Dyrnwyn – Ad Memoriam

I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa

I romani Dyrnwyn compiono un capolavoro con questo loro ep Ad Memoriam, dopo il demo del 2013 Fatherland.

Nell’ep vengono rievocate solennemente le gesta di Roma e specialmente dell’esercito romano, braccio armato nella conquista di quello che fu l’impero: se non si parla delle sue gesta e della complessità che aveva ci pensano di Dyrnwyn con un disco clamoroso. Il suono è un folk metal che, a seconda della necessità narrativa, diventa folk, nel momento in cui la storia viene cullata sulle ali del ricordo, o metal nel ricordare il ferro delle legioni romane. La commistione dei generi riesce perfettamente e musicalmente le canzoni sono pazzesche, con un perfetto equilibrio di melodia e cattiveria. Riesce anche molto bene il gioco fra voce pulita e voce in growl, il tutto in italiano. Il risultato è un disco che rievoca in maniera potentissima Roma, la sua gloria, e le sue battaglie. Questa rievocazione non è la solita vuota riproposizione di impeto guerresco, ma un’accurata e sentita ricostruzione di ciò che effettivamente fu. I Dyrnwyn ci trascinano sul campo di battaglia, ci fanno sentire il battito del cuore del legionario che combatte nel fango della foresta di Teutoburgo, ed è un qualcosa di spiazzante, perché si arriva a capire cosa provavano questi romani che combattevano a migliaia di miglia da casa, sapendo che molto probabilmente Roma non l’avrebbero mai più rivista. Ad Memoriam mostra chiaramente, usando alla perfezione il linguaggio del folk metal, il motivo di tutto ciò: la gloria imperitura di Roma, questi ragazzi e questi uomini combattevano per una cosa che noi non ci immaginiamo nemmeno, è qualcosa di incomprensibile perché non lo abbiamo dentro. La musica e i testi del gruppo creano un incredibile empatia tra noi ed i soldati, tra noi e la Roma che fu. E questa Roma è necessariamente pagana, come cantano i Dyrnwyn, perché quando muore il paganesimo muore anche l’idea stessa di Roma, e non c’è storico in buona fede che lo possa negare. Questo ep dovrebbe essere fatto sentire nelle scuole, perché ha un valore storico immenso, ed è a dir poco trascinante. Teutoburgo è una canzone che ti fa sentire lì, in quella foresta germanica, dove furono annientate intere legioni e non solo. Per farvi capire come erano i romani, dopo questo delirio di battaglia, combatterono i germani per sette anni, prima di mettere il fiume Reno come confine a nord. I romani erano dei figli di puttana immensi, in questo disco c’è tutta la loro essenza e questo ep entra nel pantheon del folk metal italiano,che sarà anche limitato, però riserva chicche come questa e Ferro Italico dei Draugr, di cui i Dyrnwyn sono giustamente grandi fan e debitori.

TRACKLIST
1.Ad Memoriam
2.Sangue Fraterno
3.Sigillum
4.Tubilustrium
5.Ultima Quiete
6.Teutoburgo

LINE UP
Ivan Cenerini – basso
Alessandro Mancini – chitarra solista
Ivan Coppola – Batteria
Michelangelo Iacovella – tastiera
Daniele Biagiotti – voce

DYRNWYN – Facebook

Hour Of Penance – Cast The First Stone

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance.

Tornano a seviziarci con il loro death metal brutale i romani Hour Of Penance, a distanza di tre anni dal precedente e bellissimo Regicide.

Il gruppo ha cambiato le carte in tavola tornando al sound più quadrato e diretto di Sedition, non un male, chiariamolo, anche perché il talento compositivo della band è alto e anche questo lavoro brilla per un’ approccio brutale e devastante ma valorizzato da ottimi inserimenti melodici.
Meno articolato dunque e più old school rispetto al predecessore, Cast The First Stone è un attacco estremo a suon di tellurici bombardamenti, mezz’ora abbondante nel genere di scuola americana, ma con ben impressa la firma Hour Of Penance.
Se in Regicide spiccava l’aspetto tecnico, con questo lavoro il gruppo punta sull’impatto, grazie ad una sezione ritmica micidiale ed il gran lavoro delle chitarre che non sbagliano un colpo, con inserti melodici perfetti e riff pesanti come carri armati.
Un album da fagocitare tutto d’un fiato, un muro estremo inviolabile che gli Hour Of Penance costruiscono con una facilità disarmante e in cui gli indistruttibili mattoni portano il nome di Cast The First Stone, Burning Bright e Horn Of Flies, ma si potrebbero nominare tutte le tracce visto l’enorme potenziale della tracklist nel suo insieme.
Da parte della band italiana un altro ottimo lavoro che non mancherà di soddisfare chi, in generale, predilige il brutal death di scuola americana.

TRACKLIST
1.XXI Century Imperial Crusade
2.Cast the First Stone
3.Burning Bright
4.Iron Fist
5.The Chains of Misdeed
6.Horn of Flies
7.Shroud of Ashes
8.Wall of Cohorts
9.Damnatio Memoriae

LINE-UP
Giulio Moschini – Guitars ,Backing Vocals
Marco Mastrobuono – Bass
Paolo Pieri – Vocals, Guitars
Davide “the Bomber” Billia – Drums

HOUR OF PENANCE – Facebook

ART OF ANARCHY

Il video di The Madness, tratto dall’album omonimo di prossima uscita.

Il video di The Madness, tratto dall’album omonimo di prossima uscita.

L’attesa è finita! È in arrivo “The Madness”, secondo album e ultima fatica in studio degli ART OF ANARCHY, la super band che vede fra le sue file lo shredder delle sei corde Ron “Bumblefoot” Thal ,ex-Guns ‘N’ Roses e John Moyer, bassista dei Disturbed. “The Madness” vede debuttare dietro al microfono Scott Stapp, storico cantante dei Creed. L’album sarà pubblicato il 24 marzo 2017 su Century Media Records e come anteprima la band ha reso disponible il video della titletrack “The Madness”:

Capuchin Punks – Metal Dalla Cripta Dei Monaci

“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.

Ci sono o ci fanno i Capuchin Punks?

Il quintetto americano proveniente dal Missouri per il suo debutto usa un titolo in lingua italiana e prende ispirazione da un luogo sacro ubicato nella nostra capitale.
Metal Dalla Cripta Dei Monaci si riferisce, infatti, alla cripta che si trova sotto la chiesa di santa Maria della Concezione a Roma, costruita dai frati cappuccini, una tomba decorata con i resti dei loro fratelli religiosi.
Titolo ed ispirazione così originale non vanno però di pari passo con la musica prodotta dal gruppo, un miscuglio neanche troppo riuscito di heavy metal, hard rock e punk, con qualche atmosfera rallentata dai richiami sabbatiani, prodotto che sembra arrivare davvero dalla cripta e con una cantante monocorde che appiattisce il sound non certo eccelso del gruppo statunitense.
Il punk rock è forse il genere in cui la band riesce ad essere più convincente, poi vine proposto un minestrone di generi che si annullano l’un l’altro senza lasciare traccia: peccato, perché l’idea iniziale non era male, ma quello che si ci aspettava era un qualcosina di più organizzato.
Accompagnato da una copertina davvero brutta, con cinque scheletri vestiti da monaci, l’album non decolla, rimanendo fermo sulla pista ad attendere che il motore si spenga ed il silenzio torni a regnare.
“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.
Lasciamo riposare in pace i monaci e passiamo oltre.

TRACKLIST
1.Rise of the Capuchins​
2.​Jet Black Chevette​
3. Martigney Creek​ ­
4.The War​
5.Dust and Ash​
6.One of Them
7.My Addiction​
8.Former Crowns​
9.Better Not Ask

LINE-UP
Donna Katherine -​ ­Vocals
Danny Nichols​­ – Guitar
Isaac Bryan​­ – Guitar
Josh Sanderson -​­ Bass, Guitar
Matt Bryan ​­- Drums

http://www.facebook.com/capuchinpunks/?fref=ts

ABORYM

Interloquire con Fabban non è mai banale, così come non lo sono i dischi degli Aborym: l’ultimo Shifting.Negative è un’opera che, inevitabilmente, spariglia le carte in un ambiente musicale talvolta rannicchiato su sé stesso.
Al musicista pugliese va dato atto di non essere certo uno che misura le parole col bilancino del farmacista e, se spesso e volentieri non ci si trova d’accordo con le sue affermazioni (per esempio, la mia visione riguardo al black metal e a chi lo suona è decisamente diversa), non si può non apprezzarne la franchezza e la lucidità. Alle domande ha risposto anche il chitarrista Dan V, rendendo il tutto, se possibile, ancor più interessante …

MetalEyes Credo che ogni musicista abbia sempre la perfetta percezione di quello che è l’effettivo valore delle proprie opere, al di là di quelle che possano essere le sue dichiarazioni di facciata: quali sono le vostre reali aspettative riguardo all’accoglienza nei confronti di Shifting.Negative, confrontandole anche con i riscontri ricevuti in passato dagli Aborym ?

Fabban Le aspettative sono state appagate nel momento in cui ho ascoltato il master del disco che mi ha inviato Marc Urselli. Sull’utima nota di Big H ho buttato giù il mio bicchiere di whiskey, cosa che faccio sempre ogni qual volta che chiudo un disco. Devo essere sincero: mi aspettavo pessimi feedback, soprattutto da parte di radio, magazines, web-mag e fanzines, soprattutto perchè Agonia Records lavora in promozione sui classici canali di musica estrema. Mi aspettavo di vedere questo disco annichilito da recensioni di merda invece ho letto grandi cose su Shifting.negative. Ho letto grandi cose da parte dei nostri fans, ho letto grandi cose da parte di nuovi fans, ho constatato con enorme piacere quanto questo disco sia piaciuto alle donne e mi hanno fatto enormemente piacere i commenti di diversi musicisti con cui sono in contatto, produttori, sound-designers e sound-engineers di grossi studi di registrazione inglesi, americani, tedeschi… Ovviamente il disco è stato stroncato in alcuni casi, ma stiamo parlando di gente che si è improvvisata a critico musicale su webzine amatoriali, sai quelle piccole entità editoriali che osannano tutto ciò che è black metal con una cultura musicale pari a zero. Pertanto come se non esistessero. Va bene così.

Dan V Sapevamo di aver inciso un disco di rottura con il vecchio, Fab ed io ne abbiamo parlato spesso, ci confrontavamo su quelli che secondo noi sarebbero stati gli scenari possibili.
Da un lato ci aspettavamo di perdere alcuni fan affezionati più alle sonorità black, d’altro canto la speranza era di affacciarsi ad un pubblico più ampio ed eterogeneo, e per adesso i riscontri che stiamo avendo sembrano confermare in parte questo pronostico. Se avessi il dono della premonizione, come suggerisci tu nella domanda, probabilmente mi occuperei più di lottomatica che di musica.

ME Con questo lavoro il percorso evolutivo degli Aborym ha raggiunto a mio avviso il suo punto più alto: secondo voi ci sono margini ulteriori per andare oltre e, se sì come immagino, spingendovi in quale direzione?

D Sono d’accordo con te dal punto di vista della maturità che abbiamo raggiunto con Shifting.negative. E’ anche il mio album preferito di Aborym, e non necessariamente perché è il primo in cui sono coinvolto personalmente, eh eh In realtà per certi versi crediamo sia una specie di nuovo inizio, un punto di svolta. Fab ed io ci siamo trovati subito d’accordo sul voler provare qualcosa di nuovo per noi, entrambi ammiriamo gli artisti che riescono ad evolvere continuamente non riproponendo necessariamente un restyling di un determinato lavoro, che magari ha riscontrato i favori di pubblico e critica. E’ difficile pronosticare in che direzione ci muoveremo, sicuramente proseguiremo in questa nuova strada , ma posso dirti che già solo da quando ne discutevamo insieme durante le registrazioni di Shifting.negative (meno di un anno fa) ad oggi, le prospettive e quello che immaginavamo sarebbe stato il nuovo sound, sono cambiate costantemente. Come sempre, bisognerà aspettare di avere in mano il prossimo album.

F Smetterò di fare musica nel momento in cui mi renderò conto di non poter andare oltre. Non so in quale direzione andremo, di sicuro non torneremo indietro. Prevedo grandi cose per il futuro, in considerazione del fatto che ora c’è una line-up completa, ci sono 5 musicisti, 5 professionisti; abbiamo un producer, Andrea Corvo, che ci segue in fase di prove, in pre-produzione, recording e post-produzione; abbiamo uno staff di professionisti che ci seguono (Teo di Braingasm, Marc Urselli, Guido Elmi); abbiamo il nostro studio, Synthesis Studios, dove possiamo lavorare con le nostre macchine, una regia, la nostra strumentazione, senza limiti. Anche di notte. Queste sono le premesse.

ME So che si tratta di un quesito al quale non è sempre facile rispondere, ma sono curioso di sapere come prende vita la fase compositiva negli Aborym. Partite con un obiettivo ben definito e quello perseguite finché non viene ottenuto il risultato prefissato, oppure vi affidate maggiormente all’istinto e alle sensazioni del momento, in una sorta di costante work in progress?

F Dipende. Io lavoro molto con le demo in fase di pre-produzione. A volte le idee arrivano da un testo… e da un concetto quindi, che in alcuni casi decido di approfondire e di spostare su un tappeto musicale. In altri casi alcuni brani prendono forma durante vere e proprie sessioni di improvvisazione, jam session quindi… Le macchine, i softwares, i synth e il mondo dell’Eurorack mi permettono di poter fissare idee con una certa immediatezza, quindi allo stesso modo ho la possibilità di plagiare, combinare, smontare, rimontare, patchare, fare morphing, equalizzare fino ad ottenere delle demo. Queste demo sono il punto di partenza, gli input che consegno agli altri, ai fonici e ai produttori e su queste demo si inizia a lavorare insieme. Su Shifting.negative, rispetto ai dischi precedenti, ho lasciato molto spazio a soluzioni accidentali, a cose capitate casualmente, soprattutto sui modulari. Sbagliando, ricominciando da capo, sbagliando ancora… fino ad ottenere qualcosa che suonava. Io dico sempre: se una cosa suona bene, usala.

D Ho conosciuto Fab un paio di mesi prima di entrare in studio, lui aveva in mano i dieci pezzi che sarebbero diventati Shifting.negative, cui mancavano le chitarre. La mattina del primo giorno di riprese (chitarra) entro in macchina e Fab mi fa “ti do una buona notizia, le chitarre le fai tutte te; contento?” . Fino a quel momento non era ancora chiaro (a me) quale sarebbe stato l’assetto definitivo del gruppo; sapevo ci sarebbero state molte collaborazioni ma non avevo idea se sarei stato l’unico chitarrista a scrivere ed arrangiare le parti. Shifting.negative è praticamente composto per intero da Fabban in un periodo in cui la vecchia line-up iniziava a scricchiolare, probabilmente è stato uno dei motivi per cui ha deciso di occuparsi personalmente di tutto. Leggo spesso di lui appellativi del tipo “mastermind” : ora so perché.
Con la formazione attuale l’idea è quella di ritornare a fare “gruppo”, a scrivere ed arrangiare in sala nel più tradizionale dei modi. Fab resta comunque uno dei compositori più incontinenti che conosco, quindi so che ha sempre tra le mani del materiale appena sfornato, il che non lo nascondo, oltre che essere molto stimolante infonde anche una certa tranquillità.

ME Mi ha sorpreso piacevolmente scoprire che alla realizzazione di Shifting.Negative avrebbe preso parte Davide Tiso, un musicista che personalmente ritengo fra i più talentuosi in circolazione, anche se l’impressione è che non sempre sia riuscito ad esprimere del tutto il suo potenziale: quanto è stato importante il suo contributo, nonostante le sue parti siano state registrate al di là dell’oceano?

F Un po’ tutti in Aborym siamo suoi grandi fans. Personalmente lo considero un autentico genio e sono stato felicissimo di aver ospitato Davide su questo disco. Ha registrato poche cose, ma mirate, studiate, e di forte impatto. La cosa è nata in via del tutto casuale… Karyn, sua moglie, era ospite a casa mia per qualche giorno. Era in giro in Italia per lavorare ad un documentario e così ho avuto modo di parlare con Davide, che ogni tanto telefonava da San Francisco. Non lo sentivo da anni. E’ stato bello.

D Ho sempre stimato moltissimo Davide per le sue doti chitarristiche e compositive. La cosa che più mi piace di lui è la personalità e la voce unica che ha sviluppato sulla chitarra; quando riesci a riconoscere un musicista dalla prima nota che suona, si può dire che quel musicista ha raggiunto l’obiettivo forse più importante, a mio avviso. Mi sarebbe piaciuto averlo con noi in studio, le parti di chitarra che ha composto mi hanno fatto l’effetto del “ecco, questa è una soluzione a cui non avrei mai pensato“. Il tempo e la distanza sono stati per certi versi un po’ limitanti, soprattutto nell’economia di un disco così strutturato e complesso che richiedeva una costante presenza e un confronto continuo in fase di arrangiamento/recording. Magari in futuro avremo tempo e disponibilità per poter collaborare più a stretto contatto, anche solo in studio, sono certo che Davide avrebbe modo di impreziosire ulteriormente il sound di Aborym.

ME Nella lunga storia degli Aborym si sono succeduti molti musicisti, anche di grande nome, ma immagino che quelli attuali ti soddisfino in pieno, alla luce anche dei risultati ottenuti: pensi che siano finalmente le persone giuste per garantire una maggiore stabilità anche in proiezione futura?

F Io, da sempre, sono stato abituato ad essere autosufficiente. Ho sempre pensato che se voglio fare qualcosa devo contare sempre e comunque su me stesso e mi sono sempre fidato poco della gente, in generale. Quando in passato mi sono fidato di qualcuno sono sempre stato ricambiato con tanti calci su per il culo. Pertanto non consegno le chiavi di Aborym a nessuno. Ho sempre fatto in modo di essere autonomo, in tutto. Detto questo ora esiste un bel combo di musicisti, che sono anche ottimi amici, con cui posso lavorare e mi auguro che questa alchimia non si deteriori perché sento solo vibrazioni positive con questi ragazzi.

ME Le tematiche trattate negli ultimi lavori tratteggiano una realtà ostile ed opprimente per chi sia in grado di sviluppare i propri pensieri al di là dei beni effimeri e dei bisogni quotidiani: immagino che ciò sia frutto di una forma di reazione a tutto questo e, allora, vi chiedo se la trasposizione in musica di un tale sentire possa avere degli effetti catartici nei confronti di chi la compone e di chi ne fruisce.

F Non ho mai avuto la presunzione di voler profetizzare o deprogrammare qualcuno che legge le cose che scrivo. Io scrivo ciò che penso senza nessun fine specifico. Scrivo e basta. Sono le mie visioni, le mie paure, le mie sensazioni, le mie invettive e considerazioni. Considero un testo come considero la musica, metto le due cose sullo stesso livello, perché l’uno enfatizza l’altro e viceversa. Quando chi ascolta un disco è particolarmente ricettivo anche su quelli che sono i testi riesce a percepire la musica su un altro livello, con una certa completezza, e si crea empatia tra l’ascoltatore e il musicista.

D Uno dei motivi per cui mi ostino a fare musica, è quella sorta di stato meditativo in cui mi ritrovo quando suono. Non so spiegare bene le dinamiche coinvolte, non ho la presunzione di affiancare personaggi illustri che hanno detto molto di più e molto prima di me. Suono perché l’ho sempre fatto, perché mi sembra di stare meglio e sentirmi una persona migliore, e perché ci sono cose che non riesco davvero a dire con le parole. La prima volta che mi è capitato di scrivere un pezzo che parlava di un evento personale che ha cambiato la mia vita tanti anni fa si, avevo la percezione che quel suono risultante fosse stata la mia catarsi, che mi avrebbe aiutato a guarire. Negli anni le percezioni cambiano, mi sento più cauto su certi argomenti. Ciò che spero veramente, è che in un qualche modo chi ascolta Shifting.negative possa non solo immergersi nell’aspetto formale, inteso come forma, e cioè il linguaggio che abbiamo usato, dal songwriting alla scelta dei suoni; mi piace pensare che qualcuno da qualche parte del mondo possa ascoltare questo disco nella propria intimità casalinga magari, e scorgere non solo la realtà opprimente di cui parli, che è credo più o meno sotto gli occhi di tutti per certi versi, ma che possa anche intravedere la luce in fondo al tunnel. Questo perché credo che il compito della musica, ma dell’arte in generale, sia quello di descrivere sì il mondo che ci circonda, ma anche e soprattutto quello di suggerire una via, una strada, una soluzione. Ecco “soluzione” forse è una parola troppo pesante perché in ogni caso qui nessuno di noi ha mai eseguito un intervento a cuore aperto o annullato il debito pubblico dei paesi poveri, o rivelato le tre prove dell’esistenza di dio.

ME Devo ammettere d’essere stato colpito da un brano come Precarius, dalla potenza smisurata pur se racchiusa in un involucro per lo più soffuso: è stato scelto per essere accompagnato da un video proprio perché lo ritenete in qualche modo emblematico dell’umore dell’album , benché non ne sia in effetti la traccia più rappresentativa a livello strettamente musicale?

F Bartek, ovvero la persona che si occupa della promozione di Aborym e di questo disco, ha fortemente premuto per rilasciare “Precarious” come apripista. Io non ero molto d’accordo ma mi sono fidato della sua esperienza. Mi ha chiesto se fosse possibile realizzare un teaser video.. così ho pensato di girare delle sequenze a Taranto. Durante il montaggio mi sono accorto che musica e immagini funzionavano perfettamente così ho deciso di trasformare il teaser in un vero e proprio videoclip. Ho filmato tutti i luoghi in cui ho vissuto, le strade che percorrevo per andare a scuola, i luoghi di quella città che frequentavo la sera. Mentre filmavo mi sentivo bene… pochi minuti dopo mi sentivo male… poi di nuovo bene… Era un dondolare continuo tra stati d’animo discordanti: rabbia, malinconia, delusione, solitudine, ira, depressione, felicità… Ho cercato di parafrasare in immagini tutto questo, sulla musica e sul testo di “Precarious”. Il disagio e quel terribile senso di vuoto che provano in tanti, ogni giorno. Quella sensazione terribile che si prova quando hai la consapevolezza che quello che avevi non è più tuo. Quello che era non è più come prima. Quando realizzi che una cosa è bella solo quando l’hai persa.

ME Le personalità forti di solito provocano divisioni profonde nell’audience musicale: gli Aborym sono una di quelle band che, a giudicare da certi commenti che si leggono in rete, non lasciano indifferenti, provocando sentimenti di amore ed odio apparentemente in uguale misura; al riguardo vi chiedo cosa ne pensate di questo fenomeno, comune anche ad altre band o musicisti, che parrebbe essere un problema soprattutto italiano.

F Il mio compito è fare musica e dedico il mio tempo a questo. Queste storielline tutte italiane non mi hanno mai interessato. Penso che la musica possa essere amata e basta; non trovo molto sensato l’odio verso la musica… Se un disco o una band non ti piacciono non l’ascolti e basta… Perché odiare un disco o una band? Trovo la cosa veramente infantile e poco intelligente.

D Credo sia normale. Che la gente si esprima, intendo. Personalmente non sono un fan delle chiacchiere da bar, men che meno di quelle da bar virtuale, online. Ovviamente non mi aspetto che Shifting.negative debba piacere a tutti, ciò non toglie che il fenomeno del blogger sia qualcosa che, mio malgrado, non posso condividere. Internet era partito come cosa buona e giusta, come una fonte pressoché illimitata di informazioni e possibilità; troppo spesso ho come la sensazione che ci limitiamo solo ad usarlo come protesi del nostro ego, ed ecco che fioccano comunità intere di tuttologi e profeti, che millantano onniscienza e capacità di analisi fuori dal comune. Ecco, credo che se dedicassimo più tempo a noi stessi, leggendo un libro, ascoltando un disco, andando al cinema o facendo una passeggiata mano nella mano col proprio partner (e non mano nella mano col fottuto i-fuck) potremmo concederci il lusso di goderci la vita quella vera, e semmai impreziosirla col grande miracolo di interattività e comunicazione che apple e soci ci hanno “regalato” da qualche anno a questa parte. Del resto quando ci capita di imbatterci in una persona scostante o nervosa la prima raccomandazione che gli facciamo è di usare più spesso la zona pelvica no? Non credo sia una storia solo italiana, anche se devo ammettere che in qualche modo riusciamo sempre a distinguerci dagli altri. E non parlo di buone maniere…

ME In tutta sincerità, l’accostamento degli Aborym ai Nine Inch Nails è un qualcosa che ritenete lusinghiero o, piuttosto, alla lunga limitante o fuorviante?

D Che i NIN siano stati e siano una fonte di ispirazione non è un mistero; credo che dal punto di vista compositivo la differenza tra emulazione e “acquisizione” (ascoltare imparare metabolizzare) sia la chiave. Anche in questo senso credo, come spero, che chi ascolterà il disco possa riuscire a cogliere questo percorso: stando ai primi riscontri di critica e pubblico, sembra che ci siamo riusciti.

F Ho scoperto con enorme piacere che da quando è uscito Shifting.negative tutti si sono scoperti grandi conoscitori dei Nine Inch Nails ahahah ahha.. Sarà una casualità… eh ehh… Scherzi a parte, rispondo in questo modo: meglio essere avvicinanti ad una band come Nine Inch Nails che ai Mayhem o ai Cannibal Corpse o a centinaia di band che da decenni sono copie di copie di copie di copie… Inoltre, credo che in molti abbiano ibernato la band di Reznor negli anni ’90, perché gli ultimi lavori dei NIN non hanno grossi punti in comune con Shifting.negative… Ad ogni modo per me è un enorme complimento.

ME Nonostante faccia parte del tuo background musicale, da diverso tempo hai tagliato i ponti con il black metal e da tutto ciò che rappresenta: questo perché lo ritieni un genere a suo modo anacronistico o piuttosto perché non condividi l’approccio attuale di chi continua a suonarlo ?

F E’ una moda, per lo più adolescenziale, destinata al dimenticatoio. La vera musica è altro, gli artisti che rimarranno impressi nella memoria nel futuro sono altri. Faccio fatica a visualizzare la band blackvomitkillchristfuckthisandfuckthat666 proiettata tra vent’anni… Tra vent’anni ricorderò altre band… continuerò a ricordare band come Pink Floyd, Massive Attack, Alice in Chains, gente come Brian Eno, Trent Reznor, Steven Wilson… Vedo un sacco di merda in giro, ci sono pochissimi nomi che potenzialmente potrebbero essere un valido ricambio a livello generazionale. Figuriamoci se parliamo di black metal e di quattro stronzi conciati da clown. La musica è altro. Non ho mai visto tanta ridicolaggine attitudinale e comportamentale come nel black metal e ultimamente mai così tanta scarsità di talento e di gusto musicale.

ME La storia degli Aborym ha preso il via quando eri appena maggiorenne e negli anni novanta hai anche scritto per alcuni dei più noti magazine di settore: si può affermare, quindi, che hai attraversato in varie vesti gli ultimi 25 anni di storia del metal nel nostro paese. Secondo te quale è lo stato di salute attuale del movimento, alla luce di quanto hai potuto toccare con mano in un lasso di tempo sicuramente significativo?

F Da quando esiste internet, o meglio da quando è stato concesso a tutti di poterne usufruire, tutto si è quintuplicato a discapito della qualità. Solo su facebook esistono milioni di band, molte delle quali non avrebbero neanche motivo di esistere, molte delle quali non avremo neanche la possibilità di conoscere… e magari tra queste ci sono i nuovi Kiss, i nuovi Motley Crue o i nuovi Ozric Tentacles. Tutto è divenuto troppo accessibile da un lato e assolutamente impenetrabile dall’altro. La qualità si è abbassata notevolmente e oggi chiunque è in grado di registrarsi un disco con il proprio Pc, disco che inizia a girare e che magari vende decine di migliaia di copie solo perché spinto su canali preferenziali. Sono scomparsi i cultori di musica e le grandi firme a livello giornalistico. Oggi chiunque è in grado di improvvisarsi giornalista o critico musicale, mettere su una webzine ed inanellare idiozie su idiozie, recensioni, critiche… decretando il successo o l’insuccesso di una band. Molti di questi non sono neanche in grado di scrivere in italiano correttamente. Internet ha iniziato a manufatturare e divulgare una quantità di imbecilli spaventosa. Inimmaginabile. Oggi, attraverso internet, giornali e major decidono cosa deve vendere e cosa no, cosa deve esplodere e cosa no, cosa deve diventare trend e cosa no. E la gente zitta li sotto, ad ingoiare con la bocca spalancata. Internet ha democraticamente spalancato tante bocche rimaste per anni in silenzio e ora c’è un chiasso assordante. Chiunque si sente libero di aprire la propria fottuta bocca standosene comodamente seduto davanti al Pc. Vedo poche cose interessanti e tanta merda li fuori.

ME Per finire non posso che chiedervi qualcosa sui programmi futuri degli Aborym , inclusa la possibile attività live per presentare dal vivo il magnifico Shifting.Negative.

F Abbiamo iniziato a provare insieme. Ci vorrà del tempo. Non so quanto, ma preferiamo fare le cose per bene. Di sicuro tra qualche mese ci sarà nuova musica di Aborym in giro. Questo è quanto al momento.

D E’ un periodo molto florido per Aborym, abbiamo moltissimo da fare; come ti anticipavo, la line-up è completa da pochi mesi, attualmente siamo impegnati su più fronti. Da un lato stiamo lavorando sul live, suonare e arrangiare il disco in formazione estesa è il primo obiettivo che ci eravamo proposti. Parallelamente siamo impegnati alla lavorazione di nuovo materiale, ci sono molte novità in cantiere, per ora non posso anticiparti nulla di ufficiale, ma molto probabilmente sentirete parlare di nuovo di pubblicazioni a nome Aborym nel corso di questo anno solare. E presto, dobbiamo ancora sistemare alcuni dettagli, saremo on the road, non vediamo l’ora di proporre Shifting.negative dal vivo e tastare con mano che effetto fa nella VITA REALE. A buon intenditor…

FromHell – March On Gravitation

March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite.

E’ ormai assodato che la nazione di provenienza di una band, spesso, assume più un valore statistico che non realmente indicativo del tipo di musica proposta o del suo valore intrinseco.

Anche ascoltando questo album dei FromHell, sfiderei chiunque ad indovinare che il duo, alle prese con questa buona interpretazione di un black metal epico e atmosferico, provenga dall’Indonesia e non da un qualsiasi paese nordeuropeo.
March Of Gravitation è il secondo full length per la band di Giacarta, che certo non si risparmia offrendo oltre settanta minuti di musica piuttosto coinvolgente e che si snoda fondendo idealmente il pagan di stampo europeo a certe aperture progressive-atmosferiche di matrice americana (in certi passaggi i FromHell possono ricordare gli Xanthocroid), il tutto inserito in un concept cosmico che ben si intuisce fin dai titoli dei brani.
Certamente la lunghezza del lavoro si rivela un’arma a doppio taglio, perché non è facile per nessuno mantenere elevata la qualità, alla luce della quantità di idee riversate, nonché la soglia di attenzione di chi ascolta, per un tempo così protratto.
Detto questo, March On Gravitation musicalmente è un buonissimo lavoro, ricco di spunti e sempre contraddistinto da una vena melodica efficace, ma trova il suo tallone d’Achille in una prestazione vocale accettabile per quanto riguarda lo screaming ma piuttosto claudicante se riferita alle tonalità pulite, a mio avviso insufficienti considerandone anche l’ampio utilizzo: purtroppo questo fa scemare il potenziale evocativo in più di un passaggio ed è un vero peccato visto il valore del songwriting.
Comunque il disco dovrebbe accontentare chi apprezza certe sonorità, anche perché i brani possiedono un tiro notevole e passaggi a tratti esaltanti: purtroppo certi momenti penalizzano il risultato d’insieme, lasciando più di una perplessità riguardo all’opportunità di determinate scelte.

Tracklist:
1. A Million Castor
2. Stellar Space
3. Hibernation Sun
4. Summoning Stars
5. The Abandoned Stargate
6. Rotary of Life
7. Conqueror of The Massive Star
8. Celestial Night

Line-up:
Dedi Sadikin – Vocals
Derick Prawira – Drums

FROMHELL – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.

Assai vasto è il mare magnum dello stoner nostrano e non solo, dato che è un genere che negli ultimi anni ha conosciuto notevole diffusione.

Partendo da questo presupposto bisogna anche dire però che molte delle band si assomigliano, dividendosi all’incirca per gruppi di influenza, con chi è più desertico, chi più sabbatico, chi più regina dell’età di pietra, però essere originali non é affatto facile. I Rudhen invece ci riescono molto bene, dando alle stampe un ep di stoner di derivazione desertica, ma con una forte anima psichedelica, e quasi prog in certi frangenti. Le canzoni dei Rudhen sono concepite come dei potenti viaggi da compiere, e la meta è quella che ognuno di noi preferisce e si crea. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità di espressione musicale, dove una stessa traccia può mutare in diversi e multiformi disegni di luce nelle ombre. Con i Rudhen si parte e non si sa dove si arriva, ed è questo il bello. Il gruppo nasce in Veneto e tra un pub e l’altro nel 2013 si mettono insieme, nel 2014 iniziano a suonare e subito riescono a creare interesse intorno a loro, ed ascoltandoli non si fa fatica a capirne il perché. Questo loro secondo ep è sicuramente il loro lavoro più maturo e, a livello compositivo, è assai notevole: il loro suono non annoia mai, anzi si ha voglia di annidarsi comodamente in questi corridoi di suono vitaminico ed arioso. I Rudhen, grazie alle loro diverse influenze ed al loro talento, emergono nettamente dal resto degli altri gruppi ed assicurano ottimo stoner e soprattutto un grande divertimento.
Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.
La provincia colpisce ancora molto forte.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo – Voice
Fabio Torresan – Guitar
Maci Piovesan – Bass
Luca De Gaspari – Drums

RUDHEN – Facebook

Thrash Bombz – Master Of The Dead

Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

In Sicilia si suona thrash metal old school tripallico, senza compromessi ed assolutamente devastante.

I Thrash Bombz sono uno dei gruppi principali della scena che si muove nel sottosuolo della calda isola dell’Italia meridionale, per molti terra ignorata se si parla di musica metal, ma non per noi di MetalEyes, da tempo attenti a tutto quello che succede in campo musicale nei vari capoluoghi siciliani.
Il gruppo di Agrigento arriva, sempre tramite la Iron Shield, al secondo lavoro sulla lunga distanza, tre anni sono passati da Mission Of Blood, esordio che in quell’anno fu seguito dall’ep Dawn, ultimo urlo metallico dei Thrash Bombz.
Dopo Leonardo Botta, al microfono sul primo album, e Angelo Bissanti che aveva prestato la sua voce su Dawn, è l’ora di Tony Frenda nel prenderci per le parti basse e con violenza scaraventarci nel mondo di Master Of The Dead, ennesimo tributo al thrash metal old school capace di soddisfare le aspettative dei fans.
L’album parte con Condemned To Kill Again e la band ci fa aspettare ancora un minuto e trenta secondi, avvicinandoci pericolosamente all’area di tiro, così da finire falciati dalla mitragliatrice che spara velocissima migliaia di pallottole metalliche.
Il gruppo è in gran forma, si susseguono ritmiche spettacolari, veloci ripartenze dove la solista imperversa, chorus che sono bombe a mano lanciate in mezzo al battaglione, fenomenali rincorse su e giù per lo spartito violentato da questi thrashers che non sbagliano una virgola: siamo alla fine del secondo brano ed è già festa grande.
Bellissima Evil Witches, oscura ed heavy e che si presenta con una intro arpeggiata che funge da conto alla rovescia, mentre Curse Of The Priest è una devastante traccia che nei suoi meandri puzza di punk, prima che Black Steel ci riporti al thrash metal bay area style dell’esordio.
Non sbaglia un colpo la band siciliana, l’impressione è quella di essere al cospetto di un album curato e che, nel suo spirito underground, i Thrash Bombz abbiano messo qualcosa in più.
Tornano a fare la differenza le parti strumentali sulla title track, brano perfetto dove funziona tutto alla perfezione, dall’atmosfera in crescendo dei primi minuti, ai chorus, al lavoro di sezione ritmica con Angelo Bissanti a fare coppia con la piovra Salvatore Morreale alla batteria, e le due chitarre di Salvatore Li Causi e Giuseppe Peri che, minacciose e in perfetta sintonia, distruggono, devastano e urlano dolore.
L’album corre verso il suo epilogo, il trittico Evoking The Ghost, The Avenger e Call Of Death non fa che confermare la vena del gruppo siciliano e la bontà di un ritorno che, nel genere, risulta uno degli album più riusciti di questo inizio anno.
Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

TRACKLIST
1. Condemned To Kill Again
2. Ritual Violence
3. Master Of The Dead
4. Curse Of The Priest
5.Black Steel
6. Taken By Force
7. Evil Witches
8. Evoking The Ghost
9. The Avenger
10. Call Of Death

LINE-UP
Salvatore “Trronu” Morreale: drums
Tony “Stormer” Frenda: vocals
Salvatore “Skizzo” Li Causi: lead guitar
Giuseppe “UR” Peri: rhythm guitar
Angelo Bissanti : bass

THRASH BOMBZ – Facebook

Wretch – The Hunt

The Hunt è un lavoro heavy power metal classico scitto da chi ha vissuto la scena in prima persona.

C’è voluta la Pure Steel per dare a Cesare quel che è di Cesare, tradotto, un contratto per i Wretch, band heavy power metal attiva nella scena di Cleveland addirittura dalla metà degli anni ottanta.

Una lunga serie di demo e nel 2006 il debutto Reborn, in una carriera che se non decolla definitivamente comincia a risultare più costante con l’uscita di una compilation, l’ep Rise To Power del 2013 e il secondo full length intitolato Warrior, uscito nel 2014.
Dunque con The Hunt siamo al terzo album in più di trent’anni , ma il gruppo non molla e ci travolge con il suo U.S. power metal, dalle tinte oscure e dal piglio drammatico come tradizione americana, anche se i Wretch hanno in serbo soluzioni maideniane che accentuano l’ottima amalgama tra tradizione statunitense ed europea.
Aiutato dal tono vocale del singer Juan Ricardo, che a tratti ricorda Bruce Dickinson, e da molte soluzioni ed intrecci chitarristici in stile Murray/Smith, il sound del quintetto americano non mancherà di soddisfare gli amanti del genere, forte di un lotto di brani arrembanti, dove aggressione e melodia vanno a braccetto come nella migliore tradizione classica, così da incendiare di passione metallica gli amanti di Iron Maiden, Iced Earth e Metal Church.
The Hunt parte con il freno a mano tirato, la title track risulta una partenza inceppata, ma passata Throne Of Poseidon, l’album spicca il volo con una serie di canzoni riuscite, quel in cui più si sente l’influenza maideniana (The Final Stand, Straight To Hell e Once In A Lifetime).
Ne esce un album che parte piano per poi crescere alla distanza, risultando un buon ascolto per i defenders dai gusti classici e confermando l’ottima vena trovata negli ultimi anni dal gruppo americano.

TRACKLIST
1. Sturmbringer
2. The Hunt
3. Throne Of Poseidon
4. Twilight´s End
5. The Final Stand
6. Fortune’s Fool
7. The King In Red
8. Straight To Hell
9. Pierce The Veil
10. Once In A Lifetime
11. She Waits

LINE-UP
Juan Ricardo – vocals
Nick Giannakos – lead- and rhythm guitar
Michael “Mjölnir” Stephenson – lead- and rhythm guitar
Tim Frederick – bass
Jeff Curenton – drums

WRETCH – Facebook

CHROME MOLLY

Il video di Can’t Be Afraid Of The Dark, tratto dall’album Hoodoo Voodoo.

Il video di Can’t Be Afraid Of The Dark, tratto dall’album Hoodoo Voodoo.

“Abbiamo volute fare un album con lo stesso spirit che avevamo negli anni 80, un album che puoi ascoltare in macchina alzando il volume al massimo e cantando”, Steve Hawkins (voce).

Ufficialmente disponibile in tutti i negozi ‘Hoodoo Voodoo’, il nuovo album dei Chrome Molly! Il disco è pubblicato su earMUSIC e per l’occasione la band ha pubblicato un video per il brano ‘Can’t Be Afraid Of The Dark’

Di seguito la tracklist dell’album:

1. In The Beginning
2. Can’t Be Afraid Of The Dark
3. Some Kind Of Voodoo
4. Pillars Of Creation (Albion)
5. Now That Those Days Have Gone
6. Indestructible
7. Save Me
8. Rock For You
9. Feeling Pressurised
10. Dial ‘F’ For Freakshow

Gothic – Demons

Un album d’altri tempi in cui le atmosfere gotiche fanno da ricamo all’aggressività death metal e ai rallentamenti doom.

Sicuramente non dimostrano molta fantasia nel nome scelto per la band, ma i rumeni Gothic sanno sicuramente come intrattenere gli amanti del genere.

Ovviamente si parla di death metal di matrice gotica e doom, magari poco elegante ma di sicura presa e pesante quel tanto per piacere ai vecchi fans del death/doom che imperversava nei primi anni novanta.
Il gruppo infatti, proprio nel 1993 mosse i primi passi con tre demo usciti tra il 1994 ed il 1996, prima che Touch of Eternity (1998) diede al gruppo la soddisfazione del primo lavoro sulla lunga distanza.
Una compilation nel 2005 e poi il lungo silenzio, spezzato dalla comparsa al Wacken come rappresentati del loro paese, il ritorno con Expect The Worst tre anni fa, seguito dalla firma per Loud Rage Music e questo nuovo lavoro intitolato Demons.
Sarà che non ci siamo più abituati ma Demons si distacca piacevolmente dai cliché delle gothic metal band odierne: nessuna voce femminile a duettare con l’orco al microfono, orchestrazioni usate con parsimonia, e soprattutto ritmiche potenti e aggressive che non si allontanano dal death/doom e lasciano alle sei corde il compito di sfoderare ottime linee melodiche, accompagnate dai tasti d’avorio mai invadenti, quasi timidi nell’approccio.
Un album d’altri tempi, dunque, dove le atmosfere gotiche fanno da ricamo all’aggressività death metal e ai rallentamenti doom, disegnando immagini di castelli transilvani dove i demoni hanno poco da trastullarsi con sirene dark, intenti ad impalare i loro nemici fatti prigionieri e torturati, mentre Disillusion, Catacombs e la devastante From Within fungono da colonna sonora alle loro efferate gesta.
Demons è un’opera riuscita perché torna a far respirare le atmosfere dei primi anni novanta: le ispirazioni le trovate tutte in quel periodo, ma se volete un mio personale aggancio, pensate ai primi Crematory con un uso più misurato delle tastiere e più velocità nelle ritmiche.

TRACKLIST
1.Shadow Man
2.Disillusion
3.Demons
4.Catacombs
5.Time
6.Destroying The Masses
7.From Within
8.A New End

LINE-UP
Alin Petrut – guitar/vocals
Taly – bass
Vlad Golgotiu – drums
George Lazar – vocals
Florian Lysy – keyboards

GOTHIC – Facebook

Pryapisme – Diabolicus Felinae Pandemonium

Ben venga il profetizzato dominio dei gatti sul mondo, per cui abituiamoci quanto prima alla musica dei Pryapisme, che diverrebbero schiavi privilegiati in quanto ufficiali cantori della razza felina …

Dopo quasi due anni rieccoci nuovamente alle prese con i folli Pryapisme e le loro bizzarre teorie riguardo al futuro dominio dei gatti sull’umanità (cosa che peraltro già avviene in ogni dimora abitata dai nostri amici felini …)

Rispetto a Futurologie, se non lo ritenessi azzardato, mi spingerei ad parlare di una relativa normalizzazione del sound, se non fosse che qui, come da copione, di ordinario non c’è nulla, a partire dal nome della band, passando per i titoli dei brani e arrivando alla copertina.
L’impressione è che la creatività disturbata e bulimica della band francese appaia in qualche modo più organica (un vecchio allenatore di calcio italiano definiva il proprio credo tattico “caos organizzato” …), soprattutto quando a predominare sono le pulsioni fusion e progressive attraverso le quali i nostri piazzano repentini cambi di tempo che sono una gioia per le orecchie, prima che il percorso musicale si rifaccia nuovamente lineare come l’elettroencefalogramma di un individuo afflitto da disturbi neurologici.
Elettronica, metal, jazz, folk, suoni che paiono scaturire da tastierine giocattolo, mentre sotto si intuiscono arpeggi chitarristici degni di John McLaughlin, accelerazioni, rallentamenti, brusche pause, miagolii di gatti e chi più ne ha più ne metta: la fantasia dei Pryapisme non va mai in vacanza e, a mio avviso, con questa nuova fatica potrebbero conquistare qualche attenzione in più a parte di chi non teme di perdere la bussola nell’oceano asimmetrico immaginato dalla band transalpina.
Tre tracce spiccano su tutte in Diabolicus Felinae Pandemonium: Un max de croco, Tau Ceti Central e Totipotence d’un erg, ma non mi si chieda una motivazione logica, sarà forse perché in queste emerge con più forza un potenziale espressivo che avrebbe ottenuto l’approvazione totale di un agitatore musicale come Frank Zappa.
E comunque, ben venga il profetizzato dominio dei gatti sul mondo, per cui abituiamoci quanto prima alla musica dei Pryapisme, che diverrebbero schiavi privilegiati in quanto ufficiali cantori della razza felina …

Tracklist:
1. Un max de croco
2. La Boetie stochastic process
3. 100 % babines, pur molossoïde !
4. A la Zheuleuleu
5. Tau Ceti Central
6. Tête de museau dans le boudoir ( Intermezzo )
7. Myxomatosis against architektür vol IV
8. Carambolage fillette contre individu dragon non-décortiqué
9. C++
10. Totipotence d’un erg

Line-up:
Benjamin Bardiaux : Keyboards
Nils Cheville : Guitar
Antony Miranda : Bass, Guitar, Moog, Vocals
Nicolas Sénac : Guitar
Aymeric Thomas : Drums, Clarinet(s), Keyboards, Machines

Guests:
Adrien Daguzon (Zibeline) : Sax on #2, #5
Matthieu Halberstadt (Ogino, Please lose battle) : Contrabass on #1, #5, #10
Gautier Lafont (Sebastockholm) : Smashed door on #6

PRYAPISME – Facebook

Deathvalves – Dark Stories From The Past

Un lavoro oscuro e drammatico che coniuga sapientemente alternative metal, dark e melodie southern rock, così da formare un sound affascinante comprendente molte altre ispirazioni

Poche informazioni ma tanta buona musica da parte di questa band greca chiamata Deathvalves, quartetto alternative metal attivo da una decina d’anni e con un paio di lavori alle spalle, Wild Rock ‘n’ Roll Obsession del 2007 e Deathvalves. uscito nel 2012.

Il gruppo si autoproduce anche questo ottimo Dark Stories From The Past, un lavoro oscuro e drammatico che coniuga sapientemente alternative metal, dark e melodie southern rock, così da formare un sound affascinante comprendente molte altre ispirazioni, partendo dagli anni ottanta per attraversare la fine del secolo scorso ed assaporare le sonorità alternative del nuovo millennio.
L’album parte con un intro che ricorda le atmosfere dark/western dei Fields Of the Nephilim, per poi sviluppare il proprio sound con richiami ai Type O Negative (il basso pieno e in bella mostra, a tratti distorto) e metal rock di estrazione grunge molto simile a quello degli Alice in Chains.
Sono queste le maggiori influenze di questo valido gruppo, alle prese con un disco molto sentito ed emotivamente importante.
T. Sydrome e compagni hanno saputo andare oltre alle facili melodie post grunge, regalando quasi un’ora di musica oscura, melanconica e dura, accompagnata dal nero supporto di melodie gothic/dark e dai refrain di un’Alice sempre imprigionata dalle catene chiuse con da un lucchetto con la scritta Facelift stampata sulla chiave nascosta da Jerry Cantrell e compagni.
Vengeance, Crawl In The Night, Forefathers Graves, Vampyres Eyes sono i brani su cui l’album ha posato le sue fondamenta, mentre le altre tracce si innalzano verso il cielo scuro, dove stelle dalla pallida luce disegnano i volti di Peter Steele e Layne Staley.

TRACKLIST
01. Intro
02. Vengeance
03. Pantera
04. Crowl in the Night
05. Bad Ways
06. So Much to Kill
07. Forefathers Graves
08. Burn the Sun
09. Into This Ocean
10. Vampyres Eyes
11. The Emperor

LINE-UP
T. Sydrome – Guitars & Vocals
Sakis – Drums & Backing Vocals
Thanasis Valeras – Guitars
Chris Sven – Bass

DEATHVALVES – Facebook

Crurifragium – Beasts Of The Temple Of Satan

Violenza, impeto death metal con intarsi di brutal e grindcore per un disco davvero violento eppur suonato molto bene, Satana approva.

Un disco di bestiale death metal incrociato carnalmente con un grindcore veloce e marcio.

Se volete ascoltare un disco di metal estremo suonato con passione e violenza, Beast Of The Temple Of Satan, il debutto di questo gruppo, è un disco che appagherà in pieno chi cerca emozioni forti dal metal, in questo caso davvero estremo. La voce è quella di un sacerdote satanico mentre squarta corpi inermi, mentre dietro c’è un inferno di ritmi infernali, dove la batteria incalza il suono grezzo della chitarra e del basso. I Crurifragium sono in tre, ma sono una legione demoniaca che si abbatte sulla terra, in una caccia fruttuosa e sanguinosa. Ossa, sangue, e teste aperte, ecco l’incedere della metallica marcia, e soprattutto nessun compromesso ne prigionieri. I Crurifragium sono gli ex Warpvomit, che avevano dato alle stampe un disco solo recensito qui sulle nostre pagine, che erano forse ancora più grezzi e brutali, anche se qui non si scherza. Si viene piacevolmente storditi da questo mortale effluvio di violenza ed estremismo musicale, che però mantiene una forte impronta di metal classico, perché nel loro substrato i classici numi ci sono.
Violenza, impeto death metal con intarsi di brutal e grindcore per un disco davvero violento eppur suonato molto bene. Satana approva.

TRACKLIST
01 Behold (Evangelation)
02 Stigmata Excruciation
03 Unfurl the Banners of Evil
04 Flayed Angels
05 Exalted Blasphemous Trinity
06 Vespers for the Massacred
07 Slaughterers of the Flocks
08 Utter Sadism
09 Crucified Bastard
10 Beasts of the Temple of Satan
11 The Horns of Power

INVICTUS PRODUCTIONS – Facebook

ARCH ENEMY

Il video di War Eternal (Live at Wacken 2016), tratto dall’album As The Stages Burn!.

Il video di War Eternal (Live at Wacken 2016), tratto dall’album As The Stages Burn!.

Gli ARCH ENEMY hanno pubblicato il primo singolo dell’imminente live DVD/Bluray “As The Stages Burn!” previsto in uscita il 31 marzo 2017 su Century Media Records. Il brano è la titletrack dell’ultimo e acclamatissimo album “War Eternal”

Il live “As The Stages Burns” contiene le riprese dello show da headliner tenutosi al WACKEN OPEN AIR 2016 a supporto dell’ultimo “War Eternal” e per l’occasione vede dispiegata la più imponente produzione di sempre della band svedese!

“As The Stages Burn!” sarà disponibile in Ltd. Deluxe CD+DVD+Blu-ray Box Set, Special Edition CD+DVD Digipak, Gatefold 2LP+DVD e in digitale.

L’intero show di Wacken 2016 è stato registrato con 13 telecamere, prodotto e diretto da Patric Ullaeus. La parte audio invece è stata mixata dall’ormai leggendario Andy Sneap.

Endezzma – Morbus Divina

Cinque anni dopo il primo full length tornano gli Endezzma con queste due perle nere antipasto, si spera, di una prossima prova sulla lunga distanza.

Storie di black metal: gli Endezzma sono un gruppo black metal norvegese, nata dalle ceneri dei Dim Nagel e fondata dal vocalist Morten Shax e da Trondr Nefas, ex Urgehal e Angst Skvadron scomparso nel 2012.

Nato intorno al 2005, il gruppo diede alle stampe un ep nel 2007 (Alone) e soprattutto un full lenght, Erotik Nekrosis, licenziato nel 2012 ed ultima testimonianza musicale del musicista norvegese.
La band ritorna sotto l’ala della Pulverised Records con questo bellissimo 7″ composto da due tracce, la devastante Morbus Divina, brano che da il titolo all’ep, classica song black metal tra Darkthrone e Satyricon, e la splendida Black Tempest, traccia capolavoro che, se riprende il mood del gruppo di Satyr e Frost, lo valorizza di un’anima metallica di stampo classico, marcia e oscura ma pur sempre con la fiamma che rivolge il suo calore all’heavy metal, squarciata da ritmiche infernali, oscure e maligne.
Il gruppo, ora in mano al solo vocalist, si completa con la sezione ritmica formata da Aske e Skriu (rispettivamente basso e batteria) e delle due chitarre, in mano a Mattis Malphas e Nihil.
Cinque anni dopo il quintetto scandinavo torna alle morbose trame di cui è capace, proponendo black metal come nella migliore tradizione norvegese con queste due perle nere antipasto, si spera, di un ‘altra prova sulla lunga distanza.

TRACKLIST
Side A
1.Morbus Divina

Side B
2.Black Tempest

LINE-UP
Mattis Malphas – Guitars
Morten Shax – Vocals
Nihil – Guitars
Aske – Bass
Skriu – Drums

ENDEZZMA – Facebook

Viles Vitae – IV

Quello dei Viles Vitae è l’ennesimo ottimo prodotto di una scena black metal portoghese che non ha ancora finito di sorprendere.

Sul black metal oggi ognuno può pensarla lecitamente come meglio crede, ritenendolo un movimento obsoleto e che ha fatto il suo tempo oppure un genere musicale che, come tutti gli altri, continua ad offrire lavori mediocri ed altri di grande spessore.

Quel che è certo e oggettivamente inconfutabile è la crescita esponenziale della scena black in un paese come il Portogallo che, come tutti sanno è la patria dei Moonspell, oggi conosciuti come campioni assoluti del gothic metal ma che, in realtà, agli esordi (con il demo Anno Domini) furono una delle prime band a dedicarsi al genere al di fuori dei paesi scandinavi.
Tale imprimatur però non ebbe un grandissimo seguito e comunque non costituì la base di partenza immediata per un movimento coeso, sicché soprattutto negli ultimi anni le band lusitane stanno cominciando a lanciare segnali importanti e lo dimostra il fatto che, in tempi recenti, abbiamo trattato diversi dischi di notevole fattura (tra quelli da me recensiti cito gli ottimi Lux Ferre).
Dei Viles Vitae non è che si sappia moltissimo, se non che si tratta un gruppo formato da esponenti già noti nella scena, al primo passo ufficiale con questo ep intitolato IV, che ovviamente non è riferito all’ordine cronologico della loro produzione bensì agli elementi essenziali dei rituali magici.
Il lavoro consta di quattro brani (ovviamente) di lunghezza media, ad eccezione dell’ultimo che sfora i dieci minuti, e dalla qualità che non sorprende più, al servizio di un black metal assolutamente devoto ai dettami nordici ma che appare molto più fresco e urgente di quello prodotto oggi in quelle stesse lande.
Ed è proprio la traccia conclusiva, Theorie Of Deconstruction, a costituire l’ideale fulcro del lavoro, laddove i Viles Vitae immettono in maniera più massiccia quelle pulsioni ambient che lo arricchiscono, assieme alla capacità di trovare soluzioni melodiche e martellanti allo stesso tempo, senza smarrire un’oncia di quell’aura oscura e gelida che è marchio di fabbrica del genere quando viene proposto seguendo coordinate sufficientemente tradizionali.
IV è l’ennesimo ottimo prodotto di una scena che non ha ancora finito di sorprendere.

Tracklist:
1.The Vortex Of Disharmony
2.Sunless Redeemer
3.Source Life Extinction
4.Theorie Of Deconstruction

Line-up:
Vulturius – Vocals
Belial Necro – Guitars
Deimos – Drums

VILES VITAE – Facebook

Festering – From The Grave

Una sorpresa gradita questo primo lavoro del gruppo portoghese, peccato per il tanto tempo trascorso senza rilasciare alcunché, visto anche l’ottima qualità esibita da From The Grave.

La copertina meravigliosamente old school non può non eccitare i maniaci del death metal che imputridisce nella terra smossa dai cadaveri che tornano in vita, ma che a noi, vecchi becchini che gozzovigliavano con gli arti dei malcapitati nei primi anni novanta, piace tanto.

Ed i Festering di attitudine vecchia scuola ne hanno da vendere, visto che i primi passi li hanno mossi proprio nel 1992 ma, sfortunatamente, la loro discografia non va oltre uno split ed un ep, prima che From The Grave arrivi a rendere giustizia a questi paladini del death metal puro e classico, tra tradizione scandinava e quel tocco statunitense che rende il loro macello sonoro una goduria per ogni amante del genere.
Dalla porta del cimitero, il quartetto portoghese inizia a suonare e dopo pochi minuti l’ultima casa dei nostri corpi su questa terra brulica di zombie famelici.
Le lapidi si scoperchiano, la terra umida di morte rilascia il suo fetido odore, mentre l’esercito dei non morti si mette in marcia a suo di metal estremo, tra partenze a razzo e brusche frenate, solos che si scagliano nel cielo scandinavo e refrain che dalla Bay Area attraversano l’Atlantico fino alle coste dell’estremo ovest europeo.
Un album d’altri tempi, uscito quando i suoni tradizionali sembrano tornare a riempire le serate dei metallari sparsi per il mondo, in un’orgia infernale creata dalle efferate Infected, Consuming From Within e dall’irresistibile Proliferation of Infected Leucocytes, una cavalcata estrema a base di death metal scandinavo che non lascia scampo.
Una sorpresa gradita questo primo lavoro del gruppo portoghese, peccato per il tanto tempo trascorso senza rilasciare alcunché, visto anche l’ottima qualità esibita da From The Grave.

TRACKLIST
1. Festering (Intro)
2. Exhumed
3. Infected
4. The Myth Of Creation
5. Consuming From Within
6. Submerged In Emptiness
7. Bloodline
8. Proliferation Of Infected Leucocytes
9. Ascent Of The Blessed
10. Psychic Convulsions Of Neurasthenia

LINE-UP
Pedro Gonçalves – vocals
João Galego – guitars
Koja Mutilator – bass
Norberto Arrais – drums

FESTERING – Facebook

Fankaz – Seities

Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

I Fankaz pubblicano un disco che riallinea le stelle e il globo terracqueo con l’hardcore melodico, genere troppo spesso stuprato da ignoranti senza arte né parte.

I Fankaz hanno qualcosa in più rispetto alle altre band del genere e lo si sente subito, grazie anche alla loro grande padronanza tecnica, che li porta ad eccellere. Il disco sarà uno dei più grandi successi che la vostra cameretta abbia mai visto, con dita alzate e cori che volano, e tanto tanto amore. Finalmente con un disco come Seities ci si può abbandonare alla musica, lasciando da parte generi, sottogeneri, pose o dichiarazioni rilasciate all’asilo dal cantante o in piscina a nove anni dal bassista. Questo è un disco da godere, abbandonarsi e lasciarsi andare, nella migliore tradizione dell’hardcore melodico tecnico. Una delle loro maggiori ispirazioni, e lo dichiarano anche loro, sono i magnifici Belvedere, un gruppo canadese di hardcore melodico fatto con gran tecnica che è un piacere solo pronunciarne il nome. E i Fankaz sono anche meglio in alcuni frangenti. Questi ragazzi, che sono già in giro da un po’, hanno un sacco di registri e di idee, ma soprattutto emozionano e hanno quel suono che è davvero bello risentire riproposto in questa maniera, così appassionata e competente. Musica da adolescenti ? No di certo, perché le emozioni non devono avere età, e risentire che da qualche parte battono ancora i cuori al ritmo di Belvedere, Lagwagon e Strung Out, non può che riempire di gioia. Seities è un disco davvero ben fatto e suonato benissimo, e dal vivo deve essere una bomba. Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

TRACKLIST
01-Intro
02-Screams of Lies
03-Overwhelmed
04-I Feel Sorry
05-Broken City
06-Behind the Curtains
07-Petrified
08-My Stories
09-Something Personal
10-Day by Day
11-Fale Witness
12-Symptoms

LINE-UP
RICKY – Guitar – Voice
ELIO – Guitar – Voice
MORA – Bass – Voice
POLE – Drums

FANKAZ – Facebook