Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Ravenscry – The Invisible

Il bello di The Invisible è l’energia dispensata dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici.

Che i nostrani Ravenscry non fossero la solita gothic metal band era stato ampiamente dimostrato dal bellissimo The Attraction Of Opposites, album uscito tre anni fa che metteva in luce il talento compositivo del gruppo milanese e la bravura della cantante Giulia Stefani.

Con il nuovo album intitolato The Invisible il gruppo va oltre, creando un concept dal taglio moderno dove metal, dark e gothic rock si fondono per donare un’ora di magia musicale intrigante e matura.
Un concept, quindi, una storia che si articola su diciannove brani tra intermezzi, intro ed outro, atmosfere intimiste ed altre molto più energiche dove spicca il talento della Stefani, ancora una volta fiore all’occhiello dei Ravenscry, così come il songwriting, questa volta davvero superlativo.
Non è certamente il primo e non sarà neanche l’ultimo, ormai i concept album si sprecano tra le uscite che a ritmo frenetico invadono il mercato, ma nell’opera dei Ravenscry c’è qualcosa in più, che porta l’ascoltatore oltre la storia per assaporare le varie sfumature offerte dalla musica.
Coral è una giovane bibliotecaria che scopre sulla copertina di un libro un luogo della sua infanzia e così, nella necessità di ritrovare questo misterioso luogo, la ragazza inizia un viaggio anche interiore, un’avventura raccontata dal gruppo dispensando metal/rock dal taglio dark.
Il bello di The Invisible è l’energia profusa dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici, nei quali non mancano solos dal retrogusto classico che si frappongono ad una struttura modern metal, con la cantante che elargisce qualità canore ancora più stupefacenti che nel precedente lavoro.
Basterebbe The Deepest Lake come esempio della capacità compositiva dei Ravenscry che, tra ritmiche al limite del prog ed una struttura metallica, lasciano alla cantante lo spazio necessario per portare il brano ad un livello altissimo, emozionando non poco.
Fortunatamente ogni brano vive di luce propria, da quelli più lunghi ed articolati (Hypermnesia, The Mission) a quelli più diretti (Coral – As Seen By Others) e vanno a comporre un’opera riuscita in pieno, confermando non solo la bravura del gruppo milanese, ma lo stato di salute di una scena italiana che ormai fa la voce grossa in gran parte dei generi del metal.

TRACKLIST
1. The Entaglement
2. Whispered Intro
3. Hypermnesia
4. Coral (as seen by others)
The librarian talks about Coral
5. The Mission
6. Monsters Inside
The director of the institute talks about Coral
7. The Invisible Revolution
8. The teacher talks about Coral part 1
9. The Deepest Lake
10. The grandmother talks about Coral
11. More Than Anything
12. The teacher talks about Coral part 2
13. Nothing But A Shade
14. Nora talks about Martin
15. Oscillation
16. In Collision
17. The Magic Circle
Martin talks with Coral part 1
18. Flux Density
19. Overload
Martin talks with Coral part 2

LINE-UP
Giulia Stefani – vocals
Paul Raimondi – guitars
Mauro Paganelli – guitars
Andrea Fagiuoli–bass
Simon Carminati – drums

RAVENSCRY – Facebook

DSW – Tales From The Cosmonaut

Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta.

I DSW sono un gruppo di Lecce, e l’acronimo significa Dust Storm Warning, ma questa tempesta di sabbia è piacevolissima.

Secondo disco dopo quattro anni dal debutto discografico e siamo su livelli molto alti. Lo stile dei DSW attinge da varie fonti e dentro Tales From The Cosmonaut si può trovare l’amore per il suono desertico, un grande stoner e su tutto un incredibile groove molto anni settanta. Negli ultimi anni si è andata a formare una scena dedita alla musica pesante molto interessante, basti pensare al sito doomcharts.com, vero e proprio collettore di questi suoni, ed infatti i DSW sono passati in quella grande classifica mensile del sito. Ascoltando il disco si può capire il perché. Ogni canzone è molto bella e vive di vita propria, con un suono che è filo conduttore, un rumoroso tema che si dispiega per la durata di tutto il disco, ora declinato in forma stoner, ora in momenti che farebbero invidia a molti gruppi degli anni settanta. I DSW non sono certo i primi a coniugare stoner e anni settanta, anzi il primo deriva pesantemente dai secondi, ma amalgamarli con tale stile non è affatto facile, e ancora più difficile è farlo così. Le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e danno modo di apprezzare anche le ottime capacità compositive del gruppo, perché mantenere l’attenzione dell’ascoltatore oltre i quattro minuti al giorno di oggi non è facile, ma con i DSW non ti puoi proprio staccare. Un disco davvero bello, continuo e davvero stonerico,che lascia molto soddisfatti e anzi ne fa venire ancora voglia, come solo pochi gruppi sanno fare.

TRACKLIST
1.Vermillion Witch
2.The Well
3.Mother In Black
4.El Chola
5.Classified
6.Crash Site
7.Acid Cosmonaut

LINE-UP
Stefano – Bass Guitar
Marco – Guitar
Luca – Drums
“Wolf” – Vocals

DSW – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

RHumornero – Eredi

Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un gran disco, prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

I Rhumornero sono un interessantissimo gruppo italiano che fa una sintesi alquanto singolare del rock in italiano ed italiano tout court.

Attivi dal 2005, questi ragazzi hanno all’attivo tre album ed hanno partecipato a tre raccolte di Virgin Radio. I Rhumornero sono un gruppo che opera una sintesi molto valida del meglio del rock cantato in italiano, riuscendo a coniugare melodie, orecchiabilità e grande appeal radiofonico. Eredi è la loro ultima fatica, e direi che è il loro disco migliore. Pochi, anzi nessuno gruppo meno che mai italiano, hanno saputo coniugare, rock melodico e hard, liriche intelligenti e orecchiabilità, senza mai stonare. Il disco è davvero notevole, forte di una capacità di portare l’ascoltatore dove vogliono loro, rendendo il tutto avvincente e variegato, con dei testi finalmente interessanti e che si mettono davvero a nudo, pregando il vuoto di non invaderci troppo. Forte è l’impronta del grunge, ma chi ascolta rock da qualche tempo il grunge ce l’ha dentro, è un’impronta indelebile perché non si trattava solo di musica. Si potrebbero citare riferimenti, ma non sarebbe corretto, poiché i Rhumornero sono venuti dopo alcuni e ne hanno preso qualcosa, ma il novanta per cento è tutta opera loro, ed è una bella opera. Ci sono molti generi musicali qui dentro, e su tutti la personalità del gruppo vince nettamente. Eredi è un disco potente e completo, che è ricco e ottimo in tutti i suoi aspetti, e mostra finalmente un gruppo italiano di rock libero e piacevole, fautore di un lavoro prodotto e suonato molto bene. Sicuramente uno dei migliori dischi di rock italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
o1.UN MILIARDO DI ANNI
02. METALLI PESANTI
03. L’EQUILIBRIO (versione 2015)
04. SPIRITI
05. NEL TUO SILENZIO
06. SCHIAVI MODERNI
07. MASCHERE
08. EREDI
09. QUANDO AVEVO PARANOIA
10. LIMPERATRICE
11. 1492
12. LAST CHRISTMAS (non si sentirà) (Bonus Track)
13. SOTTO LE STELLE (Bonus Track)

LINE-UP
Carlo De Toni – Voce – Chitarra
Ettore Carloni – Chitarra
Luca Guidi – Batteria
Lorenzo Carpita – Basso

RHUMORNERO – Facebook

Sakem – New War Disorder

New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto.

I milanesi Sakem arrivano con un primo album fatto di un metal che gira benissimo, granitico, distorto e marcio, che descrive il nostro mondo, che è molto più marcio di questo suono.

Formati nel 2014, dopo l’uscita del vocalist Lexx dai death metallers Kenos, gli altri componenti vengono da gruppi con le più disparate influenze, e tutto ciò si sente nel suono dei Sakem. La forza di questo notevole disco è quella di declinare in molti modi una monoliticità del suono che li porta ad assomigliare, almeno in parte, a dei Pantera senza tregua, macinando metal ed ossa. Il disco analizza le macerie di quella che noi chiamiamo società, ma che in realtà è una guerra quotidiana. Il suono dei Sakem è anche una sana alternativa a tutte le schifezze che si sentono quotidianamente quando andiamo in giro. New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto. L’album cresce ad ogni ascolto e le canzoni sono sempre potenti, piene di belle melodie, composte e suonate da musicisti che sanno molto bene cosa sia e come vada suonato il metal. Dischi come questo riempono il vostro stereo e non c’è molto da dire, ma più da ascoltare. È incredibile anche come si vedano in giro band molto meno capaci dei Sakem ricevere lodi e magari anche vivere del proprio operato, cosa assai difficile al giorno d’oggi. Notevole anche la produzione e la copertina ed il libretto del disco, e il tutto arriva a comporre un ottimo disco di metal con un bel groove e brillanti idee.

TRACKLIST
01. Hangman
02. Red Spirit Dust
03. Tatanka
04. Revolver
05. New War Disorder
06. Mentality
07. Sakem
08. Fire Maker
09. Subliminal Wattage
10. Arising the Dawn
11. Golden Omega

SAKEM – Facebook

Don’t Try This At Home – #01

Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

Da Udine il debutto in free download per questo giovane gruppo di metalcore e hardcore.

Il loro suono non è inedito, ma i ragazzi friulani rielaborano molto bene una materia molto sfruttata ultimamente, come quella del metalcore. I Don’t Try This At Home sono molto potenti e diretti, riuscendo ad inserirsi molto bene su di una onda estremamente frequentata. Il suono di questo ep di esordio, in download libero dal loro bandcamp, è un metalcore veloce, ben prodotto e con finalmente i bassi al posto giusto, poiché troppe volte si ascoltano gruppi del genere con i treble troppo alti, senza profondità. I Don’t Try This At Home invece hanno un gran tiro, sanno sempre cosa fare e lo fanno bene, e per certi versi potrebbero essere considerati eredi di una certa scena hardcore anni novanta, forse inconsapevole progenitrice del metalcore. Certamente il metalcore fa storcere il naso a molti, e per certi versi a ragione, ma questi dovrebbero ascoltare #01 per ricredersi, almeno per quanto riguarda questi friulani. Disco veloce, pesante, con molti ottimi risvolti, suonato con tecnica ma soprattutto mettendo a frutto la molteplicità di ascolti fatti. All’interno della stessa canzone possiamo ascoltare molti cambi di registro, con variazioni sul tema e molto altro. Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

TRACKLIST
1.Mushroom
2.Paranoid Alienation
3.The Beast Within
4.Jeff Buckley
5.Vicious Circle

LINE-UP
Giuliano Bergantin – Vocals
Giovanni Stella – Guitar
Federico Sbaiz – Guitar
Alessandro Cartelli – Bass
Thomas Macorig – Drum

DON’T TRY THIS AT HOME – Facebook

Crohm – Humanity

Bersaglio centrato in pieno per la band valdostana con Humanity, che si rivela un buon esempio di metal vecchia scuola.

Attivi addirittura da metà anni ottanta, i Crohm sono uno dei gruppi storici nati in Valle d’Aosta ed uno dei primi in assoluto a suonare heavy metal nella splendida regione racchiusa tra le vetti più elevate delle Alpi.

Dopo un lungo silenzio ed il ritorno tre anni fa con Legend and Prophecy, album composto da brani storici
ri-arrangiati per l’occasione, il nuovo album intitolato Humanity rappresenta un nuovo inizio mantenendo sempre ben alta la bandiera dell’heavy metal, con l’aggiunta di un impatto dal groove micidiale.
L’album è stato registrato da Giulio Capone (Temperance), il quale si è anche occupato di mix e mastering, mentre il gruppo si è affidato ad una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser, dove amici e fans possono partecipare attivamente ai progetti di ciascuna band.
Humanity suona grezzo e aggressivo, con il suo hard & heavy alla massima potenza, il groove a portare un tocco leggermente moderno alle composizioni, assoli che nascono nella new wave of british heavy metal e alternanza ben congeniata tra brani diretti, e cavalcate maideniane che sono il fiore all’occhiello di questo lavoro (Insatiable).
I Crohm non sentono il perso degli anni, i tre rockers che diedero vita al progetto tanti anni fa (il singer Sergio Fiorani, il chitarrista Claudio Zanchetta ed il bassista Riccardo Taraglio), sono affiancati in questa avventura dal batterista Fabio Cannatà e dal chitarrista ritmico Diego Zambon: al grido di keep your dragon alive (KYDAH) ci investono con tutta la loro carica metallica, tra heavy metal classico e thrash, coinvolgendo non poco, merito di un lotto di brani potenti, onesti e carichi di passione per una musica immortale.
La band valdostana offre accelerate thrash e mid tempo ricchi di groove, con un sound tra Iron Maiden e Saxon, un gran lavoro chitarristico ed un cantante che sa il fatto suo, portandoci a spasso nel mondo dell’hard & heavy grazie a tracce come The Call, Lost Soul e l’eccellente Fields Painted Red.
I Crohm centrano in pieno il bersaglio con Humanity, un buon esempio di metal vecchia scuola da non perdere per alcun motivo.

TRACKLIST
1. Alien
2. The Call
3. The Dark Side
4. Nothing Else
5. Insatiable
6. Lost Soul
7. Fields Painted Red
8. The Noise of Silence
9. Run for your Life (The Escape)
10. Town after Town

LINE-UP
Sergio Fiorani – Lead vocal
Claudio Zac Zanchetta – Lead guitar, background vocal
Riccardo Taraglio – Bass, background vocal
Diego Zambon – Rythm guitar
Fabio Cannatà – Drums

CROHM – Facebook

S A R R A M – A Bolu, in C

A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva

Quest’opera prima in veste solista del musicista nuorese Valerio Marras, in arte S A R R A M, è l’ennesima dimostrazione di quanto la musica ambient possa risultare coinvolgente e tutt’altro che perimetrale rispetto alla percezione dell’ascoltatore.

A Bolu, in C, dove il “bolu” in questione è il volo in lingua sarda, è una lunga traccia che va a sfiorare i quaranta minuti di durata, nel corso dei quali ci si ritrova a librarsi al di sopra degli scenari unici che la meravigliosa isola mediterranea offrire.
Diviene pressoché perfetta, così, la simbiosi con le 10 immagini prodotte dal fotografo Bobore Frau, il quale ha immortalato squarci naturalistici del nuorese (Barbagia e Baronia): è la chitarra di Marras a condurci in questo virtuale viaggio alato, con l’intromissione di loop ed effetti volti a schiudere l’accesso alle immagini successive.
La forma di ambient perseguita da S A R R A M è quindi piuttosto carezzevole ed evocativa, muovendosi sulla falsariga del movimento di musicisti britannici gravitante nella cerchia del David Sylvian della seconda metà degli anni ottanta (faccio riferimento soprattutto alla seconda metà strumentale di Gone To Earth).
A Bolu, in C è un’eloquente dimostrazione di come si possa comporre ottima musica ambient mettendo una strumentazione essenziale al servizio di un’innata sensibilità compositiva, senza per questo dimenticare il prezioso contributo visivo contenuto nel digipack prodotto in 100 copie dall’etichetta Talk About Records.
Se è difficile descrivere in maniera esaustiva i contenuti di un disco rock o metal, figuriamoci per quel che riguarda l’ambient, per sua natura un flusso di sensazioni più che una canonica sequela di brani, per cui non resta che esortare chi apprezza il genere ad ascoltare l’operato del bravo Valerio Marras.

Tracklist:
1. A Bolu, in C

Line-up:
Valerio Marras–Guitar, effects

S AR R A M – Facebook

Stamina – System Of Power

System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

Tornano i Royal Hunt Italiani, i campani Stamina, con un nuovo ottimo lavoro sempre incentrato su un power prog metal che si rifà ai maestri danesi, anche se non manca sicuramente al gruppo la personalità per trovare una propria dimensione.

D’altronde System Of Power è ormai il quarto full length , successore del bellissimo Perseverance uscito tre anni fa, e che vede un cantante in pianta stabile nella persona di Alessandro Granato, un nuovo bassista, Mario Urcioli, ed un session per la batteria, Andrea Stipa, tutti a girare intorno al duo storico formato dal chitarrista Luca Sellitto e dal tastierista Andrea Barone.
La band si presenta così con un album più aggressivo rispetto al passato, certo i cori alla Royal Hunt e le fughe tastieristiche fanno parte del sound ormai consolidato del gruppo che elegantemente disegna arabeschi di musica elegantemente progressiva, con la sei corde che spinge sulla parte neoclassica in molti frangenti dell’ album, accompagnando i tasti d’avorio in ghirigori barocchi, ma colpendo d’incanto l’ascoltatore con ritmiche ruvide e dai rimandi thrash.
Il tutto lascia sempre quell’alone di nobiltà insito nella musica della band, che gioca con l’AOR ed il power a suo piacimento tra le note magniloquenti di un lotto di brani entusiasmanti.
La prova del nuovo vocalist è da applausi, così come per tutti i protagonisti, ma per una volta (anche se il genere lo impone) lasciamo che sia la musica magnificamente regale del gruppo campano a parlare, con i suoi quarantacinque minuti di fughe tastieristiche e cori dal talento melodico neanche troppo distante dalle fonti di ispirazione del gruppo, così come il songwriting che fa risplendere perle musicali come Must Be Blind, One In A Million, Love Was Never Meant To Be e l’irresistibile Why, brano Royal Hunt fino al midollo, ma stupendo esempio dell’eleganza e raffinatezza del metal suonato dagli Stamina.
System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

TRACKLIST
1.Holding On
2.Must Be Blind
3.One In A Million
4.Undergo (Black Moon Pt.2)
5.Love Was Never Meant To Be
6.System Of Power
7.Why
8.Portrait Of Beauty

LINE-UP
Alessandro Granato – vocals
Luca Sellitto – guitars
Andrea Barone – keyboards
Mario “Uryo” Urciuoli – bass

Andrea Stipa – drums
Jacopo Di Domenico – backing vocals
Donata Greco – flute
Giulia Silveri – cello

STAMINA – Facebook

New Disorder – Deception

Se vi siete persi Straight To Pain due anni fa, la Agoge Records vi dà modo di rimediare e conoscere questa ottima band: non mancate all’appuntamento con i New Disorder.

Dopo il successo di Straight To Pain, primo full length uscito un paio di anni fa, tornano i romani New Disorder con questo nuovo lavoro, che poi tanto nuovo non è visto che presenta due brani inediti (Deception e Curtain Call) più otto brani scelti dal precedente lavoro totalmente remixati e rimasterizzati per l’occasione.

Ma andiamo con ordine, perché la band che tanto aveva impressionato con Straight To Pain non ha tradito le attese, avendo la possibilità di suonare in giro per l’Europa e girare uno spot per la Coca Cola Zero.
Partiranno in tour affiancando i Pain in Aprile in Lituania, Estonia e Lettonia, portando il loro alternative metal nei paesi dell’est, territori calcati anche nel precedente tour.
Il primo album è ormai introvabile, il buon successo e l’esigenza di avere un nuovo prodotto sul mercato hanno portato il gruppo a questa scelta, dunque Deception risulta un singolo allargato, con i brani del disco precedente che fanno bella mostra di loro in una veste relativamente nuova, accompagnando le due canzoni nuove di zecca.
Come già espresso all’epoca dell’uscita di Straight To Pain, la musica del gruppo è un’alternative metal molto maturo, in cui vivono personalità all’apparenza distanti ma amalgamate in un unico sound che sposa metal core, grunge, nu metal ed un’anima progressiva che aleggia sui brani, permettendo al lavoro ritmico e chitarristico di avere una marcia in più.
Aggiungete poi un cantante strabiliante per varietà di interpretazione e intuito nel saper scegliere il tono giusto per ogni sfumatura ed atmosfera creata dalla musica, ed il gioco è fatto.
Il tappeto di suoni new wave del nuovo singolo aprono l’album, mentre il brano si trasforma in una moderna song estrema con tanto di growl, e ripartenze velocissime verso lidi metallici.
I brani che avevano valorizzato Straight To Pain ci sono tutti, quindi la violenza ritmica dal tocco prog di Love Kills Away, il metalcore feroce di Never Too Late to Die e la bellezza di The Beholder sono tutte qui, con gran parte delle altre tracce e con Curtain Call che conferma le doti di questi musicisti, alle prese con un brano che non stonerebbe in uno degli ultimi lavori dei Dream Theater.
Se vi siete persi Straight To Pain due anni fa, la Agoge Records vi dà modo di rimediare e conoscere questa ottima band: non mancate all’appuntamento con i New Disorder.

TRACKLIST
01. Deception
02. Love Kills Anyway
03. Straight to the Pain (feat. Eleonora Buono)
04. Curtain Call
05. Never Too Late to Die
06. What’s Your Aim (Call It Insanity)
07. Judgement Day
08. The Beholder
09. Lost in London
10. A Senseless Tragedy (Bloodstreams)

LINE-UP
Francesco Lattes – vocals
Alessandro Cavalli – guitar
Andrea Augeri – guitar
Ivano Adamo – bass/vocals
Luca Mancini – drums

NEW DISORDER – Facebook

Animae Silentes – Suffocated

Arriva il disco d’esordio per gli Animae Silentes, band che nasce da cinque musicisti non proprio sconosciuti, ma che ci faranno scoprire la loro idea di dark-goth metal. Un album completo e ben fatto.

Gli Animae Silentes sono una band di recente formazione ma i cui componenti hanno già alle spalle una notevole gavetta.

Per farla breve e conoscerli meglio: il cantante Alessandro Ramon Sonato, già parte dei Chrome Steel (Judas Priest Tribute) e Bad Sisters, oltre a essere ex Hollow Haze e Crying Steel, e il bassista Tomas Valentini, che molti conosceranno come membro degli Skanners, danno il “la” a questo nuovo progetto, avendo ben chiare le idee in merito a stile e genere nel giugno del 2015.
Come se non bastassero le menti geniali, ecco arrivare il chitarrista Giovanni Scardoni (Chrome Steel, ex Ground Control) e Riccardo Menini (Dirty Fingers); infine, il batterista Cristian Bonamini (Alcstones, Romero).
Tutta questa esperienza accumulata e il talento naturale vengono condensati nel loro disco d’esordio Suffocated, un lavoro pulito e intenso, ma anche a tratti cupo e dark.
Il tutto inizia con la classica breve Intro che include un temporale, con tanto di corvi e una bella chitarra a farla da padrona; Burning in Silence è il vero punto di partenza, uno dei pezzi più melodici e piacevoli, seguono Purgatorium ed Eville, le quali insieme a Madman Town, mostrano la parte un po’ più rock degli Animae Silentes.
L’aspetto più dark lo incontriamo in Nothing Else to Remind (molto intensa) e Illusion, al limite del gothic di qualche tempo fa, che mi hanno ricordato gli Amorphis dell’album Tuonela; Save, Desperation Road e Lost in My Soul riprendono note più orecchiabili, ma senza mai cadere nella banalità; per concludere, troviamo Suffocated che, paradossalmente, è quella che mi è piaciuta un po’ meno.
Uno dei punti di forza degli Animae Silentes è la bravura di Rock Ramon al microfono, il quale riesce ad interpretare con scioltezza qualsiasi stile senza perdersi e senza risultare eccessivo, cosa che può tranquillamente accadere se spingi troppo con lo screaming o il growling, e naturalmente anche gli altri non sono da meno.
Insomma, Suffocated è un disco da avere perché suonato da chi la musica la sa fare e ci mette davvero il cuore.
Potrebbe non piacere a tutti il genere in questione, ma è indubbio il fatto che si tratti di un esordio con i fiocchi.

TRACKLIST
1 Intro
2 Burning In Silence
3 Purgatorium
4 Eville
5 Nothing Else To Remind
6 Illusion
7 Save Me
8 Desperation Road
9 Madman Town
10 Lost In My Soul
11 Suffocated

LINE-UP
Rock Ramon – voice
Tomas Valentini – Bass guitar
Riccardo Menini – Guitar
Giovanni Scardoni – Guitar
Cristian Bonamini – Drum

ANIMAE SILENTES – Facebook

Acts Of Tragedy – Left With Nothing

Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole.

Al primissimo ascolto dei cagliaritani Acts Of Tragedy mi sembrava di trovarmi davanti all’ennesimo disco di metalcore melodico, con parti più dure e altre parti molto, anzi fin troppo melodiche.

E invece sbagliavo, e di molto, vittima di pregiudizi che non dovrebbero esserci. Gli Acts Of Tragedy fanno metalcore, o meglio metal moderno, ma hanno una potenza, un tiro ed una tecnica che li portano molto al di sopra della media del genere. Questi ragazzi riescono a creare un magma sonoro figlio dell’incontro tra metal e qualcosa dalle parti dei Dillinger Escape Plan, il tutto lanciato a mille all’ora, con una produzione notevole. Gli Acts Of Tragedy sono potenti e molto coinvolgenti, e hanno prodotto un disco che spacca, come direbbero i giovani. Left With Nothing, il suo titolo, potrebbe essere l’epitaffio sulla tomba dei giovani di oggi che si mangiano la merda che hanno lasciato quelli di prima: è un disco di metal moderno a trecentosessanta gradi, e dentro c’è tutto il meglio degli ultimi venti anni di metal melodico, dove melodia non sta per commercializzazione scontata, ma per ricerca di qualcosa di piacevole in mezzo alla durezza. l’album funziona benissimo anche grazie al notevole apporto della produzione, che fa rendere al meglio questo suono che piacerà su ogni lato dell’oceano, perché le sue radici sono comunque americane. Un disco molto bello, dall’inizio fino alla fine, e non è poco.

TRACKLIST
1.Under the Stone
2.Melting Wax
3.The Worst Has yet to Come
4.The Man of the Crowd, Pt. 1
5.Smoke Sculptures and Fog…
6.The Man of the Crowd, Pt. 2
7.Incomplete
8.Nothing
9.Vice
10.Oaks

LINE-UP
Alessandro Castellano – Drums
Andrea Orrù – Vocals
Lorenzo Meli – Bass
Paolo Mulas – Guitar
Gabriele Murgia – Guitar & Backing Vocals

ACTS OF TRAGEDY – Facebook

Holy Martyr – Darkness Shall Prevail

Ritorno in pompa magna per gli Holy Martyr, ormai da considerare come storica realtà della scena epic metal nazionale.

Nati a metà degli anni novanta come Hell Forge ed arrivati al quarto album sulla lunga distanza, tornano gli Holy Martyr di Ivano Spiga, chitarrista e fondatore del gruppo sardo di nascita e milanese di adozione.

Ormai da considerare come punto fermo della scena metal classica italiana, la band torna dopo cinque anni dal precedente Invincible, uscito appunto nel 2011 sempre per la Dragonheart Records.
Dopo aver affrontato nei dischi precedenti tematiche riguardanti l’epica storia della Grecia,e del Giappone dei Samurai, questa volta l’attenzione degli Holy Martyr si rivolge a J.R.R. Tolkien, con Darkness Shall Prevail a presentarsi come un concept sul mondo del famoso scrittore inglese.
Un nuovo batterista (Stefano Lepidi) ed un nuovo chitarrista ad affiancare Spiga (Paolo Roberto Simoni) sono le novità di questo nuovo album, oltre ad un’atmosfera più epica ed oscura che attraversa le composizioni di quest’opera metallica tutta fierezza, sangue e battaglie creata dalla band.
In Darkness Shall Prevail  il metal guerresco partorito dagli Holy Martyr segue la scia dei maggiori gruppi epic metal, lasciando questa volta nell’ombra l’heavy classico per un approccio contrassegnato da atmosfere colme di pathos oscuro e tragico.
Un gruppo di tale esperienza non tradisce ed infatti, oltre all’ottimo songwriting, troviamo un gran lavoro delle due chitarre che, a tratti, si concedono qualche assolo metallico valorizzato da ricercate melodie, la prova maiuscola di un Alessandro Mereu cantore delle vicende tolkeniane con un’interpretazione che gronda epicità, ed interventi folk che spezzano la tensione ma tengono alta l’attenzione; persi in un mondo parallelo, guerrieri, orchi e maghi si sfidano a duello, con le note dell’epica Numenor, della grandiosa Heroic Deeds, della marcia verso la gloria di Taur Nu Fuin, dell’intermezzo acustico oscuro e dalle atmosfere folk di Minas Morgul, fino al picco dell’album, la mastodontica The Dwarrowdelf che ne rappresenta l’ideale sunto.
La diretta Born Of Hope chiude Darkness Shall Prevail, lavoro che non può mancare sullo scaffale degli amanti del metal epico e che rappresenta un ritorno in pompa magna per la storica band sarda.

TRACKLIST
1. Shores Of Elenna
2. Numenor
3. Heroic Deeds
4. Darkness Descends
5. Taur Nu Fuin
6. Minas Morgul
7. Witch-King Of Angmar
8. The Dwarrowdelf
9. Born Of Hope

LINE-UP
Alex Mereu – Vocals
Ivano Spiga – Lead and rhythm guitar
Paolo Roberto Simoni – Lead and rhythm guitar
Nicola Pirroni – Bass
Stefano Lepidi – Drums

HOLY MARTYR – Facebook

Perfidious – Malevolent Martyrdom

Un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

Attivi dal 2014 con questo monicker e divisi tra Novara e Milano arrivano al debutto sulla lunga distanza i nostrani Perfidious, creatura estrema che del death metal old school di matrice statunitense distilla perle di maligna distruzione.

Dal concept misantropo e fortemente anticristiano, il gruppo non lascia trasparire un raggio di luce dal suo sound;
accompagnato da una copertina grigia e che rappresenta molto bene il fallimento del cristianesimo, con il Golgotha, unica collina rimasta in piedi dopo la devastazione che l’uomo ha perpetrato per millenni sotto l’influsso del male, Malevolent Martyrdom risulta un’opera vecchia maniera, senza tanti indugi la band tira dritta al sodo, ed il sound esce urgente, estremo e devastante come deve essere un lavoro di death metal classico.
Negli anni novanta il re dei generi estremi era diviso tra i colpi inferti dai gruppi dell’epoca nella calda Bay Area e la furia dei più melodici colleghi scandinavi: i Perfidious seguono con cura maniacale i sentieri che portano al male tracciati dai gruppi statunitensi e l’ album convince non soffrendo assolutamente in personalità.
I Belong To Sickness esplode dopo l’intro e i Perfidious si dimostrano subito maestri nelle ritmiche serrate, mentre senza cedimenti il muro sonoro continua a sfondare teste in headbanging sfrenati, sotto le macerie che rimangono al passaggio delle distruttive e maligne Human Conceit e Preachers of Hypocrisy.
Il growl demoniaco e brutale non fa prigionieri e si arriva alla notevole Perfidious, traccia che mette in evidenza la bravura di una sezione ritmica pesante e distruttiva, ma che sa essere spettacolare nei cambi repentini di ritmo, tra ripartenze e cavalcate in blast beat.
Nell’underground più oscuro, dove le realtà estreme crescono nell’ombra, un altro gruppo si accinge a conquistare i deathsters dai gusti old school: un lavoro imperdibile per gli amanti dei gruppi che fecero la storia del death aldilà dell’oceano negli anni novanta.

TRACKLIST
1.Infected by Malignancy (Intro)
2.I Belong to Sickness
3.Human Conceit
4.Ancient Voices of the Past
5.Preachers of Hypocrisy
6.Breath of Beast
7.Realm of the Moribunds
8.Trapped by Insanity
9.Perfidious
10.I Kill You (Outro)

LINE-UP
Vanny Hate – Drums
Dydacus – Vocals
Michele – Bass
Andrea – Guitar

PERFIDIOUS – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Doctor Cyclops – Local Dogs

Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni, possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro.

Dal pavese arriva quello che uscendo a fine marzo 2017 sarà molto probabilmente uno dei dischi dell’anno, se non IL disco dell’anno.

Sono rimasto seriamente stupefatto dalla prova di questo trio. Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni (e dovete assolutamente sentire come vengono resi), possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro. Magnifico perdersi in questo disco, in questo labirinto erboso di bellezza sonora, dove tutto è bello, rumoroso e naturale. Se dovessero chiedervi di elencare dei dischi anni settanta od ottanta di musica rumorosa potete fare un favore a voi e al vostro dirimpettaio consigliando direttamente questo disco, perché qui c’è tutto. Si rimane meravigliati dalla prima all’ultima nota, ci sono persino intarsi di epic metal e doom insieme, e il risultato non è assolutamente un accatastare musica alla rinfusa, ma c’è un disegno creatore superiore, molto superiore. E cosa che non mi stupisce questo prodigio è nato a Bosmenso, un paese sull’appennino pavese, perché è nella provincia che vive e lotta la volontà di potenza. Il loro percorso è stato lungo ed interessante, e questo disco è una delle migliori cose mai fatte nell’undeground italiano.
Scendete nel buco nella terra vicino all’albero…

TRACKLIST
Side A
I. Lonely Devil
II. D.I.A.
III. Stardust (feat. Bill Steer)
IV. Epicurus
V. Wall Of Misery

Side B
I. King Midas
II. Stanley The Owl
III. Druid Samhain (feat. Bill Steer)
IV. Witch’s Tale
V. Witchfinder General

LINE-UP
Christian Draghi – Guitar and Vocals
Francesco Filippini – Bass
Alessandro Dallera – Drums

DOCTOR CYCLOPS – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

Tethra – Like Crows For The Earth

Like Crows For The Earth è, un album magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore

Sono passati quattro anni dall’ottimo full length Drown In The Sea Of Life ed oggi ritroviamo i Tethra alle prese con un nuovo album intitolato Like Crows For The Earth.

Come spesso accade a troppe band, il vocalist Clode, unico membro originale rimasto, nel frattempo ha dovuto rivoluzionare la line-up approdando ad una formazione a cinque che, rispetto al passato, si avvale dell’apporto di due chitarristi.
Troviamo così, ad affiancare il musicista novarese, Luca Mellana e Gabriele Monti alle sei corde, Salvatore Duca al basso e Lorenzo Giudici alla batteria, a comporre un organico che, a giudicare dall’esito finale, si rivela del tutto all’altezza della situazione, con l’auspicio che ciò possa garantire a lungo termine una certa stabilità.
Come per il suo predecessore la produzione è stata affidata alle mani esperte di Mat Stancioiu, mentre anche il mastering, eseguito da parte dell’eminenza grigia del doom Greg Chandler (Esoteric), e l’artwork, curato da Marco Castagnetto, sono indicatori netti della volontà di non trascurare il benché minimo particolare, in modo da consegnare al pubblico un prodotto impeccabile sotto tutti gli aspetti.
L’obiettivo viene ampiamente raggiunto in virtù di un scrittura varia, che porta i Tethra a spaziare tra le diverse anime del doom, partendo dal gothic, passando a quello di matrice più classica per giungere, infine, a quello dai toni dolenti ed animato da pulsioni death: il tutto viene sviluppato con la massima consapevolezza e maturità, riuscendo nella non facile impresa di mantenere un’impronta ed un’identità precisa, nonostante la tracklist sia composta da una serie di brani dotati ciascuno della propria peculiarità.
L’album si apre con la breve intro acustica Resilience che prepara il terreno a Transcending Thanatos, episodio già sufficientemente indicativo di una maggiore propensione gotica: in particolare lo splendido e trascinante refrain ha riesumato nella mia memoria di vecchio appassionato i misconosciuti olandesi Whispering Gallery, autori di tre oscuri gioelli di death doom melodico all’inizio del secolo.
Prelude to Sadness, altro strumentale, introduce Springtime Melancholy, canzone che, pur restando nei canoni del doom tradizionale, mostra una volta di più una maggiore propensione melodica che trova sfogo nell’ottimo assolo conclusivo di Luca Mellana.
E’ il sitar ad aprire Deserted, traccia che, nonostante l’incipit di tutt’altro tenore, si rivela il brano più trascinante ed immediato del lotto, in virtù di un riffing micidiale, un chorus di grande presa ed un break centrale contrassegnato da un altro azzeccato assolo: insomma, qui si trovano tutti gli ingredienti necessari per imprimere la traccia nella memoria, mantenendo intatta la profondità del genere proposto.
L’interludio Subterranean mette in mostra le doti vocali di Clode, che se già prima era lecito considerare un vocalist di indubbio valore, con questo lavoro innalza ulteriormente il proprio livello, spiccando per versatilità e spaziando da tonalità estreme (growl con qualche sconfinamento nello screaming) a profonde ed evocative clean vocals che non possono che rimandare a quelle di Fernando Ribeiro, uno dei modelli di riferimento per chiunque si cimenti in questo genere musicale.
Subito dopo si palesa il momento in cui l’album trova la sua ideale sublimazione con un brano magnifico come The Groundfeeder, che si può considerare idealmente il manifesto musicale dei nuovi Tethra, unendo alla perfezione le diverse anime del sound ed andando a lambire, in certi passaggi strumentali, l’emozionalità dei migliori The Foreshadowing.
Entropy è l’ultimo dei frammenti acustici, preparatorio al trittico finale aperto dalle belle melodie chitarristiche di Synchronicity Of Life And Decay, traccia che si sviluppa poi in maniera piuttosto ritmata e chiusa ancora una volta da un assolo brillante che riporta, infine, al punto di partenza, mentre Earthless spinge ancor più sul versante gothic grazie a linee melodiche irresistibili che si alternano a passaggi più rarefatti, esaltati da una prestazione superlative di Clode dietro al microfono: ancora un brano magnifico per intensità e attrattività.
A chiudere il lavoro ci pensa la title track, ultima delle gemme offerte da un album di qualità a tratti sorprendente, il cui suggello non può che essere il brano più malinconico ed oscuro del lotto, esempio magistrale di come il doom possa offrire quel turbinio di sensazioni che ad altri generi non sempre è concesso fare.
Like Crows For The Earth è, semplicemente, un disco magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore, grazie all’approdo ad una forma capace di veicolare in maniera più diretta ed efficace quei toni dolenti e malinconici che sono la componente imprescindibile del genere.

Tracklist:
1.Resilience (intro)
2.Transcending Thanatos
3.Prelude To Sadness
4.Springtime Melancholy
5.Deserted
6.Subterranean
7.The Groundfeeder
8.Entropy
9.Synchronicity Of Life And Decay
10.Earthless
11.Like Crows For The Earth

Line up:
Clode Tethra – Vocals
Luca Mellana – Guitars
Gabriele Monti – Guitars
Salvatore Duca – Bass
Lorenzo Giudici – Drums

TETHRA – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook