Path Of Sorrow – Fearytales

Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

Sono passate due settimane da quando mi sono seduto alla scrivania per tentare di raccontare i contenuti dell’ultimo album degli In Flames.

La mia recensione la potete trovare qui su MetalEyes e chi l’ha già letta sa che la delusione del sottoscritto per un gruppo storico che, di fatto non esiste più, è stata tanta ed è alta la sensazione che il canto del cigno per un certo tipo di death metal melodico sia alle porte.
Fortunatamente ci pensa la scena underground a tenere alta la bandiera di un genere che, in barba agli imbolsiti protagonisti dell’ultimo decennio del secolo scorso, carica il suo cannone metallico di bombe devastanti (qualitativamente parlando) e mira al cuore degli amanti del metal estremo melodico centrandoli in pieno.
Dai vicoli che scendono a mare, tra gli anfratti e gli angoli dimenticati dal tempo di un centro storico che pompa sangue metallico in una Genova che, per una volta, si veste da Göteborg, arrivano i Path Of Sorrow, al debutto su lunga distanza con questo splendido esempio di death metal melodico come lo hanno voluto e creato i maestri svedesi più di vent’anni fa, irrobustito da letali dosi di thrash metal, ed impreziosito da una vena melodica entusiasmante.
Attiva dal 2012, la band arriva a questo primo episodio dopo tanta gavetta a suon di concerti (con Necrodeath, Electrocution, The Modern Age Slavery, Epitaph, The Vision Bleak) e vari cambi di line up che portano alla formazione attuale, alla firma con Buil2Kill Records e alla porta dei Blackwave Studio di Fabio Palombi (Nerve), che si chiude alle loro spalle per riaprirsi solo quando Fearytales è pronto per travolgervi con undici spettacolari brani in cui melodic death, thrash, sfumature ed atmosfere dark gothic, vi confonderanno facendovi smarrire tra le anguste vie della Superba che, d’incanto, si trasformano in una foresta magica, oscura e pericolosissima.
Chiariamolo subito, se siete in cerca di chissà quale chimera dell’originalità, tornate sui vostri passi perché rischiereste di inoltrarvi nel sottobosco e non uscirne più: Fearytales rimane un ‘opera che del death metal melodico made in Svezia si nutre, nel thrash trova la dirompente forza estrema e nelle atmosfere oscure e dark ci sguazza, mentre i nomi storici del genere sono tutti li sulla balconata ad applaudire.
Prodotto alla perfezione e suonato ancora meglio, l’album non concede cedimenti, i brani si susseguono uno più bello dell’altro alternando sfuriate ad  atmosfere molto suggestive, ottimi momenti di metallo cadenzato e fughe sui manici delle asce da brividi.
L’ottima prova dei musicisti valorizza un songwriting ispirato e l’impressione di essere al cospetto di un combo sopra la media è altissimo, mentre Under The Mark Of Evil toglie il respiro dandoci il suo benvenuto in Fearytales.
La muscolosa Survive The Dead è solo l’antipasto alla maligna e cattivissima Martyrs Of Hell, mentre il gran lavoro delle sei corde nella melodica Nobody Alive (addio In Flames), ci porta dritti nella boscaglia e a The Crawling Chaos, capolavoro dell’album insieme alla stupenda thrash-folk- epic metal Sea Of Blood: The March For Morrigan, fulgido esempio dell’ispirato songwriting del gruppo ligure.
This Is The Entrance mette la parola fine a questo bellissimo lavoro, la luce del sole si fa spazio tra i rami e dopo i primi passi fuori dalla foresta, la voglia di tornare indietro è tanta, così come quella di ripremere il tasto play.
Se questo album fosse stato pubblicato da una band svedese un po’ di anni fa, i Path Of Sorrow sarebbero comparsi sulle copertine delle riviste di settore al fianco di At The Gates, In Flames, Dark Tranquillity, ecc. tutto qui … e non è poco.

TRACKLIST
1. Into The Path
2. Under The Mark Of Evil
3. Survive The Dead
4. Martyrs Of Hell
5. Lords Of Darkned Skies
6. Nobody Alive
7. Umbrages…
8. …Where Nothing Gathers
9. The Crawling Chaos
10. Sea Of Blood : The March For Morrigan
11. This Is The Entrance

LINE-UP
Attila – Drums
Robert Lucifer – Bass
Mat – Vocals
Davi – Electric,Acoustic & Classical Guitars,Mandolin,Piano
Jacopo – Electric Guitars

PATH OF SORROW – Facebook

Kosmokrator – First Step Towards Supremacy

Un passo avanti verso quello che potrebbe essere un full length sopra la media: aspettiamo fiduciosi e nel frattempo ci godiamo un altro rituale a firma Kosmokrator.

Avevamo conosciuto la musica dei black/deathsters belgi Kosmokrator un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del demo To The Svmmit, li ritroviamo oggi con un nuovo mini cd sempre licenziato dalla Ván Records che ci illumina sui passi avanti intrapresi dal gruppo.

Il quintetto, alle prese con un sound oscuro, devastante e pregno di atmosfere malvagie, con una produzione nettamente migliore del precedente lavoro, conferma la sua natura estrema e misteriosa con questi quattro brani racchiusi in First Step Towards Supremacy.
Più diretto e meno liturgico del suo blasfemo predecessore, l’album confida su un’attitudine dannata e naturalmente estrema dei musicisti coinvolti nel progetto, l’alternanza tra parti prettamente black e altre più death oriented sono sempre la principale caratteristica del combo di sacerdoti del male e, per merito di una buona registrazione, si coglie una buona tecnica strumentale, messa in secondo piano rispetto alle nere atmosfere di sacrale musica dallo spirito occulto.
Un gruppo tutto da scoprire e dalle ottime potenzialità, i Kosmokrator si rivelano come protagonisti di un metal estremo che, anche nelle più frequenti parti di ferocia e crudeltà, mantiene una forte atmosfera rituale, in un’orgia di note e canti infernali.
Basterebbe la lunga suite estrema Myriad per farvi un sunto sull’impatto che la musica del gruppo ha sull’ascoltatore: maligna, infernale e misantropica, anche se questa volta è tutto il lavoro che risplende della fioca luce di candele nere.
Un passo avanti verso quello che potrebbe essere un full length sopra la media: aspettiamo fiduciosi e nel frattempo ci godiamo un altro rituale a firma Kosmokrator.

TRACKLIST
1.Initiate Decimation
2.Death Worship
3.Kosmokratoras III – Mother Whore
4.Myriad

LINE-UP
T. – Bass
E. – Drums
C.M. – Guitars
M. – Guitars, vocals
J.- -Vocals

Node – Cowards Empire

I Node del 2016 sono un gruppo da cui non si può prescindere, non solo se si ha a cuore la scena italica, ma tutto il movimento estremo di stampo death

I Node sono e resteranno un pezzo di storia del metal estremo nazionale, il loro anno di nascita (1994) ed i loro lavori, che hanno marchiato a fuoco la scena metal dello stivale, sono lì a dimostrarlo, anche se le tante vicissitudini ed una carriera a singhiozzo hanno in parte frenato il gruppo lombardo.

Tornano quest’anno con un nuovo lavoro e una line up in parte rinnovata, con in sella come sempre dal 1995 Gary D’Eramo ed un nuovo cantante, CN Sid.
Cowards Empire si sviluppa su quasi un’ora di musica divisa in dodici devastanti brani, compresa la riedizione di Children, pescata dallo storico Technical Crime, album licenziato dal combo nell’ormai lontano 1998.
L’album non delude chi ha sempre seguito i Node: il loro death metal, sempre molto attento alla tecnica, si pregia in questo lavoro di soluzioni ritmiche colme di groove, velocità e massacro sonoro, con studiata perizia nei solos davvero intriganti e ben congegnati, gustose soluzione melodiche e un tocco di appeal moderno in più che mantiene alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Non ci si annoia lungo il percorso musicale di Cowards Empire, passando agilmente dalle bordate potentissime e cadenzate dell’opener Stagnation alle sfumature melodiche di Lambs, traccia spettacolare che alterna devastante furia estrema ad arpeggi melodici di gran classe, mentre si continua a correre veloci come il vento e cattivi come una fiera con Average Voter, No Reason e la splendida Money Machine, a parere di chi scrive picco dell’intero lavoro con un mood melodic death metal entusiasmante.
Ottima la prova del nuovo arrivato dietro al microfono, maligno, cangiante ed assolutamente sul pezzo nel dare una voce alla musica dei Node.
Prima della bonus track arriva a chiudere l’opera il bellissimo strumentale The Plot Survives, dove il gruppo dà sfoggio della sua tecnica sopraffina senza perdere un grammo in emozionalità, soprattutto per l’intervento di una deliziosa voce femminile.
I Node del 2016 sono un gruppo da cui non si può prescindere, non solo se si ha a cuore la scena italica, ma tutto il movimento estremo di stampo death, perciò non pensateci neppure un attimo e fate vostro Cowards Empire.

TRACKLIST
01. StagNation
02. Death Redeems
03. Lambs
04. Average Voter
05. Locked In
06. No Reason
07. Money Machine
08. The Truck
09. Still the Same
10. Liar.com
11. The Plot Survives

LINE-UP
CN Sid – Vocals
Gary D’Eramo – Guitars, Vocals
Rudy Gonella Diaza – Guitars
Davide “Dero” De Robertis – Bass
Pietro Battanta – Drums

NODE – Facebook

Macaria – A Strings’ Dramedy

Un’opera di death melodico sinfonico ben suonato e ben composto, con molte divagazioni di sapore classico che rendono in maniera ottimale la storia raccontata.

La rappresentazione della realtà può avere, come il suo modello, molte facce e molti momenti diversi.

Ad esempio il teatro nasce per l’esigenza di poter modellare la realtà secondo il bisogno della creazione di storie alternative. La drammatizzazione della vita ha diversi scopi, e può essere un modo migliore per spiegare la realtà. E questo che fanno i Macaria in questo debutto, che è in effetti un album concettuale basato su un pupazzo che prende vita durante la rappresentazione teatrale. La marionetta comincia così ad esplorare il mondo, vedendolo con occhi e parametri di giudizio molto diversi dagli uomini e trovando molte convenzioni sociali assai grottesche ed inutili, per arrivare infine chiedersi chi sia sbagliato, se la società o lui. I Macaria dipingono tutto ciò con un death metal sinfonico con intarsi folk, lascito della loro passata vita come Finntroll, poiché sono nati nei dintorni di Lecce nel 2009 come band folk metal, e hanno mantenuto un certo gusto per la teatralità, evolvendosi però musicalmente. Il disco è ben suonato e ben composto, con molte divagazioni di sapore classico che rendono in maniera ottimale la storia raccontata. Un debutto che colpisce per maturità ed originalità.

TRACKLIST
01. Suden Break
02. The Puppets Theater
03. Outside
04. Shaped Water
05. The Hidden Filth
06. Tar Nectar
07. Carnival Of Pigs
08. Midday Strangers
09. A Strings’ Dramedy
10 .The Knot Of Wills

LINE-UP
LORENZO MANCO – Vocals
MARCO CARANGELO – Guitar
DAVIDE PASTORE – Guitar
FEDERICO MAURO – Keyboards
LUCA DE MARCO – Bass
LUCA CASTO – Drums

MACARIA – Facebook

Hastur – The Black River

L’impressione e quella d’essere al cospetto di un gruppo esperto, che va subito al sodo e spara nove mazzate estreme con la facilità di chi nelle torbide acque del death metal ci sguazza già da un po’.

Tornano a far parlare di loro gli Hastur, dal 1993 realtà estrema della scena genovese che, dopo una storia travagliata arrivano al debutto su lunga distanza a quasi vent’anni dall’ep Dance Macabre dove, dietro al microfono, si posizionò in tutta la sua mole Trevor, ormai da anni vocalist degli storici Sadist ed uno dei personaggi più importanti di tutta la scena estrema nazionale.

Con il solo batterista Hayzmann a rappresentare la line up originale, il gruppo torna con The Black River, licenziato dalla Black Tears ed una formazione che vede anche il chitarrista Docdeath, il bassista Grinder ed il vocalist-chitarrista Napalm, in questo che ha tutti i crismi di un nuovo inizio.
The Black River è una devastante opera estrema, che della scuola classica prende impatto ed attitudine, un monolite di death metal old school dal songwriting fresco, perfettamente in linea con le produzioni dai richiami alla scena statunitense, ma senza perdere un’oncia in personalità.
E questa è la maggior virtù dell’album, l’impressione d’essere al cospetto di un gruppo esperto, che va subito al sodo e spara nove mazzate estreme con la facilità di chi nelle torbide acque del death metal ci sguazza già da un po’.
E The Black River, con queste premesse, non può che risultare un album potentissimo, un massacro senza compromessi con più di un brano che nel suo feroce estremismo si fa ascoltare con grande piacere.
Le sei corde garantiscono solos efficaci, perfettamente inseriti su di una struttura portante che non fa prigionieri, con la batteria protagonista e ben supportate da un basso pieno e vario.
Il growl cattivo e aggressivo è perfettamente inserito nel sound, che alterna velocità e parti più moderate, dove assoli gustosamente melodici fanno la differenza rispetto ad interpretazioni del genere più ripetitive.
Un death metal d’alta scuola, dunque, con almeno la metà dei brani davvero entusiasmanti (l’opener Black River, Infamous, l’eccezionale The Clock Of Evil e la devastante Prisoner Of Christ), ma è tutto l’insieme che gira alla perfezione e ci consegna una band rinata ed un lavoro sopra le righe.
Come già scritto ci troviamo in ambito death metal classico, con la scena statunitense come punto di riferimento e la Riviera Ligure a sostituirsi alla Bay Area: per gli amanti del genere un album imperdibile.

TRACKLIST
1. Black River
2. Consumer of Souls
3. Infamous
4. Possessed
5. The Clock of Evil
6. Hate Christians
7. Brain Buried
8. Prisoner of Christ
9. Purgatory

LINE-UP
Napalm – Vocal, guitar
Docdeath – guitar
Grinder – Bass
Hayzmann – Drums

HASTUR – Facebook

Carved – Kyrie Eleison

Un’ora di musica non è poco di questi tempi, ma la qualità è talmente alta che arrivare all’epilogo è un attimo e la voglia di ricominciare il viaggio insieme al protagonista è tanta.

La nostrana Revalve Records mostra i muscoli e ci regala in questo autunno che va a cominciare il secondo lavoro degli spezzini Carved, band di melodic death metal che già aveva ricevuto elogi con il precedente Dies Irae, uscito un paio di anni fa.

Kyrie Eleison segue il concept del primo lavoro, il racconto del viaggio del protagonista alle prese con figure mitologiche incontrate durante il suo peregrinare fino alla conclusiva battaglia finale.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, l’album conferma l’ottima proposta del gruppo ligure, un melodic death metal che non si ferma agli stilemi scandinavi ma si valorizza di atmosfere e sfumature orchestrali, portando un po’ di fresco vento italiano nel genere.
Infatti, oltre all’immancabile scena scandinava (Dark Tranquillity), sono i Dark Lunacy la band che più ispira il gruppo ligure, capace in questo secondo lavoro di toccare vette emotive veramente alte.
Inutile dire che i miglioramenti rispetto al primo lavoro sono tangibili e Kyrie Eleison risulta non solo un passo avanti deciso per la band, ma un lavoro che si piazza tra i migliori dell’anno nel genere.
Una vena progressiva prende a tratti il comando del songwriting e la musica del gruppo vola (Heart Of Gaia), quindi non solo con semplici melodie orchestrali che impreziosiscono il metal estremo, ma tramite bellissime parti dove, anche grazie alla tecnica dei musicisti, il sound si trasforma in una farfalla progressive, splendida protagonista di passaggi ariosi che, in un attimo si trasformano in perle estreme.
Perfette le due voci, specialmente quella pulita, non così facile da trovare nei gruppi che la usano, mentre nei Carved è emozionale e ben inserita nelle parti; spettacolari i passaggi orchestrali, capaci di offrire una certa enfasi al sound, così da rendere  Kyrie Eleison un lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Un’ora di musica non è poco di questi tempi, ma la qualità è talmente alta che arrivare all’epilogo è un attimo e la voglia di ricominciare il viaggio insieme al protagonista è tanta.
Oltre alla già citata Heart Of Gaia, l’album è un susseguirsi di brani sopra la media con l’intensa Camlann, la carica Malice Stiker e i continui cambi atmosferici della sontuosa The Hidden Ones ad accompagnare l’album verso vette musicali molto alte.
Un album intenso, prodotto e suonato con tutti i crismi per non essere dimenticato tanto facilmente.

TRACKLIST
1.Viaticum
2.Malice Striker
3.Lilith
4.The Burning Joke
5.Heart of Gaia
6.Swamp
7.The Dividing Line
8.Absence
9.Faith
10.The Hidden Ones
11.Camlann
12.The Bad Touch

LINE-UP
Giulio Assente – Drums
Damiano Terzoni – Guitars
Alex Ross – Guitars
Lorenzo Nicoli – Vocals (backing), Bass
Cristian Guzzon – Vocals

CARVED – Facebook

Echelon – The Brimstone Aggrandizement

Un pezzo di meteorite death metal in caduta sui vostri stereo portando distruzione, morte e grande musica, come ormai ci ha abituato da tempo quel gigante estremo di Rogga Johansson.

La Transcending Obscurity e Rogga Johansson hanno scritto con il sangue un patto per portare nel mondo il verbo del metal estremo, death metal per l’esattezza efferato, crudele ed assolutamente old school.

Avevo previsto che l’anno era lungi da essere finito per il musicista svedese, un personaggio monumentale per tutto il panorama estremo mondiale, sempre in prima linea con i suoi numerosi progetti sempre di ottima qualità.
Signore e signori, vi presento gli Echelon, ennesima creatura estrema di Rogga e di cui fanno parte lo storico singer Dave Ingram (Down Among the Dead Men, Hail of Bullets, ex-Downlord, ex-Strangler, ex-Benediction, ex-Eyegouger, ex-Bolt Thrower) ed il batterista Travis Ruvo (Among the Decayed, Cropsy Maniac, Goatsoldiers, Wormfood, Akatharta, ex-Blood Freak ).
Giunto al secondo album dopo il debutto Indulgence over Abstinence Behind the Obsidian Veil uscito lo scorso anno, il trio di stakanovisti del death metal, spara altre otto mitragliate estreme, per un’altra mezzora di death metal pesante veloce, a tratti melodico, suonato e cantato alla grande.
Johansson (qui alle prese con tutti gli strumenti a parte ovviamente, lo spaccare tutto con la batteria), torna al death metal che sa suonare meglio, quel tipo di suono che nel suo paese hanno inventato e sviluppato e che ha segnato in modo indelebile la storia del genere, dunque, niente che non sia accostabile alle band di riferimento (per il sottoscritto il musicista svedese rimane il miglior erede del sound dei primi Edge Of Sanity), ma tremendamente coinvolgente, devastante e perfetto nella sua anima estrema.
Detto di una prova maiuscola di Ingram al microfono, The Brimstone Aggrandizement vive di impatto e attitudine, con solos che si scagliano violenti e melodici, su ritmiche pressoché a velocità sostenuta e tremende ripartenze sulle piste che hanno visto gareggiare, i migliori act del genere.
Un pezzo di meteorite death metal in caduta sui vostri stereo portando distruzione, morte e grande musica, come ormai ci ha abituato da tempo quel gigante estremo di Rogga Johansson.

TRACKLIST
1.Plague of the Altruistic
2.The Forbidden Industry
3.Lex Talionis
4.Of Warlocks and Wolves
5.The Brimstone Aggrandizement
6.Vital Existence
7.The Feared Religion
8.Monsters in the Gene Pool/Sonic Vortex

LINE-UP
Travis Ruvo – Drums
Rogga Johansson – All instruments
Dave Ingram – Vocals

ECHELON – Facebook

Necroven – Primordial Subjugation

Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, ma difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

Si continua imperterriti a parlare di death metal old school sulle pagine di MetalEyes.

Quello che sembra un ritorno a tutti gli effetti delle sonorità classiche, anche nel metal estremo sta riempiendo la scena underground di gruppi dall’attitudine e dai suoni vecchia scuola.
Le ristampe delle vecchie opere di band più o meno conosciute ed i nuovi lavori di chi segue la corrente classica non si contano più e, come in queste occasioni, in mezzo si possono trovare album meritevoli ed altri meno.
Rimane una piacevole invasione di creature estreme, una goduria per gli ingordi fans del genere e specialmente per chi segue le vicende musicali della scena underground.
La Memento Mori, per esempio, licenzia Primordial Subjugation, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Necroven, duo spagnolo composto da JR (chitarra, basso, batteria e voce) e FC (basso e tastiere), attivo da una manciata di anni e con alle spalle Worship of Humiliation, album uscito quattro anni fa.
Un lavoro di death metal che per impatto ed attitudine risulta 100% old school, macabro e maligno, prodotto con tutti i crismi per non intaccare l’atmosfera classica dei lavori usciti a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, terremotante ed oscuro il giusto per rientrare nelle atmosfere cimiteriali delle opere uscite in quel periodo.
Si viaggia sempre sostenuti da ritmiche veloci tra le tombe del cimitero, mentre i riff brulicano di vermi, il growl è soffocato dalla non morte ed il songwriting odora di decomposizione.
I mid tempo non sono poi così male, quando il sound frena dal cilindro la band tira fuori momenti di oscuro e pesante death metal (Esoteric Entropy), ma sono attimi, prima che i morti ritornino a camminare sulla terra e la caccia ricominci in un turbinio di maligno e malato death old school.
Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

TRACKLIST
1.Sacrificial Deliverance
2.The Pyre Cycle (Burn in Solitude)
3.Primordial Subjugation
4.The Ethereal
5.Esoteric Entropy (Gateway to the End)
6.Martyrs of Repentance
7.Serpents Crawl Stealthy

LINE-UP
JR-Guitars, Bass, Drums, Vocals.
FC- Bass, Keyboards, Effects.

NECROVEN – Facebook

Pestilence – Reflections Of The Mind

Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo.

L’importanza di una band come gli olandesi Pestilence sullo sviluppo delle sonorità estreme è risaputo, basterebbe nominare un album come il capolavoro Spheres per mettere in riga una bella fetta di storia del death metal.

Il gruppo capitanato da Patrick Mameli, specialmente nei suoi primi anni di attività si può considerare come un gruppo cardine del metal estremo, sperimentatore di sonorità lontane dai soliti cliché estremi e, nei primi anni novanta insieme ai Cynic precursore di tutto un movimento che cercava altre vie per l’evoluzione di tali sonorità.
La Vic Records mette sul mercato questa compilation di demo e brani in fase embrionale che andarono poi a comporre i tre album della prima fase del gruppo proveniente dal paese dei tulipani: Consuming Impulse, Testimony of the Ancients e appunto il capolavoro Spheres.
Rimasterizzato dal guru Dan Swanö con il supporto dell’artwork creato da Roberto Toderico, firma prestigiosa anche in casa Asphyx e Sinister, la raccolta riprende il titolo della storica compilation uscita dopo lo split del gruppo nel 1994 (Mind Reflections).
Si torna così ai primi anni novanta e le registrazioni, pur con il supporto del musicista e produttore svedese, non sono delle migliori, molti brani soffrono il passare inesorabile del tempo, anche se le chicche non mancano, con canzoni nella loro versione primaria poi riveduta e corretta al momento di inserirle negli storici lavori.
Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo, primi sussulti di un metal estremo divenuto in seguito uno dei generi più importanti della musica moderna.

TRACKLIST
1 Reflections of the Mind
2 Searching the Soul
3 Times Demise
4 Changing Perspectives
5 Level of Perception
6 Multiple Being
7 Spheres
8 Land of Tears
9 Stigmatized
10 Presence of the Dead
11 Prophetic Revelation
12 Twisted Truth
13 Pat & Pat
14 Echoes of Death
15 Secrecies of Horror
16 Testimony
17 Omens of Revelations
18 Testimonial Ideas

LINE-UP
Patrick Mameli – Bass, Guitars,Vocals
Patrick Uterwijk – Guitars
David Haley – Drums
Georg Maier – Bass

PESTILENCE – Facebook

VIII – Decathexis

Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni

Poco più di due anni fa mi ero trovato ad elogiare il primo full length dei sardi VIII, autori in quel frangente, con il loro Drakon, di un black metal dalle ampie sfumature doom e ricco di passaggi evocativi e melodici.

Le cose sono cambiate non poco nel lasso di tempo intercorso tra quell’uscita ed il qui presente Decathexis, non tanto dal punto di vista qualitativo che, come vedremo, non ha subito alcun contraccolpo, bensì da quello riferito all’approccio stilistico: gli VIII sono oggi una realtà dedita ad un black avanguardista che può essere avvicinabile ai parti più recenti della scuola francese, reso però con una personalità ed un tocco di follia che ne accentua la peculiarità.
Ed è proprio da un concept basato su stati di alterazione mentale (Decathexis significa, a grandi linee, ad una forma patologica di progressivo disinteresse e distacco nei confronti della realtà circostante) che DrakoneM, sempre aiutato dal fido drummer Mark, prende le mosse per sviluppare un lavoro impressionante per come la materia viene plasmata a piacimento senza che, alla fine, il risultato finale ne risenta particolarmente a livello di fluidità.
Non era semplice, infatti, concentrare in un solo album una simile quantità di influssi, corrispondenti ad altrettanti cambi di scenario ed atmosfera, mantenendo saldo il controllo delle composizioni senza farsi sopraffare dalla propria vis sperimentale.
Fin dall’incipit di Symptom, infatti, si intuisce che Decathexis offrirà una cinquantina minuti all’insegna di un’imprevedibilità, abbinata ad un’estremizzazione del suono che va oltre i semplici canoni del black o del death: gli VIII suonano quello che si può definire a buon titolo avantgarde metal, senza che tale definizione appaia pomposa o inadeguata
Così le incursioni del sax, strumento che da chi ascolta metal estremo viene normalmente visto come il fumo negli occhi, sono solo uno dei simboli del disagio che gli VIII traducono in musica: i tre brani, la cui delimitazione appare più una necessità che non una conseguenza logica, per cui potrebbero essere anche dieci od uno soltanto, non lasciano punti di riferimento certi ed è quasi impossibile prevedere quale direzione prenderà il sound.
Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni, rischiando del loro con l’abbandono di strade più confortevoli ma ottenendo un risultato davvero soddisfacente, che lascia quale unico interrogativo la reazione di chi ha seguito le prove del passato al cospetto di una sterzata così decisa e violenta inferma al proprio modus operandi.
Poco male, visto che auspicabilmente DrakoneM e Mark dovrebbero ottenere nuovi e numerosi consensi per un album che va assaporato, comunque, mantenendo un’ampia apertura mentale.

Tracklist:
1. Symptom
2. Diagnosis
3. Prognosis

Line-up:
DrakoneM – Guitars, Bass, Synth, Vocals (additional)
Mark – Drums

VIII – Facebook

Deranged – Struck by a Murderous Siege

Otto monumenti al genere più estremo della corrente death, niente di più, niente di meno … ma è un bel sentire.

Gruppo cult della scena estrema svedese, i Deranged tornano con un nuovo devastante lavoro tramite Agonia Records e sono dolori.

Non solo black e death melodico, dal lontano 1991 i Deranged portano alta la bandiera insanguinata del death metal brutale, la loro discografia conta (oltre a qualche lavoro minore) ben nove full length, compreso questo nuovo album, registrato presso Berno Studio di Malmö (Amon Amarth, The Crown, Witchery).
Struck by a Murderous Siege segue le coordinate stilistiche che da anni sono le caratteristiche del gruppo, un brutal dath metal efferato, tecnicamente sopra la media contraddistinto da una velocità tenuta a freno da muri di potentissimo metal estremo.
In città sgorga sangue, le acque del fiume si colorano di rosso porpora e in questa visuale distruttiva il quartetto di Hjärup ci va a nozze, infliggendo colpi mortali, pesanti deflagrazioni di metal estremo sulla scia dei soliti nomi affiancati al genere.
Il sound come al solito si avvicina alla tradizione statunitense e per i fans di Cannibal Corpse, Malevolent Creation anche questo nuovo album non può che riservare una quarantina di minuti di pura e violenta goduria.
Il gruppo, anche se sempre all’ombra delle band di punta, ha raggiunto un’esperienza tale da non sbagliare un colpo, il livello medio si mantiene buono e per chi predilige cambi di ritmo, pesanti mid tempo, solos urlati e growl da orso ferito, non può perdersi questo brutale ed ennesimo capitolo di una storia lunga più di venticinque anni.
Otto brani, otto cannonate senza soluzione di continuità, otto monumenti al genere più estremo della corrente death, niente di più, niente di meno … ma è un bel sentire.

TRACKLIST
1. The Frail Illusion of Osteology
2. Hello from the Gutters
3. Reverent Decomposition
4. Shivers Down Your Broken Spine
5. Cold Icy Hands
6. Struck by a Murderous Siege
7. Toy Box Torture Chamber
8. Undead Instrument by Grim Ascendancy

LINE-UP
Rikard Wermén – Drums
Thomas Ahlgren – Guitars
Andreas Johansson – Bass
Anders Johansson – Vocals

DERANGED – Facebook

Hierophant – Mass Grave

Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.

A chi ha occhi e soprattutto voglia di vedere la situazione appare in tutta la sua chiara gravità: siamo fottuti, e bisogna che qualcuno come gli Hierophant ce lo ricordi.

Il gruppo ravennate è in giro dal 2010 e fa musica violenta, pesante e maledettamente affascinante, musica catartica. Nel loro terzo disco gli Hierophant raggiungono forse la loro maturazione definitiva, anche se si spera che le loro sepolture di massa continuino per molto tempo ancora. Il loro stile è un misto di death metal, hardcore furioso e un’aggressività simile a quella dei compianti The Secret ma più intelligibile e maggiormente metal. Il loro intento è quello di scuotere l’ascoltatore, e di farlo muovere per tutta la durata del disco o del concerto. La bravura degli Hierophant ha già da tempo travalicato i confini patri, ed infatti sono molto apprezzati sia in Europa che nel mondo. Maggiore effetto ed efficacia al massacro è data dalla produzione di Taylor Young, uno che con Nails ed altri gruppi ha già provocato diversi denti rotti in giro per il mondo. Rispetto ai precedenti e già ottimi album degli Hierophant questo forse è il più strutturato, il più violento ed il più death metal, e non c’è davvero un attimo di tregua. Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.
Tenebre, cenere e rumore, è quello che siamo.

TRACKLIST
01. Hymn of Perdition
02. Execution of Mankind
03. Forever Crucified
04. Mass Grave
05. Crematorium
06. In Decay
07. Sentenced to Death
08. The Great Hoax
09. Trauma
10. Eternal Void

LINE-UP
Giacomo – Bass, Vocals
Ben – Drums
Lollo – Guitars, Vocals
Steve – Guitars

HIEROPHANT – Facebook

Netherbird – The Grander Voyage

La mancanza di spunti innovativi è ampiamente compensata dalla capacità di comporre brani avvincenti, orecchiabili ma non banali, trasportando con un certo agio l’ascoltatore dall’inizio alla fine senza fargli avvertire alcun sintomo di stanchezza.

Gli svedesi Netherbird sono una band attiva ormai da una dozzina di anni, con una produzione già piuttosto corposa alle spalle senza che, purtroppo, il loro nome sia mai spiccato in maniera particolare nell’affollata scena estrema scandinava.

Potrebbe giungere a cambiare le cose questo loro quarto full length intitolato The Grander Voyage, con il quale vengono riportate in auge sonorità che trovarono un certo spazio all’inizio del millennio.
Per rinvenire dei possibili punti di riferimento per i Netherbird è opportuno spostarsi nella vicina Finlandia dove, nello scorso decennio, band come Catamenia e Norther diedero alle stampe lavori di un certo spessore al’insegna del death black melodico.
Va detto, a onor del vero, che la genesi del gruppo svedese è di poco posteriore rispetto ai nomi citati e, quindi, parlare di influenze vere e proprie non è corretto, mentre appare più lecito segnalarne le affinità al fine di inquadrarne al meglio il sound.
Il sottogenere in questione, per sua natura, deve coinvolgere ed emozionare, avvalendosi di cavalcate in crescendo nelle quali gran parte del lavoro viene affidato dal punto di vista melodico al tremolo delle chitarre, mentre le tastiere svolgono un ruolo importante ma limitato all’accompagnamento, senza debordare come avviene nella variante sinfonica.
Tutto ciò si palesa in maniera perfetta nel lavoro dei Netherbird, i quali sciorinano una quarantina di minuti impeccabili, nei quali la mancanza di spunti innovativi è ampiamente compensata dalla capacità di comporre brani avvincenti, orecchiabili ma non banali, trasportando con un certo agio l’ascoltatore dall’inizio alla fine senza fargli avvertire alcun sintomo di stanchezza.
Detto che, per gusto personale, ho sempre prediletto questo tipo di sonorità rispetto al più canonico death melodico, trovo che The Grander Voyage sia un magnifico album, impreziosito da alcuni gioielli come la cangiante The Silvan Shrine, dalle superbe linee melodiche, e Windwards, che si snoda in maniera splendida tra pulsioni folk e maideniane.
Non so se ciò possa bastare ai Netherbird per migliorare in maniera sensibile il loro attuale status: dal mio punto di vista lo meriterebbero, ma ho il timore che un bellissimo album come The Grander Voyage sia, a modo suo, leggermente fuori tempo massimo, anche la buona musica di norma dovrebbe esulare da queste considerazioni.

Tracklist:
1. Pale Flames on the Horizon
2. Hinterlands
3. Dance of the Eternals
4. Windwards
5. Pillars of the Sky
6. The Silvan Shrine
7. Emerald Crossroads

Line-up:
Bizmark (PNA) – Guitars, Keyboards, Vocals (backing), Bass
Nephente – Vocals
Nord – Guitars, Vocals (backing)
Tobias Jacobsson – Vocals (backing)
Micke André – Vocals (backing)

NETHERBIRD – Facebook

Lectern – Precept Of Delator

I Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio

Una schiera di demoni inviati da Satana riesce ad impossessarsi del segreto dell’onnipotenza di Dio , i seguaci del bene vengono cancellati e il male assoluto domina per l’eternità.

Tornano i mastodontici e ferocissimi Lectern, band proveniente dalla capitale che Iyezine aveva già avuto modo di conoscere con il precedente e devastante Fratricidal Concelebration, uscito lo scorso anno.
Al secondo full length il gruppo conferma tutto il bene scritto al riguardo, mettendo in mostra una vena compositiva fuori dal comune, tanta belligeranza, ed un’attitudine malvagia che sprigiona in tutta la sua blasfema cattiveria in questo monumentale Precept Of Delator.
Registrato ai The Outer Sound Studios, l’album vede alla produzione Giuseppe Orlando come avvenuto in passato, perciò aspettatevi un disco dal taglio internazionale, con suoni che escono puliti senza essere troppo cristallini, in perfetta linea con il metal estremo suonato dalla band, un death metal classico di matrice statunitense, con l’ottima tecnica strumentale in evidenza, straordinario nella sua potenza distruttiva, e con una forma canzone che entusiasma.
Una mazzata metallica che equivale ad uno tsunami, con brani veloci, furiosi, pregni di malsana attitudine old school al servizio delle legioni del male, in un vortice di cambi di tempo, solos che strappano le carni come uncini appesi alle pareti di celle nella torre dove Satana guida i suoi demoni per la destabilizzazione totale del bene.
Con Gabriele Cruz che prende il posto di Enrico Romano alla seconda chitarra, i Lectern sono pronti a conquistare gli appassionati a colpi di death metal, con una serie di brani eccezionali (Palpation of Sacramentarian, l’oscura e devastante Distil Shambles e la title track sono di un’altra categoria), ed un secondo lavoro che riesce nella non facile impresa di superare il già ottimo debutto.
Oscuri, brutali e senza compromessi, i Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio.

TRACKLIST
1.Gergal Profaner
2.Palpation of Sacramentarian
3.Fluent Bilocation
4.Distil Shambles
5.Pellucid
6.Diptych of Perked Oblation
7.Garn for Debitors
8.Precept of Delator
9.Discorporation with Feral

LINE-UP
Fabio Bava- vocals, bass
Pietro Sabato- guitar
Gabriele Cruz- guitar
Marco Valentine- drums

LECTERN – Facebook

Ceremony – Tyranny From Above

Un’opera per deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni

Tempi di ristampe in casa Vic Records, intenta a riesumare storici album estremi come questo Tyranny From Above, primo ed unico full length dei Ceremony, band proveniente dalla scena olandese che all’alba degli anni novanta dettava legge in campo death metal.

Nati nel sul finire del decennio precedente il gruppo di Peter Verhoef (per un periodo anche nei Phlebotomized) e che ha visto devastare bassi da Ron van de Polderm, membro originario dei Sinister, ha lasciato ai posteri, oltre a questo lavoro, un demo, un ep ed un promo.
Erano altri tempi ed anche un solo album poteva regalare una sorta d’aura di culto ai gruppi estremi, in un periodo in cui le uscite discografiche erano ancora limitate all’uscita nei negozi e non vomitate dal web.
La band olandese si creò quindi questa sorta di immortalità artistica, sicuramente meritata con questo album, un ottimo esempio di death metal dell’epoca, oscuro, soffocante pregno di ritmiche al limite del thrash, growl brutale e rallentamenti doom/death.
Death metal cupo, reso ancora più oscuro da una produzione old school che ne aggrava la componente estrema, all’epoca riassunta in vortici di musica dal mood dark e mitragliate in blast beat.
Nel disco troviamo come bonus l’ep del 1992 Inclemency e il demo, ultimo vagito della band del 1994.
Un’opera ad esclusiva dei deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni, ed una band storica del death metal suonato nei Paesi Bassi, genere che ha fatto scuola anche alle nuove legioni sparse per il mondo.

TRACKLIST
1. Inner Demon
2. Drowned in Terror
3. Solitary World
4. Ceremonial Resurrection
5. When Tears Are Falling
6. Humanity
7. Beyond the Boundaries of This World
8. Tribulation Foreseen
9….Humanity…
10. Tribulation Foreseen
11. Essence of Alteration
12. Immortality of the Gods
13. Tyranny from Above

LINE-UP
Micha Verboom-vocals
Johan van der Sluijs-guitar
Patrick van Gelder-drums
Peter Verhoef-guitar

CEREMONY – Facebook

Kingdom – Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment

Siamo lontani dai gruppi estremi che vanno per la maggiore, il sound dei Kingdom è underground nel vero senso della parola, onesto e blasfemo nella sua natura, devoto alla parte più malvagia ed estrema del genere.

Dalle fredde lande polacche tornano, tramite la Godz Ov War Productions, i Kingdom con il loro terzo lavoro sulla lunga distanza, un abominio sonoro, tutto odio ed anticristianità dal titolo Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment.

Ed è in un abisso di tormenti che ci scaraventano i tre polacchi, con il loro death metal old school, potenziato da furiose accelerazioni thrash ed efferata attitudine black.
Produzione scarna, suono marcatamente classico, impatto da tregenda, l’album risulta così senza compromessi, un lavoro che non concede tregua in un delirio estremo senza soluzione di continuità.
Siamo lontani dai gruppi estremi che vanno per la maggiore, il sound dei Kingdom è underground nel vero senso della parola, onesto e blasfemo nella sua natura, devoto alla parte più malvagia ed estrema del genere.
I riferimenti allo stile nato nel loro paese non sono poi così scontati, vero che l’aggressione sonora ad un primo ascolto porta inevitabilmente ai gruppi storici della scena est europea, ma i Kingdom mantengono un approccio marcatamente old school, rimando confinati nel buio abisso dove le anime tormentate non trovano pace, ma solo la dannazione eterna.
La furia sprigionata da brani come Monolith of Death o Black Rain upon the Mountain of Doom, l’atmosfera maligna e doomy della raggelante Abyss Of Torment, danno al disco quel tocco diabolico e cattivo insito nel gruppo, e fanno di Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment un’opera oscura, marcia, soffocante e, di conseguenza, rivolta agli appassionati più fedeli al genere.

TRACKLIST
1. Sepulchlar Psalms
2. Monolith of Death
3. Forsaken Tribe
4. Kaplica Ducha Zgniłego
5. Abyss of Torment
6. Black Rain upon the Mountain of Doom
7. Whispering the Incantation of Eternal Fire
8. Cromlech (Darkthrone cover)

LINE-UP
SLW – Drums
LWN – Vocals, Guitar
STH – Bass

KINGDOM – Facebook

Detonation – Reprisal

I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scafali degli amanti dei suoni estremi

Altra ristampa per la Vic Records, questa volta il gruppo in questione sono i Detonation, deathsters olandesi attivi nel primo decennio del nuovo millennio con un ep, due demo e quattro full length, di cui l’ultimo è questo ottimo Reprisal uscito nel 2011.

Il quintetto di Utrecht si è fermato a questo lavoro, un peccato perché l’album risulta una mazzata niente male.
Death/thrash, furioso, ma pregno di melodie chitarristiche di ispirazione melodic death metal, così da coinvolgere non poco.
Il cantato si avvicina a quello di Mikael Stanne dei Dark Tranquillity, il sound non lascia dubbi basandosi su criteri moderni, con le ritmiche incentrate su accelerazioni devastanti e lasciando a tratti che andamenti marziali siano attraversati da ottimi solos di scuola scandinava.
Reprisal si discosta dalla scuola olandese e si avvicina a quella scandinava, in uno smottamento creato da terremotanti impulsi estremi e da vorticosi riff e blast beat.
Poco più di mezz’ora ma tanto basta ai Detonation per procurare danni, i brani si susseguono in un massacro, che conosce attimi di lucida follia metallica soprattutto per il gran lavoro delle due asce davvero ispirate.
Death, thrash e melodic death metal sono uniti nel portare distruzione ai nostri padiglioni auricolari, ma il bello è che tracce devastanti come There Is No Turning Back, Absentia Mentis o la bordata distruttrice Falling Prey, mantengono una forma canzone strepitosa.
I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scaffali degli amanti dei suoni estremi, grazie ad una ristampa decisamente opportuna.

TRACKLIST
1. Enslavement
2. There Is No Turning Back
3. Feeding on the Madness
4. Ruptured
5. Absentia Mentis
6. Washing Away the Blood
7. Falling Prey
8. Insults to My Heritage

LINE-UP
Mike Ferguson – Guitars
Koen Romeijn – Guitars, Vocals
Otto Schimmelpenninck van der Oije – Bass
Michiel van der Plicht – Drums
Danny Tunker – Guitars

DETONATION – Facebook

Eteritus – Following the Ancient Path

Un album che farà strage di cuori sanguinanti, ancora aperti dagli squarci lasciati dalle opere dei primi anni novanta.

Gran bella sorpresa per gli amanti dei suoni estremi di matrice old school.

Dalla Polonia i deathsters Eteritus, dopo l’ ep Tales Of Death uscito un paio di anni fa, tornano all’attacco con il primo lavoro sulla lunga distanza, questo Following the Ancient Path che risulta un piccolo gioiellino per i fans dei suoni divenuti storici dei primi anni novanta.
Death metal classico dai rimandi scandinavi (Entombed, Dismember), un’aggressione senza soluzione di continuità, tanta attitudine old school, ed un buon lavoro (Michał Barski) alla consolle che ne accentua il feeling con l’ascoltatore, sono le virtù primarie del disco che conferma le buone impressioni lasciate dall’ep e ne bisserà sicuramente il successo tra i fans dell’underground estremo.
L’album tra mid tempo di scuola death metal ed accelerazioni thrash Slayer style, imprime il marchio di fabbrica scandinavo e si completa con un songwriting ispirato.
Nella sua mezzora abbondante di durata, i cliché del genere fanno bella mostra di sé, tra stop and go, brusche frenate e ripartenza ritmiche travolgenti ed il growl alla Petrov era Wolverine Blues che accentua le reminiscenze Entombed.
Following the Ancient Path, un pugno nello stomaco ai fanatici dell’originalità a tutti i costi e di chi vede nelle sonorità old school un modo obsoleto di fare musica estrema, un uno-due micidiale portato al ventre dei detrattori del generi, a colpi di mitragliate sonore come Biocentric, Incinerator ed End Of Line, la più violenta ed efferata tra tutte le traccie del disco.
Ottimo il lavoro delle sei corde protagoniste di solos cristallini e dal giusto mix tra potenza e melodia, un carro armato la sezione ritmica, ma è la forma canzone che nell’album funziona perfettamente.
Un album che farà strage di cuori sanguinati, ancora aperti dagli squarci lasciati dalle opere dei primi anni novanta.

TRACKLIST
1.Intro
2.Biocentric
3.Hellish Imagery
4.The Unliving Thing
5.Eye of the Storm
6.Incinerator
7.Somber Mind
8.End of Line
9.Mortal Prophecy

LINE-UP
Liam Tailor – guitars, vocals
Zima – guitars
Greg – bass
Nitro – drums

ETERITUS – Facebook

Devil Drone – Erebo

Un gioiellino estremo questo Erebo, efficace ed intenso, dove tutto viene raso al suolo da una carica adrenalinica e senza compromessi.

Il ronzio del diavolo, oltre che essere di natura malvagia non può che tramutarsi in un devastante esempio di metal estremo, death metal e thrash alleati e al servizio dell’oscuro signore degli inferi.

Ne esce una bomba metallica scagliata dal Monte Amiata (Toscana) ed esplosa un paio di anni fa, ora tornata a fare danni sotto l’ala del Mazzarella Press Office che ne cura la distribuzione.
I Devil Drone sono un quartetto fondato nel 2009 ad Arcidosso ed Erebo, il primo lavoro, risale appunto al 2014: una mezzora di malvagità death/thrash direttamente dall’inferno, undici brani a formare un muro di granito estremo, tecnicamente perfetto, violento e travolgente che amalgama tradizione death metal con moderne soluzioni thrash ed il risultato è di fronte a noi.
Erebo è il regno del caos, dell’oscurità, il luogo ultraterreno dove risiede il male, e di male la musica del gruppo ne scaturisce tanta, con questo lavoro che è un susseguirsi di brani devastanti, vari e fantasiosi nelle ritmiche che passano da potenti e monolitiche parti death, a mitragliate thrash metal, mentre un growl rabbioso e cangiante ci accompagna in questo malefico caos primordiale.
Un gioiellino estremo questo Erebo, efficace ed intenso, dove non ci si perde in solos (la sei corde accompagna e potenzia le ritmiche) e tutto viene raso al suolo da una carica adrenalinica e senza compromessi.
Valorizzano il tutto due geniali citazioni tratte da un paio di film dei primi anni settanta: la prima chiude il brano The Avenger ed è estratta dal capolavoro di Stanley Kubrick, Arancia Meccanica, mentre la seconda proviene da Continuavano A Chiamarlo Trinità, dove è chiara la voce del compianto Bud Spencer e apre la conclusiva Trip.
Sta a voi scoprire le frasi in oggetto, anche perché perdersi un album del genere è peccato mortale … non si sa mai che il diavolo venga a sussurrarvi in un orecchio.

TRACKLIST
01. The Avenger
02. Stand out
03. The new ruin
04. Stampede
05. Shadow of the Beast
06. Revolution
07. Hearth Fury
08. Wreck!
09. Vampire Eyes
10. Cancer
11. Trip

LINE-UP
Giordano Felici Fioravanti – bass
Luca “Belial” Mazzolai- Vocals
Fabrizio Guerrini – Guitars
Leonardo Farmeschi – drums

DEVIL DRONE – Facebook

Pay For Pleasure – Pay For Pleasure

Un viaggio nel mondo estremo, così viene presentato l’album: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere disturbanti.

I Pay For Pleasure sono un progetto del musicista Anuar Arebi , in questo caso polistrumentista, aiutato su questa sua prima opera da tre vocalist che si alternano sui vari brani (Michele Montaguti, Matteo Marteli e Stefania Martin).

Un viaggio nel mondo estremo, non solo musicale, così viene presentato l’album, un immersione passo dopo passo, brano dopo brano nell’estremismo visto nell’arte in generale: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere il più disturbante possibile.
Arebi per descrivere il concept, gioca con una buona fetta di generi che compongono il mondo del metal estremo ed l’ascolto se ne giova risultando vario, oscuro, devastante ma variopinto in arcobaleni dalle sfumature nere come la pece.
Non ci fa mancare nulla il polistrumentista nostrano, passando dal death metal old school, a sonorità più moderne, da brani dove comanda il thrash metal, ad altri dove esce un’anima evil e gotica, tra urla di dolore infinito, torture mentali e terrore profondo.
Il bello è che le tracce mantengono comunque una potenza ed un impatto devastante, un massacro dove la sei corde spara solos al fulmicotone ed i vocalist imprimono di pazza rabbia e sofferenza terribile le atmosfere disturbanti di Pay For Pleasure.
Tra i brani, molti davvero interessanti, The Hanged Man è un piccolo gioiellino estremo, cantata da Matteo Marteli con una forza interpretativa notevole.
Da segnalare la cover di Battery dei Metallica posta prima della conclusiva atmosfera gotica di 25, brano che conclude, accompagnato dalla voce eterea di Stefania Martin, questo affascinante lavoro.

TRACKLIST
1.Matter to Energy
2.The Judgment
3.Burning Times of This Anxiety
4.Daze Suffocation
5.Everlasting Pain
6.Blasted Heart
7.The Hanged Man
8.Carnage Rhapsody
9.State of Insanity (Disturbed Bed Rest)
10.Battery
11.25

LINE-UP
Anuar Arebi – Guitars, Bass, Keyboards, Drums, Programming, Vocals (additional)

Stefania Martin – Vocals
Michele Montaguti – Vocals, Lyrics
Matteo Marteli – Vocals

PAY FOR PLEASURE – Facebook