Necrovorous – Plains Of Decay

Il secondo devastante lavoro sulla lunga distanza per i deathsters greci Necovorous possiede tutti i crismi per essere consigliato agli amanti del death metal old school.

Un macigno death metal niente male Plains Of Decay, nuovo lavoro dei Necrovorous, attivi in Grecia da una dozzina d’anni, protagonisti di molti lavori minori, ma arrivati con questo maligno e devastante album al secondo sulla lunga distanza.

Kostas K. non le manda certo a dire e con il suo brutale vocione ci spinge nel vorticoso rifferama composto dal gruppo, che si avvale di altri due energumeni come Marios P. (chitarra e basso) e Vangelis F.(batteria).
Molto presente nella scena estrema underground e con una buona esperienza in sede live, il gruppo proveniente dalla capitale conferma l’ottima tradizione ellenica nel metal estremo, magari per le belligeranze black ma altrettanto meritevole d’attenzione se si parla di death metal classico.
The Sun Has Risen in a Land I No Longer See apre le ostilità, seguita dal massacro Cherish The Sepulture: l’odore di marcio si fa prepotente e fastidioso nelle narici, i piedi avanzano nella melma e i sei minuti abbondanti di Eternal Soulmates ci costringono ad accelerare il passo, prima che le frenate doom alla Asphyx di Psychedelic Tribe of Doom ci facciano cadere in un oscuro e terrorizzante abisso.
Le influenze del gruppo greco sono da attribuire alla tradizione classica del death metal più torbido (Death, Massacre, Necrophagia), mentre la letale Misery Loves Death Company e l’andamento funereo della conclusiva The Noose Tightens, death doom metal song intensa e apice dell’album, mettono il sigillo su questo scrigno di morte targato Necrovorous.

Tracklist
1. The Sun Has Risen in a Land I No Longer See
2. Cherish The Sepulture
3. Eternal Soulmates
4. Plains of Decay
5. Psychedelic Tribe of Doom
6. Faces of Addiction
7. Red Moon Rabies
8. Misery Lovers Dead Company
9. Lost in a Burning Charnel Ground
10. The Noose Tightens

Line-up
Kostas K. – Vocals
Marios P. – Guitars, Bass
Vangelis F. – Drums

NECROVOROUS – Facebook

Prophets Of Rage – Prophets Of Rage

Qui ci sono appunti di viaggio, canzoni che scorrono bene, sicuramente il concerto sarà carino, viste le capacità istrioniche di tutti loro, ma sembra un’occasione sprecata per poter spostare gli equilibri ancora una volta, dando una nuova veste alla rabbia che monta quotidianamente.

I Prophets Of Rage sono il gruppo che gli amanti della congiunzione carnale fra rap e metal avrebbero sempre voluto ascoltare, essendo composti dai Rage Against The Machine con unico escluso Zack De La Rocha (lo potete incontrare di sicuro quando i Lakers giocano in casa), B–Real dei Cypress Hill e Dj Lord e Chuck D dei Public Enemy.

Viste le premesse di questo super gruppo ci si aspettava un super disco, anche se il precedente ep The Party’s Over aveva fatto capire che c’era ancora bisogno di calibrare le forze. Prophets Of Rage è un buon disco, regge bene l’impatto ed è stato composto e costruito per essere suonato dal vivo, anche perché il concerto è ormai l’unica fonte di introito per un musicista. La struttura musicale fondamentale è quella dei RATM, anche perché in pratica chi suona gli strumenti in questo gruppo viene da lì, con Tom Morello che conduce le danze, essendo il vero deus ex machina del gruppo. Quindi compare il funk nella costruzione della canzone, con quel saliscendi tipico della band; buono è anche l’apporto della parte hip hop, e una delle cose migliori del disco è la sapiente regia di Dj Lord dei Public Enemy, uno dei meno conosciuti ma maggiormente bilanciati dj del mondo. Tutto funziona al meglio, ma l’impressione è che ci sia limitati a fare un compitinom seppur buono e al di sopra della media, ma ci si sarebbe aspettato qualcosa di diverso dall’unione di tali titani. Prophets Of Rage sembra quasi un disco dei Rage Against The Machine, senza certe asperità e ruvidezze che li avevano resi famosi, con tutti gli altri come ospiti. Questa gente ha creato pietre miliari nei loro generi inventando stili e musiche che hanno influenzato moltissime band; qui ci sono appunti di viaggio, canzoni che scorrono bene, sicuramente il concerto sarà carino, viste le capacità istrioniche di tutti loro, ma sembra un’occasione sprecata di poter spostare gli equilibri ancora una volta, dando una nuova veste alla rabbia che monta quotidianamente. Bene, ma si poteva fare decisamente meglio.

Tracklist
1. Radical Eyes
2. Unf–k the World
3. Legalize Me
4. Living on the 110
5. The Counteroffensive
6. Hail to the Chief
7. Take Me Higher
8. Strength in Numbers
9. Fired a Shot
10. Who Owns Who
11. Hands Up
12. Smashit

Line-up
Tom Morello – Guitar
Tim Commerford – Bass
Brad Wilk – Drums
Chuck D – Voice
B-Real – Voice
DJ Lord – Turntables

PROPHETS OF RAGE – Facebook

D.O.G. Disciples Of God – Unleashed

Un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare la miracolo, ma funziona.

Ancora ottimo metal in arrivo dagli Stati Uniti tramite l’attivissima Roxx Records, label specializzata in metal a sfondo cristiano.

Sempre poco conosciuto, il christian metal abbraccia non solo l’heavy metal tradizionale ed il power, ma sconfina molte volte in altri sottogeneri, l’importante è essere cristiani convinti e seguire la parola di Dio, il resto va da sé.
Questa scelta non inficia il valore dei prodotti, molto spesso di buon livello e noi, che per prima cosa siamo interessati alla musica, non possiamo che rallegrarcene avendo la possibilità di potervene parlare.
I D.O.G. (Disciples Of God) sono la nuova proposta della label statunitense, un super gruppo composto da vecchie volpi della scena come Terry Russell (Holy Soldier), Larry Farkas (Vengeance Rising) e Scott Strickland (Neon Cross): il bello viene quando, premendo il tasto play del vostro lettore, vi ritroverete al cospetto di un gruppo dal sound diretto, sporco, dal buon groove ma anche da ottime sferzate thrash metal vecchia scuola.
Motorhead vs primi Metallica, ci raccontano i tipi della Roxx, e non ci vanno poi molto distanti, specialmente riguardo ai quattro cavalieri di Frisco, quelli giovani, arrabbiati e senza compromessi.
Unleashed è un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare al miracolo, ma funziona: l’album così ci ricorda, per mezzo di bombe come No One Rides For Free, Seeking Your Face e l’irresistibile Armageddon, di come anche al Signore piace l’heavy metal, e di come suoi paladini armati di fede e strumenti sappiano suonarlo con ottimo feeling ed impatto.
Un’altra band da annoverare tra le migliori novità del rooster della Roxx Records, senza dubbio meritevole di un ascolto.

Tracklist
1. No One Rides For Free
2. Seeking Your Face
3. Pay The Piper
4. Into Thin Air
5. Aliens and Strangers
6. Armageddon
7. Life or Death
8. Hey You

Line-up
Terry Russell
Larry Farkas
Scott Strickland

D.O.G. – Facebook

Old Night – Pale Cold Irrelevance

Questo disco d’esordio degli Old Night si presenta come una delle più belle sorprese dell’anno in ambito doom.

Questo disco d’esordio degli Old Night si presenta come una delle più belle sorprese dell’anno in ambito doom.

La band istriana, guidata da Luka Petrović, membro di una band storica della scena croata come gli Ashes You Leave, imprime da subito la propria interpretazione del genere, con l’intento piuttosto evidente di proporre un doom tradizionale ma con ampie sfumature che riportano al grunge più evocativo, e in primis agli Alice in Chains
Autori di una prova superba su tutta la linea, gli Old Night si avvalgono della notevole prestazione vocale di Matej Hanžek, raro esempio di equilibrio laddove molti eccedono in tonalità troppo stentoree oppure scelgono soluzioni opinabili.
Il substrato sonoro è robusto e rallentato come da copione ma la differenza viene fatta appunto da quella componente che trasporta i ragazzi di Rjieka direttamente all’estremo nord della West Coast senza che il tutto appaia affatto forzato e derivativo.
Pale Cold Irrelevance cresce con gli ascolti oltre che con lo scorrere della tracklist, avviandosi con brani più vicini al doom classico, pur se parzialmente intrisi di una componente alternative, per poi approdare ad una seconda metà davvero splendida, con una Architects of Doom degna dei miglior brani cadenzati degli Alice In Chains, per arrivare alle conclusive Something is Broken e Contemptus Mundi, quest’ultima splendente gioiello che si avvale di uno dei tanti ottimi assoli di Bojan Frlan, fotografando al meglio il talento e la maturità di questi ragazzi croati.
Da non sottovalutare neppure una evocativa Thieves of Innocence, altra testimonianza di una rara freschezza nella scrittura, nonostante le sonorità esibite affondino saldamente le loro radici nei fertili anni novanta; Pale Cold Irrelevance si colloca senza dubbio tra i migliori esordi di quest’anno, presentandoci nella maniera più sfolgorante una nuova band come gli Old Night, in grado di emozionare riproponendo in maniera personale sonorità immortali, in barba ai molti che frettolosamente le ritengono già archiviate.

Tracklist:
1. The Last Child of Doom
2. Mother of all Sorrows
3. Thieves of Innocence
4. Architects of Doom
5. Something is Broken
6. Contemptus Mundi

Line up:
Matej Hanžek – Vocals (lead), Guitar
Luka Petrović – Bass, Vocals
Nikola Jovanovic – Drums
Bojan Frlan – Guitars (lead)
Ivan Hanžek – Guitars (lead), Vocals

OLD NIGHT – Facebook

Klogr – Keystone

Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.

Torna sul mercato il gruppo alternative metal/rock nazionale che meglio ha fatto in questi ultimi anni.

Sono passati ormai due anni da quando la band di Gabriele “Rusty” Rustichelli licenziava l’ep Make Your Stand, con incluso un dvd che immortalava il gruppo sul palco del Live Club Di Trezzo nel 2014 e confermava, specialmente a chi aveva solo sentito parlare dei Klogr, l’enorme potenziale che il quartetto si portava appresso.
Vero è che la band ha continuato a solcare palchi in giro per il mondo accompagnando nomi storici come i Prong di Tommy Victor, trovando comunque il tempo di registrare la chiave di volta, il viaggio musicale che il gruppo nostrano ci invita ad intraprendere per giungere alla comprensione di ciò che tiene insieme l’equilibrio del mondo.
Keystone si nobilita di questo difficile e serioso concept per espanderlo su un alternative metal altamente melodico, ma che non manca di una componente thrash e con la voce del leader ad alternare sapientemente un cantato dal piglio melodico e un altro più rabbioso ed in linea con l’anima metallica del gruppo.
Come ormai da tradizione i Klogr non risparmiano ritornelli accattivanti, molte volte in contrasto con la forza espressiva della musica che raggiunge lidi di potenza ben oltre le classiche ripartenze dei gruppi alternative, amalgamando thrash metal classico e moderno e inserendolo in un contesto che spinge la musica verso gli Alter Bridge.
Ecco in due parole la chiave di volta per comprendere la musica dei Klogr, che si rivelano degli Alter Bridge induriti e trasformati in una macchina metal da iniezioni metalliche e da qualche passaggio alla Prong.
Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia (Dark Tides), prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.
Prison Of Light, la devastante Technocracy, Pride Before The Fall, l’inizio a tutta velocità thrash di Enigmatic Smile sono i momenti più intensi di Keystone, album riuscito che rappresenta une ottimo ritorno per i Klogr.

Tracklist
1.Sleeping Through The Seasons
2.Prison Of Light
3.Technocracy
4.The Echoes Of Sin
5.Pride Before The Fall
6.Something’s In The Air
7.Drag You Back
8.Sirens’ Song
9.Dark Tides
10.Silent Witness
11.Enigmatic Smile
12.The Wall Of Illusion

Line-up
Gabriele “Rusty” Rustichelli – Vocals, Guitar
Pietro Quilichini – Guitars
Maicol Morgotti – Drums
Roberto Galli – Bass

KLOGR – Facebook

The Wake – Earth’s Necropolis

Il black metal offerto in questo esordio intitolato Earth’s Necropolis è connotato da un grande equilibrio tra furia ritmica e melodia, il che rende ogni traccia meritevole di ascolto.

The Wake è il nome di questa nuova band formata da due soli musicisti, uno rumeno e l’altro tedesco, celati dietro gli pseudonimi V e XII.

Indipendentemente da chi siano effettivamente i due, appare subito evidente che si tratta di elementi sicuramente esperti e comunque a proprio agio con la materia: infatti il black metal offerto in questo esordio intitolato Earth’s Necropolis è connotato da un grande equilibrio tra furia ritmica e melodia, il che rende ogni traccia meritevole di ascolto.
A livello stilistico ci si trova comunque in lidi tipicamente scandinavi, in quanto non sembrano prevalere in maniera netta le componenti tipiche né della consolidata scena tedesca né di quella emergente rumena
Il black dei The Wake ha un notevole impatto e non è scevro di una sua aura drammatica, grazie ad un bel lavoro chitarristico di XII, che delinea armonicamente il sound a cui fa da contraltare lo screaming di V, la cui provenienza dalla band hardcore di Costanza Protest Urban si evince non solo nello stile vocale ma anche da alcune sfuriate tipiche (Lost Painting), anche se di fatto il lato compositivo è appannaggio del chitarrista/bassista di nazionalità tedesca, facente parte peraltro di una band di buona notorietà come i Night In Gales.
Indubbiamente, il gusto melodico che è un tratto dominante della band madre è stato ampiamente trasferito ai The Wake, associandolo con naturalezza e sapienza alla componente black e portando a risultati di un certo spessore, rappresentati da brani azzeccati e trascinanti come Ship Of Hope, Earth’s Necropolis e la magnifica Trial Against Humanity, con gli ultimi due rinforzati dalle ospitate vocali di Michael Pilat e Costin Chioreanu, rinomato grafico oltre che leader degli ottimi Bloodway.
In definitiva, Earth’s Necropolis è un altro album da non perdere per chi desidera ascoltare sonorità riconducibili ai primi Dissection e successiva genia svedese, il tutto reso peraltro con un gusto piuttosto personale.

Tracklist:
1. Proem”
2. Isolated Illusion
3. Lost Painting
4. Cadavers
5. Ship Of Hope [featuring Joshua Kabe Ashworth]
6. The Painter Of Voices
7. Earth’s Necropolis [featuring Michael Pilat]
8. Trial Against Humanity [featuring Costin-Alexandru Chioreanu]
9. Closure

Line-up:
V – screams, voices, lyrics
XII – guitars, bass, programming

THE WAKE – Facebook

Bluedawn – Edge Of Chaos

Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Misteri, leggende, storie tramadate per secoli in una città che fu repubblica e crocevia di razze, ombre che le strette strade dei vicoli trasformano in oscure creature che ci inseguono fino al mare.

Una Genova alternativa fuori dagli sguardi superficiali dei turisti o di chi vive la città senza fermarsi un attimo a condividerne l’anima e la sua totale devozione alla musica rock, fin dai tempi dell’esplosione progressiva negli anni settanta, dei cantautori e del sottobosco musicale che ha dato i natali a straordinarie realtà metal.
In questo contesto si colloca la Black Widow Records e di conseguenza i Bluedawn, band heavy/prog doom metal capitanata dal bassista e cantante Enrico Lanciaprima, attiva dal 2009 ed arrivata con questo Edge Of Chaos al terzo capitolo di una discografia che si completa con il primo album omonimo e Cycle Of Pain, licenziato quattro anni fa.
Con l’aiuto di una serie di ospit,i tra cui spicca Freddy Delirio (Death SS), la band genovese esplora in lungo e in largo il mondo oscuro del doom/dark progressivo, ed Edge Of Chaos risulta così un lavoro affascinante anche se pesante e dipinto di nero, cantato a due voci da Lanciaprima e da Monica Santo, interprete perfettamente calata nel sound disperatamente oscuro e malato dell’album.
E sin dalle prime note dell’intro The Presence la tensione e la soffocante atmosfera dell’album sono ben evidenziate, con un’aura occulta ed evocativa a permeare tutti i brani dell’opera che sono valorizzati dai vari ospiti e da un uso molto suggestivo delle voci, uno dei punti di forza di un brano come Dancing On The Edge Of Chaos.
Il sax di Roberto Nunzio Trabona conferisce ad alcune tracce un tocco crimsoniano e l’anima progressiva del gruppo si fa tremendamente mistica ed occulta, con accenni atmosferici a Devil Doll ed al dark rock dei Fields Of The Nephilim, mentre la parte elettronica spinge la splendida The Serpent’s Tongue verso il podio virtuale all’interno della tracklist di Edge Of Chaos.
Sofferto, pesante ma tutt’altro di ascolto farraginoso, il pregio di questo lavoro è proprio quello di tenere l’ascoltatore con le cuffie ben salde alle orecchie: le sorprese del primo passaggio nel lettore diventano conferme dello stato di salute dei Bluedawn che, al terzo album, centrano il bersaglio, come confermato dalla notevole Baal’s Demise, nella quale tornano protagonista il sax, e di conseguenza, le sfumature crimsoniane.
Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Tracklist
1.The Presence
2.Sex (Under A Shell)
3.The Perfect me
4.Serpent’s Tongue
5.Dancing On The Edge Of Chaos
6.Wandering Mist
7.Black Trees
8.Burst Of Life
9.Sorrows Of The Moon
10.Baal’s demise
11.Unwanted Love

Line-up
Monica Santo – Vocals
Enrico Lanciaprima – Bass, Vocals
Andrea “Marty” Martino – Guitars
Andrea Di Martino – Drums

James Maximilian Jason – Keyboards, Synth, Vocals
Caesar Remain – Guitars
Roberto Nunzio trabona – Saxophone
Marcella Di Marco – Vocals
Freddy delirio – Keyboard, Synth
Matteo Ricci – Guitars

BLUE DAWN – Facebook

71TonMan – Earthwreck

Chiaramente sconsigliato a chi nella musica ricerca ricami e svenevolezze assortite, questo monolite firmato 71TonMan è esattamente ciò che si vorrebbe sempre ascoltare da una band sludge.

Il secondo full length dei polacchi 71TonMan è uno di quei lavori la cui pesantezza potrebbe far crollare il pavimento sul quale sta appoggiato il mobiletto con lo stereo e le casse.

Del resto, la band di Wroclaw tiene fede al proprio monicker, per cui queste 71 tonnellate di sludge doom si riversano come una cascata di fango sull’ascoltatore, seppellendolo definitivamente a colpi di riff densi e rallentati come da copione.
Non è solo pachidermico il sound dei nostri, però: benché una certa ossessività stia alla base della proposta, sottotraccia si celano linee che attribuiscono una precisa definizione ai diversi brani, anche se la resistenza uditiva viene messa a dura prova da quest’ora scarsa di sludge d’autore.
Messa così, a qualcuno potrebbe sembrare che Earthwreck sia essenzialmente un susseguirsi di riff senza arte né parte: invece qui di arte musicale ce n’è da vendere, perché non è affatto banale far coincidere una potenza di fuoco inarrestabile ad una (sempre relativa, naturalmente) fruibilità di fondo.
Chiaramente sconsigliato a chi nella musica ricerca ricami e svenevolezze assortite, questo monolite firmato 71TonMan per quanto mi riguarda è esattamente ciò che vorrei sempre ascoltare da una band sludge: forza, compattezza e idee chiare, che consentono di piazzare, dopo quasi venti minuti di randellate inferte senza soluzione di continuità, un arioso assolo di chitarra, oppure spingersi a lambire il funeral nella seconda parte di brani come Phobia e Torment, senza che il tutto vada ad attenuare o travalicare il senso di un impatto di rara efficacia.
Earthwreck è molto vicino ad un ipotetico stato dell’arte dello sludge, nel suo versante più vicino al death doom e al funeral piuttosto che a quello dello stoner e della psichedelia e, francamente, credo sia davvero molto difficile rendere questo genere in maniera più efficace.

Tracklist:
01. Lifeless
02. Negative
03. Phobia
04. Zero
05. Torment
06. Spiral

Line up:
K.K. vocals
M.Z. guitar
T.G.guitar
J.W. bass
J.K drums

71TONMAN – Facebook

Goatpenis – Anesthetic Vapor

Il suono dei Goatpenis è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni.

Venticinque anni di onorata carriera di massacri e olocausti sonori per i black metallers brasilani Goatpenis, e la storia continua.

Questo Anesthetic Vapor è sicuramente uno dei dischi migliori della loro già ottima carriera, cominciata nell’ormai lontano 1993, quando il Brasile vomitava gruppi come i Sarcofago ed altri, aprendo la strada a tanti gruppi sudamericani che poi avrebbero seguito la strada asfaltata da questi pionieri. In questo sesto album per i Goatpenis non c’è nessun cedimento, ma anzi si alza il livello di violenza in questa guerra. Il loro black metal veloce e saturo raggiunge apici molto alti, fondendosi con il death metal, che è un’altra caratteristica molto importante del loro suono. La produzione è molto accurata, non è assolutamente lo fi e permette di gustare al meglio questo suono davvero potente e magniloquente, che si potrebbe definire “war black death metal”. I Goatpenis mostrano la razza umana per quello che è, una distesa di cadaveri che fanno altri cadaveri, un sacco di carne morta e non molto di più. Questi brasiliani parlano di morte e sangue in maniera non casuale, sanno leggere tra le pieghe e la piaghe della storia. Il loro suono è incessante, monolitico e tempestoso, eppure hanno un grandissimo senso della melodia, infatti riescono a costruire le canzoni con un andamento molto ondulato e non soltanto nella direzione della velocità, dando una struttura forte alle loro canzoni. Anesthetic Vapor è un disco che farà felici i loro fans, ma è un gran disco per tutti, e continua la storia dei ragazzi di Santa Catalina.

Tracklist
01 Intro – Tambours Géants
02 Anesthetic Vapors
03 Humanatomy Grinder Chatter Studie
04 Machiavelli Reputation – Chapter
05 Excrementory Genocide
06 Carnivorous Ability
07 Krieg Und Frieden
08 Front Toward Enemy
09 Hallucinatory Sirens
10 Oppressive Ferric Noise
11 Pleasant Atrocities March

Line-up
Sabbaoth – Bass / Vocals
Virrugus Apocalli – Guitars

GOATPENIS – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
75

Devangelic – Phlegethon

L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva.

Dalla scena estrema romana, nido di mostruose creature metalliche brutali, ne abbiamo parlato in abbondanza in passato facendovi partecipi di molte delle opere uscite dalle menti di Corpsefucking Art, Degenerhate (tra le altre) ed appunto Devangelic.

Il passato per questa congrega di brutali musicisti si chiamava Resurrection Denied, ottimo esordio targato 2014, seguito dall’ep Deprecating the Scriptures l’anno dopo, mentre il presente è Phlegethon, nuovo lavoro licenziato dalla Comatose Music ed incentrato su un viaggio immaginario tra gli elementi più oscuri e brutali della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.
L’inferno di Dante ben si adatta all’atmosfera da tregenda che il gruppo conferisce al proprio sound, una tempesta di suoni maligni accompagnati da un growl animalesco o, in questo caso, luciferino, profondo e più adatto per descrivere l’ambiente demoniaco che viene descritto da musica e testi.
L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva, già evidenziata nel primo lavoro, che è esemplificativo del livello raggiunto dai quattro deathsters capitolini.
Non ci si annoia con i Devangelic, anche se la proposta è ovviamente più indicata agli amanti del genere (e non potrebbe essere altrimenti), trattandosi di puro brutal death metal ispirato dalla scena statunitense con tanto di cover, nella versione digipack,  di He Who Sleeps tratta dal mastodontico Gateways to Annihilation dei Morbid Angel.
Ottima conferma e album da annoverare tra le migliori uscite tricolori nel genere, Phlegethon non deluderà gli amanti del brutal death metal, i quali avranno di che crogiolarsi tra gli inferi in questo ultimo scorcio d’anno.

Tracklist
1. Plagued By Obscurity
2. Mutilation Above Salvation
3. Of Maggots And Disease
4. Malus Invictus
5. Abominated Impurity Of The Oppressed
6. Condemned To Dismemberment
7. Wretched Incantations
8. Manifestation Of Agony
9. Decaying Suffering
10.Asphyxiation Upon Phlegethon
—-
11.He Who Sleeps (Morbid Angel cover)
12.Abominated Impurity Of The Oppressed (Promo 2016)

Line-up
Paolo Chiti – Vocals
Mario Di Giambattista – Guitars
Damiano Bracci – Bass
Marco Coghe – Drums

DEVANGELIC – Facebook

Putrid Offal – Anatomy

I Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici.

Torna quel muro estremo transalpino che sono i Putrid Offal, gruppo che seguiamo da quando il quartetto è tornato sul mercato in occasione dell’ep Suffering, licenziato tre anni fa.

Dieci anni di silenzio dividevano gli inizi della carriera dei Putrid Offal dal ritorno nel 2014, seguito da una costanza nelle uscite sorprendente.
Infatti dopo l’ep il gruppo francese ha licenziato una compilation con i vecchi brani scritti nei primi anni novanta e soprattutto il full length Mature Necropsy del 2015.
Tornano dunque con questo ep intitolato Anatomy, composto da due brani inediti (Anatomy e Didactic Exploration), due ri-registrazioni (Rotted Flesh e Gurgling Prey, presenti nel primo demo, con il primo anche nel full length) e due brani live, tanto basta per sconvolgere l’ascoltatore con il loro devastante death/grind.
Niente di nuovo, solo la conferma che i Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici per mandare in tilt il vostro lettore cd.
Come da tradizione, gran lavoro delle due voci (growl e scream) che continuano imperterrite a darsi battaglia tra accelerazioni, pochi rallentamenti e potenza inaudita espressa come se non ci fosse un domani.
I Putrid Offal non lasciano scampo, se vi prendono siete fottuti…

Tracklist
1. Anatomy
2. Didactic Exploration
3. Rotted Flesh
4. Gurgling Prey
5. Requiem for a Corpse
6.Purulent Cold

Line-up
Franck Peiffer – Vocals
Phil Reinhalter- Guitars
Frédéric Houriez – Bass
Laye Louhenapessy – Drums

PUTRID OFFAL – Facebook

Crimson Altar – Clairvoyance

Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva.

Un anno dopo la sua uscita come demo su musicassetta, il primo atto discografico dei Crimson Altar, Clairvoyance, viene pubblicato in versione cd dalla Loneravn Records.

La band proviene da Portland ed è dedita ad un doom di concezione piuttosto antica, dai richiami occulti e psichedelici, caratterizzato dalla voce femminile e dall’uso del flauto, sempre da parte della stessa Alexis Kralicek.
Trattandosi di un esordio assoluto non è il caso d’essere troppo esigenti, per cui si può perdonare qualche imperfezione perché musicalmente il lavoro scorre via bene ed ha decisamente un suo fascino; quindi si può passare sopra al fatto che l’interpretazione vocale non sia sempre impeccabile, complice anche una produzione minimale che impedisce di dare una minima sistematina dove ce ne sarebbe stato bisogno: nel complesso la timbrica di Alexis è intrigante ma nei passaggi più rallentati emergono dei limiti che invece vengono superati allorché i ritmi accelerano.
Chiaramente tutto ciò intacca solo in parte l’esito di un ep che mostra diversi spunti notevoli, con il brano di apertura Soul Seer che si rivela piuttosto emblematico di come potrà svilupparsi il sound dei Crimson Altar nel momento in cui riusciranno a curare al meglio ogni dettaglio.
Buoni riff che denotano la devozione per il sound ottantiano, interessanti e auspicabilmente incrementabili interventi del flauto, che conferiscono al tutto un’aura particolare, ed una sincera attitudine per il genere, rendono Clairvoyance una prova interessante soprattutto in prospettiva, anche se al netto delle imperfezioni il lavoro si rivela fin d’ora meritevole di un ascolto.

Tracklist:
01. Soul Seer
02. Break Free
03. Dead Winter
04. Clairvoyance

Line up:
Rob Turman – Bass
Jesse Fernandez – Drums
Mat Madani – Guitars
Alexis Kralicek – Vocals, Flute

CRIMSON ALTAR – Facebook

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

Vindland – Hanter Savet

Mirabile fusione di black e pagan, un’opera affascinante e ricca di antiche suggestioni.

Ritornano dopo sette anni i francesi Vindland con un’opera di pagan black metal di buon livello, ispirata, emozionante e coinvolgente; il disco in questione Hanter Savet è uscito nel 2016, è andato sold out e ora è stato ristampato con differente artwork, ma il contenuto è rimasto immutato, con nove brani per circa un’ora di grande musica.

La band, un trio, chitarra, vocals and drums, aveva già prodotto un demo (2007) e un EP (2009), ma ora per Black Lion Records compie il grande passo e memore delle proprie origini, la Bretagna nel nord ovest della Francia, esprime tutta la fierezza del suo popolo, abbandonando la lingua inglese e cantando in bretone. E’ come il ritorno di un guerriero dimenticato che vuole riappropriarsi del tempo perduto e fin dal primo brano Orin Kozh i bretoni esprimono tutta la loro furia e il loro gusto compositivo, intessendo su base black continui riff che denotano un grande gusto melodico; lo scream è convincente e deciso, le atmosfere evocative e fiere. Tutti i brani hanno grande forza, non ci sono filler, la band conosce l’arte di creare pagan black di gran classe e il pensiero corre a una leggenda norvegese di fine anni 90, i Windir del grande Valfar, che con la loro musica hanno emozionato nel profondo: i loro quattro full (Soknardair, Arntor, 1184 e Likferd) hanno rappresentato la quintessenza del pagan/viking black e, a mia memoria, nessuna band successiva ha mai raccolto la loro eredità. Ora i Vindland con la loro musica si avvicinano a quelle atmosfere e con il loro suono fanno riandare la memoria a quei gloriosi tempi. Un brano magnifico come Treuzwelus non può non “riscaldare” i cuori del vero ascoltatore di black, e l’alternarsi di furia e melodia con inserti di fisarmonica di Serr-noz lasciano stupiti di fronte alla capacità compositiva dei tre musicisti. E’ incredibile che una band non scandinava conosca così bene il segreto di coinvolgere l’ascoltatore in un affascinante turbinio di emozioni; non ci sono suoni post-metal, post-black, sludge,doom o altre forme di musica estrema, ma solo arrembante ed evocativo pagan black metal ricco di forza e gusto melodico: un fiume in piena che travolge tutto come nel brano Skorneg Du, dove la chitarra trova riff di altri tempi e la sezione ritmica non conosce ostacoli. Anche gli inserti folk e acustici inframmezzati nei brani sono ricchi di buon gusto e non spezzano la tensione e l’epicità del suono. Gli abbondanti undici minuti di Skeud ar gwez con i suoi iniziali arpeggi meditativi, tristi e melanconici, suggellano l’arte del trio bretone prima di una fluida e lunga cavalcata senza ritorno. Veramente un magnifico e inatteso lavoro che non lascerà tanto presto i vostri lettori di cd e la vostra anima.

Tracklist
1. Orin kozh
2. Treuzwelus
3. Serr-noz
4. Pedenn koll
5. Skleur Dallus
6. Morlusenn
7. Skorneg du
8. Skeud ar gwez
9. And the Battle Ended

Line-up
Camille Lepallec – guitars
Marc Le Gall – drums
Romuald Echival – vocals

VINLAND – Facebook

E.G.O.C.I.D.E. – What Price For Freedom?

Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Debutto discografico per gli E.g.o.c.i.d.e., fautori di un hardcore metal molto vicino alle bellissime cose degli anni novanta come Integrity e tutta la scena del Benelux, ovvero metal con un cuore hardcore, mid tempo esplosivi e tanta cattiveria.

Questo ep di sei tracce ci mostra un gruppo con le idee chiare, tanta rabbia e la giusta attitudine musicale. Ascoltare questo suono è un rituffarsi in sonorità che pensavo dimenticate ma che mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita, come quella di altri miei coetanei e non solo. Il suono è l’hardcore metal, figlio degenere dell’hardcore delle generazioni precedenti, di quel suono che parte dall’Inghilterra, passa per l’Italia, con alcuni fondamentali gruppi come i Raw Power per intenderci, e poi arriva per la sua mutazione finale e necessaria negli States, dove assume la sua forma definitiva. Gli E.g.o.c.i.d.e. sono tutto ciò e ancora di più, perché seppur con una produzione molto casalinga, riescono a rielaborare il tutto personalmente e con un tiro davvero micidiale, che li porta al di sopra di molti altri gruppi. Le tracce migliori, ma questa è un’opinione totalmente personale che porto avanti da anni, sono quelle cantate in italiano, perché sono qui che gli E.g.o.c.i.d.e. spiccano particolarmente. Anche le tracce in inglese sono di buonissimo livello, per un giudizio complessivo sicuramente ben al di sopra della media, ma quelle in italiano sono spettacolari.
Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Tracklist
1.No Cause For Concern
2.Declama
3.Gloria Riflessa
4.Prayer (Of A Cynic)
5.Three Crowns
6.Verba Manent

Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Matt – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses

Fragarak – A Spectral Oblivion

L’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Sono ormai un bel po’ di anni che, prima nella sezione dedicata al metal di In Your Eyes e ora su MetalEyes IYE, vi teniamo informati sul metal che viene suonato nell’estremo oriente, soprattutto in India.

Il paese asiatico è un enorme scrigno di musica metal/rock, con una manciata di eccellenze in campo estremo e classico che non sfigurano sicuramente al cospetto dei più blasonati colleghi europei.
Il death metal progressivo, un genere che in Europa comincia ad inciampare in quanto a freschezza compositiva, sulle rive del Gange trova nuova linfa tra lo spartito dei Demonic Resurrection e dei Fragarak, di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del primo full length (Crypts of Dissimulation).
Non sono le uniche band da nominare, ovviamente, ma con questo nuovo album il gruppo di New Delhi risponde da par suo al bellissimo lavoro dei colleghi di Mumbai con questo mastodontico A Spectral Oblivion, ottantacinque minuti di musica estrema progressiva sopra le righe, violenta, atmosfericamente oscura, splendida colonna sonora di un mondo e di una società estrema raccontata per mezzo di un death metal old school, tecnicamente di un altro pianeta e dal sound che varia tra la furia del genere e le parti acustiche, progressivamente ineccepibili.
La differenza non da poco tra queste due spettacolari band sta nell’uso delle orchestrazioni da parte dei Demonic Resurrection, mentre nei Fragarak, l’epico andamento dei brani porta a sfumature evocative che si manifestano tra i ricami acustici di una bellezza devastante.
Supratim Sen usa tutti i mezzi in possesso di un singer di genere per rendere ancora più drammatica e maligna l’atmosfera, con growl profondi e scream laceranti, mentre i suoi compagni inventano fughe su e giù per uno spartito dato alle fiamme dagli strumenti che divampano tra le loro mani.
A Spectral Oblivion sembra durare lo spazio di un brano e l’ascoltatore viene catturato dalle lunghe suite, inframezzate da intermezzi acustici, con un attenzione particolare per In Rumination II – Reflections, Spectre – In Oblivion Awaken e Of Ends Ethereal.
Come nel primo album, l’influenza degli Opeth si fa sentire nelle parti progressive, mentre il lato estremo dei Fragarak mantiene le sue splendide coordinate old school death metal.
Un album bellissimo, l’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Tracklist
1.In Rumination I – The Void
2.In Rumination II – Reflections
3.The Phaneron Eclipsed
4.Ālūcinārī I – Transcendence
5.Fathoms of Delirium
6.Ālūcinārī II – Revelations
7.Spectre – An Oblivion Awakens
8.Ālūcinārī III – A Reverie
9.This Chastising Masquerade
10.Of Ends Ethereal
11.Ālūcinārī IV – The Fall

Line-up
Supratim Sen – Vocals
Kartikeya Sinha – Bass
Arpit Pradhan – Guitar
Ruben Franklin – Guitar

FRAGARAK – Facebook

Diablo Blvd – Zero Hour

I Diablo Blvd hanno un senso della melodia eccezionale e compongono canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile.

I belgi Diablo Blvd suonano un metal costruito attraverso immagini molto forti, come fosse un film, o ancora meglio un’opera teatrale.

La musica arriva potente, melodica e diretta, potenziata da un uso molto sapiente delle possibilità del gruppo che sono molto elevate. Non a caso la band è stata fondata da Alex Agnew, un attore famoso nel Benelux, e dal chitarrista Dave Hubrechts. Dopo due album di buon successo soprattutto nelle classifiche belghe e che li hanno portati ad esibirsi in numerosi festival estivi in patria, il gruppo firma per Sony e fa uscire il terzo disco che si intitola Follow The Deadlights: qui comincia la loro storia con la Nuclear Blast, impressionando molto uno dei boss dell’etichetta, Markus Steiger. E ora eccoci arrivati a Zero Hour, un disco molto bello e perfetto manifesto di cosa siano i Diablo Blvd, ovvero uno dei maggiori gruppi al mondo in fatto di metal melodico, grazie ad senso della melodia eccezionale e a canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile. Le influenze sono molte, ma la sintesi è tutta di questi belgi che riescono anche nella difficile impresa di non imitare gli americani o gli scandinavi, costruendosi invece un suono molto personale. Come detto poc’anzi il gruppo costruisce uno spettacolo grazie alla magnificenza di un sound che spesso parte in sordina per poi allargarsi come le ali di un’aquila, non tralasciando mai la dovuta durezza. Zero Hour è la summa del suono dei Diablo Blvd e al contempo il punto più alto di un gruppo che dal vivo rende molto bene, come si può intuire dall’ascolto del disco. Inoltre i testi sono molto acuti e mai banali, e sia ascoltando l’album che guardando i video è manifesto un disegno dietro a tutto questo, un messaggio molto importante che dovrete scoprire da soli.

Tracklist
1. Animal
2. Sing From The Gallows
3. Life Amounts To Nothing
4. God In The Machine
5. You Are All You Love
6. The Song Is Over
7. 00 00
8. Like Rats
9. Demonize
10. The Future Will Do What It’s Told
11. Summer Has Gone

Line-up
Alex Agnew – Andries Beckers –
Kris Martens – Tim Bekaert

DIABLO BLVD – Facebook

Gravewards – Subconscious Lobotomy

Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile, riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.

Death metal oscuro e feroce, quattro brani estremi che ricordano i malvagi passi della scena di primi anni novanta, specialmente tra Olanda e Regno unito, con una sola concessione americana, ma fortemente presente,costituita dai primi Obituary.

Dall’assolata e caldissima Grecia arrivano i Gravewards, giovane gruppo proveniente dalla capitale che debutta nel mondo dell’underground estremo con Subconscious Lobotomy, demo autoprodotto fatto di quattro devastanti brani incisi come ai vecchi tempi su trecento cassette, e noi di Metaleyes, che dell’underground vi facciamo puntualmente partecipi, ve li presentiamo in tutta la loro attitudine definibile eufemisticamente old school.
Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.
Fotis al basso e Vasilis alle pelli, con Nikos a costruire riff su riff, mentre con il growl urla come un animale ferito (ricordando non poco il Tardy di Cause Of Death), offrono quattro devastanti canzoni (bellissima Crawling Chaos) che non lasciano trasparire il minimo accenno di modernità ed il loro sound  si infrange come un’onda tempestosa sulle scogliere del death metal old school.
La produzione in linea con la musica suonata questa volta è perfetta per aumentare il fascino e l’atmosfera estremamente sinistra dell’album: Gorefest, Obituary e l’oscuro e bellicoso sound dei Bolt Thrower sono i padrini di questa nuova realtà ellenica da tenere sicuramente sotto osservazione.

Tracklist
1.Casket Entrapment
2.Subconscious Lobotomy
3.Crawling Chaos
4.Deathwomb Incubation

Line-up
Fotis – Bass
Vasilis – Drums
Nikos – Vocals, Guitars

GRAVEWARDS – Facebook