Maidavale – Madness Is Too Pure

Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tornano dopo pochi mesi dal loro ottimo esordio le quattro sacerdotesse di Fårösund, che sotto il monicker Maidavale ci invitano al secondo sabba sotto il cielo svedese.

Tales Of The Wicked West aveva trovato buoni riscontri, confermati da questo Madness Is Too Pure, viaggio a ritroso nel rock psichedelico e nell’hard rock di settantiana memoria.
Le Maidavale suonano musica vintage, retro rock con una forte ispirazione psichedelica, ma a differenza delle band di maggior successo il loro approccio è meno ruffiano e molto più underground.
Madness Is Too Pure non è un album di facile ascolto, l’atmosfera da jam viene distorta da sfumature psichedeliche e i balli intorno al fuoco sono dettati da una forte connotazione lisergica, lasciando l’approccio blues rock del precedente lavoro e puntando tutto su sfumature stregate dalla magia della psichedelia.
Una lunga jam che si divide in nove capitoli mentre ci contorciamo, rapiti dalla musica e storditi da sostanze preparate dalle quattro streghe svedesi, che non ne vogliono sapere di scrivere un riff di facile presa e ci bombardano con il loro rock che rapisce, stordisce e confonde.
Tra le note dell’opener e singolo Deadlock, e delle altre litanie che compongono l’album, si respira vecchie atmosfere psichedeliche degli anni sessanta, ancora più accentuate rispetto al con l’ipnotica Dark Clouds e la magica Trance a dettare gli incantesimi per ammaliare ascoltatori in ogni parte del mondo.
Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tracklist
1.Deadlock
2.Oh Hysteria!
3.Gold Mind
4.Walk In Silence
5.Späktrum
6.Dark Clouds
7.Trance
8.She Is Gone
9.Another Dimension

Line-up
Matilda Roth – Vocals
Johanna Hansson – Drums
Linn Johanesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

URL Facebook
https://www.facebook.com/maidavaleswe/

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The Dead Daisies – Burn It Down

Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.

I The Dead Daisies sono la più grande band che i fans dell’hard rock classico possono ascoltare di questi tempi su disco e vedere in versione live sui palchi di tutto il mondo.

Quello che era partito come un super gruppo dall’incerta durata nel tempo, si è trasformato in una meravigliosa realtà che, a ogni passo, lascia in eredità album di un’altra categoria incentrati sul rock duro e puro.
Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.
Ovviamente il tutto avviene in un contesto assolutamente potente e moderno e i The Dead Daisies, con il nuovo grande acquisto dietro alle pelli, Deen Castronovo (Bad English, Journey), che va ad affiancarsi e si affianca alle altre leggende presenti nella band, offrono uno spettacolo di hard rock impossessato dal demone del blues: la tracklist offre brani che spezzano schiene sotto i colpi inferti dai riff della coppia Lowy/Aldrich, con le ritmiche che vomitano tonnellate di groove potente e scarno (Castronovo/Mendoza formano una delle coppie ritmiche più potenti della scena), lasciando che Corabi sciorini la prestazione più emozionante, vera e bluesy che il sottoscritto ricordi nella lunga carriera del vocalist americano.
Ora, con queste premesse è ovvio che siamo al cospetto dell’ennesimo capolavoro che non avrà sicuramente il successo dei lavori dei gruppi leggendari dai quali prendono ispirazione e che in altri tempi avrebbe fatto scrivere fiumi di inchiostro e portato la band sulle copertine delle migliori riviste di settore, prima dell’ennesimo tour negli stadi delle grandi città.
Di questi tempi meglio goderseli in qualche teatro o locale più intimo, ma soprattutto far nostro questo bellissimo Burn It Down, che da Resurrected in poi non scende dall’eccellenza, grazie ad una tracklist spettacolare nella quale  hard rock, street e blues ancora una volta si alleano per regalare grande musica dura, emozionante, sanguigna, maleducata ed irresistibile.
Neppure quando mid tempo come la title track o stupende ballate blues come Set Me Free smorzano quell’inconfondibile impatto rock’n’roll che è marchio di fabbrica del gruppo, il livello emozionale si abbassa, anzi, è proprio con le calde note di Set Me Free che Corabi sfiora la perfezione nella sua prestazione di cantante a cui la natura ha donato un carisma riconosciuto a pochi prima di lui.
Burn It Down è dunque un altro magnifico album di hard rock firmato da questi cinque musicisti uniti sotto il monicker The Dead Daisies, approfittatene!

Tracklist
1. Resurrected
2. Rise Up
3. Burn It Down
4. Judgement Day
5. What Goes Around
6. Bitch
7. Set Me Free
8. Dead And Gone
9. Can’t Take It With You
10. Leave Me Alone
11. Revolution (Bonus Track)

Line-up
Deen Castronovo – Drums
David Lowy – Guitars
John Corabi – Vocals
Doug Aldrich – Guitars
Marco Mendoza – Bass

THE DEAD DAISIES – Facebook

Michael Kratz – Live Your Life

In tempi in cui il genere fatica ad uscire da una dimensione ristretta, (specialmente in Italia), un album come Live Your Life è tesoro per pochi, scrigno di melodie da custodire gelosamente nella propria discografia.

Il lato più elegante e raffinato del rock viene nobilitato da Michael Kratz, già batterista dei rockers danesi Kandis e di questi tempi sul mercato con un album a suo nome, nel quale l’artista collabora con un buon numero di musicisti della scena aor/west coast internazionale.

Licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group in Europa e più avanti da AnderStein Music in Giappone, Live Your Life vede Kratz alle prese con una serie di brani dall’alto tasso qualitativo, debordanti di melodia ed ovviamente pregni di quelle atmosfere che faranno innamorare perdutamente gli amanti del rock melodico.
E di atmosfere e sfumature sognanti l’album è ricco, impreziosito dai tanti ospiti con cui il musicista ha collaborato, come Steve Lukather (Toto), Michael Landau, Dom Brown (Duran Duran), David Garfield, Christian Warburg (Paul Young) e Alessandro Del Vecchio (Revolution Saints, Hardline), tra gli altri, e valorizzato da arrangiamenti e produzione di assoluto livello internazionale.
Composto da dodici brani ricchi di melodie sopraffine, Live Your Life è un bellissimo e riuscito esempio di rock melodico che viaggia fuori dal tempo e dalle mode per arricchire anime di gustoso rock d’autore.
We All Live In This Nation e la title track aprono l’opera riassumendo perfettamente quello a cui l’ascoltatore andrà in contro, circondato da note che formano un lavoro che è già un classico, mentre Never Take Us Alive, le armonie acustiche di Paradise Lost e le atmosfere solari di Bye Bye confermano il l’alto livello di un songwriting che non accenna un passo falso.
In tempi in cui il genere fatica ad uscire da una dimensione ristretta, (specialmente in Italia), un album come Live Your Life è tesoro per pochi, scrigno di melodie da custodire gelosamente nella propria discografia.

Tracklist
01. We All Live In This Nation
02. Live Your Life
03. This Town Is Lost Without You
04. What Did I.. ?
05. Never Take Us Alive
06. Game Of Love (Over And Over)
07. Lying 08. Paradise Lost
09. Shade
10. Bye Bye
11. Dying Young
12. In Between

Line-up
Michael Kratz – Lead & Backing Vocals, Guitar, Drums
Kasper Viinberg – Drums, Bass, Guitars, Backing Vocals, Percussion, Accordion, Programming
Steve Lukather – Guitar solo
Michael Landau – Guitars
David Garfield – Keyboards, Hammond, Piano
Dom Brown – Guitars
Christian Warburg – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Keyboards, Hammond
Mikkel Risum – Bass
Ole Kibsgaard – Backing Vocals
Ole Viinberg – Backing Vocals
Ida Lohmann – Backing Vocals
Emma Viinberg – Choir
Den Jyske Sangskole – Choir
Kenneth Bremer – Cowbell

MICHAEL KRATZ – Facebook

Nightwish – Decades

La monumentale raccolta che riassume i primi vent’anni di carriera della più famosa symphonic metal band del pianeta.

Sembra ieri quando per la prima volta mi imbattei nei Nightwish, signori indiscussi del power metal sinfonico da ormai vent’anni ed una delle poche band della generazione di fine secolo che può sedersi al tavolo con i grandi del metal.

Un genere portato al successo a colpi di album bellissimi, specialmente nella prima fase con la divina Tarja come sirena operistica al microfono, poi un calo e la crisi dopo la partenza del soprano più famoso del metal e l’entrata frettolosa della pur brava Annette Olzon, seguita dall’arrivo della valkiria olandese Floor Jansen e al ritorno in pompa magna con l’ultimo lavoro targato 2015 Endless Forms Most Beautiful.
E proprio dall’ultimo lavoro e dalla suite The Greatest Show on Earth che parte questo viaggio a ritroso nel mondo della band di Tuomas Holopainen, una monumentale raccolta che raccoglie in sè tutte le facce della creatura scandinava, dalle suite e dai brani più classici a quelli più diretti e prettamente metallici in un’apoteosi di suoni bombastici e magniloquenti che risultano praticamente il meglio che il symphonic metal abbia regalato per entrare di diritto nella storia.
Ovviamente Decades è pur sempre una raccolta, quindi i fans della band non troveranno che brani conosciuti a memoria e che costituiscono un esaustivo riassunto dei primi vent’anni di carriera, mentre il tutto è invece molto più congeniale a chi non ha mai approfondito la conoscenza del gruppo; il lavoro viene licenziato dalla Nuclear Blast nelle versioni doppio cd, triplo vinile e doppio cd Earbox, lasciando ai fans una buona scelta di acquisto.
Ovviamente seguirà un tour mondiale che porterà i Nightwish su tutti i palchi del mondo, compreso il nostro paese, in quello che si prospetta come l’evento metallico dei prossimi 12 mesi.
I brani sono quelli nella loro versione originale, quindi si possono assaporare le varie fasi della carriera di Holopainen e soci, scandita dal cambio delle muse al microfono e da un’evoluzione che, di fatto, non si è mai fermata arrivando alla piena maturazione con l’ultimo bellissimo lavoro, aspettando la calata in Italia e la celebrazione di questa favola metallica chiamata Nightwish.

Tracklist
1. The Greatest Show On Earth
2. Élan
3. My Walden
4. Storytime
5. I Want My Tears Back
6. Amaranth
7. The Poet And The Pendulum
8. Nemo
9. Wish I Had An Angel
10. Ghost Love Score
11. Slaying The Dreamer
12. End Of All Hope
13. 10 th Man Down
14. The Kingslayer
15. Dead Boy’s Poem
16. Gethsemane
17. Devil & The Deep Dark Ocean
18. Sacrament Of Wilderness
19. Sleeping Sun
20. Elvenpath
21. Carpenter
22. Nightwish (Demo)

Line-up
Tuomas Holopainen – Keyboards
Floor Jansen – Vocals
Marco Hietala – Bass & Vocals
Emppu Vuorinen – Guitar
Troy Donockley – Uilleann pipes & whistles
Kai Hahto – Drummer

NIGHTWISH – Facebook

Mors Subita – Into The Pitch Black

Dimenticate urletti in clean e ritmiche stoppate, i Mors Subita schiacciano sull’acceleratore, ci travolgono con un impatto death/thrash e ci deliziano con solos melodici di scuola heavy come si faceva una volta.

Il death metal melodico continua a mietere vittime, anche se sono lontani i primi capolavori usciti negli anni novanta e la linea che divide il genere con le pulsioni statunitensi di stampo core è sempre più sottile.

Fortunatamente, chi suona il genere nella sua forma più pura e primitiva non manca, e l’incontro con piccole gemme estreme è sempre dietro l’angolo, specialmente se si volge lo sguardo verso nord.
E dalla terra dei mille laghi arrivano i Mors Subita, quartetto attivo addirittura dalla fine del secolo scorso e con all’attivo un paio di ep e due full length, prima che Into The Pitch Black arrivi e faccia venire il sorriso agli amanti del death metal melodico che chiameremo classico.
Si perché già dal singolo As Humanity Weeps, la band finlandese ci va giù duro, pur mantenendo un approccio melodico ben definito e strappandoci qualche applauso per il gran lavoro chitarristico, sia in fase ritmica che solistica.
Dimenticate urletti in clean e ritmiche stoppate, i Mors Subita schiacciano sull’acceleratore, ci travolgono con un impatto death/thrash e ci deliziano con solos melodici di scuola heavy come si faceva una volta.
Non c’è tregua nè riposo, tra le trame di brani diretti come la title track, Just The Beginning, Shadows e The Void, la band si lancia in fughe metalliche che sferzano e frustano l’ascoltatore, con i primi Soilwork e Darkane a fare da padrini a questo nuovo lavoro targato Mors Subita.

Tracklist
1.Path to the Abyss
2.As Humanity Weeps
3.Dead Sun
4.Defeat
5.Into the Pitch Black
6.Alas
7.I, God
8.Vultures
9.Fear is Just the Beginning
10.Shadows
11.The Void

Line-up
Eemeli Bodde – Vocals
Mika Lammassaari – Lead Gtr, additional vocals
Mika Junttila – Bass
Ville Miinala – Drums

MORS SUBITA – Facebook

Purest Of Pain – Solipsis

La band non abbonda certamente in personalità anche se l’album nella sua interezza si fa apprezzare, specialmente nel gran lavoro delle due chitarre, ispirate sia in fase ritmica che negli assoli che grondano melodie.

I Purest Of Pain sono la band del chitarrista e compositore Merel Bechtold (Mayan, Delain) e Solipsis è il loro nuovo lavoro, il primo sulla lunga distanza.

Il gruppo, che festeggia il decimo anno di attività licenzia questo buon esempio di death metal melodico moderno, non lontano dal sound che si è sviluppato negli ultimi tempi tra gli adepti del death metal, tra melodie scandinave e reminiscenze core.
Solipsis, quindi, si muove con disinvoltura tra queste due correnti portate al successo in tempi diversi dalla frangia melodica del death metal, rinunciando totalmente a qualsiasi forma di vecchia scuola.
Poco da dire dunque, la band non abbonda certamente in personalità anche se l’album nella sua interezza si fa apprezzare, specialmente nel gran lavoro delle due chitarre, ispirate sia in fase ritmica che nei solos che grondano melodie.
La componente thrash è presente così da rendere i brani a tratti devastanti (Trial & Error), supportati da uno scream aggressivo, ma che ci risparmia coretti puliti da school band.
In un contesto leggermente monocorde sulle lunga distanza, i brani di Solipsis tendono ad assomigliarsi, così l’attenzione cade inevitabilmente sulla performance delle due chitarre, ispiratissime e sincronizzate perfettamente.
I Purest Of Pain, eseguono il loro compito con disinvoltura, destreggiandosi tra uno dei generi più inflazionati del metal estremo con buona padronanza di mezzi, anche se Crown Of Worms, Momentum e Terra Nil dimostrano la loro totale devozione al sound di primi In Flames, Soilwork e Dark Tranquillity, solcati da tagli modern metal.

Tracklist
1.The Pragmatic
2.Truth-seeker
3.Vessels
4.Crown of Worms
5.Momentum
6.The Sleep of Reason
7.Tidebreaker
8.Trial & Error
9.Terra Nil
10.Noctambulist
11.E.M.D.R.
12.Phantom Limb
13.The Solipsist
14.The End

Line-up
J.D. Kaye – Vocals
Merel Bechtold – Guitar
Michael van Eck – Guitar
Frank van Leeuwen – Bass
Joey de Boer – Drums

PUREST OF PAIN – Facebook

Preludio Ancestral – Oblivion

Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Symphonic power metal dal Sud America e precisamente dall’ Argentina con il nuovo album dei Preludio Ancestral, terzetto guidato dal chitarrista e tastierista dalle chiare origini italiane, Leonardo Gatti.

Attiva dal 2005, la metal band sudamericana arriva quarto full length di una discografia che si compone di un buon numero di singoli ed un paio di ep, quindi una realtà solida del panorama metallico del suo paese e non solo.
Oltre a Leonardo Gatti, i Preludio Ancestral vedono all’opera Ari Katajamäki al basso e Diego Camaño alle pelli più un nutrito numero di ospiti che danno il loro contributo alla riuscita di Oblivion, lavoro che si fa sicuramente apprezzare, per intensità ed un’ottima tecnica al servizio di brani potenti, sinfonici e dall’immediata presa.
Al microfono si danno il cambio svariati vocalist, con un’ottima rappresentanza tricolore formata (oltre che dal tastierista Gabriel Crisafulli) da Enzo Donnarumma, Alessio Perardi e Raffaele Albanese che si danno il cambio tra le trame metalliche di quest’opera che non sfigura certo nel panorama classico internazionale, anche se i cliché del genere sono tutti ben in vista e l’album non brilla certo in originalità.
Ma sono dettagli, perché Oblivion segue le coordinate tracciate sulla mappa dell’heavy metal sinfonico dalle potenti ritmiche power, e la band non risparmia cascate di melodie per un risultato più che buono, brillando per un songwriting ispirato ed una facilità d’ascolto disarmante, grazie a brani diretti e figli di ispirazioni ed influenze che vanno dai primi Angra agli Avantasia, con Storm, la splendida title track e l’heavy metal classico della grintosa Dust World a presenziare sul podio e sottolineare la buona riuscita di questo lavoro.
Oblivion merita senz’altro l’interesse degli amanti del metal sinfonico e power, frutto di una buona vena in fase di scrittura e dal valore aggiunto dei tanti ospiti sui quali i Preludio Ancestral hanno potuto contare.

Tracklist
1.Presagio
2.King of silence
3.Storm
4.Fear of falling
5.Ready to rock
6.Oblivion
7.Universal love
8.Reflection in the wind
9.Dust world
10.Metal walls

Line-up
Leonardo Gatti – Guitars & Keyboards
Ari Katajamäki – Bass
Diego Camaño – Drums

Guest musicians:
Gabriel Crisafulli – Keyboards
Juan Pablo Kilberg – Guitar
José Paz – Keyboards
Alessio Perardi – Vocals
Fran Vázquez – Vocals
Daniel García – Vocals
Juan Pablo Kilberg – Vocals
Raffaele Raffo Albanese – Vocals
Kimmo Perämäki – Vocals
Enzo Donnarumma – Vocals

PRELUDIO ANCESTRAL – Facebook

Hypnotheticall – Synchreality

Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni.

Con il supporto della Revalve Records tornano sul mercato discografico i vicentini Hypnotheticall, ex Whispered Lies, band attiva dall’alba del nuovo millennio con il nuovo monicker e arrivata oggi al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Il gruppo capitanato dal chitarrista Giuseppe Zaupa, fondatore ed unico membro originale rimasto in line up, suona metal progressivo, tecnicamente ineccepibile, moderno e roccioso, senza perdere di vista quei tratti melodici che ne fanno una proposta molto interessante per i molti palati abituati ai gustosi ricami che infarciscono la musica progressive.
Con due anime ben distinte amalgamate in un unico sound, Synchreality giunge ad una stretta di mano tra il metal prog di stampo classico e quello moderno: quindi, se da una parte troviamo il classico suono alla Dream Theater, e per rimanere in Italia, Eldritch, dall’altra certe scelte a livello ritmico portano ai Tesseract e alle band dei giorni nostri.
Melodia ed irruenza, tecnica ed emotività, si danno il cambio nella struttura dei brani, in un ibrido davvero riuscito ed a suo modo originale, con il gruppo che appaga in egual misura i fans della tecnica e quelli che in un disco cercano sempre e comunque delle canzoni, anche in un genere dalle trame intricate.
Dieri che gli Hypnotheticall ci riescono senza grossi sforzi, il sound scorre piacevolmente lasciando all’ascoltatore una manciata di brani intriganti come l’estrema Tribal Nebula, dalle accelerazioni thrash, la moderna Industrial Memories e la devastante Rumors, che torna a far male dopo le note lievi della ballad In Hatred.
Un ottimo lavoro questo Synchreality, che prende posto di diritto tra le numerose ed imperdibili uscite che il genere regala con costanza negli ultimi tempi, specialmente per quanto riguarda i gruppi battenti bandiera tricolore.

Tracklist
01. Synchronism To The Light
02. Where All The Trees Bend
03. Tribal Nebula
04. The Spell
05. Industrial Memories
06. Dreaming In Digital
07. Solstice Of Emotions
08. In Hatred
09. Rumors
10. AnalogDream Experience

Line-up
Davide Pellichero – Vocals
Giuseppe Zaupa – Lead &RhythmGuitar, Programming
Luca Capalbo – Bass
Giulio Cariolato – Drums

HYPNOTHETICALL – Facebook

Morbosidad – Corona De Epidemia

Brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica fanno di questo lavoro un discreto spaccato di metal estremo dedicato al maligno.

La versione in vinile limitata di questo inno a Satana ed alle sue nefandezze portava una copertina diversa da quella che troverete in bella mostra sul cd contenente il quinto full length di questa realtà death/black metal proveniente dal più marcio sottobosco estremo statunitense.

Corona de Epidemia è un violento attacco satanico, un belligerante inno all’oscuro signore, alla guerra e alla morte suonato dai Morbosidad, quartetto estremo nato nel lontano 1993 in California ed in seguito stabilitosi in Texas: una produzione che tanto sa di vecchia scuola black metal, impatto da tregenda e blasfemie a go go dentro a brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica, fanno di questo lavoro uno spaccato di metal estremo satanico dedicato al maligno ed in grado di soddisfare la sete di violenza dei suoi servitori.
Mezz’ora basta ed avanza al gruppo statunitense per far inghiottire chiodi arrugginiti sporchi del sangue di Cristo in un delirio death/black metal non molto distante dal genere suonato nell’Europa dell’est.
L’ospite Sodomatic Slaughter dei Beherit, nella traccia di chiusura, è la chicca di Corona De Epidemia, abominevole ed oscuro lavoro che non può non attrarre i fans del metal estremo.

Tracklist
1.Muerte Suicidio
2.Corona de Epidemia
3.Cordero de Cristo
4.Cristo en Desgracia
5.Transtorno Mental
6.Condena y Castigo
7.Difunto
8.Maldición
9.Sepulcro de Cristo
10.Crudeza
11.D.E.P.

Line-up
Tomas Stench – Vocals
Matt Mayhem – Drums
Joe Necro – Guitars, Bass
Ded Ted – Bass

MORBOSIDAD – Facebook

Usurpress – Interregnum

Gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.

Difficile non catalogare come progressive metal il sound di questo bellissimo album, quarto full length degli Usurpress, gruppo svedese attivo dal 2010 ma con una ricca discografia alle spalle.

Difficile, perché ad un primo ascolto l’anima estrema della band di Uppsala esce prepotentemente dai binari progressivi su cui viaggiano le sette tracce che completano Interregnum, mentre soffermandosi un poco si scoprono ispirazioni usate dai musicisti svedesi addirittura riconducibili agli anni settanta.
Registrato e mixato ai Dugout Productions della città finnica, uno studio che ha visto passare band del calibro di In Flames, Soilwork, Behemoth e Dark Funeral, l’album non inventa assolutamente niente, ma si muove nel territorio delle emozioni con la disinvoltura di chi sa come intrattenere gli amanti del progressive metal dal piglio estremo.
E gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.
A Place In The Pantheon è l’inizio che non ti aspetti, con una progressive song quasi interamente strumentale e voci appena sussurrate che accompagnano chi ascolta verso il cuore dell’album, prima con il crescendo oscuro di In Books Without Pages, poi con le due nere perle che valorizzano tutta l’opera: Late in the 11th Hour e Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo) , in tutto diciassette minuti di death metal vario, tra forza estrema e melodie metal/rock che non lasciano sicuramente indifferenti.
Il trio (Stefan Pettersson al microfono, Påhl Sundström alla chitarra e Daniel Ekeroth al basso) viene aiutato in quest’opera dai bravissimi Stefan Hildman (batteria) e da Erik Sundström (tastiere), tutti musicisti dall’ottima tecnica e dal background che sconfina nel jazz e nella fusion, per una formazione di tutto rispetto.
Un altro ottimo lavoro progressivo, orientato verso il doom/death metal old school (Paradise Lost e Mobid Angel) e il progressive rock (Camel, King Crimson), quindi lontano dai deliri post che vanno tanto di moda oggi.

Tracklist
1. A Place in the Pantheon
2. Interregnum
3. In Books Without Pages
4. Late in the 11:th Hour
5. Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo)
6. The Iron Gates Are Melting
7. The Vagrant Harlot

Line-up
Daniel Ekeroth – Bass
Påhl Sundström – Guitars
Stefan Pettersson – Vocals

USURPRESS – Facebook

Gianluca Magri – Reborn

Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Debutto solista per il chitarrista bellunese Gianluca Magri, con un passato nella metal band Phaith, con la quale ha inciso un album nel 2011 (Redrumorder).

In questa nuova avventura discografica, intitolata Reborn, il musicista nostrano affida il basso alle mani di Diego Maioni, la batteria a Raffaele Fiori ed i tasti d’avorio a Lorenzo Mazzucco per dar vita alla sua idea di rock strumentale, assolutamente fuori dai binari ipertecnici dei guitar heroes, ed orientati come spesso accade tra le nuove leve verso una forma canzone che ne facilita la fruibilità.
Anche se in poco più di una ventina di minuti, ma sicuramente di buon livello, Reborn ci presenta un musicista preparato ed assolutamente in grado di ben figurare nel vasto mondo del rock/metal strumentale, con cinque brani che passano in rassegna le varie ispirazioni che hanno portato Magri ad imbracciare una sei corde, dai Led Zeppelin, a Gary Moore e Satriani, con un occhio agli anni settanta quanto al metal del decennio successivo.
Bellissime e varie, a mio parere, sono Snowballed e A.D.R., cuore di questo gioiellino strumentale iniziato con la title track (brano alla Satriani) e Cloudbreaker, poi concluso con le armonie acustiche e zeppeliniane della sognante Atlas Bound che prova a far rivivere la magia di Bron-Y-Aur, dal mastodontico Physical Graffiti.
Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Tracklist
1.Reborn
2.Cloudbreaker
3.Snowballed
4.A.D.R.
5.Atlas Bound

Line-up
Gianluca Magri – Guitars
Diego Maioni – Bass
Raffaele Fiori – Drums
Lorenzo Mazzucco – Hammond, Synth

GIANLUCA MAGRI – Facebook

Don Broco – Technology

Definiti da molti tra i massimi esponenti del rock alternativo contemporaneo, i Don Broco rilasciano il disco perfetto per i tempi in cui viviamo: una serie di brani lucidati e impacchettati con estrema cura per piacere alla generazione dei talent show, ma che alla fine non lasciano niente, se non un gusto amarognolo di fregatura.

Vi presentiamo l’ album perfetto per fare una caterva di sterline con il minimo sforzo: pop travestito da rock alternativo, una serie di trovate elettroniche da far impazzire i ragazzini nelle balere di mezza Europa e il gioco è fatto.

Quattro affascinanti ragazzotti inglesi, irriverenti il giusto per far innamorare stormi di ragazzine sono autori di tre album che di rock hanno davvero poco, al massimo qualche chitarra sparata qua e là che fa tanto post industrial/alternative rock, con vocine reduci dall’esame di terza media ed una base elettronica su cui sono strutturate queste quattordici canzoni.
Loro sono i Don Broco da Bedford e Technology è il loro terzo disco licenziato dalla Sharptone Records, dopo una serie infinita di singoli e mini cd.
Definiti da molti tra i massimi esponenti del rock alternativo contemporaneo, i Don Broco rilasciano il disco perfetto per i tempi in cui viviamo: una serie di brani lucidati e impacchettati con estrema cura per piacere alla generazione dei talent show, ma che alla fine non lasciano niente, se non un gusto amarognolo di fregatura.
Technology è perfetto per portare la band il più in alto possibile, tra suoni bombastici, esplosioni elettroniche e camei di chitarre finte metal, una voce che a tratti si avvicina alla musica dance anni ottanta, tanto che sembra clonata, e ritmi che definire ballabili è un eufemismo.
Non c’è grinta, rabbia, non esiste un suono che non esca plastificato, mentre siamo già al nono brano e di quello che abbiamo ascoltato non rimane impresso che una spiacevole sensazione di posticcio.
Una musica senz’anima è quella che troviamo in questo lavoro, rock o meno che sia, una serie di brani usa e getta che tra un  anno non ricorderà più nessuno, soffocati dalla prossima new sensation che non mancherà di prendere il posto dei Don Broco sui poster appesi nelle camere dei fans.
Ascoltando questo lavoro mi è venuta voglia di sentire rock alternativo dai pesanti influssi elettronici, tipo Swamp Terrorists e Young Gods: forse è meglio …

Tracklist
1. Technology
2. Stay Ignorant
3. T Shirt Song
4. Come Out To LA
5. Pretty
6. The Blues
7. Tightrope
8. Everybody
9. Greatness
10. Porkies
11. Got To Be You
12. Good Listener
13. ¥
14. Something To Drink

Line-up
Rob Damiani – Vocals
Matt Donnelly – Drums/Vocals
Simon Delaney – Guitars
Tom Doyle – Bass

DON BROCO – Facebook

Augury – Illusive Golden Age

Un ritorno in grande stile per gli Augury, l’album potrebbe risultare una gradita sorpresa per gli amanti del metal estremo tecnico e progressivo, quindi il consiglio è di non perderlo per nessun motivo.

Il Canada a ben vedere è terra dove il metal ha sempre regalato importanti protagonisti in molti dei generi di cui si compone.

Non solo gruppi storici dunque (Rush, Annihilator, Exciter e Anvil, tanto per fare qualche nome), ma una folta schiera di gruppi che si muovono nell’underground: gli Augury fanno parte della scena estrema del Quebec da più di quindici anni, il loro death metal progressivo ha già donato in passato due full length, Concealed uscito nel 2004 e Fragmentary Evidence del 2009.
Sono passati nove lunghi anni prima che il quartetto si sia deciso a tornare sul mercato e tramite la The Artisan Era licenzia questo ottimo esempio di technical progressive death metal intitolato Illusive Golden Age.
Mixato e masterizzato da Chris Donaldson dei Cryptopsy, l’album è una tempesta di suoni estremi che si abbattono sull’ascoltatore, tecnicamente ineccepibili, ma tenuti tra i confini di una forma canzone che non viene mai meno.
La parte progressiva si scontra con quella estrema, che si avvicina pericolosamente al brutal con puntate nel black metal più feroce, in un turbinio creato da un ciclone musicale dall’impatto devastante.
Illusive Golden Age tiene incollati alle cuffie, concentrati nel seguire le evoluzioni musicali in brani spettacolari come la portentosa Mater Dolorosa, o la brutale Maritime, mentre le tracce più progressive risultano la title track e The Living Vault, doppietta che apre l’album all’insegna di un ottovolante progressivo di ottima fattura.
Un ritorno in grande stile per gli Augury, l’album potrebbe risultare una gradita sorpresa per gli amanti del metal estremo tecnico e progressivo, quindi il consiglio è di non perderlo per nessun motivo.

Tracklist
1. Illusive Golden Age
2. The Living Vault
3. Carrion Tide
4. Mater Dolorosa
5. Maritime
6. Message Sonore
7. Parallel Biospheres
8. Anchorite

Line-up
Patrick Loisel – Vocals, Guitars
Mathieu Marcotte – Guitars
Dominic “Forest” Lapointe – Bass
Antoine Baril – Drums

AUGURY – Facebook

Black Royal – Lightbringer

Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.

Una bomba sonora che esploderà sulle vostre teste, devastante e pesantissima, un masso che dal punto più alto del monte dove sono state scritte le tavole della legge del metal estremo rotolerà fino alle pianure, distrutte dal passaggio dell’enorme sasso che prende forza ad ogni metro.

Lightbringer è il debutto sulla lunga distanza dei finlandesi Black Royal, gruppo di Tampere in cui mi ero imbattuto in occasione dell’ uscita dell’ep The Summoning PT 2, seconda parte appunto di un concept iniziato nel 2015.
La Finlandia che non si legge sui giornali, quella votata alla violenza, al suicidio ed all’alcolismo, veniva raccontata dai Black Royal tramite un death/stoner metal al limite dello sludge e sconquassato da accelerazioni di stampo death che chiamare devastanti è un’eufemismo.
Anche sulla lunga distanza il combo finlandese non delude e ci investe con tutta la sua immane potenza e pesantezza, Cryo-Volcanic ci travolge con cascate laviche di death metal, rallentato, morboso e drogato di stoner/sludge, Salvation ci spinge verso l’abisso, mentre Pentagram Doctrine è una traccia malatissima e disturbante, così come la title track.
Non esiste un momento di pace o di luce, i Black Royal sono stati creati per far male, trattandosi di una creatura estrema che prende forza dagli Entombed e dai Black Sabbath e dopo averli accoppiati li tramuta in un mostruoso e pesantissimo esempio di death/sludge.
Ancora Dying Star e New World Order, che lascia ad un coro femminile pinkfloydiano il compito di avvicinarvi alla fine con lo strumentale Ou[t]roboros, sono le bombe sonore fatte esplodere da questi quattro pericolosissimi musicisti, prima che l’album si chiuda e la calma torni a regnare nel vostro mondo che non vi parra più così sicuro.
Lightbringer è un mostro, un disturbato e pericoloso esempio di metal estremo da consumare con la giusta cautela, gli effetti collaterali sono devastanti e non dite che non vi avevo avvertito.

Tracklist
1. Cryo-Volcanic
2. Self-Worship
3. Salvation
4. Denial
5. Pentagram Doctrine
6. Lightbringer
7. The Chosen
8. Dying Star
9. New World Order
10. Ou[t]roboros

Line-up
Jukka – Drums, percussion
Pete – Bass, backing vocals, acoustic guitar
Riku – vocals
Toni – Guitars, backing vocals

BLACK ROYAL – Facebook

Stormwolf – Howling Wrath

L’album è consigliato agli amanti dei suoni tradizionali che, in Howling Wrath, troveranno di che godere tra atmosfere fantasy, un numero infinito di duelli tra le chitarre, la prova maiuscola di una cantante dai toni magici e ritmiche che passano con disinvoltura da sfuriate power a cavalcate su tempi medi.

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Volition – Visions of the Onslaught

Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Metal estremo dai rimandi old school, velenoso e crudele quel tanto che basta per passare con disinvoltura dal thrash metal al death/black.

Loro sono i Volition band statunitense proveniente da Tulsa (Oklahoma) e Visions of the Onslaught è il loro debutto sulla lunga distanza, successore di un ep licenziato un paio di anni fa.
Un thrash contaminato dal mood estremo e devastante dei generi sopracitati crea un’atmosfera di belligeranza e di massacro sonoro vecchia scuola: i Volition risultano il classico gruppo dal sound che si riassume nel detto palla lunga e pedalare con un metal che, ingranata la quinta, mantiene veloce l’andatura per tutta la durata non risparmiando qualche mid tempo incastrato nella furia iconoclasta di brani come l’opener Annihilation, la mastodontica Crypts Of Flesh e la veemente Theories Of Punishment.
Le influenze sono tutte riscontrabili nei pionieri del metal estremo degli anni ottanta tra il thrash e le prime avvisaglie death/black, quindi riconducibili ai soliti Venom, Slayer, Sodom e Kreator.
Visions Of The Onslaught è un lavoro rivolto agli amanti del genere, i quali sono invitati ad un ascolto che potrebbe trasformarsi in una piacevole e devastante sorpresa.

Tracklist
1.Morbid Devastation
2.Theories of Punishment
3.Enforce with Violence
4.Injection Vendetta
5.Annihilation
6.Vengeful Satisfaction
7.Justified Mortality
8.Crypts of Flesh
9.Volition

Line-up
Cody Creitz – Drums
Christian Potter – Guitars, Vocals
Gabe Henry – Guitars
Treston Lamb – Bass

VOLITION – Facebook

Siksided – Leave No Stone Unturned

Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.

Torniamo a parlarvi di musica rock ispirata agli anni novanta, decennio importantissimo per lo sviluppo del metal/rock, da quello più estremo fino alle contaminazioni crossover generate aldilà dell’Atlantico e che fecero coppia con l’esplosione dei suoni hard rock, dal grunge all’ alternative.

Il secondo decennio del nuovo millennio si può certo considerare come la maturazione del frutto nato dall’albero piantato trent’anni fa da quei gruppi che, in un batter d’occhio, si ritrovarono sulle copertina delle riviste specializzate e con i propri in video in rotazione su MTV.
In Italia non mancano certo ottime realtà che si affacciano sul mercato underground ispirate dai grandi nomi del genere, una scena (se si può parlare di scena riguardo al metal/rock nel nostro paese) che regala proposte di valore come i Siksided, freschi di debutto sulla lunga distanza con Leave No Stone Unturned, traguardo raggiunto dopo quasi otto anni dalla nascita del gruppo con base a Trieste.
Dopo vari cambi di formazione ed un demo di cinque brani licenziato quattro anni fa, la band ci regala un’opera che dell’alternative metal attinge la forza, dal grunge l’irruente intimismo e dal progressive moderno quella nobiltà compositiva e cerebrale che avvicina il sound alle opere di Tool ed A Perfect Circle.
In effetti, come scritto nelle note di accompagnamento dell’album, Leave No Stone Unturned vive di grunge nevrotico e di prog metal e ne esce una raccolta di brani che alterna rabbiose atmosfere metalliche a tracce e sfumature rock oriented, sempre legate da un buon lavoro ritmico e chitarristico.
Disposable Livings, Charon, Batlant Quiet, Desert e la conclusiva pinkfloydiana Defaced sono i brani più esaustivi per chi vuol conoscere il gruppo nostrano, ma tutto l’album funziona così da meritarsi una promozione a pieni voti.

Tracklist
1.Disposable livings
2.Leaf
3.Fragments
4.Meant to be
5.Charon
6.New savior
7.Blatant quiet
8.Desert
9.Defaced

Line-up
Delano – Guitar
Paolo – Drums
Jeff – Guitar
Wolly – Bass
Xander – Voice

SIKSIDED – Facebook

Killibrium – Purge

Il sound dei Killibrium è un mastodontico pezzo di cemento staccatosi da un grattacielo in pieno centro all’ora di punta: i danni sono inevitabili, così come le vittime tra chi non è abituato a tanta potenza e pesantezza.

Neanche il tempo di sistemare le valigie che si torna a volare virtualmente verso l’India, precisamente a Mumbai, dove ci aspettano i deathsters Killibrium, nuovissima band all’esordi con questo devastante ep intitolato Purge.

Il quartetto asiatico conferma quanto di buono ci sia nella scena estrema di quel paese, con sei brani nei quali il death metal old school incontra il brutal e lo invita ad una strage promettendo fuoco e fiamme, tecniche e ritmiche, dal groove micidiale.
Il sound dei nostri è un mastodontico pezzo di cemento staccatosi da un grattacielo in pieno centro all’ora di punta: i danni sono inevitabili, così come le vittime tra chi non è abituato a tanta potenza e pesantezza.
L’opener Forewarned ci presenta un gruppo capace di mantenere un impatto tellurico, pur abbondando di parti ultratecniche: i quattro musicisti innalzano un altare di abissale musica estrema onorando le band storiche del genere, dai Cannibal Corpse ai Suffocation, in un delirio di cambi di tempo, ripartenze che hanno la potenza e la furia di un’onda sprigionata dalla forza di uno tsunami.
Mental Illusion è una tempesta di note che si abbatte sull’ascoltatore, il growl di Nitin Rajan è pregno di una personalità che si evince dall’uso deciso ed espressivo, gli strumenti sono armi letali tra le mani di Mihir Bhende alla batteria, Keshav Kumar alla chitarra e Suvajit Chakraborty al basso e tutto funziona alla perfezione, anche se il poco tempo a disposizione del gruppo ci porta ad aspettare sviluppi futuri prima di dare un giudizio definitivo.
Rimane da sottolineare il grande impatto, e l’uso delle ritmiche che strizza l’occhiolino alla scena odierna.

Tracklist
1. Forewarned Is Forearmed
2. Denominator
3. Mental Illusions
4. Vigilante
5. Purge
6. Last Man Standing

Line-up
Keshav Kumar – Guitars
Mihir Bhende – Drums
Suvajit Chakraborty – Bass
Nitin Rajan – Vocals

KILLIBRIUM – Facebook

Divine Realm – Nordcity

Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.

Metal progressivo e strumentale quello proposto dai Divine Realm, quartetto canadese che licenzia il suo nuovo lavoro autoprodotto dal titolo Nordcity.

La band esordì nel 2013 con l’ep Mor[T]ality , seguito da un paio di full length, Abyssal Light e Tectum Argenti, rispettivamente del 2014 e del 2016, tornando sul mercato con questa ventina di minuti nel quale il talento tecnico fa bella mostra di sé, valorizzando questo piccolo assaggio delle potenzialità del gruppo, per chi ancora non lo conoscesse.
Non manca qualche difettuccio, è bene sottolinearlo, a tratti la band si specchia nel tecnicismo per perdere leggermente in fluidità, ma sono dettagli di un sound che pesca dai maestri del prog (Dream Theater) quanto dai lavori strumentali dei vari guitar heroes.
Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.
Autumn e Revival sono i momenti migliori dell’album, consigliato agli amanti dello shred e del metallo progressivo.

Tracklist
1. As the Crow Flies
2. Autumn
3. Whitewater
4. Revival
5. Hanging Valleys

Line-up
Leo Diensthuber – Lead/Rhythm Guitars
Marc Roy – Lead/Rhythm Guitars
Tyler Brayton – Bass Guitar
Josh Ingram – Drums

DIVINEREALM – Facebook

Oceans Of Slumber – The Banished Heart

The Banished Heart è compost da centinaia di sfumature che si fanno spazio tra una struttura metallica rocciosa ed estremamente dolorosa, spiegata attraverso interventi devastanti di un growl rabbioso e ribelle, alter ego della splendida voce femminile, talmente originale ed interpretativa da ferire profondamente, come un coltello che lacera lo spirito e l’anima.

The Banished Heart entra di diritto in quel lungo elenco di opere metal da dedicare a chi ha sempre denigrato il genere, tacciato di risultare un baccanale fine a se stesso senza arte ne parte o addirittura istigatore di atti condannati dai soliti benpensanti.

Anche perchè l’ultimo lavoro dei texani Oceans Of Slumber è per prima cosa un album estremo, vario nelle sue atmosfere che ovviamente rimangono drammaticamente oscure e pregne di quella melanconia gotica che lo portano a tratti verso il black metal, per poi virare nel più profondo abisso della nostra anima a colpi di death metal progressivo.
Centinaia di sfumature si fanno spazio tra una struttura metallica rocciosa ed estremamente dolorosa, spiegata attraverso interventi devastanti di un growl rabbioso e ribelle, alter ego della splendida voce femminile, talmente originale ed interpretativa da ferire profondamente, come un coltello che lacera lo spirito e l’anima.
La band statunitense appaga da ormai una manciata d’anni la voglia di lasciarsi emozionare degli amanti del genere, prima con il debutto Aetherial e poi con il piccolo capolavoro intitolato Winter, precedente album uscito nel 2016 e che aveva portato la band sulla bocca di fans e addetti ai lavori.
The Banished Heart è il suo degno successore, bellissimo scrigno di drammatiche, tragiche ed intimiste emozioni raccontate con la forza del metal estremo, delle sfumature notturne del gothic, della furiosa rabbia del black metal e della nostalgica melanconia del doom in un straordinario turbine di musica progressiva, ora elettrica e potentissima, ora delicata come le note di un piano che scava nell’anima ed accompagna l’elegante interpretazione di Cammie Gilbert, un angelo dalle ali spezzate, che canta direttamente al cuore di ognuno di noi.
Basterebbe la title track di questa mastodontica opera per crogiolarsi di emozioni per una vita intera, ma più di un’ora di musica di tale spessore non è troppa per dedicarle il nostro tempo, impiegato al meglio fin dall’opener The Decay Of Disregard, brano che riassume in otto minuti quello che l’album ci riserva  tutta la sua durata.
At Dawn, A Path To Broken Stars, il crescendo atmosferico di No Colour, No Light sono lame che si conficcano nella carne e non escono finchè non lacerano definitivamente cuore e anima, mentre Wayfaring Stranger, solcata da un anima ambient/folk, conclude questo bellissimo ed emozionante lavoro.
Gli Oceans Of Slumber ci hanno fatto partecipi di un opera d’arte e come tale The Banished Heart va ascoltato e custodito.

Tracklist
01.The Decay Of Disregard
02.Fleeting Vigilance
03.At Dawn
04.The Banished Heart
05.The Watcher
06.Etiolation
07.A Path To Broken Stars
08.Howl Of The Rougarou
09.Her In The Distance
10.No Color, No Light
11.Wayfaring Stranger

Line-up
Cammie Gilbert – Vocals
Anthony Contreras – Guitar
Sean Gary – Guitar
Keegan Kelly – Bass
Dobber Beverly – Drums

OCEANS OF SLUMBER – Facebook