne preserva la freschezza: Black Essence of Christ e Black Winds sono tra gli episodi migliori del lavoro e stringono tra le loro grinfie in scaletta la cover di Pressed Down By The Fallen Pivot Of Life dei Lucifugum (storico combo black metal ucraino), altra traccia nella quale il connubio tra il lavoro tastieristico e le ritmiche forsennate fornisce frutti prelibati.
La furiosa Armageddon (dotata di un apporto percussivo molto particolare, almeno per l’ambito black) chiude un lavoro davvero notevole per un’intensità che non viene sminuita dall’approccio un po’ naif della band ucraina; la nuova versione della Satanic Art prevede tre bonus track tutto sommato trascurabili, trattandosi delle versioni originali, decisamente inferiori in tutto e per tutto a quelle attuali, delle già citate Black Essence of Christ e Black Winds, e della cover di Lost Wisdom di Burzum.
Ma quello che interessa maggiormente è il potenziale manifestato da una band di fatto fino ad oggi sconosciuta nella vecchia Europa, il che fa pensare a quante e quali possano essercene di pari livello e pronte a essere portate alla luce nella sterminata area geografica corrispondente all’ex Unione Sovietica.

Tracklist:
1.Intro
2.Following The Black Kindness
3.To The Ultimate Gates
4.Black Essence of Christ
5.Pressed Down By The Fallen Pivot Of Life (Lucifugum cover)
6.Black Winds
7.Reckoning
8.Through The Death
9.Armageddon
10.Black Essence of Christ Demo
11.Black Winds Demo
12.Lost Wisdom (Burzum cover)

Line-up:
Vitaly Karavaev – Guitars
Igor Vershinin – Keyboards
Lord Sinned – Vocals, Bass

Elegiac – Black Clouds of War

Quando il troppo non stroppia. Nonostante le tante produzioni in poco tempo, Elegiac ha sempre più idee e qualità da vendere

Per chi non vi si fosse già imbattuto, Elegiac è una one-man band che ci scarica addosso i suoi decibel e il suo odio tutto black metal direttamente da San Diego, California.

A quanto pare ne aveva un bel po’ in serbo, perché in soli tre anni di attività, questa band ha già al suo attivo un’enorme quantità di lavori, tra cui ben otto split (tre solo nel 2017).
Black Clouds of War è un album che spazza via qualsiasi preconcetto sulla quantità che va a discapito della qualità, così come tutta la storia di questa band, che ha sempre sfornato contenuti di buonissimo livello.
Anche questo disco, quindi, è corposo ma soprattutto denso. Si ha sempre l’idea di una convivenza perfetta tra l’ondata di black aggressivo e senza presentazioni di cui ogni cultore del genere ha uno smisurato bisogno, e una componente melodica di altissima qualità che ci trascina dentro l’atmosfera creata da Elegiac. Ne è già un’ottima prova la title track Black Clouds of War, che apre il disco.
Altri brani rappresentativi sono certamente The Hanging Head of Death, dove lo stile più melodico e riflessivo non stona nemmeno per un secondo con l’odio e la dissacrazione di cui Elegiac fa la sua ragion d’essere, e Ashwind, intermezzo inaspettato nella parte finale del disco, quasi orientaleggiante, ma che non risulta forzato o fuori luogo per l’ascoltatore.
Ultima nota di merito spetta alla voce, capace di potenza, vero odio e distruzione ma anche di pura agonia, la quale potrebbe tranquillamente ricordare il DSBM, ma che in realtà qui ha ben poco in comune con esso.
È un album che, nel proprio modo di essere, ha già dei precedenti tra i molti lavori di Elegiac, soprattutto perché ci riporta alla mente un altro suo masterpiece, ovvero Spiritual Turmoil del 2016. Questo artista ha però la capacità di essere multiforme, e di lasciare sempre stupito anche l’ascoltatore più assiduo.

Tracklist
1. Black Clouds of War
2. Cosmic Holocaust
3. Beyond the Physical Realm
4. Transcendence (Interlude)
5. Heathen Supremacy
6. The Hanging Head of Death
7. Symbols of Power
8. Ashwind (Interlude)
9. Creatures of Night
10. Visions

Line-up
Zane Young: All instruments, Vocals

ELEGIAC – Facebook

Imperialist – Cipher

Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Gli Imperialist sono una band californiana a trazione integralmente ispanica.

Un aspetto, questo, che a mio avviso influisce sulla forma di black offerto dalla band, visto che il dna di una band seminale come i Terrorizer, formata in gran parte da musicisti centroamericani per origini o nazionalità, non può non aver influito sulla crescita musicale di questi ragazzi.
E, infatti, seppure di black metal si possa parlare a pieno titolo., il sound contenuto in Cipher non riporta immediatamente alle lande scandinave ma si contamina sovente con il death e con il thrash, trovando una sua strada, sicuramente già battuta da molti altri, ma tutto sommato neppure così scontata.
L’album, che è il full length d’esordio per gli Imperialist dopo l’ep del 2015 Quantum Annexation, conserva a livello concettuale l’immaginario fantascientifico degli esordi e si rivela senza dubbio un lavoro privo di sbavature e sufficientemente coinvolgente, anche se gli manca il colpo decisivo sotto forma di quei due o tre brani capaci di agganciare con decisione i potenziali ascoltatori.
Tutto scorre molto linearmente, senza annoiare ma neppure provocando sobbalzi, con qualche episodio sopra la media della tracklist (Umbra Tempest), ma nel complesso è una certa uniformità che nel bene e nel male caratterizza l’incedere di Cipher.
Il meglio gli Imperialist lo riservano con la traccia conclusiva Mercurian Dusk, dove si evidenzia appunto quell’intensità capace di catturare l’attenzione, grazie a linee melodiche più incisive ed il ricorso a buone variazioni ritmiche senza ricorrere a passaggi interlocutori,
Cipher è un album con molta più lode che infamia, ma la sensazione è che questa band abbia nelle corde la possibilità di fare ancora molto meglio, benché la prima prova si lunga distanza si dimostri una base di partenza già abbastanza solida.

Tracklist:
1. Continuum
2. The Singularity
3. Advent Anathema
4. Splendor Beneath an Ancient Permafrost
5. Umbra Tempest
6. Chronochasm
7. Binary Coalescenc
8. The Dark Below
9. Mercurian Dusk

Line-up:
Sergio Soto – Guitar and Vocals
Rod Quinones – Drums
Bryant Quinones – Guitar
Adrian Castaneda – Bass

IMPERIAL – Facebook

Anima Damnata – Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast

Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Con gli Anima Damnata, la Polonia estrema torna a far parlare di sé con l’ultimo lavoro di questo blasfemo quartetto al terzo full length, dieci anni dopo Atrocious Disfigurement of the Redeemer’s Corpse at the Graveyard of Humanity, ultimo parto malefico del gruppo.

Nefarious Seed Grows to Bring Forth Supremacy of the Beast continua a portare alla superficie le terrorizzanti e lascive blasfemie provenienti dall’antro più buio dell’inferno: non ci sono melodie, non c’è pietà ne umanità nello spartito di questo demoniaco quartetto e l’album, come e più delle le precedenti uscite, propone un sound che acquista forza direttamente dalla mente luciferina della band, autrice di un blackened death metal di chiara ispirazione est europea ma reso ancora più violento dal caos primordiale che viene evocato per soggiogare un’umanità alla deriva.
Un assalto sonoro senza soluzione di continuità, penetrante ed oscuro, dannato e affascinante come è il male quando a domarlo e ritorcerlo contro di noi è Lucifero in persona tramite i suoi quattro adepti celato sotto il monicker Anima Damnata.

Tracklist
01. The Promethean Blood
02. Praise the Fall of God
03. Uprising Lucifer
04. Through Abomination ‘Till Ecstasy
05. I Hail His Name
06. Your Life Is Cursed
07. Numinous Ascension into a Black Hole
08. His Light Shines Upon Me
09. Blend into Satan
10. Void of the Abyss

Line-up
Master of depraved dreaming and Emperor of the Black Abyss the Great Lord Hziulquoigmzhah Cxaxukluth – drums and electronics
Archangel of Evil Spells, Morbid Priest of Arcane Perfection vel Necrosodom – guitars and vocals
Apocalyptic Profanator of the Holy Laws, The Supreme Ruler of Abominations – guitars
The Mighty Initiatior of Barbarous Rituals, Herald of Heathen Firevel Killer – bass

ANIMA DAMNATA – Facebook

Sortilegia – Sulphurous Temple

L’approccio al black metal dei Sortilegia porta alle estreme conseguenze il concetto di ortodossia del genere, esibendolo nella sua versione e più nuda e cruda, senza orpelli e appesantimenti di sorta.

Per ascoltare questo secondo lavoro dei Sortilegia senza utilizzarlo come una sorta di metallico frisbee è necessario rispondere a due requisiti fondamentali: amare senza condizionamenti di sorta il black metal ed anteporre la purezza e la genuinità degli intenti di chi lo suona nelle sue forme più primitive a qualsiasi altra considerazione relativa alla pulizia del suono piuttosto che la mera tecnica strumentale.

E’ vero che per lo più questi due aspetti si sovrappongono ma non è cosi scontato, anzi, sempre più capita di apprezzare album che, senza tradire lo spirito del genere, sono prodotti e suonati con grande cura di ogni particolare.
L’approccio dei Sortilegia, duo canadese formato da marito e moglie (Haereticus e Koldovstvo), porta invece alle estreme conseguenze il concetto di ortodossia nel genere, esibendolo nella versione e più nuda e cruda, senza orpelli e appesantimenti di sorta.
Il primo percuote in maniera ossessiva il proprio strumento mentre la seconda macina un riffing incessante sul quale cala urla e gemiti che rendono ancora più oscuro ed inquietante lo scenario: il sound è scarno fino all’eccesso, ma fotografa come forse nessuno oggi appare in grado di fare lo spirito primevo di un genere che, giustamente, si è evoluto verso forme più accessibili e relativamente raffinate, ma che continua ad affondare le proprie radici diversi metro sotto il suolo, laddove il putridume regna ed è da lì che la pianta trae linfa per fornire i suoi osceni frutti.
Una forma espressiva, questa, che trova ragion d’essere solo nell’esposizione di un genere come il black metal che, nonostante i numerosi ed apprezzabili tentativi di ammorbidimento e contaminazione, non potrà comunque mai essere derubricato del tutto a qualcosa di omologabile e di inoffensivo, almeno finché ci saranno band come i Sortilegia ad alimentarne la fiamma.
Sulphurous Temple svelerà il proprio valore solo a chi si riconosce nel profilo delineato con il primo paragrafo, per tutti gli altri è meglio passare oltre.

Tracklist:
1. Night’s Mouth
2. Speculum Tenebrarum
3. Ecstasies of the Sabbath
4. The Veil
5. Hymn for the Egregor
6. Exalting in Acrid Flames

Line-up:
Haereticus – Drums
Koldovstvo – Vocals, Guitars