Deliverance – The Subversive Kind

La Roxx Records questa volta non ci delizia con chicche perse negli annali dell’underground metallico, ma rimanendo in ambito cristiano ed old school ci presenta l’ultimo album dei Deliverance, band storica del sottobosco di Los Angeles.

La Roxx Records questa volta non ci delizia con chicche perse negli annali dell’underground metallico, ma rimanendo in ambito cristiano ed old school ci presenta l’ultimo album dei Deliverance, band storica del sottobosco di Los Angeles.

Attivi infatti dalla metà degli anni ottanta, i californiani arrivano quest’anno all’undicesimo lavoro sulla lunga distanza di una discografia importante numericamente parlando, che si completa con un buon numero di opere minori, tutte devote ad un thrash metal potenziato da energiche iniezioni speed (specialmente nei primi album), qualche reminiscenza industrial per una proposta estrema vecchia scuola.
Le tematiche cristiane non intaccano l’impatto del sound del chitarrista e cantante Jimmy P. Brown II e compagni, ruvidi e rocciosi anche in The Subversive Kind.
A livello di grinta la band non ha nulla da invidiare ai colleghi più giovani, la mezzora a disposizione è sfruttata al meglio, innalzando un muro sonoro violento e senza compromessi.
Slayer e Sanctuary si danno battaglia nel sound del gruppo, ovviamente con un’esperienza ed una personalità che lo porta a suonare thrash metal senza compromessi, ma pur sempre targato Deliverance.
L’album ha nel suo cuore i migliori momenti dettati da due brani fenomenali come The Black Hand, dal refrain che ricorda i primi Nevermore del compianto Warrel Dane, e la devastante Epilogue.
Lo storico singer dà ancora filo da torcere a molti dei suoi giovani colleghi, la band in toto gira a mille e The Subversive Kind risulta un buon lavoro indirizzati sostanzialmente a tutti gli appassionati di thrash.

Tracklist
1.Bring ‘Em Down
2.Concept of the Other
3.Center of It All
4.The Black Hand
5.Epilogue
6.Listen Closely
7.The Subversive Kind
8.The Fold

Line-up
Jimmy P. Brown II – Vocals, Guitars
Glenn Rogers – Guitars
Jim Chaffin – Drums
Victor Macias – Bass

DELIVERANCE – Facebook

The Crystal Flowers – Crystallized

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

I fiori di cristallo ornano ancora oggi, come negli anni a cavallo tra i 60′ e 70′, il collo degli amanti della cultura rock di quel periodo, delicati ed eleganti ad un primo sguardo, ma resistenti agli impulsi elettrici dell’hard rock e del blues.

La loro arma migliore è il ritmo, un costante fiume di note che sono il di quel rock divenuto in quegli anni il genere più importante sia a livello musicale che sociale.
E i The Crystal Flowers il rock duro infarcito di atmosfere rhythm and blues lo sanno suonare come meglio non si potrebbe, regalandoci poco più di mezzora di grande musica che ferma il tempo e comincia a far scorrere il calendario al contrario, tornando ai tempi delle grandi kermesse musicali in parchi newyorkesi, su qualche isoletta britannica o semplicemente in piccole città rurali come la storica Bethel.
Crystallized non è affatto una mera operazione nostalgica, bensì un sincero e coinvolgente tributo ai nomi che più hanno segnato la storia della nostra musica preferita, con l’opener Ain’t Alright che ci dà il benvenuto tra il profumo inebriante dei petali cristallizzati di fiori color rosso sangue.
Sanguigni, appunto, come il blues, il quale accoppiandosi con il rock diventa una micidiale macchina ritmica, supportata da riff e sfumature maleducate quando entrano in noi senza permesso e ci fanno muovere il piede a tempo con le note sprigionate dagli strumenti, come in Unturned, Calling o la magnifica Broken Glass.
Oggi molte delle atmosfere di Crystallized vengono catalogate come southern, genere cool di questi tempi, ma è fondamentale sottolineare che quello che troviamo nell’album è solo rock’n’roll, suonato da questi esperti musicisti con la dovuta sagacia e senza alcun timore di apparire poco originali.
Troverete così un po’ di Rolling Stones, e poi Led Zeppelin, Cream, Lynyrd Skynyrd, Bob Dylan e i The Beatles: tutto sarà riflesso in un mazzo di fiori di cristallo e sarà bellissimo avere il privilegio di osservalo e, soprattutto, di ascoltarlo.

Tracklist
1.Ain’t alright
2.Unturned
3.Calling
4.Me Changed
5.Wastin’ Vision
6.Goin’
7.Greed
8.Broken Glass
9.Next To Nothing Next To All
10.Within Our Days

Line-up
Fauxcul – Voice and Guitars
Steve – Guitars
Grit – Bass
Moran – Drums

THE CRYSTAL FLOWERS – Facebook

Overhung – Moving Ahead

Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

La lontana e misteriosa India non si fa notare solo in ambito estremo, grazie ad ottime realtà che si dedicano a generi classici come l’heavy metal e l’hard rock.

Questo album di glam rock proveniente da Mumbai, ma con natali nel Sunset Boulevard, si intitola Moving Ahead, uscì originariamente nel 2016 e viene ristampato dalla Test Your Metal per la distribuzione in Nord America.
La band portatrice di cotanta attitudine rock’n’roll si chiama Overhung, alle spalle ha solo un ep del 2012 (Extended 4Play) e Moving Ahead risulta così il suo unico lavoro sulla lunga distanza, formato da dieci brani ispirati al glam rock anni ottanta con impennate hard rock e street che ne fanno un’opera piacevole, anche se qualche difettuccio non manca e il già sentito (se non si è fans sfegatati del genere) è di casa, ma il genere questo è quindi, prendere o lasciare.
L’album parte benissimo con l’hit Sex Machine, brano che sembra pescato da uno dei primi lavori dei Crue, con ritmiche di scuola Young a rendere il brano una vera bomba.
Qui andava sparata un’altra street song per far carburare al meglio l’ascoltatore, invece la band piazza Insane, un mid tempo di sei minuti che spezza l’atmosfera adrenalinica creata dall’opener.
Prima di tornare a far scorrere sangue nelle vene ai rockers dai colorati spandex, gli Overhung ci mettono ben tre brani, un po’ troppi a mio avviso, con Waiting che, come ballad, lascia il tempo che trova.
La band va molto meglio quando corre su e giù per la città degli angeli con I Am I, l’irriverente Must Drink, l’hard blues di Casual Bitch e la conclusiva You Think You’re Soo Cool, street punk rock tra Motley Crue e L.A.Guns.
Forse la scaletta di questo lavoro andava distribuita meglio, fatto sta che gli Overhung alternano piccoli candelotti di dinamite glam rock a brani che soffocano l’atmosfera da party selvaggio, un difetto che il gruppo saprà sicuramente correggere in futuro.

Tracklist
1. Sex Machine
2. Insane
3. Waiting
4. I Don’t Believe Her
5. Through The Slime
6. Waste
7. I Am I
8. Must Drink
9. Casual Bitch
10. You Think You’re So Cool

Line-up
Sujit Kumar – Vocals
Howard Pereira – Guitars
Crosby Fernandes – Bass
Sheldon Dixon – Drums

OVERHUNG – Facebook

https://youtu.be/ds_3sRHZNOY

Foredawn – Foredawn

I Foredawn ci travolgono, inarrestabili, con una tracklist che non conosce pause, urgente, diretta e senza fronzoli, uno schiaffo gotico e alternativo che non mancherà di lasciare il segno sui visi degli amanti del rock/metal nascosto tra le ombre della notte.

Album di debutto per questa alternative gothic metal band lombarda, che ci investe con tutta la sua elegante energia con Foredawn, lavoro omonimo licenziato dalla The Jack Music Records.

Il quartetto milanese è composto dai fratelli Franco (Irene e Ivan), rispettivamente cantante e batterista e dalle sei corde di Mattia “Tia” Stilo e Riccardo Picchi.
Una voce sinuosa ma anche potente e metallica, ritmiche sostenute e chitarre heavy che si lasciano ammaliare da sfumature gotiche ed impulsi alternativi si uniscono per dar vita ad un prodotto molto interessante.
Dall’ascolto dei dieci brani più la cover del classico ottantiano You Spin Me Round dei Dead Or Alive, esce allo scoperto una band coesa, con un sound di livello ed alquanto personale anche se, inevitabilmente, qualche accostamento con realtà più affermate non manca (Lacuna Coil ed Evanescence).
Rispetto a molti gruppi del genere i musicisti milanesi hanno un approccio più heavy, le chitarre sono presenti in modo massiccio e non solo ritmicamente parlando, ma assurgendo a ruolo di protagoniste con assoli che si conficcano in cuori metallici che pompano adrenalina sotto i colpi inferti da Eternal Flight, Insidious Dark o la cavalcata hard & heavy Nightmare, ultima traccia originale prima di lasciare il gran finale alla rocciosa cover che abbiamo citato in precedenza.
I Foredawn ci travolgono, inarrestabili, con una tracklist che non conosce pause, urgente, diretta e senza fronzoli, uno schiaffo gotico e alternativo che non mancherà di lasciare il segno sui visi degli amanti del rock/metal nascosto tra le ombre della notte.

Tracklist
1.Cliffs Of Moher
2.Eternal Fight
3.Insidious Dark
4.Tears Are Fallen
5.Buried Hopes
6.Nightfire
7.Stronger
8.I Stay Here
9.Signs
10.Nightmare
11.You Spin Me Round (Like a Record) – Dead Or Alive Cover feat. Emi (Wolf Theory/Mellowtoy)

Line-up
Irene “Ire” Franco – Vocals
Ivan Franco – Drums
Mattia “Tia” Stilo – Guitar
Riccardo Picchi – Guitar

FOREDAWN – Facebook

Thundermother – Thundermother

Il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.

Filippa Nässil, leader di quella bomba rock’n’roll che di nome fa Thundermother e che un paio di anni fa ci era esplosa tra le mani grazie ai brani che componevano Road Fever, primo fantastico album del gruppo tutto al femminile proveniente dalla Svezia, deve aver faticato non poco prima di uscire da una crisi che ha visto tre quinti del gruppo fare le valigie e partire per altri lidi.

Altre tre ragazze terribili sono state assunte per dare vita a questo secondo album omonimo: la sanguigna cantante Guernica Mancini, la bassista Sara Pettersson e la batterista Emlee Johansson; le Thundermother possono così tornare a farci male con il loro hard rock classico, strutturato su un irresistibile mix di Ac/Dc e rock’n’roll scandinavo.
Diciamolo subito, il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.
Sarà che la Mancini ci delizia con la sua voce che tanto sa di hard rock alcolico, affascinate e ruvida il giusto per spezzare cuori in qualche locale fumoso della Stoccolma rock style, ma Thundermother ci consegna una band cambiata inevitabilmente anche nell’approccio al rock che qui si fa più maturo e scafato.
L’opener Revival ci dà il benvenuto, mentre scorrono i brani di questo lavoro, tra Ac/Dc, accenni blues alla Mother Station e diretti al volto di marca Backyard Babies.
Racing On Mainstreet, il blues che accompagna Fire In The Rain, l’irresistibile Original Sin, i canguri australiani che saltano al ritmo di We Fight For Rock ‘n’ Roll, fanno parte di una raccolta di brani che, se lascia indietro un po’ di quell’entusiasmo contagioso del primo lavoro, supera la prova di un ritorno così sofferto e faticoso.
Tanto di cappello alla Nässil, rocker tripallica che dimostra di non fermarsi davanti alle avversità andando avanti a testa alta per la sua strada… We Fight For Rock ‘n’ Roll.

Tracklist
01. Revival
02. Whatever
03. Survival Song
04. Racing On Mainstreet
05. Fire In The Rain
06. Hanging At My Door
07. Rip Your Heart Out
08. The Original Sin
09. Quitter
10. We Fight For Rock ‘n’ Roll
11. Follow Your Heart
12. Children On The Rampage
13. Won’t Back Down

Line-up
Filippa Nässil – Guitars
Guernica Mancini – Vocals
Sara Pettersson – Bass
Emlee Johansson – Drums

THUNDERMOTHER – Facebook

Insaniam – Ominous Era

I cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.

Leggenda vuole che qualche tempo fa, in un istituto psichiatrico, cinque individui ospiti della struttura furono rinchiusi per diverso tempo lontano da qualsiasi contatto con l’esterno: questo esperimento su menti già di per sé instabili portò ad un fenomeno patologico chiamato Insaniam.

Ora queste mostruose creature provenienti dalla Spagna sono libere di circolare e sfogare tutta la loro depravata pazzia usando il monicker dell’esperimento che li ha trasformati in macchine di tortura e depravazione, ed i risultati sono stati il primo ep licenziato tre anni fa (Neurotic Mental Storm) e, soprattutto, questo debutto sulla lunga distanza, intitolato Ominous Era, composto da undici brani dal sound strutturato su un black metal a tratti melodico, dalle ritmiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash moderno e caratterizzato da digressioni progressive.
Detto così sembrerebbe di essere al cospetto di un debutto sopra le righe, ed in parte il giudizio si avvicina a questa affermazione, non fosse per una prolissità che porta inevitabilmente a perdere l’attenzione necessaria per arrivare in fondo all’ascolto.
E’ pur vero che i cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti, un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.
Ominous Era è un susseguirsi di cambi di tempo, sferzate black e ripartenze modern thrash da infarto, con lo scream pazzoide che tortura i padiglioni auricolari, vocine alterate provenienti da menti devastate dalla malattia ed atmosfere che inducono ad immaginare la cruenta vita di una casa degli orrori.
La band riserva il meglio alla partenza, con due brani di devastante pazzia come l’opener Disequilibrium e Let The Fever Explode, poi ci si assesta sui canoni descritti fino al capolavoro black/thrash metal Mother Whispers In My Ear.
Come detto, la fatica in seguito si fa sentire e si arriva agli attimi conclusivi di NNN, dalle atmosfere horror, con un leggero fiatone anche se in generale il giudizio sull’album rimane assolutamente positivo.
Consigliato ai fans del black metal più moderno e dalle melodie progressive, Ominus Era risulta un’ottima partenza per il gruppo spagnolo, speriamo solo che non vengano catturati e rinchiusi un’altra volta.

Tracklist
1.Disequilibrium
2.Let the Fever Explode
3.Epidemic Race
4.Primal Fear
5.Chrysalis
6.The Reign of Mist
7.Mother Whispers In My Ear
8.Vermin
9.Moths
10.Flesh That Fuels
11.NNN

Line-up
Neuros – Vocals
Dementh – Guitars
Theryan – Drums
Anxxiet – Guitars
Psycho – Bass

INSANIAM – Facebook

Demonomancy – Poisoned Atonement

Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.

Tornano ad infierire sulle proprie vittime, a suon di black/death/thrash, metal i Demonomancy, band attiva da una decina d’anni, con una manciata di lavori minori alle spalle ed un full length datato 2013 (Throne of Demonic Proselytism).

Tanti concerti in giro per l’Europa ed il cambio di label, con il passaggio dalla Nuclear War Now! Productions alla Invictus Productions, sono le novità che si porta dietro questa nuova uscita discografica, maligna ed estrema.
Intro – Revelation 21.8 ci accompagna fino alla soglia dell’inferno, prima che uno spintone ci faccia cadere per l’eternità nell’abisso luciferino della musica del combo capitolino, Poisoned Atonement non fa sconti ci investe con tutta la sua macabra follia, tra scudisciate black/thrash metal e mid tempo death, sorrette da growl bestiali, clean vocals declamatorie ed atmosfere di liturgica blasfemia in un vortice infernale.
Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.
Il sound viaggia spedito, tra thrash metal old school e death/black truce, alternando efficacemente la varie fonti di ispirazione.
L’atmosfera nera e blasfema che aleggia su Poisoned Atonement è delle più coinvolgenti mi sia capitato di ascoltare ultimamente e brani come Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator), The Day Of The Lord o The Last Hymn to Eschaton confermano come la band punti tanto sull’impatto quanto sulle atmosfere.
Nel suo genere l’album è un lavoro riuscito, composto da una serie di tracce che attraggono ed affascinano pur rimanendo assolutamente estreme.

Tracklist
1.Intro – Revelation 21.8
2.Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator)
3.Archaic Remnants of the Numinous
4.The Day of the Lord
5.Poisoned Atonement (Purged in Molten Gold)
6.The Last Hymn to Eschaton
7.Fathomless Region of Total Eclipse
8.Nefarious Spawn of Methodical Chaos

Line-up
Witches Whipping – Vocals, Guitars
A. Cutthroat – Bass
Herald of the Outer Realm – Drums, Vocals

DEMONOMANCY – Facebook

Mission Jupiter – Architecture

MetalEyes vi presenta il debutto dei Mission Jupiter, band bielorussa della quale Epictronic ci ha riservato una gustosa anteprima.

Architecture è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo bielorusso Mission Jupiter, gustosa anteprima che Epictronic, label della famiglia Wormholedeath ha voluto offrire a MetalEyes.

Siamo lontani anni luce dal metal, e rimanendo in tema fantascientifico, tanto caro alla band di Minsk, direi che Architecture è un viaggio nello spazio profondo, nell’immensità dell’universo inteso anche come musica, che ci prende per mano e ci fa compagnia mentre la nostra mente attraversa galassie, nel silenzio profondo rotto dalla bellissima voce di Shevtsova Nastya e dei musicisti che compongono la line up dei Mission Jupiter.
La band risulta attiva dal 2015 e fino ad ora la sua discografia si componeva di due mini album ed un paio di singoli: Will You Be Loved è il video che anticipa l’uscita di questo debutto nel quale tutte le influenze del gruppo vengono inglobate in un sound contraddistinto da un’anima elettronica e bombardato da una pioggia di meteoriti proveniente da più di un genere/pianeta musicale.
Troviamo così liquidi tappeti elettronici, sontuosi passaggi orchestrali, alternative rock e partiture jazz/fusion, sax che irrompono donando un tocco progressivo ad una raccolta di brani che costituiscono le tappe di un viaggio/sogno nell’universo sopra di noi.
Non mancano ovviamente pochi ma importanti riferimenti alla new wave, così come alle colonne sonore di film come 2001 Odissea Nello spazio, valorizzando un sound particolare che si rivela una scoperta ad ogni passaggio, mentre con personalità debordante la vocalist delicatamente fa sue le nostre paure prima del conto alla rovescia e della partenza.
Will You Beloved è come detto il primo singolo, un brano bellissimo ma che rispecchia solo in parte quello che andrete ad ascoltare, dopo che il fiume di note elettroniche dell’opener The Dawn vi avrà aperto la porta del cielo dove i Mission Jupiter vi stanno aspettando.
The Sea Of Hope è un brano che ricorda i The Gathering di Nighttime Birds, mentre tra i tanti spunti diversi che l’album regala, non lasciando mai una semplice chiave di lettura, spunta il capolavoro I Will Survive, traccia progressiva nella quale la band suona jazz rock in un immaginario locale ubicato in qualche luogo prossimo ai limiti dello spazio conosciuto.
L’epico e progressivo strumentale a titolo Impulse chiude un album bellissimo e, a suo modo, originale; Architecture va ascoltato con la mente libera e gli occhi spalancati sul cielo stellato: non perdetevi questa esperienza unica.

Tracklist
1.The Dawn
2.I Have To Know
3.Either Dream Or Not
4.Will You Be Loved
5.The Sea Of Hopes
6.The Sea Of Hopes PT 2
7.Joy Of Life
8.I Will Survive
9.Interlude
10.The Call
11.Impulse

Line-up
Artyom Gulyakevich – Bass
Vladimir Shvakel – Guitar
Shevtsova Nastya – Vocals
Eugenue Zuev – Drums
Dmitri Soldatenko – Saxophone

MISSION JUPITER – Facebook

Greystone Canyon – While The Wheels Still Turn

L’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.

Australia ed America hanno in comune la frontiera, un vasto paesaggio che ispira racconti western, ma vero è che anche al cinema le pellicole che raccontano di cavalli e polvere sul territorio australiano ne sono usciti non pochi nel corso degli anni, con alcuni famosi (Australia, Carabina Quigley) ed altri diventati film di culto (Ned Kelly).

I Greystone Canyon sono un quartetto di cowboy provenienti da Melbourne con la passione per il cinema western, e il loro debutto in uscita per Rockshots si intitola While The Wheels Still Turn, ispirato appunto al mondo della frontiera a livello concettuale, perché all’ascolto l’album risulta un hard & heavy come di moda di questi tempi, vario nel saper alternare sfumature settantiane e moderne, con accenni ad armonie sporche di sabbia e sangue.
Una mezzoretta di piacevole hard rock l’album la regala sicuramente, anche se ci si aspetta sempre una nota southern, un’armonica che preluda all’arrivo di una banda di pistoleri, con il cinturone legato in vita per il duello sulle note blues dell’ottima River Of Fire.
Mixato dal leggendario Glen Robinson (Annihilator, Queensryche and Voivod) l’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.
Se si tratta di un’occasione sprecata o di fisiologico rodaggio per un gruppo all’esordio, lo scopriremo con la prossima uscita targata Greystone Canyon, per ora la diligenza non è ancora passata.

Tracklist
01. Keeping Company With The Dead
02. Astral Plane
03. In These Shoes
04. Cinco Cuerda Bandito
05. Take Us All
06. Sombrero Serenade
07. River of Fire
08. Path We Stray
09. The Sun Sets

Line-up
Darren Cherry – Guitar, Vocals
Luke Wilson – Drums
Rich Vella – Guitar
Dave Poulter – Bass

GREYSTONE CANYON – Facebook

Word Of Life – Jahbulon

Il metal estremo dei Word Of Life è da annoverare tra le proposte più moderne anche se l’uso di tematiche occulte ed esoteriche allontana il concept di Jahbulon dalle solite tematiche metalcore e lo avvicina al progressive death.

La Grecia metallica negli ultimi tempi si sta imponendo sulla scena underground con una serie di proposte sopra le righe, licenziate da label molto attive sul mercato come la Sliptrick records, che ci fa dono del primo full length dei Word Of Life, quartetto proveniente dalla capitale con un solo ep alle spalle uscito nel 2015.

Il metal estremo di questa band è da annoverare tra le proposte più moderne, anche se l’uso di tematiche occulte ed esoteriche allontana il concept di Jahbulon dalle solite tematiche metalcore e lo avvicina al progressive death.
In possesso di una buona tecnica, la band quando accentua la parte più folkloristica ed orientale del sound alza inevitabilmente la qualità della propria musica (Master Of The Royal Secret), convogliando in un unico contesto metal moderno, progressive e musica popolare.
Non convince molto l’uso delle cleans, buone nei cori declamatori, meno quando ricordano troppo il metal di moda in questi anni, con le prime due tracce (A Sprig Of Acacia e la title track) che viaggiano lineari su questi sicuri binari.
L’album poi prende il volo con la strumentale Ierodom, il crescendo drammatico ed oscuro di In Silence I Swore e The Word Of Life, brani che immergono l’ascolto nel mondo del gruppo greco, sempre in bilico tra modernità e tradizione popolare.
Un buon lavoro che ci presenta una band da seguire con attenzione, magari non ancora al massimo delle sue potenzialità ma in grado di regalarci grande musica nel prossimo futuro: la strada è quella giusta.

Tracklist
01. A Sprig Of Acacia
02. Jahbulon
03. Master Of The Royal Secret
04. Deus Meumque Jus
05. Ierodom
06. The Female Seed And The Fungus
07. In Silence I Swore
08. Muaum
09. The Word Of Life
10. Jachin & Boaz

Line-up
Bill Kranos – Vocals, Guitars
Thomas Kranos – Guitars
Spiros Batras – Bass, backing vocals
George Filippou – Drums

WORD OF LIFE – Facebook

Junk – Double Soundtrack

Ep di quattro brani, facenti parte di due colonne sonore tratte dai film Blood e Cherokee Creek, per i Junk dell’attore Billy Blair, band che amalgama street rock, post grunge ed alternative metal.

Non è una novità trovare attori anche molto famosi che si cimentano come musicisti rock.

Per lo più gli attori hanno sempre lasciato che i musicisti invadessero il loro mondo, ma oggi le cose sono cambiate e, per una Courtney Love o un Jon Bon Jovi alle prese con il grande schermo, c’è un Billy Blair (Machete, Machete Kills, The Last Stand, Jonah Hex, Sin City) che imbracciata la sei corde si piazza davanti al microfono e dà vita a questo trio hard rock chiamato Junk.
Raggiunto da Benjamin K Bachman (voce e basso) e Brian “Boog Nasty” Klein (batteria), l’attore statunitense si destreggia tra street metal da classifica, grunge ed alternative metal in questi quattro brani che formano l’ep Double Soundtrack, con l’opener Pop Rock Genocide a rappresentare il singolo spacca classifiche, almeno se tornassimo indietro di un ventennio, tra irriverenza street metal, groove alternative e post grunge.
Tutti e quattro i brani fanno parte delle soundtrack di due film: Blood (Like Lightning e Built To Last) e Cherokee Creek (Pop Rock Genocide e The Sasquatch); Double Soundtrack viene distribuito dalla Zombie Shark Records e merita senza dubbio un ascolto.

Tracklist
1.Pop Rock Genocide
2.Like Lightning
3.The Sasquatch
4.Built To Last

Line-up
Billy Blair-Vocals, Guitars,
Benjamin K Bachman-Vocals, Bass
Brian “Boog Nasty” Klein-Drums

JUNK – Facebook

The Rumpled – Ashes And Wishes

Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.

Per una volta lasciamo le terre oscure del metal estremo e le strade bruciate dai pneumatici di macchine nelle quali rimbombano chitarre hard & heavy, per tuffarci nelle verdi valli d’Irlanda con questa band italiana, i The Rumpled.

Il gruppo proveniente da Trento ci invita a ballare sulle note della musica tradizionale dell’isola di smeraldo, in una continua festa, attraversando le valli e i pascoli prima di salpare per un viaggio attraverso l’oceano e portare un po’ di quell’entusiasmo e l’energia tipiche della musica originaria di quelle lande.
Nato nel 2013 e con un ep autoprodotto alle spalle uscito tre anni fa, il gruppo licenzia il suo primo full length, questo irresistibile Ashes and Wishes, raccolta di brani folk/rock che seguono la scia dei nomi storici del genere, con accenni al punk diretto e senza fronzoli in un delirio festaiolo che coinvolge fin dalla prima nota dell’opener Rumpled Time.
Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.
Ashes And Wishes è un vero spasso, i brani si alternano uno dopo l’altro con il compito di divertire, ed è così che tra una Jig Of Death, The Ugly Side o Ramblin’ On si arriva a far mattina, storditi dalla birra e sfiniti ma felici per l’energia sprigionata nel saltare avanti e indietro senza soluzione di continuità.
I The Rumpled porteranno l’album in giro per nei principali Festival Celtici di tutta Italia durante l’estate, quindi il consiglio è di non perdervi almeno un’ora e mezza di serenità.

Tracklist
1.Rumpled Time
2.Just Say No!
3.Jig Of Death
4.I Wanna Know
5.The Ugly Side
6.Don’t Follow Me
7.County Clare
8.Bang!
9.Dead Man Runnin’
10.Ramblin’ On
11.Letter To You

Line-up
Marco Andrea Micheli – voce
Davide Butturini – chitarra acustica, chitarra elettrica, cori
Luca Tasin – basso, cori
Patrizia Vaccari – violino
Michele Mazzurana – batteria, cori
Tommaso Zamboni – fisarmonica

THE RUMPLED – Facebook

2018 Folk/Rock 7.50

Perpetratör – Altered Beast

I Perpetratör non hanno perso la voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da notevoli momenti belligeranti.

Thrash metal feroce ed old school, un devastante e quanto mai distruttivo esempio sonorità anni ottanta portate con orgoglio nel nuovo millennio sotto il monicker di Perpetratör.

Il trio proveniente da Lisbona licenzia il suo secondo full length sotto Caverna Abismal Records, dopo il debutto Thermonuclear Epiphany e lo split con gli Hellbastard, usciti entrambi nel 2014.
Quattro anni sono passati prima che la bestia torni in libertà e ci dia la caccia, facendo scempio di ogni cosa incroci il suo cammino.
Rick (voce, basso), Paulão e Marouco (chitarre), con l’aiuto di Ângelo Sexo (ospite alle pelli) non hanno perso la loro voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da momenti belligeranti notevoli.
Parte in quarta e non si ferma più questo lavoro, il sound di queste undici bombe sonore risulta un armageddon sonoro dall’impatto mastodontico, con brani dai tratti old school come l’opener Alter Of The Skull, Lethal Manhunt o l’inno Hellthrasher che fanno tremare i muri mentre la carica dei Perpetratör non si ferma e travolge tutto.
Siamo dalle parti dei Destruction con qualche sguardo torvo verso i primi Exodus, quindi ovviamente Altered Beast è consigliato agli amanti del caro, vecchio thrash metal, che troveranno sicuramente pane per i loro denti, gli altri meglio che scappino via prima che la bestia li travolga.

Tracklist
1.Altar of the Skull
2.Extreme Barbarity
3.The Doors of Perception
4.Fires of Sacrifice
5.Lethal Manhunt
6.A Fleeting Passage Through Hell
7.Terminal Possession
8.Jungle War
9.Let Sleeping Dogs Lie
10.Hellthrasher
11.Black Sacristy

Line-up
Rick – Vocals, Bass
Paulão – Guitars
Marouco – Guitars
Ângelo Sexo – Drums (session musician)

PERPETRATOR – Facebook

Crisix – Against The Odds

Per i fans del thrash metal l’album può rivelarsi una sorpresa: i Crisix ovviamente non inventano nulla, il genere è uno dei più conservatori del panorama metallico e questi catalani assecondano la tradizione nel migliore dei modi.

Passeggiamo sulle ramblas di Barcellona con l’ultimo album dei Crisix, quintetto attivo dal 2011 e con tre full length alle spalle prima di Against The Odds, giunto a distruggere i nostri poveri padiglioni auricolari.

Un thrash metal tra tradizione e soluzioni moderne, da ricercare specialmente nel lavoro in fase di produzione, fa di Against The Odds un calcio estremo in pieno volto, con anfibi ai pedi e chiodo d’ordinanza portato con fierezza dal gruppo catalano.
Furia e velocità sono le principali caratteristiche del sound che i Crisix hanno fatto loro, i rallentamenti sono lasciati a poche secondi di qualche intro che lascia spazio alla potenza notevole sprigionata dal gruppo.
Il muro sonoro heavy/thrash lascia molto spazio alle ritmiche e scarica tutta la rabbia del mondo accumulata nella voce cartavetrata di Julián Baz, singer tripallico, anche lui ex Crysys, band da cui provengono i quattro quinti dei musicisti e che può essere considerata come la prima incarnazione del gruppo.
Per i fans del thrash metal l’album può rivelarsi una sorpresa: i Crisix ovviamente non inventano nulla, il genere è uno dei più conservatori del panorama metallico e questi catalani assecondano la tradizione nel migliore dei modi con vere scariche di adrenalina come Technophiliac, Perseverance e il thrash/hardcore di Cut The Shit.

Tracklist
1.Get Out Of My Head
2.Leech Breeder
3.Technophiliac
4.Perseverance
5.Xenomorph Blood
6.Prince Of Saiyans
7.Leave Your God Behind
8.Cut The Shit
9.The North Remembers

Line-up
Javi Carrión – Drums
Marc Busqué “Busi” – Guitars
Albert Requena – Guitars
Julián Baz – Vocals
Dani Ramis – Bass

CRISIX – Facebook

The Sunburst – Resilience & Captivity

I The Sunburst confermano la crescita già manifestata a chi li ha seguiti dal vivo in questi anni: Resilience & Captivity è un album bellissimo che ha nella durata esigua il solo difetto, ma sono sicuro che sul palco la band ligure si farà ampiamente perdonare.

In questo periodo capota spesso di  parlare di quelle band che, a due o tre anni dal precedente album, stanno tornando sul mercato per confermare la bontà della loro proposta e l’alta qualità della scena tricolore che non smette di stupire, grazie a lavori di ottima fattura dall’hard rock al metal estremo.

I savonesi The Sunburst tornano a quattro anni dal magnifico debutto Tear Off The Darkness, album che li ha portati in seguito a suonare sui palchi dell’Europa dell’est, forti di una manciata di brani che univano il rock di Seattle, all’alternative metal, valorizzati da un talento melodico che ne faceva una raccolta di hit da fare invidia a band straniere più blasonate.
Davide Crisafulli, Francesco Glielmi, Luca Pileri e Stefano Ravera tornano con un secondo album incentrato su un dilemma: il coraggio di non mollare quando tutto sembra andare storto è segno di forza d’animo, o l’obbligo a cui è incatenato lo spirito che non sa rassegnarsi al proprio destino?
Resilience & Captivity, ovvero il contrasto emotivo tra il concetto di resilienza e quello di prigionia, viene reso da un sound che si fa più maturo ed emozionale, ad opera di una band compatta, capitanata da un cantante che si dimostra come uno dei più bravi nel genere, almeno nel nostro paese: queste sono le prime impressioni sul ritorno del quartetto, meno dipendente dagli Alter Bridge e più concentrato a lasciare qualcosa di personale in questo mondo del rock che fagocita tutto e non restituisce quasi nulla.
La band punta al sodo, con ventidue minuti (forse l’unico rammarico per un album che poteva regalare qualcosina in più) di hard rock moderno che parte, dopo l’intro, con Crows And Dust, dal chorus che non lascia scampo, mentre la sei corde sprizza energia metallica e la sezione ritmica accenna passaggi progressivi, punto di forza del nuovo lavoro.
La title track torna a parlare il verbo dei Soundgarden (altro gruppo che ha ispirato non poco i The Sunburst) rivelandosi più oscura e ruvida del brano precedente, ma sottolineata da una prova sentita di Crisafulli e da potenti riff sabbathiani.
Pileri ha il suo momento di gloria in Phoenix, brano progressivo che alterna parti intimiste a sfuriate metalliche in un crescendo da applausi.
Purtroppo siamo già al capolinea, mentre Eternal Life (cover di Jeff Buckley) concede gli ultimi fuochi d’artificio e scorrono i titoli di coda di un ritorno aspettato a lungo e che non delude le attese.
I The Sunburst confermano la crescita già manifestata a chi li ha seguiti dal vivo in questi anni: Resilience & Captivity è un album bellissimo che ha nella durata esigua il solo difetto, ma sono sicuro che sul palco la band ligure si farà ampiamente perdonare.

Tracklist
1. Resilience
2. Crows and Dust
3. Diamond
4. Breeze
5. What If
6. Captivity
7. World On Fire
8. Ashes
9. Phoenix
10. Eternal Life

Line-up
Davide Crisafulli – Vocals, Guitars
Luca Pileri – Guitars
Stefano Ravera – Drums
Francesco Glielmi – Bass

THE SUNBURST – Facebook

Ziggurat – Ritual Miasma

Crushing sferzante, armonie e riff maligni e pregni di epica cattiveria, growl profondo come gli abissi scavati nei tempi distrutti dall’esercito delle tenebre, completano un sound che ha nel death/black nato nelle fredde tundre dell’est la sua principale ispirazione.

Nell’underground estremo è facile imbattersi in realtà che lasciano poche informazioni sulla loro storia musicale per poi regalare agli ascoltatori buona musica.

Anche gli israeliani Ziggurat sono tra questi, e lasciano che a parlare siano i cinque brani presenti in Ritual Miasma, primo ep licenziato in cassette dalla Caligari Records e in cd e vinile dalla Blood Harvest.
La band è di fatto un duo composto da Mørk (chitarra e voce) e Tohu (basso e chitarra) e il loro sound è un black metal oscuro e feroce, valorizzato da un lavoro chitarristico esemplare.
Ritual Miasma risulta una lunga eclissi nel deserto, terribile e oscura dove nel buio di brani atmosfericamente malvagi come Summoning the Giant Serpent o Blind Faith (devastante come una tempesta di sabbia), si nutrono antichi demoni infernali.
Crushing sferzante, armonie e riff maligni e pregni di epica cattiveria, growl profondo come gli abissi scavati nei tempi distrutti dall’esercito delle tenebre, completano un sound che ha nel death/black nato nelle fredde tundre dell’est la sua principale ispirazione.
Anche se limitata ad una ventina di minuti, la proposta dei Ziggurat è da tenere in considerazione in funzione di un prossimo lavoro sulla lunga distanza, ed è consigliato agli amanti del genere.

Tracklist
1.Ritual Miasma
2.Summoning the Giant Serpent
3.Blind Faith
4.דיבוק
5.Death Rites Transendence

Line-up
Mørk – Guitars and Vocals
Tohu – Guitars and Bass

ZIGGURAT – Facebook

Infiltration – Nuclear Strike Warning

Napalm Death, Terrorizer e Bolt Thrower sfilano davanti ai nostri occhi come se la Terra, dopo la terribile esplosione, avesse cominciato a girare nel senso opposto e si fosse fermata a cavallo degli anni ottanta e novanta.

La mastodontica esplosione vi distruggerà i padiglioni auricolari un attimo prima che il vento atomico spazzi via tutte le vostre certezze e le vostre paranoie.

Una pioggia di cenere cadrà per centinaia di anni prima che un raggio di sole scenda come luce divina a dare un poco di sollievo e speranza ai sopravvissuti, mentre le note dell’apocalisse portate dal micidiale vento si ascolteranno tra le macerie.
Benvenuti nel mondo degli Infiltration, giovane death metal band russa al debutto con questo devastante ep tramite la nostrana Wormholedeath.
Il quintetto si è formato da neanche un anno, a dicembre del 2017 ha firmato per Wormholedeath che ha premuto il pulsante rosso, ed il missile atomico è così partito da San Pietroburgo per esplodere e distruggere gran parte del nostro pianeta a colpi di death metal al limite del grind, dichiaratamente old school e perfetto per raccontare di morte, distruzione e guerra.
Crisis è l’intro che conta i secondi prima dell’esplosione, Nuclear Strike Warning è l’inizio della fine, una tregenda in musica dalle ritmiche forsennate, blast beat e sei corde torturate sull’altare di un death metal tremendo e feroce.
The Art Of War è come il rumore dei palazzi che si sbriciolano al passaggio delle sferzate ventose e nucleari, mentre P.O.W. e Razor Wine mettono fine a questi quindici minuti d’apocalisse, con Napalm Death, Terrorizer e Bolt Thrower che sfilano davanti ai nostri occhi come se la Terra, dopo la terribile esplosione, avesse cominciato a girare nel senso opposto e si fosse fermata a cavallo degli anni ottanta e novanta.
Non oso immaginare la potenziale forza distruttiva di questa colonna sonora della fine del mondo raccolta in un eventuale full length.

Tracklist
1.Crisis
2.Nucleat Strike Warning
3.The Art of War
4.P.O.W.
5.Razor Wire

Line-up
Andrey – Bass
Evgeny – Guitars
Sergey – Guitars
Alexey – Drums
Paul – Vocals, lyrics

INFILTRATION – Facebook

https://youtu.be/QjtVnFTOP7M

The Lead – Again

La Roxx Records licenzia questi quattro brani inediti dei The Lead, punk rock band cristiana che unisce allo storico sound anni ottanta non poche ispirazioni crossover provenienti dal decennio successivo.

La label statunitense Records licenzia questi quattro brani inediti dei The Lead, punk rock band cristiana che unisce allo storico sound anni ottanta non poche ispirazioni crossover provenienti dal decennio successivo.

Il gruppo è composto da tre dei quattro membri originali (Julio Rey, Nina Llopis, Rob Christie), riunitisi dopo trent’anni da Burn This Records, album uscito nel 1989.
Con Steve Rowe, leader della storica christian metal band australiana Mortification, come ospite su Heaven Is Waiting, i The Lead danno alle stampe questo Again, tutto sommato un buon lavoro che permette di fare la conoscenza di un gruppo atipico nel panorama punk rock, sia per il concept cristiano dei brani, sia per una funzionale fusione di punk vecchia scuola e digressioni crossover/alternative.
Per chi conosce il gruppo il tempo sembra essersi fermato a trent’anni fa, con il sound di Again che percorre la strada intrapresa dall’album del 1989, con la produzione che segue l’ispirazione old school dei brani e risulta il tallone d’Achille del mini cd.
Un’operazione assolutamente underground e dedicata ai fans del gruppo americano, fortemente devoto ed assolutamente fuori da ogni esagerazione tipica del punk rock.

Tracklist
1. Dressed in a Robe (Rev. 19)
2. The World Tomorrow / Adoration
3. Every Fear Forgiven
4. Heaven is Waiting (featuring Steve Rowe of Mortification)

Line-up
Nina Llopis – Vocals, Bass
Julio Rey – Vocals, Guitar
Robbie Christie – Vocals, Drums

THE LEAD – Facebook

Sacred Leather – Ultimate Force

Un ottimo cantante e buone idee che confluiscono in un sound legato alla tradizione hard/heavy metal fanno di Ultimate Force un lavoro riuscito, per certi versi datato (anche nelle scelte in fase di produzione) ma piacevole se si è amanti dell’heavy metal classico.

I Sacred Leather suonano heavy metal old school duro e puro, con in bella mostra tutti i cliché tipici degli anni ottanta ed un tocco hard che ricorda i momenti più taglienti della discografia dei Kiss.

Colpevolmente nelle note di presentazione di rito si parla di thrash, ma vi assicuro che su Ultimate Force del genere in questione non se ne sente traccia, mentre credo più veritiero parlare di almeno tre storiche band che hanno maggiormente influenzato i Sacred Leather: appunto i Kiss, i Judas Priest ed i Mercyful Fate.
Il quintetto dell’Indiana ha all’attivo una manciata di lavori minori ed un live, mentre Ultimate Force risulta il primo lavoro sulla lunga distanza.
Il grande felino in copertina. pronto ad assalire la preda. raffigura perfettamente il sound tagliente e diretto del combo americano, valorizzato dalla voce di Wrathchild al microfono, animale metallico che risulta una via di mezzo tra Halford e King Diamond.
Le prime tre tracce sono da manuale, fuse nell’acciaio, sostenute da un approccio hard & heavy e con l’alternanza delle ispirazioni descritte con buoni risultati, confermandosi come il momento migliore dell’album.
Al quarto brano la ballad Dream Searcher smorza troppo i toni facendo perdere un po’ di quell’adrenalina che aveva caricato a mille il sottoscritto, ritornata ad alzare la tensione con l’ottima Master Is Calling, il crescendo di Prowling Sinner e la conclusiva The Lost Destructor / Priest of the Undoer, che con i suoi quasi dieci minuti mette la parola fine a questo full length.
Un ottimo cantante e buone idee che confluiscono in un sound legato alla tradizione hard/heavy metal fanno di Ultimate Force un lavoro riuscito, per certi versi datato (anche nelle scelte in fase di produzione) ma piacevole se si è amanti dell’heavy metal classico.

Tracklist
1.Ultimate Force
2.Watcher
3.Power Thrust
4. Dream Searcher
5. Master Is Calling
6. Prowling Sinner
7. The Lost Destructor / Priest Of The Undoer

Line-up
Dee Wrathchild- Vocals
JJ Highway- Lead Guitar
Magnus LeGrand- Bass Guitar
Carloff Blitz- Lead Guitar
Jailhouse – Drums

SACRED LEATHER – FAcebook

New Horizons – Inner Dislocation

I New Horizons senza atteggiarsi a fenomeni hanno scritto delle belle canzoni e si affacciano sulla scena con la consapevolezza di aver fatto un ottimo lavoro, magari non originalissimo (chi può dire di esserlo al giorno d’oggi?), ma assolutamente godibile per gli amanti del metal progressivo e melodico.

I New Horizons sono l’ennesima band italiana che si affaccia sulla scena progressivamente metallica, con il primo album licenziato dalla sempre attenta Revalve Records.

Il sestetto pisano si è formato nel 2010 e, dopo i soliti fisiologici assestamenti nella line up, arrivano alla firma con l’importante etichetta nostrana ed alla pubblicazione di questo ottimo lavoro intitolato Inner Dislocation.
Grazie al magico zampino di Simone Mularoni, dietro alla consolle nei Domination Studio, e l’ausilio di una track list di alta qualità i New Horizons sono pronti a conquistarsi un posto tra le più convincenti nuove realtà del metallo progressivo nazionale, con questo lotto di canzoni che fanno delle melodie il loro punto di forza, seguite da una buona tecnica strumentale sempre al servizio del songwriting.
I New Horizons senza atteggiarsi a fenomeni hanno scritto delle belle canzoni e si affacciano sulla scena con la consapevolezza di aver fatto un ottimo lavoro, magari non originalissimo (chi può dire di esserlo al giorno d’oggi?), ma assolutamente godibile per gli amanti del metal progressivo e melodico.
Oscar Nini è un cantante emozionale e sà donare ai brani la giusta intensità interpretativa, la sezione ritmica con Claudio Froli al basso e Federico Viviani alle pelli è un orologio diprecisione che a tratti impazzisce è ci travolge con cambi di ritmo e tempo, le due chitarre suonate con maestria da Nicola Giannini e Giacomo Froli offrono passaggi strumentali sopra le righe (Evolution) e Luca Guidi fa il bello e cattivo tempo con i tasti d’avorio, l’arma letale in possesso del gruppo.
Il cuore dell’album pulsa delle note di Evolution e della durissima Inhuman Wrath, ma è tutto il lavoro a regalare emozioni forti, seguendo le strade tracciate dai mostri sacri del genere come Dream Theater e  DGM, passando con disinvoltura dall’impronta melodica delle due parti di Borderlands al progressive animato da uno spirito fortemente metallico, in stile Symphony X, come in Where Is The End e The Trail Of Shadows.
Sta diventando una piacevole abitudine godere del metallo progressivo made In Italy, quindi, sperando che la vena aurifera non si esaurisca in fretta, è bene approfittarne.

Tracklist
1 – Introspective
2 – Inner Dislocation
3 – Where Is the End
4 – Born in the Future
5 – Inhuman Wrath
6 – Evolution
7 – Borderlands, Pt. 1
8 – Borderlands, Pt. 2
9 – The Trail of Shadows

Line-up
Oscar Nini – Vocals & Backing Vocals
Nicola Giannini – Rhythm Guitars
Giacomo Froli – Lead Guitars
Luca Guidi – Keyboards & Synth
Claudio Froli – Bass
Federico Viviani – Drums & Backing Vocals

NEW HORIZONS – Facebook