Legion – War Beast

I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan

Tornano dopo più di dieci anni dall’esordio i Legion, band del New Jersey capitanata dai fratelli Adamo ed alfieri di un heavy metal classico, tra la tradizione europea di gruppi come Rainbow e Dio e quella statunitense U.S. Metal.

Il gruppo aveva già fornito un’ottima prestazione sul primo Shadow of the King, che aveva lasciato una buona impressione agli addetti ai lavori, purtroppo il lungo silenzio ha condizionato non poco la carriera del gruppo in anni in cui si fa fretta a dimenticare, travolti dalle centinaia di uscite mensili ed un approccio alla musica che, anche nel metal, sta prendendo la pericolosa strada dell’usa e getta.
La Pure Steel però non se li è fatta scappare e War Beast può così contare sulla label tedesca, madrina di innumerevoli realtà musicali dai rimandi old school e molto attenta al mercato statunitense.
Come nel primo lavoro, l’ascendente Rainbow è molto presente tra le trame dei brani, a tratti epici, ben assestati su mid tempo potenti ma eleganti e sfiorati da un vento power di estrazione americana che convince non poco.
I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan, e che dà il suo personale tocco classic alla proposta del gruppo.
Si passa da brani più tirati e aperti da riff metallici di scuola ottantiana (Gypsy Dance), a bellissimi esempi di hard & heavy dove l’arcobaleno più famoso del metal viene glorificato, con Gibbons che si esalta nel capolavoro Bricks of Egypt, brano che sprizza epicità regale, un omaggio neanche troppo velato al grande Ronnie James.
Stand And Fight risulta un brano più diretto rispetto allo standard delle tracce, anche se non manca il refrain epico che riporta l’atmosfera sui lidi già descritti.
Arriviamo alla conclusiva Luna (ballad di genere), senza fatica accompagnati dal sound di questo ottimo gruppo che ripercorre strade storiche senza indugi, riportandoci tra i colori di un arcobaleno difficile da dimenticare, un album di hard & heavy classico sopra le righe, bella sorpresa.

TRACKLIST
1. On The Place Horse
2. Gypsy Dance
3. Bricks Of Egypt
4. When Life And Spirit Divide
5. War Beast
6. Stand And Fight
7. Future Passed
8. Luna

LINE-UP
Ralph Gibbons – vocals
Frank Adamo – guitars
Arthur Maglio – bass
John Soden – drums
Joe Adamo – guitars

LEGION – Facebook

Afterlife Symphony – Moment Between Lives

Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena

La nostrana Revalve è considerata dal sottoscritto alla stregua di uno scrigno musicale colmo di piccoli gioielli metallici: dalle sonorità estreme passando da quasi tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, l’etichetta nostrana non sbaglia un colpo regalando ai fans sempre ottimi lavori e band sopra la media.

Ultima opera arrivata sulla mia scrivania è il secondo album dei veneti Afterlife Symphony, album che si colloca senza dubbio tra le migliori uscite di questo ultimo scorcio dell’anno in corso.
La band, come detto, è al secondo lavoro sulla lunga distanza e segue di tre anni l’esordio Symphony of Silence, album che aveva trovato non pochi estimatori tra gli addetti ai lavori.
In un genere inflazionato come il metal sinfonico dai rimandi gotici non è poi così difficile cadere nell’ovvio e nel già sentito, allora le virtù che fanno la differenza sono riscontrabili nell’abilità degli artisti nel creare melodie accattivanti, mantenendo ben salda la componente metallica, cosa che al gruppo veneto riesce benissimo.
Moment Between Lives porta con se qualcosa di diverso già nel concept, molto maturo ed intimista: l’uomo davanti alle sue domande e alle sue scelte che nel corso della vita si pone e deve affrontare tra amori, paure, rabbia, sogni ed introspezione, non male e molto affascinate in un mondo ormai di superficialità conclamata e punto in più per la giovane band.
Il concept viene accompagnato da una colonna sonora che vede come protagonista l’ottima interpretazione della singer Anna Giusto, accompagnata dal metal suonato dai suoi compagni d’avventura, robusto nelle ritmiche, a tratti bombastico quel tanto che basta per rendere il suono molto cinematografico e valorizzato da un lavoro chitarristico elegante, mai invadente ma perfetto nel drammatizzare le atmosfere intimiste dei brani.
Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena, potentissime ripartenze tragicamente rabbiose e raffinati momenti di apparente calma, prima che la tempesta di umori e dubbi torni ad impadronirsi del protagonista sotto forma di metallo fortemente espressivo.
Paragoni ed influenze le lascio all’ascoltatore, personalmente ho trovato più Epica e primi Within Temptation che i soliti Nightwish, ma sono dettagli; fatevi accompagnare in questo viaggio tra spiritualità e realtà da tracce molto intriganti come The Abyss, Under The Sleeping Tree, ed il capolavoro Novembre (part II), ne uscirete più ricchi …

TRACKLIST
1 – Half-Moon Night
2 – The Abyss
3 – Under the Sleeping Tree
4 – My Existence to You
5 – Broken Breath
6 – Dreamer’s Paradox
7 – Seventh
8 – Last Hope
9 – Novembre, Pt. 1
10 – Novembre, Pt. 2
11 – Genesis of Eternity

LINE-UP
Anna Giusto – Vocals
Stefano Tiso – keyboards and piano
Eddy Talpo – Rhythm and lead guitars
Nicolas Menarbin – bass
Antonio Gobbato – Drum and percussions

AFTERLIFE SYMPHONY – Facebook

Red Fraction – Birth

Un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.

Questa estate come ormai mi capita spesso (lavoro permettendo), mi sono recato all’Hard Castle Fest, kermesse sonora che si tiene a Castellazzo Bormida in provincia di Alessandria, purtroppo però non ho avuto occasione di vedere il live di questo gruppo proveniente dal capoluogo piemontese, causa il solito ritardo cronico mio e del mio compagno di avventure musicali.

Peccato, perché il debutto dei Red Fraction è un buon lavoro di metal moderno, che amalgama hard rock e sonorità alternative sorrette da potenti ritmiche ed interpretato da una singer dal buon piglio.
La band nasce da un’idea di Martina Riva (voce) e Leandro Spedicato (chitarra) nell’estate del 2014 e dopo aver trovato i compagni giusti in Nicolò Gado (basso) e Gabriele Pepe (batteria), registrano questo primo lavoro licenziato dalla Sleaszy Rider, label greca con il fiuto per i gruppi meritevoli in tutti i generi della nostra musica preferita.
Ed eccoci a Birth, album composto da undici tracce che spaziano tra i generi rock dagli anni novanta fino ad oggi, con i Red Fraction che, ispirati dalle proprie influenze, ci regalano un buon riassunto di quello che il rock/metal moderno ci ha offerto in questi ultimi venticinque anni.
Non mancano però di personalità i ragazzi alessandrini, la sei corde di Spedicato a tratti sconfina nel classico, con solos metallici di buona fattura, le ritmiche sempre potenti non fanno mancare il loro supporto tenendo imbrigliata la componente metal nel rock alternativo di cui il gruppo, ad un primo ascolto, viene accreditato.
La parte cantata è interpretata con padronanza dalla singer e le tracce viaggiano su una media più che buona, almeno per un debutto in un genere inflazionato come l’hard rock alternativo.
Di questo lavoro piace la voglia di non andare troppo lontano dal metal, ed infatti, pur nel loro impatto moderno, brani come Plastic, Hunter o Apollo 7 mantengono un approccio heavy che discosta i Red Fraction dai soliti gruppi moderni.
Trovo il sound del gruppo più vicino al grunge metallizzato dei primi Alice In Chains che alle groove band tanto di moda in questi anni, magari nascosto dalla voce femminile che ad un primo approccio può ricordare, nei momenti più pacati, qualcosa dei Lacuna Coil.
Per concludere, una buona partenza per il gruppo piemontese, Birth è un lavoro piacevole, ben eseguito ed assolutamente in grado di soddisfare gli ascolti dei giovani rockers attenti alla scena underground nostrana.

TRACKLIST
1. Prelude
2. Plastic
3. Hunter
4. Night Won’t Hold Me
5. Lost Broken Doll
6. Shooting Star
7. What You Wanted
8. Apollo 7
9. The Hermit And The Justice
10. Holy
11. Atomic Child

LINE-UP
Martina Riva – Vocals
Leandro Spedicato – Guitar
Nicolò Gado – Bass
Gabriele Pepe – Drums

RED FRACTION – Facebook

Saxon – Let Me Feel Your Power

I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

Let Me Feel Your Power è un brano che fa parte della track list di Inner Sanctum, l’album uscito ormai quasi dieci anni fa e che vedeva la band di Biff Byford toccare livelli qualitativi altissimi, come nelle opere dei primi anni ottanta.

Una band, i Saxon, di cui troppo spesso ci si dimentica: insieme alla vergine di ferro, una delle band più amate dai kids del primo periodo metallico, quello della new wave of british heavy metal a cavallo tra la fine di un’era (quella dell’hard rock settantiano) e la nascita del metal classico, genere padre di tutte le correnti della musica dura.
Gli anni sono passati inesorabilmente anche per le orde sassoni che conquistarono l’Europa a colpi di hard & heavy, ma è indubbio che la professionalità di Biff e soci ha permesso lor di entrare nel nuovo millennio dalla porta principale, non dando l’impressione di una band per metallari nostalgici, bensì di gruppo assolutamente sul pezzo anche per i giovani fottuti dalla rete.
D’altronde anche i Saxon nulla possono contro l’abbrutimento di un mercato ormai solo virtuale, a discapito di un rito messianico come il vinile prima ed in parte il cd, ma il tempo scorre e la musica va avanti, seguendo il fiume di questo nuovo e drammatico millennio.
Sono tornati i Saxon, dopo i fasti del secondo capitolo delle cronache sassoni e l’ultimo album uscito lo scorso anno (The Battering Ram), in attesa di un nuovo lavoro previsto per il prossimo anno, ritornano per la gioia dei loro fedelissimi fans con un dvd/ doppio cd live a suggellare una carriera on the road che, a dispetto delle sessantacinque primavere del suo leader , non smette di dare battaglia sui palchi più prestigiosi dei vari festival estivi o nei lunghissimi tour a cui si sottopongono; una vita on the road, un’attitudine live che ha impreziosito una carriera invidiabile, con alti e bassi fisiologici ma con una coerenza commovente che ne hanno fatto uno dei gruppi più rispettati del mondo metal.
Let Me Feel Your Power dunque è l’ennesimo live, in uscita per la UDR/Warner, composto da sedici tracce che alternano classici immortali (tranquilli, le varie Motorcycle Man, Power And The Glory, Heavy Metal Thunder, Princess of the Night ci sono tutte), alla nuova produzione che comunque rimane di alto livello ed una spanna sopra a molte delle nuove leve tanto osannate di questi tempi.
Diviso tra i live di Monaco, Brighton e Chicago, questo doppio live, supportato dall’ormai immancabile dvd, è un’altra ennesima glorificazione del sound sassone, con il gruppo in forma invidiabile, a parte qualche piccola discrepanza nella prova del buon Biff ma assolutamente imperdibile per i fans e per chi ama l’heavy metal classico.
I dettagli sulla performance sono tutti da scoprire, vi basti sapere che i vostri soldi saranno ben spesi: doppio cd, più dvd con il meglio della discografia di una delle icone del mondo metal, what else?

TRACKLIST
1.CD
01 – Battering Ram (live in Munich)
02 – Motorcycle Man (live in Munich)
03 – Sacrifice (live in Munich)
04 – Destroyer (live in Munich)
05 – Power And The Glory (live in Munich)
06 – 20000FT (live in Munich)
07 – Devils Footprint (live in Munich)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Munich)
09 – Queen Of Hearts (live in Munich)
10 – Princess Of The Night (live in Munich)
11 – Wheels Of Steel (live in Munich)
12 – Denim And Leather (live in Munich)
13 – Crusader (live in Munich)
14 – Eye Of The Storm (live in Brighton)
15 – Battalions Of Steel (live in Brighton)
16 – Requiem (live in Brighton)

2.CD
01 – Motorcycle Man (live in Chicago)
02 – Battering Ram (live in Chicago) *
03 – This Town Rocks (live in Chicago)
04 – Sacrifice (live in Chicago)
05 – Power And The Glory (live in Chicago)
06 – Solid Ball Of Rock (live in Chicago)
07 – Dallas 1 PM (live in Chicago)
08 – Heavy Metal Thunder (live in Chicago)
09 – Rock The Nations (live in Chicago)
10 – The Eagle Has Landed (live in Chicago)
11 – Wheels Of Steel (live in Chicago)
12 – Backs To The Wall (live in Chicago)
13 – Just Let Me Rock (live in Chicago)
14 – Strong Arm Of The Law (live in Chicago)
15 – 747 (Strangers In The Night) (live in Chicago)
16 – Princess Of The Night (live in Chicago)
17 – Crusader (live in Chicago) *
18 – Denim And Leather (live in Chicago)

LINE-UP
Biff Byford – Vocals
Doug Scarratt – Guitars
Paul Quinn – Guitars
Nibbs Carter – Bass
Nigel Glockler – Drums

SAXON – Facebook

Noise Demon – Ten Cuts

Un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale

John Zorn e i Painkiller: questo lavoro va indubbiamente accostato al genio newyorkese ed alla sua creatura più estrema e controversa, dunque niente di nuovo per chi della musica ne fa un fatto di cultura, più che un semplice ascolto distratto, ma è pur vero che un album del genere oltre che risultare destabilizzante per la noncuranza di etichette e generi a cui fa riferimento, è anche un coraggioso e quanto mai riuscito calcio in culo a chi continua a non dar peso alla musica underground, soprattutto quella nata sul suolo italico.

I Noise Demon oltretutto fanno parte di una scena (quella palermitana) che di talenti pullula, passando come api sui fiori tra una band e l’altra, tra un progetto e l’altro e regalando grande musica, passando dal metal estremo al rock psichedelico, fino allo stoner con risultati straordinari.
Giorgio Trombino (sax contralto), suo fratello Carlo al basso e Giulio Scavuzzo alla batteria per chi bazzica tra il rock/metal underground sono nomi già incontrati in molte delle band che formano, appunto la florida scena del capoluogo siciliano, con nomi che fanno della qualità musicale altissima il loro pregio e che in your eyes si è preso la briga di parlarvi ad ogni uscita discografica: dagli immensi Elevators to the Grateful Sky, passando per Palmanana, Furious Georgie, Haemophagus, Undead Creep e Sergeant Hamster e molti altri.
Ten Cuts è composto da dieci composizioni registrate in presa diretta da Danilo Romancino negli studi Zeit di Palermo, sono di fatto dieci Haiku compositivi dove la parola d’ordine è improvvisazione, un mix strumentale composto da free jazz, metal e a mio parere un tocco di prog alla King Crimson, con il sax di Trombino che a più riprese mi ha ricordato le note dello strumento sui brani del re cremisi.
Ne esce un album che distrugge le barriere e le trincee immaginarie che molti costruiscono sullo spartito musicale, un’aberrazione per chi vuole la musica libera di volare senza che qualcuno la imprigioni tra le sbarre di un genere prefissato.
Come sempre i musicisti provenienti da quel nido di geni all’estremo sud dello stivale, ci mettono del loro per dare pochissimi punti di riferimento, specialmente ad un orecchio poco allenato.
Un album difficile, ma non impossibile, un’altra perla da custodire nell’ostrica della vostra discografia sotto la lettera G (geni).

TRACKLIST
1.Tongue Cutters!
2.Barbiturate
3.Truth Serum
4.Tahafut al Tahafut
5.Blobs of Blood
6.Chasing the Goofball
7.Feces Grenade
8.Maccalube
9.The One Who Pays
10.Astaroth Boogie

LINE-UP
Giorgio Trombino – alto sax
Carlo Trombino – bass
Giulio Scavuzzo – drums

NOISE DEMON – Facebook

Enoid – Exilé aux confins des tourments

Molto interessante il progetto in questione con un album che risulta uno dei più riusciti nel genere quest’anno

Tra i monti innevati della vicina Svizzera non manca certo la voglia di suonare metal, d’altronde non sono pochi i gruppi che hanno dato il loro contributo alla causa metallica e che sono ormai considerati storici (due su tutti Celtic Frost e Samael) specialmente per quanto riguarda le sonorità estreme.

Così non mi meraviglia trovarmi al cospetto di un lavoro molto interessante e ben fatto ad opera di questa one man band chiamata Enoid, entità estrema del polistrumentista Ormenos, attivo con molte band della scena e dal 2005 portatore di morte con una serie di album giunti al cospicuo numero di sei con quest’ultima opera intitolata Exilé aux confins des tourments.
L’album si sviluppa su otto brani di black metal che deve molto alla scena norvegese degli anni novanta, ma un’ottima produzione gli conferisce un mood al passo coi tempi, esempio lampante di come si possa produrre musica vecchia scuola senza risultare per forza obsoleti ed alla lunga inascoltabili.
E’ così che l’album riscopre quelle atmosfere diaboliche e glaciali delle produzioni passate, valorizzandole con un buon songwriting ed un ottimo lavoro in sala.
Il polistrumentista svizzero accende la fiamma nera che risplende in questa raccolta di brani, agguerriti, e devastanti, le ritmiche per lunghi tratti con il pedale dell’acceleratore a tavoletta frenano su ottimi cambi di tempo che infondono alle tracce un’aura oscura.
Lo scream è perfetto, terribile e misantropico, da vero demone delle montagne, mentre l’atmosfera da armageddon della terrificante La lumière disparaît (con tanto di urla di pura disperazione di qualche anima dannata) insieme alla dannazione eterna in musica del piccolo capolavoro Ode à la haine, formano una coppia di brani che vanno a concludere l’album con il botto.
L’album risulta uno dei più riusciti nel genere in questo anno, perciò l’invito ai blacksters a non farselo sfuggire è d’obbligo.

TRACKLIST
1. Je t’arracherai les cieux
2. Ces cicatrices dans mon âme
3. Mangez ma chair, prenez ma douleur
4. La Croix de mon existence
5. Nouveau cycle destructeur
6. Sourire éternel sur mes lèvres
7. La lumière disparaît
8. Ode à la haine

LINE-UP
Ormenos – Drums, Guitars, Vocals

ENOID – Facebook

Reanimator / Soul Collector – In Union We Thrash

Per i thrashers che vanno oltre ai soliti nomi uno split album da non sottovalutare e che, al netto dei dettagli negativi riscontrati nei pur bravi Soul Collector, è ampiamente consigliato.

Un buono split album arriva dalla Defense Records che ci presenta due gruppi dediti al thrash metal old school, i polacchi Soul Collector ed i canadesi Reanimator.

Tre brani più intro per la band dell’est europeo, attiva da quasi una decina d’anni e con un full length alle spalle nel2014 (Thrashmageddon) e con la voglia di rinverdire i fasti del thrash Bay Area, rivisto alla Soul Collector.
E allora vi troverete al cospetto di tre brani medio lunghi, molto vari nelle ritmiche e con non disdegnano un’attitudine punk ottantiana travolta da una valanga di riff e solos di scuola Exodus.
Molto bravi sotto l’aspetto tecnico, lasciano qualcosa in una prestazione vocale che, a mio parere, non valorizza il grande lavoro degli strumenti: appena sufficiente nel complesso ma davvero fuori luogo nell’uso di un falsetto che sta nel sound come i cavoli a merenda.
Questione di gusti, ma i brani qui presentati avrebbero potuto avere un giudizio migliore, rimanendo nella piena sufficienza ma nulla più.
Discorso che cambia con i canadesi Reanimator una band di cui vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine lo scorso anno in occasione dell’uscita del loro secondo full length, quel Horns Up che risultava un lavoro devastante, ben fatto e potentissimo.
Il gruppo non rallenta e continua la sua folle corsa in sella ad un thrash metal che non disdegna accelerate speed e sfuriate thrash’n’roll che stringono i nostri bassifondi in una morsa letale.
A tratti travolgenti nelle ritmiche (Beyond That Burning Mask e Tempted by Deviance) capitanati da un singer che è una forza della natura (Patrick Martin), il gruppo del Quebec sa scrivere canzoni che puntano al sodo e ti si piantano nella testa come chiodi sparati dall’attrezzo apposito, travolgenti come nel lavoro sulla lunga distanza dello scorso anno si confermano come una delle migliori realtà del genere in ambito underground.
Per i thrashers che vanno oltre ai soliti nomi uno split album da non sottovalutare e che, al netto dei dettagli negativi riscontrati nei pur bravi Soul Collector, è ampiamente consigliato.

TRACKLIST
1. Soul Collector – It Is Time (Intro)
2. Soul Collector – The Pledge
3. Soul Collector – Never Enough
4. Soul Collector – 1968
5. Reanimator – Peaceful Eradication
6. Reanimator – Beyond That Burning Mask
7. Reanimator – The Abominautor
8. Reanimator – The Mosh Master
9. Reanimator – Rush for the Mosh
10. Reanimator – Tempted by Deviance

LINE-UP
Reanimator :
Fred Bizier – Bass
Francis Labelle – Drums, Vocals
Joel Racine – Guitars
Patrick Martin – Vocals
Ludovic Bastien – Guitars

Soul Collector:
Zmarly – Guitars
Don Vito – Vocals
Iron – Guitars
Dave Kuznik – Drums

REANIMATOR – Facebook

Darkness – The Gasoline Solution

Mezzora abbondante di agguerrito thrash metal tedesco, niente di più e niente di meno, per i fans puro piacere, ma solo per loro.

Un’altra band storica torna a mietere vittime tra le fila dei metallari dai gusti old school, questa volta si parla di thrash metal, ed il gruppo in questione sono i tedeschi Darkness, band attiva addirittura dal 1984, con un buon numero di demo fino all’esordio sulla lunga distanza datato 1987 (Death Squad), ed altri due lavori che portano il gruppo ad un passo dagli anni novanta.

Un lungo stop di quindici anni ed arriviamo al 2005, quando un live album dà speranza di un ritorno che arriva però dieci anni dopo con l’ep XXIX, predecessore di questo The Gasoline Solution in uscita per High Roller Records.
Palla lunga e pedalare, thrash metal di scuola tedesca, ignorante, aggressivo e dallo spirito metal punk, una copertina in linea con l’atmosfera old school che si respira a pieni polmoni e tanta voglia di headbanging.
Queste sono le caratteristiche principali dell’album, senza compromessi dalla prima all’ultima nota, solo thrash d’assalto molto live nella forma, cattivo il giusto per strapparci un sorriso maligno quando la vicina di casa apre la porta e viene assalita dalla valanga di note che velocissime e violente la travolgono, mentre l’amplificatore del vostro stereo comincia a cedere come una diga in pieno collasso.
Uno, due, tre e via a correre come forsennati dietro a questa raccolta di speed songs, che non ne vogliono sapere di rallentare in preda a deliri adrenalinici, schizzate e dall’attitudine che sprizza come sangue da una giugulare tagliata.
Mezz’ora abbondante di agguerrito thrash metal tedesco, niente di più e niente di meno, per i fans puro piacere, ma solo per loro.

TRACKLIST
1. Tinkerbell Must Die
2. Another Reich
3. Freedom On Parole
4. Welcome To Pain
5. L.A.W.
6. Pay A Man
7. The Gasoline Solution
8. Dressed In Red
9. This Bullet’s For You

LINE-UP
Lee – Vocals
Arnd – Guitars
Meik – Guitars
Dirk – Bass
Lacky – Drums

DARKNESS – Facebook

Anata – The Infernal Depths of Hatred (remastered)

I deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred

Sono ormai passati dieci anni dall’ultimo The Conductor’s Departure e i deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred, uscito originariamente nel 1998 e pubblicato oggi dalla label francese Kaotoxin: l’album è già in streaming, ma l’uscita in tiratura limitata a 300 copie in vinile è prevista per i primi di ottobre.

Avrete così tutto il tempo per prenotare la vostra copia e sentirete che ne sarà valsa la pena , specialmente se apprezzate per il Goteborg sound nato nella prima metà degli anni novanta.
Il quartetto di Varberg fa parte della seconda ondata di gruppi che continuarono lo sviluppo di queste sonorità estreme: nato proprio a metà dei novanta debuttarono con questo ottimo lavoro che ebbe ancora tre successori sulla lunga distanza di cui l’ultimo è proprio l’album di cui sopra uscito nel 2006.
Detto che questa nuova edizione presenta come bonus track la cover di Day of Suffering dei Morbid Angel (tratta dallo split con i Betsaida “Guerra, Vol.II”, del 1999) e che l’album è stato rimasterizzato presso i Conkrere Studio, addentriamoci nel suono creato dagli Anata.
Death metal melodico, valorizzato da un’impronta technical death da infarto e qualche sconfinamento nella furia del black, specialmente nell’uso dello scream in alcune parti, sono gli elementi preponderanti per far sìche questo lavoro risulti un piccolo gioiello estremo.
Da amare alla follia se siete fans del death melodico di scuola scandinava, ma da non perdere se vi crogiolate nel technical death di scuola americana; un ibrido insomma, che non manca di sorprendere nella sua follia compositiva dalle qualità estreme altissime.
Quaranta minuti abbondanti di metal estremo di ottimo livello, con ritmiche veloci ed intricate, mostruose parti cadenzati, solos melodici, ed una vena brutal che risulta l’anima a stelle e strisce dell’album.
Immaginatevi un incrocio tra i primi Dark Tranquillity, gli At The Gates ed i mostri americani come Morbid Angel e Suffocation ed avrete idea di che abominevole parto riuscirono a creare gli Anata, un piccolo mostro di musica talmente estremo e ben suonato da risultare irresistibile.
Quasi vent’anni sono passati da quando questa raccoltavide la luce , ma brani come Under Azure Skies, Vast Lands/Infernal Gates e soprattutto Dethrone the Hypocrites godono di una freschezza compositiva e di un talento per ritmiche intricate, furiose accelerazioni e melodie estreme da sembrare scritto ieri.
Per i collezionisti di vinili e gli amanti del metal estremo un’opera assolutamente da non perdere.

TRACKLIST
1. Released When You Are Dead
2. Let the Heavens Hate
3. Under Azure Skies
4. Vast Lands / Infernal Gates
5. Slain Upon His Altar
6. Those Who Lick the Wounds of Christ
7. Dethrone the Hypocrites
8. Aim Not at the Kingdom High
9. Day of Suffering [Morbid Angel cover]

LINE-UP
Andreas Allenmark – guitars
Henrik Drake – bass
Robert Petersson – drums
Fredrik Schälin – Vocals, Guitars, Lyrics

ANATA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=w_ESJ01NtiU

Peter Grusel und die Unheimlichen – Peter Grusel und die Unheimlichen

Un album che esalta, violento e rabbioso, puro metallo estremo moderno che, come una diga che cede, rovescia una devastante ondata di groove distruttivo e senza soluzione di continuità.

Certo che mi viene da ridere quando leggo di certi scienziati della carta stampata che non perdono l’occasione di attaccare l’underground, come se fosse un fastidioso effetto collaterale, sapendo benissimo che senza il sottobosco metallico i primi a fare le valigie e tornare dai propri cari (come si dice dalle mie parti) sarebbero proprio loro.

A darmi la carica in questo calda e drammatica fine estate 2016, tanto da partire al contrattacco, è questa fenomenale band tedesca, dal nome che riprende un famoso programma per bambini della tv tedesca, con tutti i componenti del gruppo che assumono il nome di Peter Grusel, così da evidenziare il mood sarcastico della band, ma che quando parte con l’opener Piss Christ è un attimo rendersi conto che non scherzano affatto.
Modern death metal irrobustito da bordate di groove, una produzione esplosiva e un’attitudine hardcore che si schianta a trecento orari contro un muro di brutal death, questo risulta il primo danno ai padiglioni auricolari che i Peter Grusel und die Unheimlichen arrecano con il primo ed omonimo album, un massacro di violenza estrema convogliata in un sound che udite, udite ha nell’appeal il suo strepitoso punto forte.
Infatti i brani che compongono l’album oltre ad essere una lezione di groove, hanno nell’assimilazione istantanea la loro maggiore dote: i cinque Peter Grusel con in testa una sezione ritmica da manicomio ed un vocalist stratosferico nel suo rabbioso growl, tengono sotto tiro l’ascoltatore con i cannoni, pronti a far fuoco dal primo all’ultimo secondo dell’album.
Immaginatevi i Soil di Scars in versione brutal, o i Pantera con la fissa per il death metal e più o meno avrete un’idea di che cosa vi aspetta all’ascolto delle varie e tonanti Crawling The Shitpipe, Abbatoir, Cast Away e Scumfuck.
Un album che esalta, violento e rabbioso, puro metallo estremo moderno che, come una diga che cede rovescia una devastante ondata di groove distruttivo e senza soluzione di continuità, bellissimo.

TRACKLIST
1. Piss Christ
2. Broke
3. Crawling The Shitpipe
4. Jeffrey
5. Cast Away
6. Abattoir
7. Waste Of Skin
8. Junkie
9. The Vulture
10. Scumfuck
11. Slaughtering Sheep
12. Abattoir (live)

LINE-UP
Peter Grusel – Vocals
Peter Grusel – Guitars
Peter Grusel – Guitars
Peter Grusel – Bass
Peter Grusel – Drums

PETER GRUSEL UND DIE UNHEIMLICHEN – Facebook

Beelzefuzz – The Righteous Bloom

Se l’hard rock classico continua a regalarvi emozioni anche nel nuovo millennio, lasciate perdere per una volta i soliti nomi e fate vostro questo ottimo The Righteous Bloom.

Negli ultimi anni l’heavy rock ha riscoperto i suoni vintage provenienti sopratutto dagli anni settanta, ottime realtà sono nate praticamente in tutto il mondo, specialmente in Italia e nei paesi nord europei, ma gli Stati Uniti continuano a fare la voce grossa quando si parla di hard rock stonerizzato e psichedelico.

Ancora nella cerchia ristretta del mondo underground il genere propone band dall’alto potenziale qualitativo e varie nell’approcciarsi al sound classico, così che non è poi difficile imbattersi in lavori dannatamente coinvolgenti e dallo spirito rock d’annata.
Il quartetto dei Beelzefuzz, arriva dal Maryland, questo è il suo secondo lavoro dopo l’esordio omonimo uscito nel 2013, ed intitola l’album riprendendo il nome della prima incarnazione del gruppo, The Righteous Bloom.
Capitanata dal bravissimo e talentuoso chitarrista/cantante Dana Ortt, la band propone un rock vintage che richiama a sé sia il doom classico che l’hard blues settantiano, in una miscela esplosiva di suoni colorati e psyihedelici.
Il sound della band ha il pregio di tirare dritto arrivando al nocciolo della questione, senza perdersi troppo in lunghe e fumose divagazioni stoner: come detto sono il doom e l’hard rock che, insieme, comandano le operazioni e la fruibilità ne giova assai, presentandoci undici brani freschi, ben suonati e come detto dal sound vario.
Dana Ortt è un chitarrista dal tocco secco e preciso, il suo lavoro fa da gettata alle fondamenta di un sound ricco di spunti, il tono evocativo dalle reminiscenze doom mantiene ben legato il cordone ombelicale che il gruppo ha con la musica del destino, anche quando lo spirito blues rock prende il sopravvento.
Ne escono undici brani dall’alto potenziale, le melodie vincenti non mancano e le ritmiche vanno di pari passo con questo sali e scendi di umori vintage: non mancano tra i solchi di The Soulless, Eternal Waltz e la stupenda Nebulous riferimenti ai gruppi storici, così che è un attimo ritrovarsi tra le orecchie suoni nel passato in mano a Uriah Heep, Black Sabbath, Pentagram e Led Zeppelin, racchiusi in un arcobaleno psichedelico dai colori accesi.
Se l’hard rock classico continua a regalarvi emozioni anche nel nuovo millennio, lasciate perdere per una volta i soliti nomi e fate vostro questo ottimo The Righteous Bloom.

TRACKLIST
1. Nazriff
2. The Soulless
3. Hardluck Melody
4. Rat Poison Parfait
5. Eternal Waltz
6. Within Trance
7. Nebulous
8. The Righteous Bloom
9. Sanctum & Solace
10. Dying On The Vine
11. Peace Mind

LINE-UP
Dana Ortt – Lead vocals/guitar
Darin McCloskey – drums
Greg Diener – Lead guitar/vocals
Bert Hall – Bass guitar

BEELZEFUZZ – Facebook

Haniwa – Helleven

C’è da divertirsi tra i meandri della musica degli Haniwa

Sotto l’etichetta di modern metal si nascondono molti modi di fare musica dura, le band che per semplicità vengono catalogate con questo appellativo molte volte hanno un bagaglio di influenze delle più disparate, che passano dal metal tout court, all’alternative, dall’industrial groove al prog, elaborando molte volte spartiti originali.

Certo, per i fans duri e puri o semplicemente poco inclini alle novità che in questi anni hanno fortunatamente rinfrescato il genere, l’imbastardimento delle sonorità classiche è visto come tradimento ad una formula che, sia chiaro, funziona ancora, ma che spesso ha bisogno di qualche scossone per non risultare piatta ed alla lunga noiosa.
Per gli amanti della musica dura, ma con i padiglioni auricolari sempre attenti alle nuove proposte, non mancano invece le proposte che dissetano la loro voglia di uscire dagli schemi.
Chiaro che i riferimenti vanno tutti aldilà dell’oceano e negli ultimi trent’anni di metal/rock, anche per questo trio fiorentino al debutto tramite la Qua’Rock con questo ottimo esempio di metallo pregno di sonorità moderne, amalgamate ad un tiro thrash metal, con riverberi progressivi ed un approccio alternativo.
Loro sono gli Haniwa e appunto questo Helleven è il primo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep che è servito per forgiare il sound, ora al massimo della sua potenzialità su questi undici brani.
David Degl’Innocenti, basso e voce, Angelo Colletti chitarre, Mr.Crini batteria, confezionano un lavoro molto interessante, partendo da una base thrash di stampo statunitense (Metallica) ma rivitalizzandolo con dosi massicce di moderno alternative rock, ed una vena progressiva e matura che avvicina il sound alle geniali schermaglie di Devin Townsend.
Un’attenzione particolare alle melodie, un cantato che alterna pura aggressione thrash e grinta rock e qualche passaggio estremo, sono le credenziali di Helleven, che non smette di tenerci incollati alle cuffie fino ai titoli di coda.
C’è da divertirsi tra i meandri della musica degli Haniwa: ritmi incalzanti, esplosive canzoni ricalcalcanti il mood moderno che ha infettato positivamente il thrash  e note destabilizzanti che passano con disinvoltura tra estremismo e voglie alternative.
Una bella bordata che ha nella title track, Volcano e Tides Of Time i suoi picchi, nonché esempi fulgidi del credo musicale del trio toscano, una realtà da seguire con attenzione.

TRACKLIST
01.No More
02.@daggers Drawn
03.Tomorrow
04.Think This
05.Volcano
06.Tides Of Time
07.Haniwa
08.Fire Eyes
09.Return To Obscurity
10.Suffer
11.Helleven

LINE-UP
Angelo Colletti -Guitars
David Degl’Innocenti -Bass and Vocals
Mr. Crini-Drums

HANIWA – Facebook

Hyaena – Metamorphosis Revisited

Metamorphosis torna in una nuova veste con suoni cristallini che mettono in risalto il metal classico del gruppo toscano

Gabriele Bellini oltre ad essere un grandissimo chitarrista, nonché attuale boss della Qua’Rock, è stato uno dei precursori della scena metal nazionale.

Nel 1985, insieme a Ross Lukather, fondò gli Hyaena dando alle stampe due anni dopo Metamorphosis, demo che incoronò la band come fulgido esempio italiano di New Wave Of British Heavy Metal, genere storico all’epoca ancora nelle preferenze dei fans.
In seguito il gruppo ebbe un discreto successo nel panorama progressivo con due splendidi lavori, The Ground, the Light, the Sound del 1992 e Scene, uscito nel 1995, ma il primo urlo metallico del gruppo rimane un piccolo gioiello che meritava sicuramente più attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.
Negli ultimi tempi Gabriele e Ross (nel frattempo protagonisti nella scena metal nazionale con Death SS, Labyrinth, Athena, Ritmenia Zoo, Pulse-R, Shining Fury) tornano a far parlare della loro storica band e, unite le forze con la cantante Claire Briant Nesti e la bassista Isabella Ferrari, con la produzione di Giacomo Jac Salani fanno risplendere i sei brani che componevano lo storico demo, aggiungendovi la spettacolare cover di Phenomena dei Goblin.
Metamorphosis così torna in una nuova veste, con suoni cristallini che mettono in risalto il metal classico del gruppo toscano, in un’altalena di sfumature NWOBHM e metallo statunitense, con la chitarra di Bellini che taglia il ferro, chirurgica ed ispirata, l’ottimo lavoro di Lukater e della Ferrari nelle ritmiche, valorizzati poi da una prestazione di spessore dalla nuova vocalist, interpretativa e personale nella sua varia performance.
Metamorphosis parte forte con la title track, brano british al 100%, carico di adrenalina, con la sei corde che disegna teschi in cielo tra tuoni e fulmini, un mid tempo heavy metal esemplare.
Wrath Child corre via con ritmiche power, per poi rallentare e rientrare nei ranghi del classico metal ottantiano, epico e fiero, mentre No Man’s Land risulta un crescendo di tensione dove la prova della Nesti diventa sontuosa, marchiando a fuoco il brano con cori operistici presi in prestito dalla sua band, i power/prog metallers Inside Mankind.
Da Behind The Wall in poi il sound si sposta sul versante americano: il metal degli Hyaena, pur mantenendo un approccio europeo, si avvicina ai Riot di Mark Reale quali ispiratori di cavalcate metalliche urlanti come Kill Without Mercy e Screams For Savannah, mentre la già citata cover di Phenomena lascia in noi la speranza di rivedere il gruppo sul mercato con un lavoro di inediti.
I suoni old school, specialmente nell’underground, stanno piano piano tornando tra le preferenze degli ascoltatori e non è detto che ciò costitusica un passo indietro, anzi …

TRACKLIST
1. Metamorphosis
2. Wrathchild
3. No Man’s Land
4. Behind the Wall
5. Kill Without Mercy
6. Screams for Savannah
7. Phenomena

LINE-UP
Ross Lukather – Drums
Gabriele Bellini – Guitars
Isabella Ferrari – Bass
Claire Briant Nesti- Vocals

HYAENA – Facebook

Sabaton – The Last Stand

L’epicità valorizzata da orchestrazioni melodiche sopra le righe, la fierezza e l’impatto uniti ad un approccio da true defenders sono ancora ben in vista nel sound del battaglione Sabaton.

Tornano i guerrieri di Falun con l’ottavo lavoro sulla lunga distanza di una carriera che li ha visti arrivare fino ai vertici nelle preferenze degli amanti del power metal epico e, in questi anni di suoni moderni e contaminazioni varie che imbastardiscono (spesso con ottimi risultati, chiariamolo) il nostro amato metal, non è cosa da poco.

La band svedese si è appunto costruita una reputazione che solo i gruppi con una marcia in più e benedetti dal dio metallo possono vantarsi d’avere, e poco conta se questo The Last Stand dividerà la critica e forse i fans, l’epicità valorizzata da orchestrazioni melodiche sopra le righe, la fierezza e l’impatto uniti ad un approccio da true defenders sono ancora ben in vista nel sound del battaglione Sabaton.
Un album scritto per intero in tour, con una miriade di date live che hanno tenuto la band in giro per il mondo praticamente dall’uscita del precedente Heroes, non hanno minato lo spirito con cui i Sabaton si approcciano al power metal epico con cui sono diventati uno dei gruppi più amati e seguiti della scena, confermato da un’opera che se lascia qualcosa indietro per quanto riguarda furia e durezza metallica, si impreziosisce valorizzando l’aspetto melodico.
Peter Tägtgren ha prodotto l’album, una garanzia per la qualità dei suoni di The Last Stand, che letteralmente esplodono metallici e sontuosamente orchestrali, attraversando i secoli tra scontri e battaglie vissute in diverse epoche storiche.
Dai 300 guerrieri di Sparta, alla prima guerra mondiale, dalla Scozia dei clan (Tunes Of War docet), ai samurai nel Giappone degli imperatori, The Last Stand trascina in epoche e fatti dove i comuni denominatori sono sangue e valore, eroi vincenti o sconfitti, sempre sotto il segno dei guerrieri di Falun.
Se il sound del gruppo aveva bisogno di una rinfrescata, l’uso più marcato delle melodie ed un’occhiata all’hard rock (che ricordo in Svezia è tradizione, ancora prima del successo dei suoni estremi), direi senz’altro che la band ha raggiunto il suo scopo, forte di brani dal grande appeal (su tutti la splendida Blood of Bannockburn), non facendo mancare gli inni epici per cui sono diventati famosi e che già dall’opener Sparta faranno crogiolare i vecchi fans della band.
I cori vi inviteranno come sempre ad urlare al cielo la vostra fiera appartenenza al popolo metal, le tastiere di scuola hard rock smuoveranno i vostri fondo schiena, le ritmiche faranno sbattere le vostre teste e le asce sanguineranno quando entreranno nel petto del nemico.
Da un album del genere pretendere di più è puro eufemismo…

TRACKLIST
1. Sparta
2. Last Dying Breath
3. Blood of Bannockburn
4. Diary of an Unknown Soldier
5. The Lost Battalion
6. Rorke’s Drift
7. The Last Stand
8. Hill 3234
9. Shiroyama
10. Winged Hussars
11. The Last Battle

LINE-UP
Joakim Brodén-Vocals
Chris Rörland-Guitars
Pär Sundström-Bass
Hannes Van Dahl-Drums

SABATON – Facebook

Höllenbriada – Harte Zeit

La più scatenata quarantina di minuti da un po’ di tempo a questa parte, tra hard rock, una spruzzata di metallo stradaiolo e chorus da urlare a squarciagola.

Se per voi Axel Rose negli Ac/Dc ci sta come i cavoli a merenda, se gli ultimi album dello storico quintetto australiano sono stati solo mere operazioni commerciali per portare la band in tour, lasciate davanti all’ufficio dell’Inps i fratelli Young ed abbracciate i bavaresi Höllenbriada, un gruppo di irriverenti rockers tedeschi che se musicalmente non si allontanano dalla band di Highway To Hell, ne modernizzano il sound e soprattutto cantano in tedesco.

Ne esce un album divertentissimo, puro hard rock irrefrenabile di cui diventa davvero difficile fare a meno.
Certo, l’originalità sta tutta nel cantato in lingua madre del gruppo di Dani Zizek, chitarrista con un passato in una cover band (indovinate un po’?) degli Ac/Dc, ma al netto di questo fattore Harte Zeit risulta un album molto trascinante.
Birra a fiumi, seni prosperosi di bionde valchirie alte due metri e via verso la più scatenata quarantina di minuti  da un po’ di tempo a questa parte, tra hard rock, una spruzzata di metallo stradaiolo e chorus da urlare a squarciagola, anche se il tedesco non è poi così semplice da memorizzare, ma chi se ne frega, qui ci si diverte alla grande.
La title track singolo dell’album, l’incendiaria Wenn Du Moanst, il blues strascicato di Alls Verloarn ed il rock’n’roll di Morga Friah Is d’Nocht Vorbei sono solo alcune delle adrenaliniche tracce di questa botta di vita che non fa prigionieri e regala finalmente un po’ di sano hard rock come il diavolo comanda.
Detto che la produzione è perfetta per far esplodere i brani e la voce particolare di Boris Scheifele, sommata alla lingua tedesca, non fa che rendere il tutto ancora più irriverente e sfrontato, consiglio di non perdervi per nulla al mondo questo lavoro, non ve ne separerete per molto, molto tempo.

TRACKLIST
1.Harte Zeit
2.So A Dog
3.Z’east a halbe
4.Wenn du moanst
5.Alls verloarn
6.Höllenbriada
7.Ja woher
8.Schwarzer Finger
9.Morga friah is d’ Nacht vorbei
10.Auf geht’s prost
11.Niedergschlong

LINE-UP
Boris Scheifele – Bass, Vocals
Dani Zizek – Guitars, Vocals
Markus Heilmeier – Guitars
Tobias Sailer – Drums

HOLLERBRIADA – Facebook

Rosàrio – And The Storm Surges

And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

Dalla collaborazione di una manciata di etichette indipendenti esce il secondo lavoro dei Rosàrio, band padovana di stoner psichedelico dall’alto voltaggio.

Il gruppo, nato appena tre anni fa e, come detto, già alla seconda opera sulla lunga distanza è una delle migliori realtà nel panorama stoner metal nazionale, confermata da questo monumentale lavoro, non facile da assimilare ma molto suggestivo.
Dimenticatevi le semplici sonorità tanto in voga negli ultimi tempi, il quintetto nostrano ci invita ad un viaggio nella storia dell’evoluzione dell’uomo come individuo, a colpi di stoner metal violentato da sonorità che passano dal doom/sludge al rock psichedelico, colmo di chitarroni saturi ed atmosfere intimiste, in un susseguirsi di parti rallentate ed esplosioni di watt potentissime.
Ben interpretate da una voce calda e ruvida le tracce si danno il cambio, instancabili, mantenendo la tensione elettrica molto alta con picchi di travagliata drammaticità, come il percorso dell’individuo che da semplice coscienza di sé passa ad un paradigma di onnipotenza creativa (come descritto dalla stessa band).
Dicevamo, non semplice da assimilare ma molto affascinante, And The Storm Surges con il suo lento incedere si trasforma in un lungo e tormentoso viaggio verso la consapevolezza, con il gruppo che sottolinea questa metamorfosi con violenti cambi di umori musicali, in un continuo saliscendi tra monolitiche parti doom e rabbiose sfuriate alternative/stoner, ricoperte da un sottile strato psych che eleva di molto l’appeal malsano e fumoso di brani come Drabbuhkuf e le bellissime Canemacchina e Dawn Of Men.
Il viaggio si conclude con il piccolo capolavoro And Then… Jupiter, brano super stonato e che si rivela come una ipotetica jam tra Kyuss e Tool, straordinaria conclusione di un lavoro alquanto maturo.
And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

TRACKLIST
Side A – Creak
1- To Peak And Pine
2- Drabbuhkuf
3- Vessel Of The Withering
Side B – Harvest
4- Livor
5- Radiance
Side C – Bedlam
6- I Am The Moras
7- Canemacchina
Side D – Sunya
8- Dawn Of Men
9- Monolith
10- And Then… Jupiter

LINE-UP
Nicola Pinotti- Guitar
Fabio Leggiero-Bass
Alessandro Magro-Vocals
Riccardo Zulato- Guitar
Alessandro Bonini-Drums

ROSARIO – Facebook

Mercyless – Pathetic Divinity

Pathetic Divinity ci assale senza soluzione di continuità con la sua carica estrema, ben dosata tra rallentamenti ed accelerazioni terrificanti

Gli anni novanta sono stati per il death metal quello che il decennio precedente fu per l’heavy classico, un brulicare di realtà nelle varie scene sparse per il mondo, ed una sequela di album divenuti storici e che hanno contribuito in modo esponenziale allo sviluppo ed al successo del genere.

Erano anni in cui la disfida tra la tradizione scandinava e quella americana era intervallata realtà provenienti da altre terre, ma non meno importanti.
In Europa, oltre alla Germania, il Regno Unito e l’Olanda, nei paesi con meno tradizione metallica non erano poche comunque le band che a modo loro e con i pochi mezzi a disposizione portavano avanti a suon di bombardamenti musicali la cultura estrema di stampo death.
In Francia, una delle più importanti erano sicuramente i Mercyless, attivi già sul finire degli anni ottanta e che nel 1992 diedero alle stampe Abject Offerings, esordio diventato un cult tra gli appassionati.
Altri tre album fino al 2000 e poi un lungo stop durato tredici anni, hanno caratterizzato la storia del gruppo transalpino, fino al 2013 e a Unholy Black Splendor, che ne suggellava il ritorno.
Pathetic Divinity conferma la nuova verve compositiva del combo che, dopo appena tre anni, uno split con i connazionali Crusher (le tracce sono inserite nell’album come bonus), ed un live album, ritorna per Kaotoxin e riprende le ostilità.
Una band dal sound europeo, confermato anche da questo devastante lavoro, pregno di quella natura colma di odio contro un sistema politico religioso ormai obsoleto e sonorità che rientrano tranquillamente nel calderone dei gruppi death metal classici o, come va di moda oggi, definibili in old school.
D’altronde stiamo parlando di un gruppo storico, la musica prodotta è riconducibile a molte delle band in attività da più di vent’anni, non ispirazioni od influenze ma un ottimo esempio di quello che sa dare il death metal classico suonato da chi ha le carte in regola per farlo.
Dal primo all’ultimo minuto Pathetic Divinity ci assale senza soluzione di continuità con la sua carica estrema, ben dosata tra rallentamenti ed accelerazioni terrificanti, buoni cambi di tempo che variano le soluzioni compositive quel tanto che basta e potenziato da un impatto notevole.
Il gruppo suona sostenuto dalla molta esperienza ma con l’entusiasmo di una giovane band e la title track, My Name Is Legion e Christianist soprattutto ne trovano giovamento.
Per i troppo giovani o i distratti il sound della band trova le sue origini tra i solchi di album immortali per il genere scritti a suo tempo dai Grave, Asphyx, Obituary e compagnia cimiteriale, quindi assolutamente da avere se siete deathsters incalliti.

TRACKLIST
1. Blood of Lambs
2. Pathetic Divinity
3. A Representation of Darkness
4. My Name Is Legion
5. Exhort the Heretic
6. Left to Rot
7. Eucharistic Adoration
8. Christianist
9. How Deep Is Your Hate?
10. Liturgiae
11. Bless Me Father [“Blast from the Past” split 2015]
12. Probably Impure [“Blast from the Past” split 2015]
13. Eucharistic Adoration [“Blast from the Past” split 2015]

LINE-UP
Max Otero – Vocals, Guitars
Matthieu Merklen – Bass
Laurent Michalak – Drums
Gautier Merklen – Guitars

MERCYLESS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=2dIlvem6xIM

Szarlem / Drengskapur – Ritual

Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

La Folte Records ci presenta questo split che vede in azione due black metal band tedesche: la one man band Szarlem e il duo berlinese Drengskapur.

Un brano a testa per questo 7″ dall’attitudine che definire underground è un eufemismo: il primo, In the Glare of Fire, vede protagonista Avenger, polistrumentista attivo sotto il monicker Szarlem da una decina d’anni ed una discografia che, oltre ad una manciata di lavori minori, vede il nostro alle prese con due full length: Night of Blood uscito nel 2008 e Black Medieval Battle Hymns licenziato tre anni orsono.
Black metal oscuro e dalla forte connotazione occulta, un mid tempo atmosfericamente freddo ed uno scream disperato rendono il brano pregno di sfumature estreme e misantropiche, Avenger ci prende per mano e ci accompagna nel suo mondo dove la luce è solo un ricordo e l’oscurità domina.
Davvero inquietante lo scream, pura disperazione di un’anima tormentata dai demoni, mentre il sound non si discosta da un mid tempo raggelante, nel complesso una song affascinante.
Mitternachtsstund è il brano proposto dal duo berlinese Drengskapur, attivo dai primi anni del nuovo millennio e con tre album alle spalle incisi nell’arco di sette anni tra il 2006 ed il 2013 ( Geist der Wälder, Von Nebel umschlungen e Der Urgewalten Werk).
Formato da Wintergrimm (voce e chitarra) e Hiverfroid alle pelli, il combo produce un sound raw black metal ispirato alla natura e al paganesimo, sicuramente dalla forte attitudine ma estremamente consolidato nei cliché del genere evil per antonomasia.
Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

TRACKLIST
Side A
1. Szarlem – In the Glare of Fire
Side B
2. Drengskapur – Mitternachtsstund’

LINE-UP
Szarlem
Avenger – All instruments, Vocals

Drengskapur
Wintergrimm – Vocals, Guitars
Hiverfroid – Drums

http://www.facebook.com/Drengskapur.de?fref=ts

Killin’ Baudelaire – It Tastes Like Sugar

Ora sta a voi lasciarvi ammaliare musicalmente dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

Quattro brani bastano per entrare nei cuori dei giovani ascoltatori cresciuti ad alternative rock ?
Ascoltando questo primo ep delle Killin’ Baudelaire direi di si.

Le quattro bellissime (ma non solo) musiciste, debuttano con addosso gli occhi puntati degli addetti ai lavori: il loro It Tastes Like Sugar sta creando molte aspettative, assolutamente ben riposte visto il potenziale altissimo dei brani racchiusi nell’ep.
Prodotta da Titta Morganti, la band si destreggia tra la materia alternative con ottima padronanza del sound ed un buon uso dei ferri del mestiere: è un rock che non manca di graffiare, partendo da lontano e assumendo l’indole stradaiola infarcita di soluzione metalliche, ma nel suo viaggio lungo il nuovo millennio si riveste di soluzioni alternative, rendendosi appetibile a più palati, ed esaltandosi con melodie catchy, refrain ruffiani e tanto appeal.
In verità le tracce inedite sono tre (Summertime Sadness è la cover di un brano di Lana Del Rey) e letteralmente fanno faville con chorus perfettamente incastonati nel rock che si incendia di liquido metallico, ritmi che lasciano al groove il comando delle operazioni e chitarre che non lasciano dubbi sulla voglia di lasciare il segno del quartetto.
Aggiungete un monicker originale, un titolo che lascia alla fantasia di ognuno di noi la giusta interpretazione su un argomento delicato come l’amore (“è‘ un gioco di parole che lega immediatamente all’immagine, ma che secondariamente vuole riferirsi al concetto dell’Amore. Un Amore che si supponga sappia di zucchero, ma che come ogni umana manifestazione, possiede anche un lato oscuro…”), ed il gioco è fatto.
Ora sta a voi lasciarvi ammaliare (musicalmente) dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

TRACKLIST
1. Wasted
2. The Way She Wants
3. Summertime Sadness (Lana Del Rey Cover)
4. Riddle

LINE-UP
Gloria Signoria – Vocals and Bass
Martina Nixe Riva – Guitar
Francesca Bernasconi – Guitar
Martina Cleo Ungarelli – Drums and Vocals

KILLIN’ BAUDELAIRE – Facebook

Torrefy – The Infinity Complex

Continua così il viaggio del gruppo tra thrash, death, black e metal classico, una conferma ed un gradito ritorno

A distanza di due anni dal primo lavoro (Thrash And Burn), recensito dal sottoscritto sulle pagine di iyezine, tornano più spietati che mai i canadesi Torrefy, thrash band di Victoria.

Anche The Infinity Complex, come già il primo album, risulta una cascata di note estreme che se dal thrash di scuola europea prende molte caratteristiche ha in sé un’anima evil che, estremizza il sound quel tanto che basta per avvicinarlo a tratti al death melodico.
Un ibrido non male, ancora più accentuato in questo lavoro, una lunga discesa (più di un’ora) nei meandri del thrash metal old school, accompagnata dalla voce estrema del buon John Ferguson, cattivissima ed indemoniata.
Rispetto alla prima produzione il sound si è ancora più estremizzato, raggiungendo picchi estremi notevoli, il gruppo sembra aver trovato definitivamente la sua strada, per arrivare alle porte dell’inferno.
Quelle che una volta erano parti ritmiche potenti, ma col freno a mono leggermente tirato, ora si sono trasformate in furiose e velocissime cavalcate thrash, arrembanti e senza compromessi.
Molto migliorati sotto l’aspetto puramente tecnico, i Torrefy non si limitano a distruggere, ma inanellano una serie di brani dal massacro assicurato e chirurgici, specialmente nel lavoro delle due asce con riff e solos che non lasciano tregua.
Unico difetto, se mi si concede, è una prolissità di fondo che nel genere rischia di far faticare troppo gli ascoltatori distratti, le pause non mancano, ma il minutaggio dai brani che mantiene una media sui sei/sette minuti, per il genere si può considerare una scelta coraggiosa ma pericolosa.
Un peccato, perché a ben sentire sono le tracce più lunghe quelle che esprimono tutta la qualità del gruppo canadese: Hypochongea, Blinding the Beholder e Celestial Warfare dal mood che rasenta il black metal, sono il cuore e l’anima malvagia di The Infinity Complex.
Continua così il viaggio del gruppo tra thrash, death, black e metal classico, una conferma ed un gradito ritorno, se non avrete fretta e vi farete coinvolgere dal sound della band canadese, The Infinity Complex sarà senza dubbio un ottimo ascolto.

TRACKLIST
1. Planck Epoch
2. The Singularity
3. Hypochongea
4. Blinding the Beholder
5. Thrashist Dictator
6. Killed to Death
7. Infinity Complex
8. Celestial Warfare
9. Trial by Stone

LINE-UP
Simon Smith – Bass
Daniel Laughy – Drums
Adam Henry – Guitars (lead)
Ben Gerencser – Guitars (rhythm)
John Ferguson – Vocals

TORREFY – Facebook